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By soulfullofharry

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Calista Spencer si trasferisce momentariamente a Brisbane quando capisce che forse le serve una distrazione d... More

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1C - Il mondo sottosopra
2J - Il mondo visto dall'alto
3C - Stupido Jet lag
4C - Sono la mamma di Ri-Hanna
5J - Solo il nome la rende off-limits
6C - Benvenuta a Brisbane, Cali, dove i Broncos ci fanno sognare
7C - Il muto al mio fianco รจ Jordan
8J - Ho appena chiesto di sposarmi alla figlia del coach
9C - รˆ vero che avete tanta resistenza anche a letto?
10C - Non hai idea di quanti romanzi abbia letto sul fake dating.
11J - Se Calista Spencer pensa di poter-
12C - Dicevo solo per dire!
13C - Rugbista semi muto
14J - Sรฌ, credici
15C - Scorbutezza non รจ una parola, Calista
16C - L'unica al mondo
17J - Ti piace Rihanna?
18C - Cravatta abbinata
19C - Tu... hai letto proprio tutta la mail, giusto?
20J - Sembri costipato
21C - Mi sa che ho trovato il modo di zittirti, Didi
22C - Metterti in ginocchio รจ la tua risposta a tutto?
23J - Tutto bene, JB? Ti vedo teso
24C - Me ne farai pentire, vero?
25C - So come vanno a finire queste cose
26J - Schema 6, stronzi
27C - Magnifico, no?
28C - Un pizzico... rancorosa
29J - Buonanotte, Baxter
30C - Serial Kinder
31C - Non ci provare
32J - Come la superiamo?
33C - Lock
34C - Pasticcio. Decisamente pasticcio.
35J - C'รจ spazio nella mia libreria
36C - Crouch, bind, set!
37C - Sarรฒ una brava mamma, te lo prometto
38J - Serena Van der Woffen
39C - Woorim Beach
40C - Un milione e mezzo di dollari
41J - Un dannato procione
42C - Per Kinder
43C - Il signor O'Hara
44J - Ne parliamo a casa
45C - Una dannata treccia
46C - Dolphin uno, Dolphin due
47J - Richiamami
48C - Stanza 108
49J - Il mondo visto dal basso
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50C- Il mondo visto dall'alto

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By soulfullofharry

Stare appresso a mio padre, specie in una fase tanto delicata della stagione, è un incubo. Mi sembra di vivere con un bambino. All'inizio era partito bene, sembrava propenso a restare a casa. Due giorni. Ecco quanto è durata. L'ho avvisato che se voleva tornare allo stadio doveva darsi una regolata agli allenamenti e così ha fatto. Più o meno... Ho chiesto a Loris di tenerlo d'occhio e informarmi se avesse esagerato. Lo ha fatto. Così sono andata nel suo ufficio, al Suncorp, e l'ho sgridato. Non può sbraitare contro i giocatori, gli sale la pressione e i valori delle analisi si stanno assestando solo adesso.

Certo, dopo avergliene cantate quattro me la sono filata, volevo evitare di incappare in Jordan.

Le cose tra di noi sono abbastanza statiche. Ci vediamo a malapena due minuti quando mi porta o viene a prendere Kinder e le interazioni si limitano al saluto.

Dopo l'ultima conversazione, il giorno del malore di papà, ho voluto prendermi del tempo per me. Ho parlato tanto con Nat, anche con Lisa e Jenna che sono persino venute a farmi compagnia una sera con tanto di gelato e patatine, e loro sono dalla mia parte. Comprendono che mi servano un paio di giorni per assimilare il tutto e cercare di capire come affrontare le cose.

Voglio dire, Jordan ha detto di essere innamorato di me. E poi mi ha mostrato, ancora una volta, di tenerci.

Forse avrei dovuto credergli subito ma era stata una giornata pesante e le cose che mi aveva detto non erano semplici da digerire. Adesso, col senno di poi, credo dica davvero. Probabilmente nemmeno Jordan si era reso conto di provare un sentimento simile all'inizio.

Temevo che le sue fossero parole dettate dalla paura di perdere quella routine che avevamo creato, che non facesse sul serio. Eppure, ogni volta che ci guardiamo negli occhi lo sento dritto al cuore. È innamorato di me.

Allora cosa ci fai ancora a casa di tuo padre? Perché non sei tra le sue braccia?

Perché... ho paura.

È sciocco, lo so, ormai le carte sono in tavola e dipende tutto da me, lui mi sta aspettando, ma nutro timore. Che le cose possano cambiare di nuovo, che si sia reso conto di non desiderarmi più, che voglia tornare alla sua vita di prima.

