PRICELESS

By JennaG2408

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"Le cattive abitudini generano pessime dipendenze" 🌘Dark romance 🔞Forbidden love 💰Crime romance 📚 SCELTA... More

Avviso
C'era una volta una dedica
PARTE I
Prologo Lea
Prologo Trevor
1. FACCIA DA STRONZA
2. Finché qualcuno non ti compra
3. Fallo stabilire a me
4. Così poco di lei, così tanto di suo padre
5. Se l'orgasmo fosse un suono
6. Mi aspettavo di meglio
7. La sua degna erede
8. Un errore da 15 dollari
8.1 L'autrice si è dimenticata un pezzo di capitolo.
9. Tienila d'occhio
10. Non è Trevor
11. Non vali così tanto
12. L'anomalia emotiva
13. Il valore dell'innocenza
14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.
15 Stasera quello rosso
16 Il mese prossimo potremmo essere morti entrambi
17 Non puoi urlare
18 La Dea più capricciosa dell'Olimpo
19. Aspettami senza far danni (parte1)
20 (parte2)Sei tu, la mia sola cosa importante.
21 (parte 3) Seppelliscimi con le scarpe giuste
22 (ULTIMA parte) Voglio sapere se posso urlare.
23 Who needs a boyfriend when you have puppies?
24 Sei uno stronzo fortunato, Trevor Baker
25 Ogni regina ha il suo scettro
26 Non puoi toccarla
PARTE II
27 Stanco, ma non di lei
28 La prossima volta ti farà male
29 Un nome per il sesso e uno per l'amore
30 Dolce figlia di un figlio di puttana
31 Ah, Auguri.
32 Quello che sta intorno al cuore
33 L'inferno non va bene per Sebastian Baker.
34 Non sempre un uomo di successo è un uomo di valore
35 Fragola, cioccolato e una goccia di veleno: mortale tentazione
36 Non fare di lei la tua Harley Quinn
37 Due affamati nello stesso letto
38 Niente di male a sanguinare un po'
39 E comunque questo è un Valentino, stronza.
40 Cattive intenzioni e voglie pericolose
41 La mia bambina non si tocca
42 Scorre sangue immondo
43 La sua pelle e la mia fame (parte 1)
44 Groviglio di carne e abbandono (parte 2 )
45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)
46 Il sesso come strumento di guarigione
47 Facciamo finta di no
48 Tutti i per sempre portano il nostro nome
PARTE III
49 Quello che sono disposto a fare per te
50 Scelgo il profano e il blasfemo
51 Il sapore di una truce Apocalisse
52 Non abbastanza. Punto
53 Eppure Lea è viva
54 Effetto domino
55 Cinquanta sfumature di BlueDomino
56 Londra è la mia puttana
57 Questo non può essere peggio
58 Gli affetti veri muoiono, quelli falsi uccidono
59 Innalzare le mie depravate pulsioni
60 Non c'è differenza tra una danza e una guerra
61 Benvenuti a tutti quelli come noi
62 Dimmi cosa ti ha fatto
63 Fammi male
64 Io mi salvo da sola
65 Mister SeLaTocchiTiUccido
66 La differenza tra stimolare e godere
67 Il grillo che mette nel sacco il gorilla
68 Pietà e rispetto
69 Non ti darei mai meno di tutto
70 Incassare, elaborare, espellere (parte 1)
71 Stavolta puoi urlare (parte 2)
72 Non lasciarmi solo
73 Ci sarò sempre
74 Stai attenta, bambina
75 Più incazzato che lucido
76 Scolpiranno il mio nome sulla tua carne
78 Sembra un addio, signor Baker
79 Esisti per me
80 A fanculo un'ultima volta
81 Non morire senza di me
82 Soffrire ancora un po'
83 Mentre fuori il mondo cade a pezzi
84 Quella vita non è mai la tua
85 Ma tu non ci sei (parte 1)
86 Scopami nel modo sbagliato
87 UNLOCKED
PARTE IV
88 Morirò da re
89 Sono il vostro dio
90 Uno stronzo senza cuore
91 Tre baci sulla punta del naso
92 Un sollievo breve e inaspettato
93 Ciò che mi è dovuto
94 Ci sarò io, con te
95 Roba così
96 Nessuno di noi avrà conti in sospeso

77 Domani è già arrivato

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By JennaG2408


⚠️⚠️Il capitolo contiene scene di violenza e descrizioni crude. Potrebbe urtare la sensibilità eccetera eccetera. Insomma avete capito. Se non volete leggerlo mi scrivete in privato e vi faccio un riassunto senza sangue ⚠️⚠️

Era un buio solido, ostile. Non trovavo l'uscita, avevo paura.

«Rossa.»

Non c'era una direzione da seguire, il suono veniva da... ovunque, e da nessuna parte.

«Rossa, coraggio.»

Ero troppo sommersa in quel nero incattivito, forse ne facevo parte. Forse lo avevo generato io.

«Ehi, niente scherzi, non adesso.»

Trovai la strada seguendo non la voce, non l' odore, ma seguendo il tocco. Sembra impossibile, ci credo, ma la strada me la indicò quello: un tocco, una mano fresca sulla guancia in fiamme, una carezza gentile, affettuosa, dopo colpi che mi avevano fatto tanto male.

Uscii dal pozzo di petrolio e profondità oscure, ritrovando il volto di Andrey sopra il mio, l'odore buono della vodka nel suo alito, un'altra coccola per i miei sensi martoriati.

