PRICELESS

By JennaG2408

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"Le cattive abitudini generano pessime dipendenze" 🌘Dark romance 🔞Forbidden love 💰Crime romance 📚 SCELTA... More

Avviso
C'era una volta una dedica
PARTE I
Prologo Lea
Prologo Trevor
1. FACCIA DA STRONZA
2. Finché qualcuno non ti compra
3. Fallo stabilire a me
4. Così poco di lei, così tanto di suo padre
5. Se l'orgasmo fosse un suono
6. Mi aspettavo di meglio
7. La sua degna erede
8. Un errore da 15 dollari
8.1 L'autrice si è dimenticata un pezzo di capitolo.
9. Tienila d'occhio
10. Non è Trevor
11. Non vali così tanto
12. L'anomalia emotiva
13. Il valore dell'innocenza
14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.
15 Stasera quello rosso
16 Il mese prossimo potremmo essere morti entrambi
17 Non puoi urlare
18 La Dea più capricciosa dell'Olimpo
19. Aspettami senza far danni (parte1)
20 (parte2)Sei tu, la mia sola cosa importante.
21 (parte 3) Seppelliscimi con le scarpe giuste
22 (ULTIMA parte) Voglio sapere se posso urlare.
23 Who needs a boyfriend when you have puppies?
24 Sei uno stronzo fortunato, Trevor Baker
25 Ogni regina ha il suo scettro
26 Non puoi toccarla
PARTE II
27 Stanco, ma non di lei
28 La prossima volta ti farà male
29 Un nome per il sesso e uno per l'amore
30 Dolce figlia di un figlio di puttana
31 Ah, Auguri.
32 Quello che sta intorno al cuore
33 L'inferno non va bene per Sebastian Baker.
34 Non sempre un uomo di successo è un uomo di valore
35 Fragola, cioccolato e una goccia di veleno: mortale tentazione
36 Non fare di lei la tua Harley Quinn
37 Due affamati nello stesso letto
38 Niente di male a sanguinare un po'
39 E comunque questo è un Valentino, stronza.
40 Cattive intenzioni e voglie pericolose
41 La mia bambina non si tocca
42 Scorre sangue immondo
43 La sua pelle e la mia fame (parte 1)
44 Groviglio di carne e abbandono (parte 2 )
45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)
46 Il sesso come strumento di guarigione
47 Facciamo finta di no
48 Tutti i per sempre portano il nostro nome
PARTE III
49 Quello che sono disposto a fare per te
50 Scelgo il profano e il blasfemo
51 Il sapore di una truce Apocalisse
52 Non abbastanza. Punto
53 Eppure Lea è viva
54 Effetto domino
55 Cinquanta sfumature di BlueDomino
56 Londra è la mia puttana
57 Questo non può essere peggio
58 Gli affetti veri muoiono, quelli falsi uccidono
59 Innalzare le mie depravate pulsioni
60 Non c'è differenza tra una danza e una guerra
61 Benvenuti a tutti quelli come noi
62 Dimmi cosa ti ha fatto
63 Fammi male
64 Io mi salvo da sola
65 Mister SeLaTocchiTiUccido
66 La differenza tra stimolare e godere
67 Il grillo che mette nel sacco il gorilla
68 Pietà e rispetto
69 Non ti darei mai meno di tutto
70 Incassare, elaborare, espellere (parte 1)
71 Stavolta puoi urlare (parte 2)
72 Non lasciarmi solo
73 Ci sarò sempre
74 Stai attenta, bambina
75 Più incazzato che lucido
76 Scolpiranno il mio nome sulla tua carne
77 Domani è già arrivato
78 Sembra un addio, signor Baker
79 Esisti per me
80 A fanculo un'ultima volta
81 Non morire senza di me
83 Mentre fuori il mondo cade a pezzi
84 Quella vita non è mai la tua
85 Ma tu non ci sei (parte 1)
86 Scopami nel modo sbagliato
87 UNLOCKED
PARTE IV
88 Morirò da re
89 Sono il vostro dio
90 Uno stronzo senza cuore
91 Tre baci sulla punta del naso
92 Un sollievo breve e inaspettato
93 Ciò che mi è dovuto
94 Ci sarò io, con te
95 Roba così
96 Nessuno di noi avrà conti in sospeso

