𝑾𝒀𝑺𝑻𝑬𝑹𝑰𝑨

By bluelliestories

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Prologo - Road to Avalon
Cast/Disclaimer
Benvenuti a Wysteria Wood
1. We'll go back to strangers
2. Your beauty never ever scared me
3. You will be my world
4. If I am so special, why am I a secret?
5. When I wake up, I'm afraid
6. Are we too young for this?
7. Just a little bit colder
8. Don't know who's in the mirror
9. A haunting face, is she a lost embrace?
10. Does he know you call me when he sleeps?
11. Are we fucking doomed?
12. War of hearts
13. Left my innocence on your mouth
14. The hunt has just begun
15. It's all fun and games 'till somebody falls in love
16. Drunk calls, drunk texts, drunk tears, drunk sex
17. This is addictive
18. Love can burn like a cigarette
19. God loves to watch her angel's sin
20. So you wanna play with magic?
21. I just come back more obsessed with you
22. I just wanna be one of your girls tonight
23. Don't take me to Heaven
24. My Lucifer is lonely
25. Blood moon painting red in the sky
26. Love is pure insanity
27. Spit in my face, my love
28. Sleepwalker
29. I miss the sex, the way you kiss
31. Nobody knows how to punish me, like me
32. Call me babydoll
33. Sweet dreams are made of this
34. Love into a weapon
35. The deep end is where I live
36. I'm the one, can you feel it?
37. Your blood, my blood, we bleed it
38. 'Til the end of time

30. She my cold blooded bitch

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By bluelliestories








Persino la tua voce ha un non so chè di peccato carnale.

🌓🌕🌗







«L'auto di Gremory?»

La mia mente si scisse in due, mentre la notte si schiudeva al suo apice di bellezza.
C'era Draven del presente, ridotto in quello stato per colpa sua, e Draven del passato che nessuno avrebbe mai osato contraddire.
E il mio braccio destro era Gremory, lui era mio fratello, lui che aveva finito a rovinarmi la vita più di quanto già non fosse ridotta a un cumulo di macerie.

«Sta succedendo quello che temevo. Si sono ribellati. Se la sono presa con lui.»

La mia testa cominciò a martellare più forte, io persi l'orientamento, come se le nubi lanuginose alte nel cielo avessero preso tutte ad invadermi la mente.
Non era ciò che pensavo che fosse, non era una faida tra fazioni: era una ribellione interna al mio stesso clan.
La voce di Avalon mi arrivò come un'eco lontano, sebbene fosse ancora sul cavallo, a un passo da me.
Draven, è pericoloso. Non andare.

Era sconvolta quanto lo ero io, ma cercai di non esternarlo.
Non erano gli Altri.
Erano i miei stessi compagni, a prendersela con lui.

«Avalon. Torna a casa. E questo è un cazzo di ordine.»

Prince non si permise di replicare, ma sentivo la sua urgenza che passava attraverso il suo tono di voce.
«Andiamo, Drave. Lo uccideranno.»

Una puzza di gas mi fece salire una nausea velenosa alla testa, che per poco non mi costrinse a sbandare.

«Hanno fatto scoppiare la sua Bentley, con un petardo nel tubo di scappamento.»

«Lui dov'è?»
L'agitazione prese ad assalirmi, modulai la voce per evitare di urlare.
Lo avrei ucciso con le mie mani.
Ma non avrei mai permesso che lo facesse qualcun altro al posto mio.
«È dentro. Se la stanno prendendo con lui, ma sono in maggioranza.»

Ripresi a respirare.
Era un dannatissimo atto vandalico. Mio fratello non era in quell'auto.
Vaffanculo, mi era quasi scoppiata una coronaria.

«Portami da loro. Subito!»

Lo seguii, quasi correndo, mentre continuava a spiegarmi nervosamente senza farmi comprendere a pieno la situazione.
«Dicono che non sia in grado di gestire la notte dell'Inquisizione come facevi tu. Forse lo odiano per quello che ti ha fatto. Ma lui è sotto shock, non riesce a reagire..»

«Santo cielo, Prince, non essere ingenuo. È solo una scusa per prendere il potere.»