Ma forse il mio corpo era rimasto in quel posto buio, perché sentivo solo il volto pulsare sotto la spinta di un calore infernale.

Andrey mi sorrise, a modo suo, vedendomi tornare. «Ok, ora ascoltami, Bella Addormentata. Ascoltami bene. Guarda il mio dito, lo vedi?»

Lo vedevo. Mossi la testa, scoprendo che avevo ancora un collo.

«Bene, seguilo con gli occhi, solo con gli occhi, ok?»

Sì, solo con gli occhi, perché non avrei potuto farlo con nient'altro. Destra sinistra sinistra destra.

Iniziavo a sentire altri suoni. Suoni strani. Sembravano maiali in calore. Ma sapevo di non essere in una fattoria. Al Sweety, ero al Sweety. E anche Andrey era al Sweety.

«Ok, Rossa. Adesso ti sollevo, ok? Ti faranno male le costole, devi sopportare, ma se ti fa male la schiena me lo devi dire, ok? Puoi urlare, oppure puoi mordermi, o darmi un pugno. Insomma, se ti fa male la schiena, fammelo capire come puoi e come vuoi. Chiaro?»

Era chiaro, ma non seppi dirglielo. Mi sollevò lo stesso. E le costole sembrarono volermi pugnalare da dentro, bucarmi la pelle e spuntare fuori portandosi dietro tutto quello che incontravano sul loro cammino. Urlai, anche se non era la schiena a farmi male, urlai perché non potei farne a meno, perché se prima non percepivo il corpo a quel punto percepivo solo le parti del corpo che erano state colpite, punite, trattate male.

Andrey non si fermò, non indugiò; come avesse capito che non era la schiena a strapparmi via tutta quella sofferenza non lo so. Forse era abituato, forse trasportava corpi in pessime condizioni con frequenza, e sapeva distinguere i lamenti, le implorazioni, la pietà.

Cercai di voltare la testa per cercare il mio re, vederlo mentre faceva precipitare la sua ira su quei maledetti mortali che avevano messo le mani sulla sua regina, ma una frustata incandescente mi attraversò il collo e il cranio. Mi venne quasi da vomitare.

Andrey mi portò nella black room, e anche se poco prima avevo avuto timore del nero che non mi lasciava andare, ne fui grata, perché i colori accesi delle altre stanze mi avrebbero ferito gli occhi. Mi appoggiò piano sulla morbida chaise longue.

«Vado a prendere qualcosa per darti una sistemata. Spero tu abbia roba utile nel bagno. Stai ferma, che se mi cadi mentre sono di là Trevor non mi paga lo stipendio, eh?»

Una timida e incerta risatina cercò una via d'uscita dalla mia bocca, ma un acuto dolore alle costole se la riprese indietro.

Andrey uscì dal mio campo visivo, e io mi concessi di chiudere gli occhi, perché mi faceva male anche lo sforzo di guardarmi intorno.

Passò poco, forse un paio di minuti, prima del mio meritato sollievo. Spalancai gli occhi al contatto con qualcosa di fresco e consolante sul volto. Trovai ancora il ragazzone russo sopra di me. Mi venne da piangere, perché avevo pensato che la faccia avrebbe bruciato per sempre.

«Ehi, Rossa, non piangere. Sei bella lo stesso. Hai solo qualche graffio, tutta scena, sai? Meglio così, il tuo faccino coperto di sangue ha scatenato la furia di Trevor, così stasera fa tutto lui. Io mi riposo qua con te, mentre lui massacra quei tre poveracci. Mi serviva una pausa, il tuo fidanzato mi fa lavorare troppo.»

E le lacrime divennero un pianto isterico, e ogni singhiozzo era una pugnalata al torace. Andrey mi sollevò, facendo scattare tutti i recettori del dolore sparsi nelle mie povere membra, ma il suo abbraccio burbero, e le sue carezze impacciate mi curarono molto più del ghiaccio sulla faccia.

«Rossa, sei stata brava. Erano tre, cazzo, e tu sei una cosina piccola, ma sei stata sveglia eh? Hai preso tempo, sono sicuro. E uno aveva già il sangue al naso, spero sia stata tu. Senti, ti do una ripulita, perché se Trevor ritorna e ti trova così quello è capace che esce e prende a pugni anche quelli che passano per caso, ok?»

Tirai su col naso, sentii in gola il sapore del mio sangue. Mi venne da tossire.

Andrey mi aiutò a mettermi stabile a sedere, ma a me le parole ancora non uscivano dalla bocca.

Mi tamponò lui con un asciugamano che inumidiva in un bacinella piena d'acqua. L'asciugamano era stato bianco. Non lo era più. Anche l'acqua si tingeva di rosso.

Abbassai lo sguardo, sulle mani abbandonate sopra le ginocchia. I polsi erano già viola, il segno delle dita evidente come un tatuaggio malefico.

Mi salì una rabbia rossa come il mio sangue. Presi il polso di Andrey, che si bloccò solo perché stupito.

«Non lasciarlo da solo con quei tre.»

Mi sorrise, in un modo in realtà poco rassicurante. Lo apprezzai per quello. «Quei tre, Rossa, davanti a un Trevor così incazzato valgono meno di un topolino zoppo anche sommati. Stai tranquilla, ok?»

E quello fu il momento in cui entrò nella mia black room. E nonostante intorno a noi tutto fosse nero, niente era più profondo e buio di lui, la cui camicia pareva un tutt'uno con la parete, e gli occhi un tutt'uno con l'inferno.

