⚠️⚠️⚠️ ASSICURATEVI DI AVER LETTO PRIMA IL CAPITOLO 79 ⚠️⚠️⚠️
Parcheggiai in una via periferica, lungo una strada troppo stretta ai lati della quale tutti lasciavano comunque i propri veicoli. Le facciate dei palazzoni erano scrostate, le più belle erano quelle invase dai murales dei ragazzini. Peccato che i loro colori non arrivassero nemmeno ai davanzali delle finestre del primo piano.
Il quartiere era grigio come il cuore dell'autunno, che tutti insistono a farci rappresentare con colori caldi, e che invece a me restituiva solo un senso di freddo.
Lea mi aveva guidato lì con la stessa partecipazione emotiva di un navigatore dei primi del 2000.
Le si erano asciugate le lacrime lungo le guance, ne vedevo la scia lucida sul suo faccino devastato.
Non volevo che Denis morisse, sapevo che lei ne avrebbe sofferto oltre misura. I Volkov erano arrivati a lui un po' troppo in fretta, avevo bisogno di parlarne con Andrey.
Lea era prigioniera del suo distacco dalla realtà, non accennava neanche a scendere dall'auto. Il suo sguardo vacuo era fisso su quel triste panorama.
Presi il mio cellulare sicuro, ci trovai una notifica.
Supposi fosse di Andrey.
Mi sbagliavo. Il numero era sconosciuto, ma mi bastò un'occhiata alle prime parole del messaggio per capirne il mittente.
La curiosità mi incenerì le dita, ma la lasciai spegnersi mentre rimandavo la lettura per inviare ad Andrey la richiesta di farsi sentire non appena gli fosse stato possibile.
Incamerai ossigeno e, sperai, un po' di forza d'animo per sostenere Lea.
Io sarei potuto crollare dopo la sua partenza, in perfetta solitudine. Non volevo pensare a come mi sarei sentito, non potevo permettermelo, non in quel momento.
Le avvolsi il visino con una mano, obbligandola a voltarsi e a guardarmi. Mi inquadrò subito, e un po' me ne stupii.
«Portami nel tuo posto sicuro, bambina.»
Scese, ma non si mosse finché non la raggiunsi. La presi per mano, ma ero io a dover seguire lei. Impiegò un paio di secondi prima di rendersene conto. Quando lo fece mi lanciò uno sguardo che conteneva delle scuse. L'abbracciai, perché non volevo delle scuse, volevo solo darle sollievo.
Nel suo silenzio carico di dolore, Lea mi guidò davanti a un portone che avrei potuto buttar giù con uno starnuto. Lo aprì con una chiave qualunque, introducendomi in un atrio che pareva uscito dagli anni 80, occupato da biciclette e stendini della biancheria. Lungo le scale un fitto chiacchiericcio allegro saltellava tra una parete e l'altra.
Salimmo le scale per quattro piani, tra bimbi che lanciavano macchinine giù per le rampe, nonne che dicevano loro di far piano gridando come aquile, casalinghe sedute nel vano scala che si raccontavano pettegolezzi su nuore e nipoti. L'umiltà del contesto sbiadiva grazie al calore della condivisione dei suoi abitanti.
Ci guardarono tutti, qualcuno aggrottando la fronte, altri accennando un saluto muto.
Lea aprì una porticina marrone, e se il portone del palazzo avrei potuto buttarlo giù in un soffio, quello dell'appartamento lo avrei disintegrato con un respiro.
Lea chiuse l'uscio, e io capii subito dove mi aveva portato.
«Casa di Matteo Gessi.»
«Non è mai stata casa sua. La proprietà è passata di mano in mano, noi eravamo in subaffitto. Gli ultimi quattro proprietari non esistono, e non so se sono mai esistiti. Questa casa appartiene a un fantasma da anni, ed era affittata a spettri.»
«È perfettamente in ordine.»
«Denis» mi rispose soltanto.
Si sedette su un divano a due posti color ruggine, che aveva almeno la stessa età di Lea. Ma sembrava comodo.
Mi accomodai accanto a lei.
«Sono abbastanza certo che hai una notifica sul cellulare che ti ho dato io.»
Aggrottò la fronte, poco convinta, tirando fuori l'apparecchio. Non ebbi bisogno di cercare conferma sul display.