Al piano terra, da quello che riuscivo ad afferrare tutto sembrava procedere senza intoppi. La musica creava un muro contro qualsiasi altro suono, Prince mi spiegò che Ryder era intento a farsi di qualunque cosa.
«Ti ho visto arrivare dalla finestra. Solo tu puoi fermarli, Drave.»
Scendemmo le scale, l'umidità fendeva l'aria e le mie labbra divennero gelide.
Non era la prima volta che mettevamo a tacere una rivolta. Solo, non l'avevo mai fatto da solo. Eravamo sempre stati in due.

«Adesso bisogna capire chi sono questi traditori del cazzo.»

Gettai il mozzicone della sigaretta che stavo fumando, dove mi ricordavo che avrei trovato un posacenere in marmo.
Ragionai, rimuginando su quello che era appena accaduto senza che io potessi fermarlo o intercettarlo in alcun modo.
Da quando avevo preso le redini della situazione, avevo sempre fatto di testa mia e me ne ero fregato di quello che mi aveva insegnato mio padre.

«Stai attento, Drave. Ti sei fatto moltissimi nemici.»
E non ero più forte e quasi intoccabile, come prima dell'incidente. Quella tragedia mi aveva indebolito, quantomeno ai loro occhi.

Riuscii a seguire il migliore amico di Gremory, perché solo a Wysteria Wood e tra le gambe di una donna riuscivo a orientarmi meglio che nella mia cripta.
Pensai ad Avalon che sarebbe partita per Londra, ai tafferugli che dovevo risolvere, alla lunga notte che ancora mi attendeva, al processo contro Arden Dweller, e all'omicidio ancora irrisolto.
Al nemico che era sempre in agguato.

«Lasciatelo stare. Lascialo, ho detto!»
Prince gridò avanzando, gettandosi su un uomo, e io compresi che eravamo giunti a destinazione.

Mi precipitai seguendolo nella vecchia sala delle riunioni, quella con le foto degli affiliati alle pareti, con i teschi di animali nelle bacheche, con antichi drappeggi e scene di caccia che inneggiavano alla violenza dappertutto.

«Fermatevi, cazzo!»
Lo stavano aggredendo fisicamente, quegli stronzi vigliacchi. Sentivo i loro schiamazzi, gli insulti sibilati, l'odio represso che sfociava in un lago di escandescenze furiose.
Udii la voce di mio fratello, in quella mischia selvaggia, gridai dietro a Prince di fermarsi immediatamente.

Avanzai in quello scontro pavido e vigliacco e quando fui certo di avere qualcuno davanti da afferrare, lo presi per il busto e lo scaraventai contro il primo muro che trovai a disposizione.

Col cazzo, che mi ero indebolito.
Cercò di raggiungermi il volto con quelle mani insudiciate, ma una ginocchiata nelle palle gli fece passare la voglia di continuare a lottare.
Speravo di averlo appena trasformato in eunuco.

L'odore alcolico del ragazzo che stritolavo tra le mani mi fece venire voglia di gonfiarlo a prescindere, di buttargli giù i denti e di farglieli sputare, mentre cercavo di capire chi fosse.
Dieci membri.
In quella stanza percepivo quattro voci distinte, o forse cinque: tutti contro mio fratello.

Ma lo stronzo che tenevo tra le mani reggendolo per la collottola, lo riconobbi dalla sua stretta da pitone attorno ai miei polsi.
Lui era il leader del gruppo radicale.
«Bear Butler.»

Quando gli altri si accorsero che ero entrato nella sala, il silenzio calò di botto, come un mantello nero di morte placida che ci venne tutti a trovare a sorpresa.

«Draven. Cosa cazzo ci fai, tu, qui?»
Nel suo tono di voce, percepii netta la sorpresa nel fatto che lo avevo riconosciuto. E che se avesse ancora mosso un dito, gli avrei staccato le palle a morsi.

Dopo Ryder, Bear era il più insubordinato di tutti i cavalieri.
Nel giorno del suo tap day, quello in cui reclutavamo nuovi affiliati con un colpo sulla spalla, si era offeso perché era un Senior e lo avevamo scelto dopo altri del penultimo anno.
Veramente un presuntuoso del cazzo, a cui avrebbero fatto bene due bei ceffoni ben piazzati sugli zigomi perfettamente definiti.
Mi ero immediatamente pentito di aver fatto entrare una testa così calda nel clan.

«Pensavi veramente di poter fare del male a mio fratello? Non ti fai schifo da solo?»

Eravamo un branco.
Ma nella mente di alcuni di loro, io e Gremory saremmo stati talmente idioti da eliminarci dai giochi a vicenda, e loro avrebbero potuto approfittarne.