Questi stupidi pensieri mi azzannano, persino quando so per certo che Jordan non cambierà idea.

Forse devo semplicemente farla finita. Andare da lui e affrontarlo. Voglio darci una possibilità. Sono stanca di vivere nell'incertezza e di sentirmi mancare il fiato quando lo vedo. Ho bisogno di sentirlo vicino, di guardarlo dritto negli occhi e dirgli che lo amo.

È trascorsa una lunga settimana, sono riuscita a chiudere il contratto del vecchio appartamento a Chicago e Natalie si sta occupando di spedirmi le poche cose rimaste. Per il momento la mia Hanna rimarrà in un deposito, poi vedrò insieme a papà come muovermi. È un po' inutile possedere due auto quando ho deciso che abiterò qui in pianta stabile.

Inutile dire come papà sia rimasto scioccato dalla mia decisione, non se l'aspettava, è chiaro. Poi mi ha abbracciata ed è scoppiato in lacrime. Il famigerato coach Spencer ha pianto di gioia. Non me l'ha mai detto perché sapeva che avevo la mia vita a Chicago ma credo che abbia sempre sperato di avermi qui, con lui. E io sono felice di aver preso questa scelta.

«Sei agitata?» domanda Jenna, dal sedile anteriore.

Mordicchio l'interno guancia e annuisco. «Sì.»

«Vedrai che andrà tutto bene. Con Jordan e anche con tuo padre. Il coach Spencer sa che ci sarai e sarà costretto a comportarsi bene.» Sorride Lisa, alla guida.

«Non vedo l'ora di vederlo» ammetto. «Ogni volta che ci vediamo e non muove più di un passo nella mia direzione mi uccide. Ho proprio il bisogno fisico di sentirlo vicino.»

«Ah, l'amore, che sentimento strambo. Vero?» Ridacchia Jenna.

Arriviamo al Suncorp Stadium una ventina di minuti prima del fischio d'inizio. A causa del traffico in vista della partita siamo rimaste imbottigliate e venti minuti è stato il massimo di anticipo che siamo riuscite a ottenere. Dovrò parlare dopo con Jordan. Va bene lo stesso, posso aspettare.

Oggi giocano contro i Gold Coast Titans, dei grandi. L'ultima volta non è andata molto bene in campo. Mi avevano additato nomi parecchio denigratori per tutta la partita e Jordan si era persino fatto sbattere fuori per difendermi. Non è stato affatto professionale da parte loro comportarsi in quel modo. Capisco dover stuzzicare gli avversari ma parlare in quel modo così irrispettoso di una donna è da vermi.

Stavolta spero che sia peggio della precedente e che i Broncos li straccino. Certo, non importa se dovessero perdere, si rifaranno sicuramente ma sarebbe bello collezionare un'altra vittoria in casa.

Prendiamo posto ai nostri posti riservati, in prima fila, e occhieggio mio padre. Sembra teso ma almeno non sta sbraitando.

«Ci siamo.» Lisa mi stringa la mano.

Le riservo un sorriso e volto lo sguardo verso il campo dove entrambe le squadre stanno prendendo posto. Individuo Jordan, il numero 12, e lo ammiro. In divisa, i capelli scompigliati dalla pioggerellina che ha iniziato a cadere da qualche minuto e lo sguardo concentrato.

Indosso la felpa con il suo numero e un paio di jeans. Le temperature si fanno sempre più basse e ormai ho abbandonato le t-shirt a maniche corte da un pezzo. Sono parecchia nervosa e sto facendo di tutto pur di non pensare all'uomo a centro campo. Per un breve istante, i suoi occhi si posano su di me.

Il fiato mi muore in gola, ma gli riservo un piccolo sorriso tentennante. Agli occhi del mondo le cose tra Jordan Baxter e la sua fidanzata filano lisce come l'olio. Nel nostro, di mondo, quello di Jordan e Calista, non vanno alla grandissima ma conto di rimettere tutto in ordine dopo stasera. Ho bisogno che il mio Brontolo sappia quanto lo amo. E che capisco che ci vorrà un po' di tempo prima che si abitui. Anche se, devo ammetterlo, non ci comporteremo molto diversamente da come abbiamo già fatto in questi mesi. Perché eravamo già una coppia. Solo... non lo sapevamo ancora.

I giocatori si mettono in posizione, l'arbitro fischia e la partita comincia.