La lasciai sola, abbandonando il divano e scoprendo che nel cucinotto c'era un terrazzino che si affacciava a un cortile interno di ghiaia e cemento.
Sospirando, mi apprestai a fare quello che stava facendo anche Lea: leggere l'ultima missiva del suo migliore amico morto. Di certo quella che aveva predisposto per me non era uguale a quella che aveva predisposto per lei.
Ciao stronzo. Adesso che sono morto i tuoi device sono davvero inviolabili. Se il tuo ego fosse stato almeno un pochino più piccolo della tua ottusità, avrei potuto insegnarti un po' di cosette.
Comunque ormai è tardi, mi sono portato dietro parecchie cose cui nessuno avrà mai accesso.
Sotto al messaggio trovi delle coordinate. Se la ami davvero, saprai aprire la cassetta di sicurezza. Se non ne sei capace, mi sono fatto ammazzare per niente. E lei marcirà nella sua solitudine. Si farà del male, e sarà colpa tua.
Ma voglio credere che Lea non ti abbia sopravvalutato così tanto, diciamo che l'aprirai. Dentro trovi una busta per te, una che riguarda me, e due per Lea. Lei ne prenderà una sola, la conosco. Tu prendi anche quelle che lei lascia lì. Forse un giorno cambierà idea e vorrà quelle risposte, dopotutto.
Devi sopravvivere dopo aver liberato il campo dagli assassini di Blue. Non puoi morire troppo presto, perché avrà bisogno di te; non per restare in vita, ma per essere felice.
Se muori troppo presto io ti aspetto dall'altra parte per darti tutti i calci nel culo che non ho potuto rifilarti finché ero in vita. E ti ricordo che io l'ho amata davvero, l'ho amata abbastanza da lasciarla nelle tue mani, perché può superare la mia morte, ma non la tua. Mi porto via anche la certezza che tu non l'avresti amata abbastanza da fare lo stesso. Io l'avrei meritata, ma tu l'hai conquistata. È ingiusto, ma è il mio prezzo. La pena da scontare per non aver salvato sua madre.
Baker, ti mando a fanculo un'ultima volta. Fai le cose per bene.
L'ora di ricezione del messaggio corrispondeva a quella del suo decesso, non a quello dell'allarme che avevo ricevuto: Denis si era impiantato un chip come quello di Lea e Adelina, sottopelle, probabilmente.
Non era previsto che accadesse così in fretta: fatto fuori Denis, Sebastian e suoi stronzi russi si sentivano abbastanza tranquilli nel cercare Lea e farle quello che più ritenevano opportuno.
Tempo scaduto.
Ero pronto ad andare di là, consolarla per un po' e poi metterla nell'ordine delle idee che se ne doveva andare, mettere in atto il piano di fuga che aveva partorito con Denis e fare della sua apocalisse ciò che voleva. Magari era possibile coordinarla con la mia, mi avrebbe fatto un bel po' comodo per distogliere l'attenzione, ma se non fosse stato possibile l'avrei caricata su un aereo lo stesso e io me la sarei cavata comunque.
Decisi di lasciarle ancora qualche attimo di privacy, il messaggio d'addio di Denis per lei era senza dubbio più toccante del vaffanculo che aveva mandato a me.
E in ogni caso, la fottuta morte di quello stronzo la dovevo digerire anche io. Era vero che Lea l'aveva salvata lui, ben prima di me. E non potevo negare che stesse collaborando a salvarla anche in quel momento, anche da morto. Gli dovevo più di qualcosa. O forse stavo solo diventando troppo sentimentale. Io e i miei cazzo di 35 anni. Quasi 36. Mi infilai il cellulare in tasca per estrarne le sigarette e l'accendino. Ne accesi una, mentre cercavo di capire cosa fosse quella sensazione fastidiosa che sentivo nello sterno quando pensavo alla morte di Denis.
Si era scopato la mia fidanzata, porca puttana. Un Baker non perdona queste cose. Un Baker non perdona. Punto.
Eppure...
Eppure un cazzo, qualunque pensiero si disintegrò grazie alla vibrazione del cellulare. Era Andrey. Lasciai cadere a terra la sigaretta, pestandola con le Nike.