82 Soffrire ancora un po'

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By JennaG2408


Il fatto è che era tutto nero. Ed era un nero che avevo conosciuto già, me lo ricordavo bene, perché pareva passata una vita, e invece era stato... il giorno prima, cazzo. O quello prima ancora? Ero confusa, e la testa faceva male, e anche il collo.

Ma quella parte di memoria funzionava bene, e ricordavo che per uscire dal nero avevo seguito il tocco di Andrey. Mi sarebbe piaciuto aprire gli occhi e trovarmi di nuovo lui a prendersi cura di me. Invece trovai Viktor.

Mi guardava dalla poltroncina, un bicchiere che gli penzolava dalle dita indolenti, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e uno sguardo parecchio contrariato sulla faccia.

«Non mi piace picchiare le donne, stronza. Lo faccio, se necessario. Ma non mi piace.»

Rimasi sdraiata sul pavimento della black room, dove probabilmente mi aveva abbandonata lui, come un rifiuto di nessuna importanza. Non ero sicura nemmeno di poter parlare, mi girava la testa anche solo nel tentativo di fare mente locale su quello che era successo.

«Puoi avere la tua bottiglia» aveva detto. E poi?

La ricostruzione dei fatti divenne meno importante non appena la vidi, la fottuta bottiglia. Accanto alla poltroncina su cui sedeva lo stronzo. Viktor se ne accorse.

«La vuoi?»

Sì. Ma non sapevo più perché. Quindi non risposi, e tornai a guardare lui, chiusa nel mio silenzio che non mi avrebbe difesa ancora per molto.

Si chinò di lato per afferrare il collo della bottiglia. Si alzò con una lentezza che mi distrusse, mentre lasciava il bicchiere vuoto a terra.

Si piegò accanto a me, ed ebbi paura, perché il modo in cui mi guardava aveva a che fare con la sadica curiosità di uno scienziato pazzo che cerca Dio nelle interiora di una cavia.

Ricacciai indietro le lacrime, ma fu difficile.

«La volevi questa dannata bottiglia. Non era una scusa per uscire da qui. Però hai provato a scappare lo stesso. Perché?»

Sbattei le palpebre, e dietro di esse ritrovai i frammenti di quello che era successo quando mi aveva portata nel locale per prendere la vodka.

Sì, avevo tentato di raggiungere la porta da cui ero entrata.

«Perché... speravo di poter concludere tutto fuori da qui.»

Sapevo che mi avrebbe riacciuffata, era scontato. Ma magari sarebbe accaduto all'esterno. La mia fuga era durata un paio di metri, e si era conclusa con un colpo alla tempia e un tuffo nel buio.

Inspirò a fondo, senza schiodare gli occhi dai miei. Ci leggevo cose contorte, nei suoi.

«Stanotte non si conclude niente, cyka. La tua convivenza con me durerà parecchio. Violerò tutti i ricordi che hai del tuo locale. Li imbratterò finché proverai ribrezzo per ogni angolo di questo posto. Quindi no, non è fuori di qui che proseguiremo. Se anche trovi il modo di mettere il naso all'aria aperta, io ti trascino di nuovo dentro. Chiaro?»

Come un automa, annuii con la testa, rassegnata.

«Bene. Adesso proseguiamo da dove eravamo rimasti.»

Mi mise una mano dietro la nuca, mi sollevò con quella che ebbi quasi paura di definire delicatezza.

Mi sentivo rinchiusa in un corpo morto, che non rispondeva ai comandi e restava inerme agli ordini del cervello.

«Non ti ho colpita poi così forte, mettiti seduta.»