«Forza, ragazzi!» urla Jenna dopo i primi trenta minuti di gioco.

Il match prosegue tra placcaggi e touche ogni quindici minuti circa. Il punteggio mi rende nervosa; vede in vantaggio i Titans di quattro punti e so che non sono molti, visto che ci sono ancora sessanta minuti interi per recuperare. Stasera i Titans sembrano proprio assetati di vittoria, persino più dei Broncos. I miei occhi si alternato tra il campo e le panchine, dove vedo papà sbraitare. Mi sentirà, giuro. Se finirà nuovamente in ospedale per questa partirà gli infermieri dovranno tenermi ferma per non strozzarlo.

A fine primo tempo, io e Lisa ne approfittiamo per usare la toilette e prendere qualcosa di caldo da bere. La pioggia si è infittita. È quella pioggerella leggera che sembra non dar fastidio ma in realtà indica il preludio di un raffreddore fastidioso o di un'influenza che ti mette k.o.

Spero questo non valga per i Broncos, non ci vorrebbe.

«Sul serio, potrebbe smettere un attimo di piovere.» Sbuffa Lisa, sistemandosi il cappuccio sulla testa mentre prendiamo posto.

«Sarebbe strepitoso. Non vedo l'ora di tornare a casa.» Rabbrividisce Jenna.

L'arbitro fischia finalmente l'inizio del secondo tempo. La partita è parecchio avvincente ma la pioggia che si infittisce minuto dopo minuto peggiora l'esperienza.

I Broncos scivolano sul terreno bagnato con agilità, effettuando schemi su schemi con precisione. Sento papà urlare ordini da qui.

Sorseggio il mio tè caldo mentre osservo Liam correre verso centro campo. Passa l'ovale al capitano che, a sua volta, lo passa a Seamus. Alex e Loris si posizionano ai lati mentre Seamus avanza e lancia l'ovale in direzione di Rodrigo. Il mediamo di mischia intercetta Loris e Paul, corre verso sinistra e riesce a scansare due Titans. Alla fine è costretto a passare l'ovale a Paul, più vicino, quando viene placcato da un terzo Titan.

Paul corre verso Jordan e gli lancia l'ovale. Bene, conosco questo schema. Sono tutti abbastanza distanti da permettere a Jordan di effettuare un calcio di drop, la sua specialità. Mi alzo in piedi, in attesa, mentre Jordan calcia la palla e la vediamo oltrepassare i pali avversari.

Tre punti!

La folla va in delirio, i tifosi incitano la squadra e urlano il nome di Jordan che viene assalito dai compagni. Abbraccio prima Lisa e poi Jenna, attenta a non versare il tè.

Jordan si volta nella mia direzione per la seconda volta e si tocca l'orecchio sinistro, mi indica e infine porta la mano sul cuore.

"Mi senti. Anche così."

Sgrano gli occhi. Mi ha appena dedicato un drop.

«Oh mio Dio» mormora Jenna al mio fianco.

«Avete visto tutti quello che ha fatto Jordan, giusto?» domanda Lisa, basita.

La partita riprende sotto le urla dei tifosi, ma io sono ancora ferma a ciò che ha appena fatto Jordan. Non si era mai esposto in questo modo. Tutti sanno che siamo prossimi al matrimonio, è vero, ma non aveva mai e poi mai fatto un gesto così esplicito nei miei confronti. Ho il cuore colmo di calore, di gioia e amore per quest'uomo.

«Cali, sei ancora in shock?» Ridacchia Jenna.

Annuisco mentre mi siedo.

«Be', direi che il nostro JB si è stancato di aspettare. Adesso si agisce.» Ghigna Lisa.

Il resto della partita sembra passare più lentamente che mai, i Titans continuano a essere in vantaggio ancora di quattro punti e, considerato che mancano cinque minuti alla fine, i Broncos devono segnare una meta per assicurarsi la vittoria.

Mettono in atto l'ultimo schema, fanno il possibile per segnare una meta ma è troppo tardi. L'arbitro fischia la fine della partita e i Broncos perdono 14 a 18.

Gemo, dispiaciuta, e sistemo il cappuccio della felpa che è appena scivolato.

«Cali...» Mi richiama Lisa.

«Un attimo, si è impigliato il laccio—»

«Cali!»

«Cosa c'è?!» domando, esasperata.

Lisa mi afferra il mento e lo volta verso il campo. Jordan sta correndo nella mia direzione, sotto la pioggia, non mi sfugge il sorriso che ha sul viso.