Mi guardò nel modo in cui un artista guarda la propria migliore scultura cascare a terra e rompersi in mille pezzi troppo piccoli.

«Sto bene» dissi subito, d'impulso. Le prime parole che gli rivolsi dopo che mi avevano salvata erano una pietosa bugia.

Attraversò la stanza con poche potenti falcate, mentre Andrey si faceva da parte, lanciandomi uno sguardo preoccupato.

Mi si chinò davanti, e scoprii che la sua camicia era umida, appiccicosa, imbrattata. Per fortuna era nera, o sarebbe sembrato appena uscito da una sala operatoria degli orrori. Non riuscii a distogliere lo sguardo dallo strato liquido e luccicoso che penetrava nel suo cotone di lusso.

Mi mise la mano sotto al mento e mi costrinse a guardare lui.

«Apri la bocca.»

«Ho già controllato» intervenne Andrey, che forse voleva solo risparmiarmi un'umiliazione. Trevor non si voltò neanche. «Apri.La.Bocca.»

Sentii il rumore della vibrazione provenire dallo smartwatch al suo polso. La sentì per forza anche lui. Non ebbe pietà per il mio cuore partito al galoppo. Aprii la bocca.

Mi infilò le dita tra le labbra e le gengive, cercando chissà cosa. Poi mi consentì di chiuderla.

«Niente di rotto. I denti sono a posto. Hai mal di testa?»

Avevo mal di testa? Avevo male dappertutto. Prima. In quel momento volevo solo che mi abbracciasse e mi baciasse la punta del naso. Ce lo avevo ancora un naso?

«Lea, hai mal di testa?»

Guardai Andrey, come se fosse una via di fuga.

«Non guardare lui, guarda me. Ti ho chiesto se hai mal di testa.»

«Non lo so.»

Sospirò, teso come una corda di violino. Mi prese la mascella, piano, e mi voltò di lato. Mi sfiorò l'orecchio ed ebbi paura di sentire troppo dolore, ma non sentii quasi niente. Però quando Trevor ritrasse le dita, erano sporche di sangue. Se le pulì sui pantaloni.

Prese l'asciugamano dalla bacinella e lo strizzò forte.

«Ne serve uno pulito.»

Andrey uscì, e Trevor mi tamponò prima l'orecchio, poi il sopracciglio, poi mi baciò la guancia. Non sentii il suo tocco, ero ancora troppo informicolata, e il suo bacio troppo leggero e delicato.

«Mi dispiace» gli dissi.

«Mi offende che tu lo dica, bambina.»

«Non sono stata attenta. Ho lasciato la porta di servizio aperta mentre portavo fuori i rifiuti. Credo siano entrati così.»

«Sì, sono entrati così. Ho guardato i video di sorveglianza. Non devi provare dispiacere, amore mio. Non è colpa tua, sai, se il mondo è un discarica piena di scarafaggi. Tu sei un fiore troppo bello, e sono in troppi a volerlo cogliere.»

Mi strinsi nelle spalle. «Non volevano cogliere nessun fiore. Erano solo arrabbiati.»

Si prese un attimo per raccogliere il coraggio di chiedermi qualcosa. «Dimmi cosa ti hanno fatto.»

«Non si vede?» risposi, indicandomi la faccia. Mi chiesi in che condizioni fosse davvero. Trevor mi tamponò di nuovo con l'acqua fredda.

«Ho visto che la cassaforte è aperta, ma piena.»

«Ho preso tempo. Speravo volessero quello.»

«E invece cosa volevano?»

Strizzò l'asciugamano. Tutto quel rosso mi faceva senso.

«Volevano... farmi male, credo. Un male che... procura danni.»

Appoggiò la salvietta accanto e me. Mi mise le mani sulle cosce scoperte. «Ti hanno fatto qualcos'altro, Lea?»

Provai a ricordare. Il corpo su di me, le mani che mi allargavano le gambe. Ma poi mi ero... allontanata. Non sapevo cos'era successo. Cosa mi aveva fatto.

«Non sono sicura. Forse sì. Forse sei arrivato prima tu. È tanto importante?»

Mi liberò la fronte dai capelli. «No. Non ha importanza. Li ammazzo comunque. Male.»

Andrey tornò con tre asciugamani puliti e una nuova bacinella di acqua fredda. Ci aveva messo del ghiaccio dentro.

«Li hai legati?» domandai.

«No, bambina. Non ce n'è bisogno.»

«Non scappano?»

«Non possono. Mi sono assicurato che non abbiano nemmeno la possibilità di strisciare. Te l'ho insegnato con Danyl, ricordi?»

«Sei stato tanto di là.»

«Ero molto arrabbiato, miss. Sai cos'ho visto appena sono entrato al Sweety?»

«Sì.»

«No, no che non lo sai, Lea. Ho visto una scena immonda. Ho visto te, piena di sangue, il tuo faccino imbrattato, sotto un figlio di puttana che ti teneva per i polsi, mentre un altro aspettava il suo turno per infilarsi dove nessuno a parte me deve permettersi di infilarsi. Ti ho vista immobile, coperta di lividi, ad aspettare che finisse tutto dopo che avevi lottato per liberarti e scappare via, dopo che avevi cercato di contattare me, per avere aiuto. E ho pensato che dopo la fatica, i piani, gli incubi, gli omicidi e Viktor, a portarti via da me fossero stati tre pezzi di merda inutili e senza spina dorsale.»

Mi presi la libertà di lasciargli un carezza. Era ferito anche lui, forse più di me.