In realtà a me pareva di essere finita sotto uno schiaccia sassi, ma con uno sforzo che mi fece venire una spaventosa vertigine, riuscii a drizzare la schiena e a restare seduta da sola. Non mi tolse la mano da dietro la testa, e questo mi preoccupò.

«Puoi avere la tua dose di vodka, ragazzina. Ma dato che non ti sei comportata come si deve, non la berrai del bicchiere. E nemmeno dalla bottiglia.»

L'immagine di Viktor che assorbiva il mio piscio dal pavimento con la camicia mi lampeggiò nella testa confusa. Pensai che tutto sommato leccare la vodka da terra davanti a lui non sarebbe stata la cosa peggiore che mi era capitata nelle ultime ore.

Naturalmente lo pensava anche lui, quindi in realtà la sue intenzioni erano ben altre.

«Sai perché non ti ho ancora levato gli abiti di dosso, stronzetta?»

Ero così stanca, così demolita da tutto. Negai scuotendo la testa, quasi indifferente a qualunque cosa.

«Perché voglio vederti crollare prima. Un qualunque bifolco ti avrebbe già schiacciata a terra e pugnalata con il cazzo. Ma io, piccola cagna, non sono un qualunque bifolco. Io posso scomporti senza nemmeno farti aprire le gambe. Gli altri ti avrebbero montata con la forza, io ti smonto, invece. I vestiti te li tolgo per ultimi. Infilarmi dentro di te sarà l'ultima cosa, cyka. E quello che ti avrò fatto prima sarà così profondamente destabilizzante, per te, che avermi tra le gambe sarà un sollievo. Sarà un sollievo anche per il piccolo Baker, alla fine, non dovermi più vedere mentre ti viviseziono l'anima.»

In un qualche posto lontano nell'universo, qualche lacrima mi scese a bagnare le guance. Ma era una sensazione sbiadita, sfuocata. Ero lontana da lì, ma non abbastanza da non sentirlo parlare e graffiarmi con le parole.

«La vodka la bevi dalla mia bocca, stronza.»

E quella promessa mi colpì come uno schiaffo abbastanza forte da riportarmi in fretta e furia nel corpo per consentirgli di tentare di allontanarsi da lui, disperatamente, perché non volevo più rivivere quell'esperienza.

Non riuscii nemmeno a mettermi in piedi. Viktor mi afferrò i capelli e mi tenne dov'ero, riempiendosi la bocca di vodka con l'altra mano. Appoggiò la bottiglia a terra, mi afferrò le guance e il mio contorcermi non valse nulla. Premette di nuovo le labbra contro le mie, strette tra le sue dita e di conseguenza dischiuse, loro malgrado.

Il liquido dal sapore forte si fece strada e mi arrivò sulla lingua. Inghiottii e quasi mi strozzai, mentre qualcosa mi scendeva lungo l'esofago e qualcosa mi sfuggiva colandomi lungo il mento.

Viktor mi lasciò respirare, senza mollare la presa, abbuffandosi dello spettacolo, guardandomi mentre tossivo fino alle lacrime.

«La volevi, no? Eccotela, la tua vodka. Il tuo cazzo di aiutino...»

Presi fiato, tra un colpo di tosse e l'altro. Mi pulì il mento con la mano. Chissà perché lo fece.

«Ne vuoi ancora? La puoi bere solo così, finché non mi viene in mente qualcosa di più interessante.»

Con fatica mi tirai in piedi, mentre lui mi guardava con un ghigno spiaccicato sulla faccia. Quando fui stabile sulle gambe, si alzò anche lui. Mi parve una montagna.

Dio, quanto mi sarebbe costato, scalarla fino in cima prima di piantarci la mia bandiera?

«Non ti farò del male in modo tradizionale, piccoletta, perché tu non sei tradizionale. Il piccolo Baker si è perso il cervello nei tuoi occhioni verdi, magari sta cercando di farti sentire normale, mmh?»