Il cuore va a mille mentre mollo il tè in mano a Lisa e mi accingo a scavalcare la piccola barricata che mi separa dal campo. Rischio di scivolare ma non me ne frega un accidente, continuo a correre in direzione di Jordan e quando gli sono vicino abbastanza salto, stringendogli le braccia al collo e le gambe attorno alla vita. Jordan acciuffa le mie labbra senza la minima esitazione, le mani strette attorno alla mia schiena mentre mi tiene ancorata al suo petto. Non gli importa di essere davanti a migliaia di persone, di essersi esposto così tanto. È il suo piccolo, grande gesto. Solo per me.

Urla d'incitamento e d'apprezzamento si espandono per il Suncorp, rubando l'attenzione ai Titans. Ben gli sta. Che guardino noi.

«Ti amo, Lock» mormora Jordan al mio orecchio.

Mi scosto, sbatto le palpebre per riuscire a scacciare la pioggia che mi cola ovunque e gli sorrido. «Ti amo anch'io, JB. E mi dispiace di averci messo sette lunghi giorni.»

Jordan passa una mano tra i miei capelli, scostandoli dalla fronte. «Torni a casa con me? Da Kinder?»

Annuisco all'istante. «Resto qui, Brontolo.»

Lui aggrotta la fronte, stringendomi di più. «Che vuol dire?»

«A fine stagione non torno a Chicago. In settimana ho disdetto l'affitto e... mi trasferisco qui, in Australia. Voglio stare con te, con papà... ho una famiglia.»

Jordan rimane in silenzio per qualche secondo, poi annuisce piano. «Già. Hai una famiglia.»

Sbuffo una risatina emozionata e mi approprio delle sue labbra ancora una volta. «Sai, il mondo dall'alto è proprio bello, mi perdo parecchio da qui sopra.»

Lui scuote il capo ma non commenta, si limita a osservarmi con un sorriso sul volto. Ed è bello, bello, bello. Di rado Jordan Baxter concede sorrisi e ora eccolo qui. Due in meno di dieci minuti. Solo per me.

Sono estasiata quando riprendo parola. «Andiamo adesso? Muoio di freddo.»

Lui mi sistema il cappuccio in testa, tentando di ripararmi il più possibile, e prende a correre verso gli spogliatoi. All'ultimo, però, vira verso l'ufficio del coach e recupera qualcosa da un cassetto.

«Che fai?» domando.

«Chiavi di scorta. Il coach le tiene in caso combinassimo qualche guaio. Non ho voglia di tornare nello spogliatoio e perdere tempo con gli altri, voglio solo tornare a casa e portarti a letto.»

«Ah... vuoi scoparmi di brutto?» Arcuo un sopracciglio.

Jordan si avvicina, guardandomi contrariato. «Non lo sai, Lock? Adesso si dice "fare l'amore di brutto"» ripete le stesse parole di Alex di qualche tempo fa.

Scoppio in una sonora risata e annuisco mentre lo seguo fuori dall'ufficio di papà. Ha proprio ragione. Faremo l'amore di brutto.

In mezzo alla calca di giornalisti che sono riusciti a trovarci, riusciamo a raggiungere l'auto. È come se anche loro fossero diventati reali, non saprei spiegarlo. Sono certa che domani i titoli lasceranno poco spazio all'immaginazione. Di solito i giocatori lasciano lo stadio nei loro completi eleganti, Jordan invece sta ancora indossando la divisa dei Broncos ed è chiaro che c'è solo una spiegazione per tutta questa fretta. Be', poco mi importa, pensino ciò che vogliono. Ai loro occhi siamo fidanzati e JB ha appena perso una partita, lo consolerò a dovere.

In macchina Jordan accende i riscaldamenti e guida tra le strade affollate di Brisbane, una mano ancorata alla mia coscia.

Ho il cuore che non accenna a calmarsi, colmo di sentimenti che scalpitano per poter essere rilasciati. Speravo che questa giornata si concludesse in questo modo, solo non credevo sarebbe stato Jordan a fare il primo passo, così plateale per uno come lui.

Giungiamo a casa all'incirca quindici minuti dopo.

«Fermo, fermo, fermo.» Gli stringo la divisa quando fa per dirigersi verso la porta di casa.

«Che c'è?»

«In lavanderia. Sei sporco di fango e ciuffetti d'erba, non puoi entrare in casa tutto sporco» rispondo.

Lui alza gli occhi al cielo e mi afferra la mano. «Tornata da mezzo minuto e detta già legge.»