«Se pensi che le vostre vicende personali possano non intaccare i Bellatores, ti sbagli di grosso. Esiste già una scissione all'interno. Tanti di noi vorrebbero tornare al passato.»

«E spodestarci, mh? Tu sei uno di quelli?»

«Con tutto il rispetto, Draven.»
Il suo odore di carogna lo percepivo netto infestarmi le narici. Non sapeva nemmeno che cosa fosse, il rispetto.
«Non ho intenzione di avere un capo che non vede dove stiamo andando. E un altro che si gonfia di oppio tutto il giorno come un tossico di merda. Anche se vi chiamate Wingrave.»

I nervi delle mie braccia si tesero all'inverosimile.
Le sue parole accesero una pira di collera inconsulta dentro la mia testa, strinsi entrambe le mani attorno al suo collo come se volessi frantumargli il tronco con la sola forza delle braccia.
Ringhiai, schiantando la sua spina dorsale contro il muro di pietra, Bear lanciò un grido che fece allontanare tutti gli altri.

«Mio padre è morto. Da due anni. Adesso si fa come dico io, non come dici tu. Ti è chiaro, Bear?»

Non potevo vederlo, ma immaginavo i suoi occhi di ghiaccio e i suoi capelli corvini, la cicatrice che gli tagliava il sopracciglio a metà e che gli aveva fatto Ryder quando eravamo alle medie.
Lo avevamo fatto cadere sul cemento con uno spintone non del tutto corretto.
Era sempre stato uno stronzetto viziato.

«Se tocchi ancora mio fratello, o qualsiasi altra persona della mia famiglia.. io ti faccio saltare in aria come quell'auto là fuori. Se pensi che abbia bisogno degli occhi per mangiarti vivo, ti sbagli di grosso.»

Lo spinsi a terra in una direzione a caso, sperando che si spaccasse la testa da qualche parte. Invece, lo sentii sgattaiolare via, facendo il meno rumore possibile, come un maledetto scarafaggio.

«Dov'è Ryder?»
Mi rivolsi a Prince, o a chiunque altro mi rispondesse.

«Si starà facendo i cazzi suoi, come sempre. Di sopra c'è un baccanale pieno di donne.»
Dannazione.

Mentre ammazzavano mio fratello di botte, lui pensava solo a scopare.
Non correva buon sangue tra loro due fin da quando erano piccoli, ma a quel punto era ufficiale il fatto che non potessi fidarmi di nessuno.

«Tu e la tua dannata iperprotettività. Qualcuno ti ha mai chiesto di proteggermi?»

La voce di Gremory spuntò alle mie spalle, e un'ombra di furia omicida prese il sopravvento su di me.
Se era ammaccato, cercava di non darne l'impressione.
Il tono era stranamente asettico, un po' imbronciato, forse con una punta sottile di delusione verso se stesso.

Improvvisamente, ebbi la sensazione che la sala si fosse svuotata, perché anche Prince si era allontanato, non appena si era reso conto che io e lui stavamo parlando per la prima volta dopo l'incidente.
Incidente.. o tentato omicidio.

Serrai i pugni, pronto ad unirmi al coro di chi aveva cercato di sfondargli la faccia.
«E questo il tuo modo di dire grazie, dopo quello che mi hai fatto?»

Ero convinto che mi stesse guardando: sentivo i suoi occhi puntati addosso che guardavano suo fratello maggiore come non avrebbero mai pensato di vederlo.
Vulnerabile.
O almeno era questo che lui credeva.

«Mi sono rotto il cazzo di ringraziarti da tutta la vita, Drave.»
Allora dovresti iniziare a scusarti.

«Erano in cinque contro uno. E tu dovresti essere meno orgoglioso. Se preferivi crepare, bastava dirlo.»

«Non mi vogliono più come capo. Non vogliono me. Vogliono Ryder, o Bear, al nostro posto.»

Il suo tono rassegnato mi faceva venire voglia di buttarlo nella sua stessa auto in fiamme.
Cercai di trattenermi, perché se l'odio avesse caricato in me, il demone della mia rabbia e la bestia ferina che ruggiva in me avrebbe potuto ucciderlo con un solo schiocco di dita.

