Non credevo che sarei tornata a Chicago per una motivazione del genere e invece eccoci qua. Ieri pomeriggio papà ci ha raggiunto a casa di Jordan e abbiamo parlato. Ho pianto di nuovo notando la sua espressione desolata e afflitta, ma siamo arrivati a una conclusione. Ho prenotato un biglietto e ora eccomi qui, all'uscita dell'aeroporto internazionale di Chicago-O'Hare.
Sono partita all'ora di pranzo da Brisbane e sono atterrata a Chicago intorno alle otto e mezza del mattino. Natalie mi aspetta, pronta a scortarmi alla polizia. Ho riflettuto tutta la notte, incapace di chiudere occhio. Chi può avere scoperto una cosa del genere? Chi? Chi? Chi?
Le domande evaporano dalla testa quando riconosco la mia migliore amica. È già a braccia aperte quando mi fiondo su di lei e la stringo come se la mia vita dipendesse da lei. «Oh, Nat. Non hai idea di quanto mi sia mancata.»
«Ce l'ho invece. So che questa è una brutta situazione ma sono felicissima di riaverti un po' per me. Guarda come sei bella, il fidanzamento ti dona!» esclama, scostandosi per potermi guardare.
«Ma piantala» bofonchio.
«Dico sul serio, Cali. Sei radiosa, abbronzata, hai gli occhi pieni. Dovremmo farci una bella chiacchierata ma al momento è meglio andare. Hai riflettuto su cosa ti ho detto?»
Annuisco mentre la seguo verso la sua auto. «Hm-hm. Ma non c'è nessuno, davvero.»
«Mmh. È solo molto ambiguo, sai? Un riscatto pur di non far uscire un'informazione che potrebbe fruttare persino più soldi se venduta alle giuste persone, non credi?» Prende posto.
«Lo so. Più ci penso, più qualcosa mi puzza. È un po' come se fosse stato tutto in maniera amatoriale. Ieri stavo andando fuori di testa ma adesso, a mente più lucida, non lo so, sento che mi sta sfuggendo qualcosa.»
Percorriamo la strada verso la centrale di polizia discutendo di questa faccenda, poi le racconto di papà e di come l'ha presa Jordan.
«A proposito del famoso Jordan, non c'è niente che devi dirmi. Ora che siamo faccia a faccia non puoi ingannarmi.»
«Che dovrei dirti?» Aggrotto la fronte.
«Che ti stai innamorando perdutamente di lui, Calista Spencer. Ti piace da morire, ci stai sotto e quello che hai lì in mezzo» accenna al mio petto, «parla chiaro, amica mia.»
Arrossisco furiosamente. «Ma che dici! È tutta finzione, Natalie. Non c'è nemmeno un'amicizia, figurati... sentimenti.»
«Non c'è amicizia perché siete direttamente passati al livello successivo. E poi, uno che non ha interesse nei tuoi confronti non ti rompe le palle se parli con il suo amichetto del cuore. Era geloso marcio all'inizio, è geloso adesso e lo sarà anche quando troverà un'altra scusa idiota pur di tenerti accanto» asserisce, convinta.
Alzo gli occhi al cielo. «Jordan non prova niente nei miei confronti che non sia irritazione o fastidio. Ieri ero in difficoltà e mi ha ascoltata.»
«Gli hai raccontato di tua madre, Cali. Non è una cosa leggera. E non è solo perché ti fidi di lui, ma perché nutri sentimenti nei suoi confronti. Lo vedi come un rifugio. Puoi negarlo quanto ti pare, signorina, ma sei praticamente mia sorella, ti conosco meglio delle mie tasche. Ora sei in fase di negazione, presto arriverà la realizzazione e poi la rassegnazione.» Sorride, divertita.
Non le rispondo. Natalie parcheggia di fronte alla centrale e mi guarda. Ricambio con un sorriso tirato e annuisco. «Ti chiamo quando finisco.»
«Ti voglio bene, Cali. Qualsiasi cosa accada.»
Vorrei abbracciarla, ma ho una questione da risolvere. «Qualsiasi cosa accada.»
Sospiro, stanca e assonnata. Continuerò a ripeterlo all'infinito: il jet-lag è uno schifo. Lo è anche l'impasse in cui mi trovo al momento. Ho affrontato il capitano Keller, lo stesso uomo che anni fa si era occupato del nostro caso, e ho mostrato lui l'e-mail. Si è tenuto il laptop per poterlo far analizzare dai loro esperti e poi mi ha fatto un'altra serie di domande generali. "Chi pensa sia stato?" "Lei è certa di non averlo detto a nessun altro?" e così via. Poi sono tornata a casa in bus ed è stato un inferno.
Chiaramente dovrò restare a Chicago fin quando non avranno trovato a qualcosa giusto per comodità e... non mi va.
È strano da dire, ma è così. Vorrei essere a Brisbane, sul divano, insieme a Jordan e Serial Kinder. Mentre aspettavo in sala d'attesa ho riflettuto sulle parole di Natalie ma ho fatto il possibile per convincermi del contrario. Voglio dire... è Jordan. Innamorarmi di lui è sciocco sotto ogni punto di vista.