«Mi porti a casa, adesso?»

«Non ho ancora finito di là. Volevo prima capire se vuoi finire tu.»

Andrey non la prese bene. «Trevor, porca puttana...»

«È capace» ringhiò, voltandosi a guardare il suo amico russo. Poi tornò su di me. «Ma lo farà solo se vuole. Altrimenti finiamo io e te.»

Cercai di scandagliarmi dentro, per trovare la forza di volontà di dire che sì, volevo farlo io. Non trovai niente, e fui sincera. «Sono stanca. Mi fa male... boh, non lo so. Un po' tutto. Non ce la faccio. Scusa.»

Allungò le braccia e mi tirò giù dalla chaise longue, mi scavò una tana comodissima nel suo corpo. Mi ci abbandonai, mentre mi accarezzava tra i capelli.

«Ci penso io, Lea. Ti fidi di me? Giuro che gli farò così male che dimenticheranno cosa significa non averne.»

Mi aggrappai alla sua camicia fredda, bagnata, scivolosa.

Resta con me.

«Finisco io.»

Andrey.

Alzai gli occhi su di lui, lui abbassò i suoi su di me. «Certe cose gliele ho insegnate io, a quella mezza calzetta del tuo fidanzato, sai? Farò un lavoro migliore. Se ti dà fastidio il rumore, chiudi la porta. Ma li renderò... silenziosi. Hanno già disturbato abbastanza.» Si rivolse a Trevor. «Io farò le cose per bene. Vedi di non essere da meno.»

Uscì allungando e contraendo le dita delle mani.

Trevor mi baciò la fronte, poi la punta del naso.

«Adesso mi prendo cura di te, bambina.»

Mi prendo cura di te.

Era una frase così bella, così piena di affetto, di cose tenere e comode. E anche se la sua camicia stava diventando rigida mentre il sangue di gente immeritevole di vita gli si seccava addosso, io rimasi aggrappata alla stoffa del mio re, accoccolata nel suo corpo grande, stretta tra le sue braccia innamorate.

Chiusi ancora gli occhi, solo un attimo, ma Trevor me li fece riaprire, passandomi la mano tra i capelli e chiamandomi con insistenza.

«Lea, devi stare sveglia, amore mio. Adesso ti porto in ospedale.»

«No.»

«Sì. Forse hai una commozione cerebrale, e non so in che condizioni sono le costole. Il tuo bel nasino non è rotto, e te lo potrò baciare anche mentre sei ricoverata. Ok? »

«No.»

«Lea...»

«No. Starò sveglia qualche ora, promesso. Per la commozione cerebrale. Per le costole non potrebbero fare niente, lo sai anche tu. Guariscono da sole. Non portarmi là, abbiamo appena ammazzato tre rapinatori, o forse non lo abbiamo ancora fatto ma stiamo per farlo. Puliamo tutto, seppelliamo tutto, e domani ci lasciamo tutto alle spalle.»

«Hai bisogno di mani esperte per rimetterti in piedi per bene.»

«Le tue mani andranno benissimo, sono esperte. O devo credere che nessuno dei tuoi uomini è mai tornato alla base messo peggio di me?»

«Lea...»

«Rispondi. Devo crederlo?»

«No, chiaramente. Ma nessuno dei miei uomini pesa meno di 50 kg...»

«Non sono un vaso di cristallo. Mi aggiusterò.»

«... e nessuno dei miei uomini è stato vittima di un abuso, Lea.»

«Forse nemmeno io. Non sappiamo se è successo.»

«È un dubbio che non possiamo assolutamente tenerci, bambina mia.»

«Portami in bagno. Lo scopro io.»

Mi strinse contro il suo torace. Respiravo l'odore del sangue dei miei assalitori. «Lea, non è una cosa che puoi scoprire così.»

«Credi che le dita di uno sconosciuto possano essere più precise?»

«Lea...»

«Vuoi sapere in che modo si certifica una roba del genere, Trevor?»

Lo sentii trattenere il fiato e forse anche un po' della ferocia che non aveva potuto scatenare sulle sue vittime.

«Non lo sapremo con certezza, perché io e te scopiamo come ricci e lo abbiamo fatto anche poco prima dell'aggressione. Ma sei arrivato quasi subito, te lo giuro. Se anche ha avuto modo di... iniziare qualcosa, è assolutamente impossibile che l'abbia portata a termine. Quella è una cosa di cui mi sarei accorta. Mi devi credere. Per favore.»

Posò gli occhi su di me e parve aver paura di farmi male anche con quel gesto. Trovò comunque il coraggio di sfiorarmi una guancia con le dita. «Ti credo.»

«Farò gli esami del sangue.»

«Cristo...»

«È... doveroso.»

«C'è il suo cadavere di là, o ci sarà presto. Farò esaminare prima lui. E posso dare una sbirciata al database del sistema sanitario già domani. Anzi, stanotte. Ci guardo stanotte, amore mio, ok?»

Annuii con la testa, lottando contro il desiderio di addormentarmi avvolta da lui.

«Comunque... » fece fatica a esprimersi, sentii la reticenza nel suo tono. Credo fosse pudore, più che altro. «...quando l'ho strappato via da te aveva ancora il cazzo dentro le mutande. Ma adesso non ce l'ha più lì. Adesso ce l'ha da un'altra parte.»

«Allora non abbiamo di che preoccuparci, dico bene, mio re?»

«Dici bene, mia queen. Solo robetta, tipo qualche ragazzaccio russo e un vecchio stronzo inglese.»