«Ryder mi rimarrà fedele, non mi tradirà. Non gli piace comandare, troppe rotture di palle.»
Appoggiai la schiena contro il muro, piegando il ginocchio e posando un piede sulla parete.
«E tu non puoi esimerti, Gremory. Hai delle responsabilità.»

«Responsabilità, dici? Come quella di non ammazzare mio fratello?»

Gremory era troppo sensibile per non essere il primo boia di se stesso. 
Si allontanò da me, lo sentivo camminare avanti e indietro.
Dalla finestra alta della cripta entrava una corrente appena accennata, ma decisamente gelida e tagliente, l'odore acre e avvolgente del terreno umido misto al fumo di una sigaretta che si era appena acceso mi sferzò le narici.

«Sanno tutti che cosa ti ho fatto. Lo sanno tutti, non potevo nemmeno negarlo, perché mi hai gonfiato come una zampogna. Sento il loro odio, il loro rancore. Prima o poi qualcuno me la farà pagare cara.»

Sorrisi appena, cercando di essere rassicurante a modo mio. Non lo avevo ancora perdonato, e non sapevo se ci sarei mai riuscito.
«Se un giorno qualcuno te la farà pagare cara.. quel qualcuno sarò solo e soltanto io.»

Qualcosa cigolò alla mia destra: Gremory doveva essersi seduto sulla scrivania di chi redigeva i verbali delle riunioni, in quella sala piena di tomi ammuffiti, polverosi e vecchi di millenni.
E poi si aprì in una confessione a cuore aperto, dopo aver preso una boccata di fumo più lunga del solito.

«Per un istante, un istante soltanto, prima di spingerti contro quella dannata balaustra.. io ho desiderato che tu morissi.»

Lo immaginavo barcollante, perché parlava con la voce impastata da qualche sostanza che lo rendeva poco lucido. Aveva ragione Bear, su questo: erano più i momenti in cui non ci stava con la testa, che quelli in cui era sobrio.

«Che tu non fossi mai nato. Che io potessi sentirmi unico, per un miserabile istante della mia vita. Che non dovessi sentirmi sempre la tua copia sgradita. Che ce ne facciamo di questo, mh? Che ce ne facciamo di lui, se l'originale è mille volte meglio?»

Non esisteva un originale, ma lui parlava con la bava alla bocca, con un fiotto di veleno e rancore che durava da una vita intera.
Eravamo due medaglie opposte con la stessa faccia, l'immagine allo specchio, ognuno il riflesso speculare dell'altro.
Eravamo collegati, sì, ma la nostra anima si era scissa in due molto tempo prima della nostra venuta al mondo.

«Ma adesso hai vinto tu.»
Ammisi, quantomeno per placarlo.
«Sono ancora vivo, ma tu sei il più forte. Mi batteresti ovunque: in tribunale, in un duello, a nuoto, persino a boxe.»

«No, non è vero. Avresti uno svantaggio troppo grande, e sarei stato io ad avertelo provocato. Non mi piace giocare scorretto.»

«Tu e la tua ossessione del cazzo per la giustizia.»

Avrei dovuto lasciarlo gonfiare di botte, e non avrei ottenuto nemmeno un decimo della mia vendetta.
Ma lo avevo salvato, e non me ne pentivo affatto.

«Tu invece non sai nemmeno che cosa sia.»

Imperdonabile, ecco cos'era.
Imperdonabile lui, imperdonabile lei.
Eppure, il mio cuore non riusciva a smettere di infiammarsi per entrambi, e in modi diversi.

«È per questo che mi hai aggredito, quella notte in quel solaio? Pensavi che le stessi facendo del male? Volevi fare giustizia
Mi mossi nella sua direzione, cercandolo nello spazio al mio fianco per averlo davanti a me. «O forse lo hai fatto perché la volevi tu?»

«Non avresti fatto esattamente lo stesso?»
Mi rispose, e non riuscii a ribattere.
Certe volte mi sembrava che mi leggesse dentro, che una parte di lui vivesse in me come la mia coscienza.

«Era legata ai polsi, Drave. E tu.. tu sei pazzo. Vuoi negarlo?»

«Ma non con lei. Non con lei!»
Sbottai, afferrandogli la camicia e strattonandolo senza che lui opponesse resistenza, mentre una voce nella mia testa gridò rimbombando la sua eco da una tempia all'altra: fottuto bugiardo.
«Ti devo ricordare del mio tatuaggio?»