Giusto?
La mancanza che sento deve essere causa dell'abitudine. Ormai avevo una routine, una che comprendeva un omone rugbista e un pitbull dolce come il miele.
Come se avesse sentito il mio pensiero, il cellulare squilla. «Pronto?»
«Ehi.»
«Ciao» mormoro. Dal divano, nel mio appartamento silenzioso, mi sento più sola che mai. Sentire la sua voce burbera mi rallegra.
«Novità? Credevo chiamassi.»
«Sono un po' scombussolata tra il viaggio, il jet-lag e tutta questa situazione.» Sospiro, massaggiando la tempia sinistra. «Hanno preso il laptop, dovranno controllarlo e mi faranno sapere.»
«E devi restare lì per forza?»
«Perché, ti manco, JB?» Non resisto, devo punzecchiarlo. Evito di dirgli che a me lui manca e non sono trascorse nemmeno ventiquattro ore.
«Ti prego. C'è così tanto silenzio che riesco finalmente a sentire i miei pensieri. E ho l'acqua calda tutta per me. Però Kinder ti cerca.»
Il cuore si restringe al pensiero. Incredibile come un bestione tutto muscoli con quel musetto dolce mi abbia stregata in poco tempo. Pensare che all'inizio nemmeno mi piaceva.
«Mi manca» ammetto. «Fammela vedere. Ti videochiamo.» Non gli lascio il tempo di ribattere, attacco e lo richiamo. Il viso familiare di Jordan compare davanti allo schermo, è corrucciato. Sorrido, incapace di trattenermi. «Ciao, Brontolo.»
Lui non ribatte, abbassa lo schermo del cellulare e inquadra una palla di pelo marrone. «Ciao, piccoletta.»
Kinder scatta al suono della mia voce, quasi facendo cadere di mano il cellulare a Jordan.
«Sono qui, Kinder.» Ridacchio.
Kinder si gira e finalmente mi vede, poi sorride. La mia cagnolone muscolosa con la faccetta da ranocchio mi sorride. E io mi sciolgo. Abbaia, entusiasta e poi la lingua invade lo schermo del cellulare.
«Kinder, non si lecca» dice Jordan.
«Ignora tuo padre, dammi un altro bacino.»
«Piantala di incoraggiarla» mi ammonisce il moro, ritornando sullo schermo.
«Ci credi che non volevo restasse? Incredibile.» Scuoto il capo. Il solo pensiero di lasciare Serial Kinder adesso mi sembra impensabile. Mi ha dimostrato così tanto affetto e supporto da scioccarmi.
«Perciò, quando credi di tornare? Chiedo perché non ho voglia di subirmi i suoi piagnistei giornalieri. Oggi ha pianto già due volte e stasera ha deciso di dormire sul tuo lato del letto.»
«Torno prima che posso» mormoro, il cuore colmo di una miriade di sentimenti in contrasto. «Per Kinder. Ovviamente.»
«Ovviamente» ripete lui.
«Va bene, adesso ti lascio. Per qualsiasi cosa... sono qui.»
Lui mi scruta per qualche secondo, poi annuisce. «Prima di andare: sai dove sono finiti tutti i miei calzini?»
«Sono in lavanderia. Ho fatto il bucato prima di partire perché avevo bisogno di distrarmi e così ti ho lavato tutto. Intimo incluso» ammetto, un filo colpevole.
«Quindi vado agli allenamenti con le palle al vento. Magnifico.»
«Non so se mi entusiasma il pensiero» rifletto.
Jordan bofonchia qualcosa che non capisco, poi alza gli occhi al cielo. «Avvisami se ci sono novità, porto Kin con me agli allenamenti.»
«Va bene. E... Jordan?» Lo richiamo ancora una volta, prima che attacchi.
«Che c'è?»
«Ti spiace se ti chiamo intorno a quest'ora anche domani? E tutti i giorni in cui dovrò restare qui? Per Kinder, sai... non voglio che si senta abbandonata.»
«D'accordo.»
«Bene. Ciao, allora.» Sollevo una mano in segno di saluto.
«Ciao, Calista.» Attacca.
Abbandono il cellulare sul tavolino e mi alzo dal divano, stiracchio le braccia e raggiungo la cucina poco fornita. Prima di tornare a casa sono passata al supermercato, giusto per non morire di fame mentre starò qui. Mi guardo intorno, quasi come fossi un'estranea e piego il capo quando noto una manciata di fogli sul ripiano accanto al tavolo.
Raggiungo i fogli e sbuffo una piccola risata quando riconosco gli appunti del vecchio romanzo. «Forse dovrei ringraziarti, sai? È a causa tua che sono partita e ho conosciuto Jordan. E Kinder. Se non fossi stato così pessimo...»
Sbadiglio, ma ignoro il desiderio di sprofondare a letto. Meglio mangiare qualcosa, poi forse mi concederò un pisolino.
Uno bello lungo. Dove non vengo minacciata, i miei sentimenti non sono in discussione e ci capisco ancora qualcosa di cosa succede nel mio cuore.