«No. Non ha mai cercato di farmi sentire normale. Sa che non lo sono.»

«Sono d'accordo. Siamo tutti e tre piuttosto lontani dalla normalità. Ma tu sguazzi ancora nel disagio di quel che sei e questo, lasciatelo dire, ti rende debole.»

Cercai con tutta me stessa la forza di respingere il dubbio che avesse ragione.

«Sarà. Ma sono abbastanza cazzuta da far incazzare i tuoi capi, ragazzone.»

Le sue labbra fecero una cosa strana, che non era un sorriso, o forse sì, solo che metteva paura. «No. È stato il tuo amichetto morto a farli incazzare. Tu non c'entri un cazzo.»

Sospirai. Non aveva importanza. Sarei sopravvissuta e scappata solo per il gusto di far saltare i nervi a tutti Volkov passati presenti e futuri.

«Io non ho intenzione di sopportare un'altra volta il supplizio del tuo alito sul mio palato, brutto pezzo di merda.»

Mi afferrò per i capelli, ma non avvertii il dolore che mi ero aspettata. Mi guardò negli occhi come se ci stesse cercando qualcosa. Ebbi il terrore che trovasse quel qualcosa.

«So perché il piccolo Baker è così ossessionato da te. Sei un fottuto disastro, come me, come lui. È la disperazione a dare davvero colore a quegli occhi lì. Il veleno che ti esce dalla bocca ha il suono di una richiesta d'aiuto, piccola cyka. So benissimo come distruggerti, cazzo. Baker mi ha reso il lavoro più semplice, perché hai assaggiato un po' di felicità, e adesso sarà un gioco da ragazzi strappartela via. Ti avessi avuta tra le mani prima di lui, saresti stata un rompicapo, eri tenuta in vita dalla flebile speranza di una vendetta improbabile, e poco altro. Eri abituata alle botte, agli abusi, alle mortificazioni e non avevi un cazzo da perdere. Il fatto che lui ti abbia messo in ordine alcuni pezzi mi rende tutto chiaro e limpido. Ti ha fatta sentire meglio, vero? Adesso vi distruggo tutti e due senza uccidervi. Non ti farò neanche troppo male, perché al male tu sopravvivi senza fatica. Troverò il modo di farti godere, cazzo. Ti farò cose brutali che ti faranno bagnare, e tu odierai tutto quel piacere, disprezzerai la reazione del tuo corpo al mio. E Baker ti vedrà perdere i tuoi conflitti. Ti vedrà sconfitta da te stessa ma saprà che ad aver annientato tutto quello che ha fatto lui sarò stato io.»

«L'unica cosa che mi fa bagnare è la certezza che Trevor ti farà saltare via la testa.»

Mi strinse una mano intorno al collo. Aveva dita lunghe, palmi enormi, mi parve d'essere avvolta da una sciarpa. Cercai di liberarmi, ottenendo solo la sua pelle sotto le unghie.

Mi stringeva e mi conteneva senza nessuna difficoltà, mi fissava in faccia come se stesse studiando una nuova reazione chimica.

«Potrei spezzarti le ossa, se solo volessi, ragazzina. Le sento scricchiolare sotto le dita, sai? Puoi lottare, non mi dispiace. Sappiamo entrambi che non hai speranza. Guarda... ti stanno già scoppiando i capillari negli occhi...»

Abbandonai le sue mani per cercare di graffiargli la faccia, le palpebre, tutto quello che potevo incontrare allungando le braccia: volevo solo che mi lasciasse respirare di nuovo.

Mi liberò sia i capelli che la gola e caddi a terra annaspando come un pesce appena pescato, milioni di stelline lampeggiavano nel campo visivo.

«La prima cosa che proviamo per farti bagnare è l'asfissia. Giusto perché non ho niente con cui legarti.»

Mi inchiodò a terra, togliendomi il fiato schiacciandomi il torace contro il pavimento. Sentii il suo corpo aderire al mio, un peso opprimente e intollerabile, che m'impediva di far arrivare una quantità d'aria soddisfacente ai polmoni.