Risposi, ma fu lui a parlare per primo.
«Non siete arrivati in tempo.»
«Grazie del riassunto, ma il finale lo avevo intuito quando ho visto Lea disperarsi sul suo cadavere.»
Dall'altra parte un attimo di silenzio. «La Rossa supererà anche questo.»
«Sì, supera tutto, ma porta i segni di ogni vittoria e ogni sconfitta, Andrey. E questa fa male.»
«Ti ho avvertito appena ho potuto.»
E l'attimo di silenzio che seguì appartenne a me. «Davvero, Andrey? Appena hai potuto?»
«Mi prendi per il culo, Trevor? Stai davvero dubitando di me?»
Lo stavo facendo? Era la mia logica, a parlare, o la mia paura? La vita di Lea non era tutta nelle mie mani. Ognuno di noi aveva la vita degli altri tra le mani. Il nostro era un trio pericoloso ma pericolante. Io lo facevo per amore di Lea. Non ero certo del perché lo facesse Andrey. Avevo ipotesi, nessuna certezza sulle sue motivazioni. Ci avevo semplicemente contato. Su di lui, non solo sulle sue motivazioni.
«No, cerco solo di capire che cazzo è successo.»
«È importante?»
Cercai di scacciare ancora una volta il sospetto. Preferii sputarlo, che forse era il solo modo per liberarmene. «Hai fatto il suo nome?»
«Sì. È ovvio che ho fatto io suo nome. E dopo che l'ho fatto ti ho avvertito, non appena mi è stato possibile.»
Porca puttana. Porca, porca puttana.
«Il piano era di fare il contrario, cazzo. Prima mi avvertivi, poi facevi il suo nome!»
«Il tuo piano non prevedeva che dovessi giustificare un'intera notte trascorsa al Sweety con lei e con te.»
«Potevi dire la verità! Ti avevo detto che era la cosa più sensata.»
«E ho detto la verità. Che mi avevi chiamato per aiutarla.»
«Mi stai dicendo che non si sono bevuti la sola verità che gli abbiamo propinato?»
«Ti sto dicendo che non gli bastava più. Ero compromesso.»
«E adesso?»
«Adesso ho guadagnato tempo.»
Mi appoggiai con una mano alla balaustra incrostata del terrazzino. Chissà quante volte Blue si era affacciata su quel cortile per guardare sua figlia che giocava in mezzo alla ghiaia.
Le mura di quell'appartamento erano state teatro della maggior parte dei traumi di Lea. Ora erano testimoni del mio coinvolgimento nella morte del suo migliore amico. Se Lea lo avesse saputo, probabilmente non mi avrebbe più guardato con gli stessi occhi. Forse non mi avrebbe più guardato affatto.
«Quando lo verrà a sapere non vorrà più avere a che fare con noi due.» Lo dissi più a me stesso che a lui.
«Non lo verrà a sapere. E comunque me lo ha detto l'ex frocetto.»
Mi appoggiai alla balaustra con i reni. «Che cazzo stai dicendo? Cosa ti ha detto? E quando?»
«Ieri notte, mentre tu ti occupavi di Lea e noi dei tre pezzi di merda che l'avevano pestata. Mi ha detto che se fosse stato utile, potevo fare il suo nome. Mi aveva detto che era tutto pronto e che non sarebbe stato un problema. Francamente io avevo inteso che poteva cavarsela, non che era pronto a farsi ammazzare per lei. La rossa questa cosa non la deve sapere, perché quella s'incazza talmente tanto che è capace di ammazzarci tutti e due, poi andare a prendere per un orecchio il morto, riportarlo in vita e ucciderlo di nuovo solo per fargliela pagare.»
Sì, ero abbastanza certo che BlueDomino lo avrebbe fatto, ma solo dopo averci presi a calci in culo tutti e tre. Prima da vivi e poi da morti.
«Ok. Senti. Lea la faccio sparire oggi stesso. Poi esco allo scoperto e tu... tu puoi uscirne prima. Proseguo da solo.»
«Da solo prosegui verso la bara, deficiente.»
«Hai già fatto molto. Mi hai dato il tempo che mi serviva per...»
«... per scopartela in Australia e farti ammazzare a Londra? Tutto sto casino per morire con un paio di mesi di ritardo? Quante minchiate spari in una sola telefonata, ragazzo.»