«Lo so. Ma eri giovane, Drave. Lei era solo una ragazzina. Ma adesso, voi due..»
Non era più abbastanza, era evidente.
Quando mi era vicina, era quasi impossibile mettermi un freno. Me lo sarei dovuto tagliare.
«Voglio dire, ti incazzi più per un pompino che per quello che ti ho fatto!»

Era esattamente così.
Mi infuriai solo a sentirlo pronunciato dalla sua voce. L'idea che ricordasse l'immagine di Avalon con la bocca stretta attorno al suo uccello.. avrei voluto fargli perdere la memoria a furia di craniate contro il muro.
«Tappati la bocca. Non mi provocare, se non vuoi che morire stanotte. Testa di cazzo..»

Presi a camminare girando a vuoto, nervosamente.

«E forse dovrei, perché ho desiderato di ucciderti, per un millesimo di secondo.»

Lo sentii fremere a quell'ennesima ammissione di colpevolezza, con il petto ansante di fronte al mio, al pensiero che avessi potuto provare un sentimento per lei.
Era geloso di me, di lei, di noi due assieme.
Per lui potevamo scopare come ricci in calore e trasformare Wysteria Wood in un set pornografico, ma senza che io la guardassi davvero.

«Ma poi, quando ti ho visto cadere.. io ho desiderato con tutto me stesso di prendere il tuo posto.»

La mente di Gremory era scissa in due, come la mia: stava impazzendo ogni giorno, precipitando verso un vortice di follia.
Avermi ridotto in quel modo non lo aiutava.
Allentai di poco la stretta attorno al colletto della sua camicia, potevo sentire la trachea gonfiarsi e andare in affanno sotto la mia presa aggressiva.

«E se non recupererai la vista, io non me lo perdonerò mai.»

Era passata una settimana, una settimana in cui non ci eravamo rivolti parola, una settimana in cui ogni volta che aprivo gli occhi senza vedere nulla, avrei dovuto rinchiudermi in una gabbia per contrastare quel bisogno di ammazzarlo a sangue freddo.
Il suo corpo fece un tonfo sordo a terra, perché io lo lasciai e lui si abbandonò sul pavimento.
Non era più il Gremory che conoscevo.
Stava scivolando verso la tenebra.

«Te l'affido, razza di stronzo. Stalle vicino. Avalon sta prendendo la sua strada e io non posso più impedirglielo, nelle mie condizioni. Ha bisogno di una guida. E nonostante tutto..»
Strinsi le nocche fino a farmi esplodere le vene, perché non credevo che avrei mai detto una cosa del genere in tutta la mia vita.

Ma conoscevo i miei limiti. Li avrei utilizzati per fortificarmi, per rendermi imbattibile.
Eppure, in quel momento non potevo più garantire la sua protezione.
«Preferisco che sia tu a farlo. Mio fratello, piuttosto che quel pedofilo del cazzo.»

Gremory non era nemmeno in grado di badare a sé stesso, di autoconservarsi, figuriamoci di proteggere qualcun altro.
Ma era l'unico fratello che avevo, e l'unica persona al mondo su cui Avalon poteva contare a parte me.

«Draven..»
«Hai vinto, Grey, sei contento? Non lasciarla sola. E non toccarla mai più, altrimenti ti ammazzo. A differenza di quel coglione, non ho paura di finire in galera.»

Ma fui io a lasciare solo lui, procedendo nel vuoto e nel buio dei miei occhi ormai inservibili, cercando di ricordare da dove eravamo entrati in quella stanza dei cimeli, che rappresentava il fulcro dell'antico potere dei Cavalieri.

La mia stessa frase mi rimbombava nella mente intrisa e gocciolante di tutta la sua potenza.
Camminai con facilità seguendo i corridoi che conoscevo a memoria, procedendo verso la zona comune della sala centrale, al piano di sopra.

In fondo, la cripta e Wysteria Wood erano stati costruiti dallo stesso architetto, e nel medesimo periodo storico.
Ad occhi chiusi, senza vedere l'arredamento barocco e un po' gotico di mia madre, totalmente opposto a quello medioevale di quel luogo, avrei quasi potuto confondere le piantine dei due spazi.

Quando arrivai vicino alla cassa, una pacca sul retro del collo di una mano massiccia, ingioiellata di anelli d'acciaio mi fece capire di aver appena incontrato una persona amica.