«Vediamo se funziona... se ci siamo almeno vicini...»

Con una mano mi bloccò i polsi sopra la testa, con l'altra mi setacciò il corpo, insinuandola poi tra il pavimento e il mio inguine, facendomi male.

«...mmmh, mi pare che siamo ancora asciutte qua sotto, eh?»

Mi girò supina in fretta, quasi vorticosamente, senza darmi il tempo di rendermi conto che non avevo più il suo terribile peso addosso e che potevo nuovamente incamerare un po' di ossigeno.

Mi afferrò il viso con una mano. «Non svenire, puoi respirare. Per un po'.»

Era difficile pensare, cercare una via d'uscita. C'era una parte di me che, tutto sommato, non disdegnava l'idea di farla finita.

Sarebbe stata una sconfitta di cui non si sarebbe stupito nessuno, quella che si poteva consumare per mano di Viktor.

In fondo cos'ero, io? Una ballerina, una barman, una consulente finanziaria, una puttana digitale.

E lui? Un killer, il braccio armato della mafia russa.

Mi sarebbe piaciuto abbandonarmi a quella convinzione, ma c'era qualcuno che, invece, si sarebbe stupito eccome della mia repentina capitolazione, qualcuno che mi guardava vedendo solo cose belle e colorate, riscatti, rivincite, seconde occasioni.

Continuavo a sentirlo dentro, ci era riuscito davvero, in Australia, a piantarmisi da qualche parte, a mettere radici in qualche posto caldo e forse anche un po' accogliente al mio interno.

E allora, non mi restava che soffrire ancora un po'.

I killer sono umani, anche i peggiori. E Viktor aveva anche un altro difetto: era un maschio.

Io non riuscivo a guardargli dentro come faceva lui con me, e come faceva anche Trevor con me. Era un talento che mi mancava e non potevo escludere che, spiando dentro di lui, trovassi solo un grande vuoto.

Non potevo far breccia sulla sua pietà, né sul suo rispetto.

Forse, potevo far breccia solo nella parte di lui che Trevor aveva già scalfito quando lo aveva costretto a chinarsi tra le mie gambe per asciugare il mio sangue e il mio piscio per poi indossarli: l'orgoglio.

«Non esiste una sola cosa al mondo che tu possa farmi e che possa piacermi. Non hai quella capacità, ti manca tutto quello che ha Trevor. Se solo io fossi un po' più normale, potresti almeno spaventarmi come si deve. Invece non avrai nemmeno quella soddisfazione. Avrai tra le mani un corpo che subisce perché non ha scelta, un giocattolo che ti verrà a noia prima ancora che Trevor ti trovi e ti apra la gola a morsi.»

Mi tolse di nuovo la facoltà di respirare, mi circondò la gola con la mano destra, esercitando una pressione costante, implacabile, dolorosa.

Resistetti allo sfrenato impulso di lottare inutilmente contro il suo polso, obbligando le mie braccia a restare dov'erano, mentre l'altra sua mano mi sfregava tra le gambe, senza efficacia, senza nessuna oggettiva capacità di rendere piacevole la sua permanenza addosso al mio corpo.

Avvicinò la bocca al mio orecchio e ancora una volta l'odore della vodka nel suo alito mi diede coraggio.

«Non costringermi ad abbassarti le mutande, stronza. Voglio sentirti che ti bagni attraverso i vestiti, fai la brava...»

Era la posizione giusta. Mi faceva ribrezzo averlo addosso, la faccia così vicina alla mia, ma era quella giusta, cazzo.

Chiusi gli occhi, ma il buio non venne il mio soccorso perché il poco ossigeno aveva riportato i lumicini negli occhi.

Dagli la soddisfazione, sei una puttana, cazzo, è il tuo lavoro. Abbassano l'attenzione quando sono soddisfatti, lo sai. Lo fanno tutti. Tutti.