Ragazzo. Quella parola mi avvolse con un abbraccio, dannazione.
«Se sbaglio qualcosa muori con me, Andrey. Muori male. Lo sai che trattamento riserva Viktor a quelli come noi.»
«So che trattamento gli riserverò io quando avremo finito. Poi tu ti scopi la rossa su una spiaggia bianca mentre io sguazzo nella gloria con uno stipendio pulito e un lavoro nuovo di zecca che prevede ferie e contributi senza rinunciare alle scazzottate.»
Ogni parola era perfetta. Avevo bisogno di quello. Perché mi stavo cagando sotto. Il problema non era morire, su quello ero all'altezza di Denis: ero ben disposto a farlo. Il problema era morire senza portarmi dietro Viktor. Lui l'avrebbe trovata a costo di attraversare l'oceano a nuoto. E non l'avrebbe uccisa, non le avrebbe fatto quel favore.
«Se le cose non dovessero andare come previsto...»
«È abbastanza probabile che accada.»
«...tieni Viktor lontano da lei. Provaci.»
«Non hai capito un cazzo, Trevor. Se a quella girano male, è Viktor che farà meglio a stare alla larga da lei.»
Mi concessi di sorridere, anche se sapevo che stava mentendo.
«Devo andare, Trevor. Ci sentiamo quando l'hai caricata su un aereo, o uno shuttle. Poi si fa sul serio, che mi sto rompendo i coglioni di fare solo chiacchiere.»
«Grazie.»
«Ti stai rammollendo, Trevor. Non è il momento di farsela nei pantaloni. Mi aspetto che tu sia in grado di ritrovare i coglioni e la lucidità una volta che quegli occhi verdi saranno lontano da te. Non deludermi adesso. Non lo hai mai fatto, e non è questo il momento di farlo.»
Riattaccò. Infilai l'apparecchio in tasca, grato di aver parlato con l'uomo di cui avevo bisogno in quel momento. Attraversai la cucina ma non trovai Lea sul divano. L'appartamento era piccolo e mi bastò allungare il collo per vedere la sua ombra nel corridoio della zona notte.
Era sulla soglia di quella che, chiaramente, era stata la sua camera. Il portatile sulla scrivania era di nuova generazione: di certo faceva parte del piano di fuga di Denis tenerne uno più che aggiornato nel loro rifugio. Le appoggiai la mani sui fianchi, cercando di farle sapere che ero con lei, ma con discrezione. In quella stanza erano accadute cose che non dovrebbero nemmeno appartenere a questo mondo.
«L'ultima volta che ho messo piede qua dentro, è stato il giorno in cui ho trovato il cadavere di mio padre nello scantinato.» Avrei voluto ripeterle per l'ennesima volta che Matteo Gessi non era suo padre, ma non era quello il momento delle ovvietà. «E quel giorno ha coinciso con la prima volta in cui Denis ha messo piede qua dentro. E ha continuato a farlo, a tenere questo posto in ordine, pronto per accoglierci nell'emergenza. Sono sicura che se apriamo il frigo ci troviamo qualcosa. E non dubito che negli scaffali ci siano alcune bottiglie di Martini. E so perfettamente che dentro quell'armadio c'è tutto l'occorrente per sparire in piena notte, perché parte dell'attrezzatura l'ho creata io. E quel portatile... figuriamoci... quel portatile è già predisposto per me. E quindi eccomi. Qua è iniziato tutto. Qua inizierà anche la fine di quel tutto. E Denis non mi vedrà nemmeno cliccare sul tasto invio. Lui... lui non...»
Perse le parole. Aderii con il petto alla sua schiena, stringendola da dietro, affondando le labbra tra i suoi capelli. Si asciugò le lacrime dagli occhi. Si girò, appoggiandomi la fronte al petto. Le accarezzai la schiena.
«Ascolta, bambina. So che devi fare un sacco di cose, e ti aiuterò a farle. Forse è meglio se sparisci in nottata, tutto sommato. Questo posto è sicuro, altrimenti Denis non lo avrebbe custodito come una reliquia per tutti questi anni. Facciamo che adesso andiamo su quel divano piccolo ma comodo, aspettiamo che faccia buio, e ci salutiamo solo a quel punto, eh? Non ci lasciamo adesso, stiamo insieme ancora qualche ora. Che ne dici?»