«Alla fine sei venuto, eh? Ne ero sicuro, che sei sempre la solita testa di cazzo.»

«Stavano gonfiando di botte Gremory, di sotto, nella sala dei cimeli. Bear e quegli altri stronzi dei suoi amici. Dopo avergli incendiato l'auto.»

«Lo so. Li ho visti sgattaiolare fuori qualche minuto fa.»

Feci una smorfia disgustata, dalla sua totale mancanza di interesse per la questione.
«Non ti sembrava il caso di intervenire?»

«Lo sai come la penso. Gremory è il capo qui dentro, e non lo metterò mai in dubbio. Ma una lezione se la meritava tutta.»

«Hanno fatto esplodere la Bentley, come sei mafiosi di merda! Pensavo fossero quelli di Londra.»

«È solo una minaccia.»
Alzò il tono di voce, per farsi sentire chiaramente nonostante la musica pulsasse nei timpani a far vibrare il costato.
«Lo fanno solo per spaventarci. Ma non è accaduto niente di che. Non hanno danneggiato nulla. Lui non c'era, nell'auto.»

«E il pestaggio?»
«Come se fosse la prima volta che accade.»

Mi snervai, a sentirlo ribattere.
«Ryder, dobbiamo concentrarci. La prossima Luna blu chissà quando avverrà. E noi il prossimo anno non saremo più studenti.»

«Meglio così, no? Inizia lo sballo vero e proprio.»

Sbuffai, poi scossi la testa.
Ryder non aveva voglia di fare un emerito cazzo.
Voleva solo succhiare dalle casse del potere di quello che noi avevamo sempre rappresentato, scopare come un dannato, e sistemarsi a vita come sindaco di Glastonbury, perché ai contatti coi piani alti ci avrei pensato sempre e solo io.

Si accontentava di fare una vita da spalla, e restarmi sotto nella scala gerarchica significava beneficiare della mia posizione senza prendersi carico delle responsabilità.
Ma quel Bear.
Ricordavo i suoi zigomi alti, i suoi toni intimidatori, lo sguardo da fenice in picchiata, e gli occhi talmente aguzzi da scalfire persino me.

«Non le levi quelle?»
Mi voltai verso la voce di Ryder, senza capire di cosa parlasse, mentre mi porgeva un bicchiere traboccante di vodka purissima servita on the rocks.
«Le bende.»

«Cosa cazzo dici? Perché dovrei levarle?»
Buttai giù quel fuoco alcolico lungo la trachea. Impattó nel mio stomaco fino all'ultimo goccio, ma per fare quello che stavamo per fare avevo bisogno di non essere affatto lucido.

«Beh.. che senso hanno?»

Una smorfia mi increspò le labbra di sofferenza, per il bruciore assassino che mi rimescolò lo stomaco e poi schizzò dritto nel cervello, come una scossa elettrica.

«Per me lo hanno. Non ho intenzione di nascondermi. Devono saperlo tutti, che nonostante quello che è successo sono ancora qui.»

Non ribatté affatto, anche perché in quel momento mi accorsi di non essere più solo.

«Avanti, vieni qui. Sarai anche bendato come una puttanella, ma ti voglio bello carico.»

Mi sistemai su un divanetto in velluto.
L'ultima volta che mi ero seduto lì sopra, una ragazza sfacciata e bellissima di cui non sapevo il nome mi aveva fatto un meraviglioso pompino davanti a tutti.
Davanti ad Avalon.

Aveva detto di essermi debitrice: avevo archiviato quella frase nella mia mente come una scusa di poca importanza che aveva piazzato per non dire che aveva voglia del mio cazzo, come tutte le altre.

Un corpo spiccatamente femminile mi si strusciò addosso, non appena affondai in quel tessuto soffice: aveva la pelle vellutata e i capezzoli turgidi che mi spingevano sul petto, una collana di perle al collo che sentivo scorrermi sugli addominali mentre buttavo giù una grossa sorsata di Black Russian.
Le mie mani si gettarono a capofitto lungo la sua schiena, per finire sul suo culo coperto solo da una sottile striscia di un perizoma.

«Sono puttane?»
«Le migliori. Le migliori puttane, amico mio. Come insegnava il vecchio Quincy, pace all'anima sua.»

Un conato mi tornò su tutto d'un botto, quando quel profumo cipriato fortissimo mi fece salire il mal di testa.
Chissà se sarei mai più tornato a incrociare lo sguardo di una donna, o di chiunque altro.
Cosa mi avrebbe suggerito, mio padre, in quella situazione?