Ma BlueDomino non collaborava, non si ammorbidiva sotto il tocco rude delle dita di Viktor.

A un passo dallo svenimento mi liberò la gola di nuovo ed ebbi il terrore di aver perso la mia occasione. Se dopo l'asfissia avesse deciso di tentare a legarmi, sarebbe stato un problema.

Mi sconvolsi a trovare sollievo nel sentire la sua mano che mi strattonava i pantaloni verso il basso.

«Mi hai costretto tu, ragazzina, si vede che le barriere tra la mia carne e la tua non ti aggradano...»

Fu di nuovo sollievo quando mi mancò una terza volta l'aria, quando la sua mano mi circondò la gola. Mi concentrai, nel tentativo di ottenere un risultato con cui avrei di certo dovuto fare i conti per il resto della vita, per consentire al mio corpo di reagire in un modo che mi aveva distrutto l'adolescenza, per permettermi di provare qualcosa che mi atterriva, mi dilaniava, mi faceva sentire la creatura più assurda e perversa sulla faccia della terra: mi obbligai a cercare piacere nel disgusto, ad accogliere anziché respingere, accettare anziché biasimare.

Sei una puttana, dagli quello che vuole. Dagli quello che vuole, sei una puttana. La migliore, cazzo.

Dovetti agire su due fronti, quello del piacere e quello della vergogna. Viktor li voleva entrambi, li voleva insieme, perché nessuno dei due era letale e distruttivo da solo quanto lo era accomunato con l'altro.

Feci la cosa più orribile di tutte, per strappare via un briciolo di piacere dal mio corpo: pensai a Trevor, alle sue mani, alla sua bocca, alle sue carezze tenere, alle sue sculacciate soddisfacenti, al suo corpo magnifico che aderiva al mio, al suo amore commovente nei miei confronti, che avvertivo sempre, quando mi metteva il gelato nella tazza, quando mi preparava il the con i biscotti al cioccolato, quando mi asciugava i capelli, quando desiderava scoparmi ma si rifiutava di farlo perché secondo lui mi avrebbe fatto un danno, quando mi raccontava la storia del ragno e della farfalla...

E se per ottenere una goccia di piacere da offrire in pasto ai polpastrelli di Viktor avevo dovuto dar fondo ai miei migliori ricordi, sacrificandoli in favore di una trascurabile possibilità di sopravvivenza, non feci alcuno sforzo per trovare la vergogna.

Oh, quella uscì copiosa dagli angoli degli occhi, e Viktor non ebbe dubbi nel distinguerla dalle lacrime dovute all'asfissia, perché la vergogna venne accompagnata da un singhiozzo così potente da attraversare la gola serrata dalla mano del russo.

E lo vidi, nel suo sguardo come in quello di tutti gli altri che mi erano stati sotto, perché sopra mi erano stati in pochi: quelli che odiavo di più e quelli che amavo di più... nei suoi occhi vidi un trionfo subdolo, quello che deriva dalla sopraffazione, dal furto, dalla sottrazione.

Durava un lampo, di solito, e per uno come Viktor poteva durare anche meno. Quindi agii non appena mi accorsi del suo spalancare repentinamente gli occhi, forse stupendosi del suo aver ragione sul mio conto, forse più impreparato di quanto si aspettasse al verificarsi di quello che aveva voluto: farmi godere e schifare allo stesso tempo.

Di certo si aspettava il mio disgregarmi per l'accaduto subito dopo, ma quello non potevo permetterlo.

Prima che si potesse rendere conto che aveva ottenuto la reazione ma non il danno che sperava, afferrai la cazzo di vodka e gliela frantumai sulla testa, l'alcol che gli colò sui capelli e sul viso tanto quanto lungo il mio braccio e il mio polso.

Non me ne curai, anche quello avrebbe avuto un prezzo, lo avevo saputo fin da subito, fin da quando aveva deciso che il caro Andrey, in un qualche modo, ci salvava il culo anche senza esserci.