Ridacchiai, con grande disappunto del mio costato.

Trevor mi tenne sveglia facendomi parlare e succhiare i cubetti di ghiaccio nella bacinella che non avevamo usato. Mi lasciò un sacco di baci sul naso, e sulla tempia. Finché il mio corpo mi ricordò che oltre al dolore, dovevo gestire altre funzioni fisiologiche.

«Vado in bagno.»

«Ti accompagno.»

«Non serve.»

In realtà servì, perché mi si erano informicolate le gambe. Giunti davanti all porta del bagno, Trevor mi trattenne.

«Lea, adesso ascoltami...»

«Sono messa così male?»

«No, domani sarai già più sgonfia. Applichiamo ghiaccio anche in nottata, ti aiuto io. Ma non guardarti adesso. Non serve. Ti vedo io, e sono tutte cose che ho già visto, anche sulla mia faccia. Alcune spariranno tra dodici ore, altre tra ventiquattro.» Mi posò il pollice sotto l'occhio destro, e poi ci posò le labbra. «Questo livido ci metterà qualche giorno. È il più fortunato, perché sarà quello che dovrò baciare per più tempo.»

«Va bene, non mi guarderò allo specchio. E tu mi bacerai tutti i lividi finché non saranno spariti. Ma in bagno ci vado da sola, Trevor Baker. Il peggio è passato, e credo che Andrey abbia bisogno di te, di là. Questo strano silenzio mi fa pensare che l'unica cosa rimasta da fare sia pulire. Poi arrivo anche io, farò la mia parte.»

Nonostante tutta la sua reticenza, lo convinsi a lasciarmi sola in bagno. Tenni lo sguardo basso, per mantenere la mia promessa. Mi sciacquai le mani e il viso, poi permisi alla mia vescica di svuotarsi. Ebbi paura di guardare la carta igienica, ma lo feci. Era pulita, niente sangue, niente sperma.

Ci misi un po' a fare tutto, perché mi facevano male anche le braccia. Mi rinfrescai di nuovo, e quando raggiunsi Trevor e Andrey nella sala del Sweety, ci trovai anche Denis.

***

Dovevo aspettarmelo: la mia fuga da casa sua non poteva non mandarlo in tilt, ma vedere lo stronzo con la faccia da angelo seduto a un tavolo con Andrey era una scena che andava ben al di là della mia comprensione. Il mio attimo di smarrimento venne riempito dalla sua smorfia e dalla sua voce.

«Casa tua a Londra, eh?»

«Non ti volevo in mezzo ai coglioni.»

Spostai lo sguardo su Andrey, in cerca di spiegazioni. Lui si strinse nelle spalle. «Senti, o lo mandavo di là mentre facevi il principe azzurro o me lo tenevo di qua a dare una mano.»

Vidi le nocche martoriate sulle mani di Denis e su quelle di Andrey. Le mie erano nelle stesse condizioni.

«Come sta?» chiese.

Mi avvicinai il tavolo, favorendo uno shot con loro. Ero troppo stanco per dar vita a una scenata con Denis, quindi crollai su una sedia, accanto a lui.

«Lea elabora in fretta. Ma stanotte sarà piena di dolori.»

«L'hai lasciata di là da sola?»

La sua capacità di ricordarmi quanto astio potevo provare nei suoi confronti era urticante. Sospirai, perché non avevo davvero voglia di spaccare la faccia anche a lui.

«È in bagno. Ha bisogno di un attimo di privacy, Denis. Se temessi possa sentirsi male sarei rimasto, a costo di farla incazzare come una iena.

Versò da bere per tutti e tre. Riuscivamo a non prenderci a scornate solo inseguendo una sbronza, evidentemente.

Mi guardai intorno. I corpi erano spariti, ma il pavimento era ancora un macello.

La mia bambina entrò e ci trovò stravaccati sulle sue sedie, con una delle sue bottiglie sul tavolo accanto a una pozza di sangue nella quale galleggiavano capelli e brandelli di provenienza umana.

Era sempre una cosina tanto piccola, con le sue scarpe da tennis che parevano enormi per le sue caviglie sottili. Il suo aspetto sfatto, il suo viso punteggiato da ematomi, tagli e gonfiori illuminato da un paio di occhioni rassegnati mi fece venire voglia di ribaltare la crosta terrestre per far sparire tutti nel calore del magma. Tutti, tranne noi.

Salutò Denis, stupita, stringendo in mano un secchio e uno spazzolone per pavimenti.

Mi alzai come se mi avessero acceso un fuoco sotto al culo.

«Tu non pulirai il pavimento, Lea.»

Si alzò anche Denis, con il chiaro intento di appropriarsi almeno del secchio, ma Lea arricciò il naso e nascose la roba dietro la schiena.

«Io farò quello che una padrona di casa deve fare. E vi servirò da bere, che quella che avete sul tavolo è roba da quattro soldi.»

Andrey prese in mano la bottiglia studiandone l'etichetta. «A me non dispiace» fu il suo commento.

In mezzo ai segni della violenza che le avevano inflitto, sbocciò un sorriso. «Ne ho una nuova. L'ho fatta venire da Mosca apposta per te.»

Andrey la guardò come fosse un'alba a mezzanotte, mentre appoggiava secchio e spazzolone per correre dietro al bancone e prendere una bottiglia.

«Quella francese costava di più, ma ho pensato che non potevo proprio darti una vodka francese...»

Lea piazzò sul tavolo una bottiglia di Vodka Elit Stolichnaya. «È per te. Puoi portarla... nel posto in cui trascorri il tuo tempo ultimamente.»