«Vieni qua, uccellaccio del malaugurio. Mi hai fatto prendere un bel colpo. Pensavo che fossi morto. Sono contento che sei di nuovo dei nostri.»

Ryder mi strinse in un abbraccio soffocante, perché il mio amico con il suo mento a punta e i suoi bicipiti possenti non sapeva dosare la forza e i nervi temprati da ore e ore di allenamenti intensivi in palestra.

«Dio, levati dalle palle. Sono più antipatico del solito, dopo il casino che sono riusciti a fare.»

«Non ci pensare. Avete un parco macchine da fare invidia al sultano del Brunei, e tu hai una lunga notte che ci aspetta. Ci rifaremo, e dimostrerai a quegli stronzi di essere ancora il capo.»
Come motivatore, Ryder non era secondo a nessuno. Come braccio destro in senso pratico invece, era un completo disastro.

«Che cosa dovrei fare? Fare finta di nulla?»
«Io inizierei da una bella ammucchiata.»

Sospirai. Forse aveva ragione.
Avevo accumulato fin troppa tensione, perché pronunciare quelle parole a mio fratello quando non avrei voluto altro che imbrattare le pareti con il suo sangue, mi era costato caro.
«Hai avvertito la sorveglianza? Nessuno deve entrare qui dentro, stanotte.»

«Ma certo. Bevici su. Ne hai passate tante, ultimamente.»

«Non ho intenzione di mettermi a fare stronzate, stasera.»
Le ultime parole famose.
Perché tra il dire e il fare c'è di mezzo il vizio, e un mare di tentazioni in cui navigavamo a vista, senza bussola, senza saper dove stavamo andando.
Il vizio quello subdolo, che si insinua sotto pelle, un serpente velenoso tentatore che ti offre la mela del peccato.

Non sapevo se avessi più voglia di scoparmi la tizia che mi si strusciava addosso come se fossi un osso e lei fosse affamata da anni, o di farmela insieme a quella che aveva preso a piazzarmi le mani sul cazzo come se dentro la mia patta ci fosse una sorpresa portentosa, e lei fosse una bambina alle prese con un pacco natalizio.
La mia testa però, non collaborò con me.

Perché prese a girare furiosamente, come se d'improvviso fossi stato risucchiato da un uragano, con le correnti impetuose a sbatacchiarmi nel cervello, al punto che quasi non mi venne da vomitare.
Cristo.
Forse Ryder aveva ragione, avevo accumulato troppa tensione.

Era questa la sensazione che aveva lei, quando stava per dormire?
Il buio che ti assale, che ti avvolge le sinapsi, i sensi che si spengono e tu non puoi fare niente per riaccenderli.

Le scostai, rapidamente, con i miei modi bruschi e poco educati, mi alzai temendo di ricadere a terra.
Cercai di ricordare dove fosse il bagno, e mentre vagabondavo andando a memoria e contando le porte che mi separavano da un lavandino, qualcuno mi si affiancò, senza dirmi nulla.
Poi, delle dita fresche si attorcigliarono attorno alle mie.
Così, all'improvviso.
Sobbalzai, a quel contatto rubato.

«Sto cercando il bagno. Ci arrivo da solo.»

Chiunque fosse, non mi rispose e insistette, cercando ancora lo stesso contatto.
Nonostante il mio orgoglio, mi accorsi che visto il mio stato mentale e l'alcol che lo aveva alterato, quello spazio a me ben noto era appena diventato un labirinto.

Decisi di fidarmi.
Mi prese per mano, mi trascinò con lei mentre la musica alle nostre spalle si affievoliva sempre di più e io seguii il suo profumo già sentito.
La nausea mi era passata di botto.
La seguii in una stanza in fondo al corridoio del piano terra, che però ero convinto che non fosse il bagno che cercavo.

«Perché siamo qui? Cosa stai facendo?»
Nessuna risposta.
Sentii un rumore inequivocabile di ferraglia con cui stava armeggiando: aveva appena chiuso la porta a chiave.

«Non è uno scherzo divertente. Non lo è affatto. Apri questa porta!»

Andai incontro a quella sagoma, e quando quasi non la travolsi mi accorsi che era più piccola di quanto pensassi. Ero abituato a scontrarmi con uomini della mia stessa stazza, mentre lei era una ragazza o una donna abbastanza sottile.
Nonostante questo, mi infuriai.
«Apri questa cazzo di porta!»