Con l'altra mano sfilai l'accendino dalla felpa che, Dio sia ringraziato, Viktor non mi aveva mai fatto sfilare.

E così a salvarmi era anche lui, era anche Trevor. Alzai il tappo dello zippo e la fiammata abbracciò i capelli di Viktor, pieni di lacca, e gli attraversò la faccia mordendomi il polso e la mano che avevano scagliato la bottiglia sulla testa del russo.

Urlammo entrambi, il fuoco che ci aveva afferrati ma che altrettanto in fretta sarebbe morto, probabilmente.

Rotolai via dal suo corpo enorme non appena si rotolò sul pavimento con le mani sulla faccia, intento a spegnere le piccole fiamme, mentre io mi sfilavo la felpa correndo via, fuori dalla black room, senza più un piano, perché già quello mi era sembrato talmente fragile da non necessitare di una fase 2.

E corsi guardandomi indietro, sentendo le urla e le imprecazioni di Viktor, terrorizzata all'idea di vederlo comparire più incazzato che mai lungo il breve corridoio.

La mia corsa finì con uno schianto.

Sarei caduta all'indietro, se due braccia calde e forti non avessero frenato il mio rovinoso precipitare.

Non volli concedermi l'opportunità di sperare finché non sentii il suo odore nelle narici, più intenso di quello di carne bruciata che proveniva dalla black room, e forse anche dalla mia mano.

Mi sentii stringere con una forza spaventosa, e mi mancò di nuovo il fiato per quella costrizione così violenta contro un altro corpo.

«Lea, sono qui.»

Alzai lo sguardo e lo vidi in tutta la sua potente magnificenza, fervente di rabbia, che guardava dritto davanti a sé, un braccio che mi cingeva come se lasciandomi potesse perdermi per sempre, l'altro puntato dritto lungo il corridoio, una pistola grossa come martello pneumatico in mano.

E, pochi metri più in là, il volto oscenamente arrossato, la nuca per metà calva e sfrigolante, Viktor ci puntava addosso un'arma che non pareva temere le dimensioni di quella di Trevor.

«Baker, fottutissimo stronzo, giuro che dopo averti trivellato vengo a scoparmi la troia sulla tua tomba!»

Una fase di stallo: un corridoio con una sola uscita, alle nostre spalle, due armi per tre persone, poca lucidità da entrambi i fronti.

Trevor continuava a stringermi fino a farmi male: l'impossibilità di guardarmi, di accertarsi che fosse tutto ok, la sua voglia di leggermi in faccia la gravità di quello che era accaduto, la certezza che qualche danno fosse inevitabile, la preoccupazione dilagante per le conseguenze di quello che era appena successo e di quello che non era ancora successo.

Viktor era immobile, sapeva. Sapeva che Trevor voleva spostare lo sguardo, che era distrutto dal bisogno di vedermi, di sapermi recuperabile, salvabile, aggiustabile. Aspettava solo che cedesse a quell'impellenza, che spostasse per un frammento di secondo lo sguardo da lui a me, e avrebbe sparato. A chi dei due, non avrei saputo dirlo.

Era il motivo per cui non sparava nemmeno Trevor: era probabile che un colpo sarebbe partito a entrambi in ogni caso, indipendentemente da chi dei due aprisse il fuoco per primo.

Dei due, Trevor era il più preoccupato, quello che più di tutti poteva commettere un errore.

Mi presi parecchi secondi per decidere che era necessario togliergli quella preoccupazione di dosso.

Avevo bisogno di nuovo di quella parte di me. La puttana. La bugiarda.

Vieni fuori stronza, ho bisogno di te. Devi mentirgli.

BlueDomino era capricciosa, spaventata.

Non so mentirgli. Non mi ha mai creduto. Mai. Sarà peggio.

Ma quella sera doveva imparare a mentire, era necessario, era vitale.