Sbuffo una risata mentre corriamo sotto la pioggia sul retro del giardino, fino ad arrivare alla porta della lavanderia. Ho amato questa stanza dal primo momento: i dettagli in legno dei pensili, le grandi travi visibili, come se rimandassero a tempi più antichi, che si incrociano con la modernità degli elettrodomestici. Una meraviglia.

Non appena entriamo Jordan si disfa subito degli scarpini, io copio le sue azioni. L'attimo dopo si è già liberato di maglia e calzoncini. Per me è un po' più difficoltoso disfarmi dei jeans ma, dopo qualche manovra, riesco nell'impresa. La felpa va via per ultima.

Jordan rimane fermo a scrutarmi, poi compie un passo e sfila una bretella del reggiseno che porto. Le sue intenzioni mi sono chiare all'istante, pertanto indietreggio fino alla superficie piana in marmo in cui, al di sotto, sono incastonate lavatrice e asciugatrice. Mi libero degli slip prima di sedermi, poi sgancio il ferretto del reggiseno e arcuo un sopracciglio. «Vieni?» bisbiglio.

«Presto» risponde lui, un attimo prima di accorciare la distanza e appropriarsi delle mie labbra. Mi stringe il viso tra le mani e mi divora. Dopo avremo tutto il tempo di esplorarci con calma, adesso ho solo bisogno di averlo dentro e colmare quella sensazione di vuoto che sento da quel giorno in ospedale. «Jordan, ti voglio. Adesso.»

Lui si scosta, portando la bocca sul mio collo mentre la sua mano scivola tra le mie cosce, preparandomi. Sibilo, arcuando la schiena quando i suoi movimenti si fanno più urgenti ma non voglio aspettare oltre. Gli stringo il polso e scuoto piano il capo. Voglio venire su di lui. Subito.

Jordan comprende il mio desiderio e si sistema meglio tra le mie gambe, poi lo sento farsi strada dentro di me, riempiendomi fino alla base. Gemo, chinando il capo verso il soffitto. Strizzo gli occhi e rilascio un sussulto quando si tira indietro per poi riaffondare un'altra volta con più forza.

«Cazzo, mi sei mancata da morire» ansima.

Ben presto siamo avvinghiati, l'unico spazio che si viene a creare scaturito solo dal suo veloce allontanamento dopo ogni spinta. Jordan mi stringe le cosce, penetrandomi con vigore, ripetutamente. I versi che abbandonano le mie labbra sono incoerenti ma colmi di lussuria. Sento i suoi baci sul collo, le clavicole, i seni. Lascia il capezzolo destro con uno schiocco e ritorna sulla mia bocca. Le nostre lingue lottano per la dominanza mentre gli stringo le gambe in vita e affondo le unghie sulle sue spalle. Sono parecchio più piccola di lui, è l'unico modo che ho per non crollare mentre mi scopa come più mi piace.

«Jordan, sto per...» Gemo, a corto di fiato, quando mi assesta una stoccata più forte e profonda delle altre. Vedo le stelle. Per un singolo attimo.

Mi riserva l'ennesima spinta e stavolta urlo. Tocca un punto sensibile e credo l'abbia appena capito perché l'attimo successivo Jordan prende a martellare ripetutamente proprio lì. Se prima ho intravisto le stelle, adesso ho una dannata galassia davanti agli occhi. Sento il suo respiro affannato all'orecchio mentre mi travolge con il suo corpo, quasi facendomi stendere del tutto sul ripiano, poi mi morde il lobo, tirandolo piano con i denti. «Vieni per me, Lock.»

E sembra che abbia solo bisogno del suo ordine sensuale per lasciarmi andare del tutto e iniziare a pulsare attorno alla sua asta.

Jordan geme, assestandomi un'ultima spinta prima di liberarsi dentro di me. «Amo come mi stringi. Ti sento dappertutto, Lock. Dappertutto» mormora.

Lo bacio profondamente. Gli dono tutta me stessa. Qui. In questo istante. «Ti amo.»

È strano dare voce a questo sentimento, ma so che mi abituerò. Sarà bello sorprendere Jordan, vederlo un pizzico in imbarazzo. Perché certe cose cambiano, ma altre restano così come sono perché vanno già bene. Le poche dimostrazioni verbali di Jordan per esempio. Non ho bisogno che mi inondi di frasette sciocche o che mi ripeta che mi ama di continuo. So già che sarà così perché ci penseranno le sue azioni a parlare.

«Anche io.» Mi accarezza piano la schiena.

«Quel gesto, allo stadio, quando hai segnato...»