Andrey l'aprì.

«Prendi un bicchiere per te, Rossa. Questa è roba che si beve in compagnia.»

«Forse è un po' pesante per me...»

«È quello di cui hai bisogno.»

Lea si voltò, parve quasi chiedere il permesso a me e Denis, ma non aveva bisogno del permesso di nessuno. Presi io un bicchiere per lei.

Tossì un sacco dopo averla buttata giù, e fece ridere tutti.

Non ci fu verso di convincerla che non c'era bisogno che pulisse lei il pavimento. Si mise di buona lena, rifiutando con un'insistenza inattaccabile qualunque forma di aiuto. Andrey si scolò un terzo della bottiglia, io non riuscivo a guardarla mentre si piegava per strofinare il cazzo di pavimento.

Me ne versai dell'altra anche io, feci lo stesso nel bicchiere di Denis. Poi la sentii, singhiozzare.

Mi girai di scatto come se mi avessero puntato una pistola alle spalle. Le tolsi dalle mani quel maledetto spazzolone e cercai qualche risposta nella sua espressione.

«Lea, bambina...»

«Mi sono appena pentita...»

«Di cosa?»

«La dovevo bere prima, quella vodka... è vero che era quello di cui avevo bisogno. E adesso sono pentita...»

Attesi un po', non volevo costringerla a rispondere nei miei tempi.

«Adesso vorrei averlo ucciso io. Avrei voluto che mi vedesse mentre gli strappavo via la vita, che temesse la puttana di lusso che ha cercato di violare nel locale che si è costruita da sola...»

Le passai la mano tra i capelli, pronto a sfoderare tutte le frasi consolanti che il mio cervello era ancora in grado di partorire, ma Andrey batté la mano sul ripiano facendo tintinnare i bicchieri. Mi voltai e lo vidi tronfio d'orgoglio, mentre anche Denis s'infilava le mani in tasca sfoggiando lo stesso sorriso di un avvocato che ha appena vinto una causa impossibile.

«Rossa, nessun problema. L'unico motivo per cui io e l'ex frocetto non abbiamo pulito il tuo pavimento, è che sospettavamo avresti gradito imbrattarlo ancora un po'.»

Lea mi guardò con gli occhi pieni d'interrogativi. Le riposi con un sorriso tranquillizzante, perché avevo capito.

Denis aprì la porta di servizio da cui erano entrati i tre stronzi che avevano aggredito la mia cosina preferita, trascinando dentro, insieme ad Andrey, un sacco di stoffa forato dal quale provenivano lamenti che sembravano essere il preludio dell'oltretomba. Era imbrattato di sangue raggrumato.

«Tutto tuo, stronzetta» disse Denis.

Lea si avvicinò furtiva, come se pensasse che in quel sacco potesse celarsi un velociraptor.

Mi avvicinai con lei, perché sapevo come lo avevo ridotto io, quello stronzo, e già sarebbe stato uno spettacolo difficile da sopportare per Lea. Considerando che dopo di me se l'erano passato anche Denis e Andrey, immaginai che Lea andasse preparata.

«Lea, è ridotto male. È un brutto spettacolo...»

«Tanto brutto?»

«Sì. Beviti un altro bicchiere di quella vodka, è meglio.»

«Così la spaventi, Baker.»

Guardai Denis cercando di non perdere la pazienza. «No, così la preparo.»

Andrey allungò uno shot alla mia bambina. Se lo scolò, tossendo un po' meno di prima.

«Sei pronta?»

Non mi parve molto convinta, ma annuì con la testa.

Afferrai l'estremità dello spago con cui era legato il sacco e tirai, mentre quello che restava dell'uomo che ci era stato ficcato dentro emetteva suoni che non sembravano appartenere a qualcosa che fosse di questo mondo.

Poi abbassai la stoffa pregna di sangue e scoprii la sua faccia.

Lea gridò e scivolò indietreggiando nella pozza di sangue parzialmente raggrumato sul pavimento. L'afferrai al volo, le manine eleganti che premevano sulla bocca, gli occhi spaventati che scappavano in tutte le direzioni, finché trovarono rifugio dietro palpebre serrate con violenza. Respirava con affanno.

I versi del... tizio divennero compulsivi e disperati.

«Lea, guardami.»

Scosse la testa, negandosi.

«Guardami.»

Aprì le palpebre scoprendo i suoi occhioni verdi arrossati e lucidi, le mani che non liberavano la bocca e ci nascondevano dentro urla di disgusto.

«Brava, guarda me adesso, ok?»

Il suo sguardo mi si aggrappò addosso come se potessi salvarla da un precipizio.

«Adesso ci avviciniamo insieme. Quello lì è lo stesso figlio di puttana che è entrata nel tuo locale, che ti ha fatta bloccare da un altro per picchiarti senza che tu potessi opporre resistenza, è la merda che ti ha stordita di colpi finché non eri così sfinita che non hai potuto impedirgli di infilarsi tra le tue cosce. È sempre lui, capito?»

Spostò le mani dalle labbra per afferrarmi la camicia. «Cosa gli avete fatto?»

«Male. Gli abbiamo fatto male.»

«Trevor...» mi appoggiò la fronte al petto, sconvolta. «Non ha più la faccia...»

«Tecnicamente ce l'ha ancora, amore mio. Sono le orecchie, che non ha più...»

«E il naso...» aggiunse Andrey.

«Non ha più nemmeno le labbra e la lingua» spiegò Denis.