E neanche mi rispose, mi si aggrappò addosso. Pregai che davvero quel piccolo appartamento fosse al di sopra di ogni sospetto. D'altra parte se c'era uno bravo a far sparire le cose, o a farle sembrare quello che non erano, era Denis.
Lea si lasciò prendere in braccio. Non presi nemmeno in considerazione l'ipotesi di adagiarmi con lei sul letto nel quale quella merda di Matteo Gessi l'aveva riempita di dubbi e violenza psicologica. In un qualche modo ci sistemammo sul divano. L'ascoltai piangere, le permisi di farlo finché si addormentò. E a quel punto la guardai dormire, contando i suoi respiri. Mi accesi un'altra sigaretta, sperando di non svegliarla, perché a quella precedente avevo dato solo due boccate e decisamente non mi erano bastate per gestire la tensione che mi si era accumulata nello stomaco. Lanciai l'accendino sul tavolino accanto, perché Lea si era spostata e non riuscivo più a infilarlo in tasca senza disturbarla.
Il pomeriggio già stava sfumando verso la sera, quando arrivò un nuovo messaggio, e non sul cellulare che usavo per comunicare con Lea e Andrey.
Mi si congelò il sangue nelle vene. Una foto. Riconobbi quelle pareti. Riconobbi quel pavimento di pietra: quello in cui Viktor aveva gettato Lea dopo il sequestro. E riconobbi anche la ragazza, cristo santo.
Non era previsto. Il piano era andato a puttane ancora prima di iniziare.
Guardai Lea, ancora addormentata, stravolta dalla sua perdita. Mi sfilai piano dal divano. Le scrissi solo due parole, rassicurandola. Gliele abbandonai accanto all'accendino, su un foglio di carta strappato da un calendario del 2018 appeso in cucina.
Torno presto.
Dato che era una bugia, decisi di non aggiungerne altre inventando spiegazioni.
Sperai solo di tornare, anche se non sarebbe stato presto.
Chiusi piano la porta. Feci mentalmente l'inventario delle armi e delle pallottole che avevo nascosto nell'auto in nottata. Mi chiedevo se mi sarebbero bastate, senza immaginare in realtà che non le avrei nemmeno usate.
Mi allontanavo da Lea perché nel messaggio Viktor aveva scritto che se non mi fossi presentato nel vecchio magazzino abbandonato del nient'affatto rimpianto Alan con la chiave per duplicare El Diablo, avrebbero mandato quella stessa foto a Lea, chiedendole di portare El Diablo... in cambio della vita di Alice.
Io non andavo per Alice, che probabilmente sarebbe morta comunque, insieme a me. Io andavo per Lea. Mi schiarii le idee scendendo le scale tra bambini dal futuro incerto e anziani dalla pensione troppo bassa: sarei andato al magazzino, probabilmente sarei crepato, ma lungo la strada avrei avvertito Andrey. Gli avrei detto dove trovare Lea per impedirle di fare cazzate, tipo cercare di salvare me e la sua barman. Sarei probabilmente passato a miglior vita prima di avere la certezza di saperla al sicuro con Andrey. Ma almeno sarei passato a miglior vita covando la speranza che fosse possibile.
Ma non avvenne nulla, assolutamente nulla, di quello che avevo immaginato.
Mentre guidavo, bestemmiando nel tentativo di parlare con il mio amico russo senza riuscirci, Lea veniva svegliata dalla notifica di un messaggio che fece vibrare e suonare il suo cellulare ordinario sul tavolino.
Anche lei riceveva una foto. Anche lei vedeva Alice, in quella foto. Ma la vedeva legata alla sedia della black room del Sweety.
Quando io finalmente riuscii a mettermi in contatto con Andrey, era già troppo tardi.
SPAZIO AUTRICE
Lo so, va tutto veloce, tutto intrecciato, tutto incasinato.
Per i reclami all'autrice, compilare apposito form su Instagram domani :)
Ok, per me questo era un passaggio fondamentale, il tasto rosso è stato premuto, siamo ufficialmente nella merda. Pronte a nuotarci dentro?