Quel duello di sguardi sarebbe prima o poi diventato un duello d'armi. Doveva accadere con un Trevor lucido, il più lucido possibile. Avrei voluto impugnare la sua pistola: sparavo meglio di lui. Ma non era possibile e quindi, dannazione, avevo bisogno di quella brutta stronza di BlueDomino.

Ti vengo a prendere per i capelli, brutta puttana! Vieni fuori, ho bisogno di te. Abbiamo bisogno di te. Devi mentirgli. Regalagli la tua migliore bugia. Fagli questo dono, cazzo!

BlueDomino si degnò: la sentii arrampicarsi lungo fuori dallo stomaco e risalirmi per l'esofago. Sibilò attraverso la mia bocca, trasformandomi la lingua in velluto rosso. Avvicinai le labbra all'orecchio di Trevor, mentre il mio sguardo cercava di pugnalare quello di Viktor.

«Non mi ha fatto niente.»

Inspirò, la vena che gli pulsava da far paura.

«Ha ragione.» La voce di Viktor, ansimante, attraversò il corridoio. «Non le ho fatto niente. Niente di quello che si aspettano le persone normali. Ma noi tre non siamo normali, vero, cyka?»

Le dita di Trevor quasi mi infilzarono tra le costole. Temetti davvero mi avrebbe spezzato la schiena.

Il suo non parlare comunicava ugualmente nervosismo e rabbia. Stava pensando, valutando le possibilità, i vari scenari di fuga, ma stava senza dubbio cercando di mettere a fuoco tutto quello che Viktor poteva avermi fatto. Forse l'assenza di ferite evidenti lo spaventava più di tutto: sapeva bene che il mio corpo guariva molto prima e molto meglio del mio animo.

Non risposi a Viktor, era con Trevor che dovevo comunicare. Solo con lui.

«Non mi ha fatto niente, Trevor. Non può farmi niente.»

«Abbracciami meglio bambina. Non mi servono le bugie di BlueDomino, mi serve un cazzo di sceriffo.»

Abbracciami meglio.

Stupida idiota.

Trovai esattamente quello che mi serviva.

«La tua cyka sa di ciliegia, piccolo Baker... piccola, dolce e succosa. Posso dirtelo con certezza...»

E quello fu il momento in cui la morsa infernale di Trevor si allentò, l'attimo in cui il suo braccio permise al mio corpo di muoversi quanto bastava per sfilargli la piccola arma infilata nella cintura, dietro la schiena. Per consentirmi di puntarla contro Viktor era indispensabile che Trevor si abbassasse, e diedi per scontato che l'avrebbe fatto, altrimenti uno di noi due sarebbe presumibilmente morto sotto i colpi del russo.

E avvenne più o meno quello che mi ero aspettata: Trevor si chinò, sparando un colpo che colpì Viktor alla gamba, ma mi si rialzò proprio davanti, facendomi di fatto da scudo umano mentre disarmavo lo stronzo con un colpo che mi rese orgogliosa e che fece saltare in aria due dita di Viktor.

E quello no, che non me lo ero aspettato: né che Vitkor scegliesse di sparare a me, né che Trevor si prendesse la pallottola al posto mio. 

SPAZIO AUTRICE

Dunque, mie regine: la verità è che speravo di affrontare questo capitolo con uno stato d'animo molto diverso, ma non potevo più rimandare. 

Capita a tutti di dover fare qualcosa di importante, o quantomeno importante per noi, in una condizione non ottimale, fisica o emotiva. Ecco, la si affronta lo stesso. Forse si ottiene un risultato non all'altezza delle proprie aspettative, ma al limite ci si torna sopra successivamente.

E quindi ecco il capitolo. Me lo sono strappato fuori con le pinze, sono onesta. Devo solo riprendere un attimo di fiducia in generale, perché è un momento difficile anche e soprattutto fuori da wattpad e la scrittura ne risente. Abbiate pazienza, Comunque dai...il capitolo è finito tranquillo quindi siamo a posto ahahahah!

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