«Lea, ti ha colpita in viso. E noi ci siamo concentrati su quello. Beh non solo, naturalmente.»

Alzò la testolina. «Ha sofferto già molto.»

«Sì. Adesso puoi scegliere come porre fine alle sue sofferenze. Può essere una cosa lenta o una cosa veloce. In quest'ultimo caso, hai una delle mie pistole accanto alla cassa. Ma prima di rispondere, tu devi ripensare a quello che ti ha fatto. E considera che forse lo aveva già fatto in passato.»

Vidi un'inaccettabile moto di pietà farsi largo nella sua espressione, mentre volgeva lo sguardo in direzione del derelitto che grugniva dalla gola, senza davvero riuscire a guardarlo. Mi affrettai a spazzarla via. «Poteva essere Alice. Poteva toccare a lei.» La frase mi uscì dalla bocca e risultò più affilata di una lama. L'espressione di Lea virò immediatamente alla rabbia.

«Niente pistola» mi disse, la vocina ancora un po' tremante.

«Ok. Ottima scelta, mia queen. Ma per ucciderlo devi guardarlo Lea. Non vorrai che muoia vedendoti intimorita da quello che gli abbiamo fatto, vero? Ha messo le mani addosso alla donna sbagliata e ha fatto girare i coglioni agli uomini sbagliati. Devi guardarlo, Lea, preferibilmente senza vomitare. Ce la fai?»

In quegli attimi di incertezza non era concesso silenzio, perché i gemiti disperati di quel poveraccio riempivano la stanza. Forse fu proprio quel fastidioso rumore a convincere Lea ad acconsentire.

La presi per mano e l'avvicinai a quel corpo costretto a sopravvivere ancora un po'. Lea represse un conato, riuscì a resistere.

Le accarezzai la gola sottile, oscenamente violata dai lividi lasciati dalle mani dello stronzo. Aveva cercato di strangolare la mia splendida dea.

«Lui ha cercato di ucciderti privandoti del respiro, amore mio. Se vuoi ti aiuto a fare lo stesso.»

Trovò un certo distaccato equilibrio, nel guardarlo. Erano molte, le parti del corpo contenute in quel sacco che non si trovavano più dove la natura le aveva predisposte, ma risparmiai i dettagli a Lea. Avevo scoperto solo il volto dell'uomo, perché era meglio che la mia cosina restasse con il dubbio in merito al destino poco clemente del suo cazzo, ad esempio, che in quel momento gli spuntava dal culo, e non ci era stato infilato dentro con delicatezza. Avevo usato diversi strumenti appuntiti per aprirmi un varco nel suo intestino. Anche le mani, che avevano osato prenderla a schiaffi, che avevano osato farla sanguinare, ora facevano parte di quel corpo in modo inedito. Ero riuscito a fargli ingoiare un paio di dita, una falange alla volta. Poi mi ero fermato perché stava soffocando.

«Preferirei... non toccarlo» disse dopo un po'.

«Ti cerco qualcosa di affilato?»

Mi guardò. «No.»

Mi superò, si chinò accanto alle scarpe che avevamo comprato quel pomeriggio e ne prese una.

Mi inginocchiai accanto a lei, vicino all'uomo che, nel suo strano mutismo gorgogliante, forse cercava di gridare.

Lea avvicinò il tacco al bulbo oculare dello stronzo. «Soffrirà abbastanza?» mi chiese.

«Se lo conficchiamo dentro piano, sì.»

Le tremava la mano. Appoggiai la mia sulla sua.

«Ti fidi di me, bimba?»

«Sì.»

«Lasciati guidare.»

Appoggiammo il tacco, e premetti la manina di Lea, iniziando una lenta e inesorabile profanazione del cranio. I gorgoglii umidi che gli uscivano dalla gola divennero sempre più umidi, impressionanti e disperati. L'affondo fu lento, e quando mi resi conto che il tacco della scarpa aveva attraversato il diametro del bulbo, coprii il viso della mia bambina con una mano, proteggendola il più possibile dai fiotti di sangue nero che schizzarono fuori.

La morte non sembrava avere fretta di prendersi quel rifiuto umano, ma il macello di ossa e carne frastagliata che aveva sopra il collo non mi consentiva davvero di apprezzare il suo dolore e la sua paura. Potei cercare la mia soddisfazione solo nell'occhio sano, spalancato e arrossato: un abisso inerme che non aveva avuto né pietà né rispetto, e che di conseguenza non ne riceveva.

Vorrei perforarti per l'eternità. Vorrei poterti arrivare al cervello e poi avere l'onore di ricominciare da capo, in un circuito senza fine di torture senza consolazione.

«Questa puttana di lusso si chiama Lea, e tu vali meno di un pidocchio, in confronto a lei. Per la cronaca, Lea è la mia puttana di lusso, la mia dea e la mia regina. Vai a bruciare all'inferno portando inciso il suo nome nel petalo marcio che è la tua inutile anima senza valore. Ti condanno a pronunciarlo in eterno, brutto figlio di puttana, mentre bruci tra fiamme immortali e con la sua scarpa che ti pugnala la materia grigia.»

Lea mi stringeva con forza l'altra mano, e non resse l'intero spettacolo. Quando il corpo del suo aggressore prese a tremare, si voltò di lato, ma non mollò la presa sulla scarpa. Fu un bene che gli avessimo spezzato braccia e gambe, o avrebbe scalciato come una furia. Venne semplicemente scosso dalla propria disperata sofferenza, e poi da qualche convulsione. Una volta che il tacco della scarpa fu completamente sparito dentro l'orbita ebbe la grazia di crepare, tra tremori e rilascio di urina, nella sua ultima e meritata umiliazione.