Jordan si scosta, facendomi rabbrividire. Ora che abbiamo consumato l'amplesso e i corpi iniziano a freddarsi, percepisco gli spiragli d'aria gelida che entrano dalle finestre e i capelli zuppi che bramano di essere asciugati. Abbiamo bisogno di una doccia calda e poi di filare a letto.

«È tuo Calista.» Si porta una mano sul cuore. «Non te lo dirò spesso, però sappi che è così. Mi senti anche senza gli apparecchi e io sento te, anche in mezzo al caos.»

Annuisco piano, costringendomi a non piangere. «Non mi aspettavo una cosa del genere, specie davanti a tutti. È stato molto coraggioso da parte tua.» Gli pizzico il naso con l'indice.

Jordan alza gli occhi al cielo, un sorriso rassegnato sul viso mentre mi aiuta a scendere dal ripiano. «Aspettati questo gesto a ogni partita. Non è una dichiarazione urlata ai quattro venti, ma spero sia stata abbastanza.»

Gli stringo le braccia attorno alla vita e poggio il mento al centro del suo petto. «Quel gesto vale di più. E basta che sia solo nostro.»

Jordan mi ruba un bacio, poi concordiamo che sia meglio tornare dentro casa e toglierci la pioggia di dosso. Dopo aver recuperato due teli, giusto per non causare possibili scandali, filiamo dritti in cucina dalla portafinestra.

Kinder, nella sua cuccia, solleva all'istante testa e orecchie. Quando ci vede abbaia festosa e corre nella nostra direzione. La coccoliamo un po', Jordan le riempie le ciotole e poi mi obbliga a lasciarla andare.

È bello essere tornata a casa.

Lo penso mentre Jordan mi prende nella doccia, mentre finiamo di lavarci. Persino quando ci piazziamo a letto, Kinder sulla panca e la cena su un tavolino portatile.

Mi arrampico sulle gambe di Jordan, finendogli in grembo, e l'osservo preparare l'occorrente. Abbiamo optato per degli spaghetti di soia con gamberetti e zucchine. Un rotolo di sushi e un paio di antipasti. Kinder guarda la tv, interessata a un cartone per bambini, il telecomando tra le zampe.

Ridacchio, confusa. «Quand'è che la signorina ha preso possesso del televisore?»

«Una settimana più o meno» risponde Jordan prima di leccarsi il pollice unto di salsa di soia. «La sera dopo che te ne sei andata si è sistemata sul tuo posto. Sono andato in bagno per cambiarmi e quando sono tornata l'ho trovata che premeva le zampe sul telecomando cambiando continuamente canale. Poi ha trovato quel cartone» accenna alla tv col mento, «e da allora si guardano i cartoni per cena.»

«Oh mio Dio.» Scuoto il capo, divertita. «Quindi dirai addio agli highlights e le partite mi sembra di capire.»

Jordan mi rivolge un'occhiataccia. «Col cazzo. Me ne vado in sala o uso il cellulare. È inutile provare a cambiare canale, ringhia. L'ho accettato.»

Rido ancora una volta. Non ci provo nemmeno a vedere se è vero, gli credo. Perciò ceniamo con un cartone per bambini in sottofondo, io ancora in braccio a Jordan e Kinder felicemente soddisfatta di aver ottenuto il monopolio del televisore.

Dopo cena ci sistemiamo meglio sulla testiera del letto. Sono ancora appoggiata a Jordan perché non riesco ancora a staccarmi. Mi ripeto sempre: "solo altri cinque minuti" e invece non lo mollo da più di due ore. A lui, però, non sembra dispiacere la mia vicinanza, perciò... altri cinque minuti. «Sai...» Prendo parola. «Mi dispiace che abbiate perso stasera, ma sono certa che vi rifarete sabato prossimo con i Dolphins

«Io ho vinto» asserisce dopo qualche minuto di silenzio Jordan.

«Mi dispiace deluderti, ragazzone, ma... no.» Accenno un sorriso di scuse. Forse ha battuto la testa.

Jordan sospira piano e posa un bacio sulla mia fronte. «Fidati, Calista. Io ho vinto.» Poi recupera il cellulare, pronto a vedere i momenti salienti della partita di oggi.

Rimango quieta, la testa poggiata alla sua spalla. Realizzo ciò che vuol dire il secondo successivo. E sorrido. Zitta, colma di amore puro, gli lascio un bacio sul pettorale nudo. Ricevo una stretta sul fianco. Mi basta. Sono felice.

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