Sentii rilassarsi anche il corpo di Lea, contro di me.

«È finita. Sei stata brava.»

Tornò a guardarmi, mentre l'accarezzavo con la mano con cui l'avevo coperta dagli schizzi di sangue arterioso. Aveva il visino gonfio, soprattutto sul lato sinistro. Il labbro era spaccato in più punti, e dalla fronte continuava a scendere qualche goccia di sangue da una ferita slabbrata sul cuoio capelluto. Probabilmente l'avevano presa ripetutamente per i capelli, e forse ferita con un anello, o qualcosa di simile. Non ricordavo se il tizio ne aveva. Di certo non ne aveva nelle dita che gli avevo fatto mandare giù per l'esofago. Eppure Lea aveva l'espressione di una che aveva appena vinto.

«Però la scarpa la rivoglio indietro.»

Le sorrisi, e con uno strattone la tirai fuori. «Ha bisogno di una ripulita, miss.»

Prese la scarpa, e la pulì sul sacco che conteneva il cadavere. «Sì, anche il pavimento.»

La feci sedere qualche minuto, mentre coprivo il corpo. Andrey la convinse a bersi un terzo shottino di quella Vodka dal gusto morbido.

«Io devo andare, Rossa.»

«Prendi la bottiglia, Andrey. È tua.»

Ma lui la restituì. «Conservala per me, Rossa. Me ne offri ancora la prossima volta, e cerca di farti trovare in condizioni migliori. E non scolartela mentre non ci sono, mi raccomando.»

Lei lo salutò con un bacio sulla guancia, e dovette mettersi in piedi e sulle punte dei piedi per raggiungerlo.

Andrey mi lanciò uno sguardo che sembrava un arrivederci, appena prima di uscire. Quello che lanciò a Denis non seppi interpretarlo.

Denis rimase finché il pavimento tornò del suo colore originale, e Lea accettò di farsi aiutare, ma ai cadaveri pensammo io e lui soltanto. A lavoro ultimato, ci sedemmo tutti e tre a un tavolo, sfibrati. Nessuno disse niente per un po', finché Lea spezzò il silenzio.

«Musica» sentenziò, all'improvviso.

La guardai stranito, ma non feci domande. La guardai mentre si alzava e faceva partire la filodiffusione del suo locale.

Una voce nuova, forse un po' nasale, eppure apparentemente creata apposta per accompagnare la musica accarezzò l'atmosfera pesante di quella notte.

«Ottima scelta, stronzetta.»

Io cercai una risposta da Lea, senza porre domande.

«Si chiama Morirò da re. Balli con me, signor Baker? Ne ho tanto bisogno.»

Non me lo sarei mai fatto ripetere due volte. La canzone era apertamente rock, adatta a una serata tra amici, fumo e alcol, ma capii subito il motivo per cui Lea l'aveva scelta.

«Ha sentito bene, mio sovrano? Questa canzone è per te» mi sussurrò, all'orecchio. «Baby accanto a te, io morirò da re. Dice così, quindi vedi di non fare scherzi mentre sei lontano da me.»

Ascoltai il testo con attenzione, apprezzandolo, mentre stringevo la mia bambina tra le braccia, danzando un lento su note rock, perché a noi delle regole non fregava un cazzo, se non erano quelle che avevamo varato noi. «Starò molto attento, mia queen, te lo prometto.»

Ballò anche con Denis. Stetti molto attento anche a dove le metteva le mani lui.

Scelse una canzone molto più lenta, dello stesso gruppo. Vent'anni. Una melodia malinconica, che parlava di bivi e libertà. C'erano frasi, in quel testo, che avrebbe potuto benissimo scrivere Lea. E capii anche il motivo per cui l'aveva scelta per Denis. Sussurrò qualcosa anche a lui. Non saprò mai cosa. Gli concessi quel privilegio, quello di avere un momento intimo con la mia bambina. Avevano così tanto segreti condivisi, quei due, che non avevo alcuna possibilità di poterli custodire al posto suo.

Fui grato che la serata al Sweety finisse in musica, e non nel sangue.

Finché fu chiaro che era giunta l'ora di chiudere lì la nottata.

«Mi chiami domani? Voglio solo sapere come stai, stronzetta.»

«Domani possiamo vederci, starò bene.»

«No. Domani stattene a riposo, ok? Però chiamami. Ci vediamo appena stai meglio.»

Chissà cosa intendevano per "domani", dato che erano quasi le quattro del mattino. Non lo chiesi, accettando il fatto che quei due si intendevano meglio quando tagliavano fuori da loro il resto del mondo.

Poi, lui alzò gli occhi su di me. «Baker.»

«Denis.»

Si girò un'altra volta, prima di uscire. «Ci vediamo presto, Lea.»

«Sì. Se non domani il giorno dopo, ok?»

«Perché no.»

Ancora quel domani. Io non riuscivo a non pensare che domani era già arrivato, e che si era portato via un po' delle nostre vite.

Amore accanto a te, baby accanto a te, morirò da re.

Anche Denis se ne andò, portandosi via i miei perché. Ci saremmo visti un'altra volta, dopo quel giorno. Sarebbe stata l'ultima.   

SPAZIO AUTRICE

Sono qui per dirvi che il peggio NON è affatto passato.

Però vi voglio bene.

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