Forse era la sagoma che aveva tormentato anche Avalon, e che si divertiva ad apparire in quell'Università come un fottuto fantasma crepuscolare.
Improvvisamente, mi pentii di aver pensato che le sue fossero allucinazioni.

«Sono armato. Non pensare di potermi sfiorare, posso farti del male sul serio.»

Quella presenza rimase immobile, in silenzio, senza rispondere alle mie provocazioni, e io carezzai la pistola che nascondevo sotto la giacca cadenzando il respiro e cercando di cogliere i suoi movimenti.
Non mi fidavo affatto, perché avrebbe potuto essere qualcuno degli Altri, ma non avevo altra scelta se non quella di attendere che facesse qualcosa.

Si avvicinò a me, le sue braccia mi circondarono la testa, mi sfilò la benda slacciandomi il nodo tra i capelli. E io per qualche assurdo motivo la lasciai fare, perché uno strano rimescolamento mi rimise a posto le viscere.
Delle dita assolutamente femminili e carezzevoli sfiorarono le mie palpebre sbarrate.

Chiudi gli occhi per vedere, mi stava dicendo senza parlare.

Così, lo feci.
Un paio di dita delicate mi sfiorarono ancora le ciglia, a quel punto, e io aprii gli occhi.
Buio pesto.
Quella sagoma senza contorni mi parlava senza voce e si mostrava a me al di là del senso della vista.

Potevo percepirla senza vederla, ed era una sensazione talmente assurda da sembrare quasi paranormale. Ero sicuro di dove si trovasse, si stava spostando girandomi attorno, senza però vedere nulla al di fuori del buio.
Non era solo un presentimento o un sesto senso: era reale.
Blindsight, si chiamava, o visione cieca.
Me lo aveva spiegato il medico: era un evento rarissimo che poteva accadere a chi aveva perso l'uso della vista, e sulla cui spiegazione la medicina non era del tutto concorde.

«Cosa stai facendo? Chi cazzo ti credi di essere?»

Si spostò dal lato della stanza e tornò davanti a me. La percepivo come una fiammella accesa, un fuoco fatuo e freddo nel buio, ma non distinguevo altro se non la sua posizione nello spazio.
Niente sagome, colori, o luci: nulla di nulla.
Era come se il senso della vista passasse per altre strade, quasi metafisiche, invadendo altri spazi della mia mente.

Ancora tenebra.
Buio pesto, nemmeno una sagoma, ma lei la percepivo ancora come se fosse davanti a un paio di occhi sani.
Per un qualche assurdo gioco della mia mente, avrei potuto persino afferrarla, senza errori.
Stava cercando di capire se davvero non vedessi nulla, perché l'avevo seguita con lo sguardo e ci avevo preso, sui vari punti dello spazio attorno a noi in cui il suo corpo fluttuava.
E in quell'oscurità quasi limpida, sentii tutto il respiro di una presenza talmente vivida nella mia mente che non aveva bisogno che io la vedessi.

Non distinguevo i suoi lineamenti, ma avevo la distinta sensazione di lei, della sua posizione e dello spazio che stava occupando di fronte a me.
Avevo messo al muro un uomo di novanta chili senza l'aiuto della vista, solo con quella fame rabbiosa che mi spingeva ad essere semplicemente il più crudele e assetato.

Non avrei piegato la testa di fronte a niente e a nessuno.
Sarei entrato dritto senza indugiare persino in tribunale, dove lo spettro di mio padre si sarebbe preso gioco di me.
Ma farmi vedere in quel modo, così esposto e incuriosito, mi fece quasi odiare quella presenza che si stava approfittando della mia situazione.

«Dimmi chi sei. Se non vuoi che ti faccia male.»

Non lo avrebbe fatto lei, non lo avrei fatto io.
Non aveva nemmeno aperto bocca per parlare, perché non ne aveva la minima intenzione.
Il mio sangue si sciolse e divenne ghiaccio liquido, e infine lava, e avrei potuto scommettere che i miei occhi brillavano nonostante fossero due pozzi ciechi.

Non saprei descrivere in che modo, ma sebbene non la vedessi lei era immensamente bella di una bellezza triste e potente come non avevo mai incontrato prima.
Una carezza sul viso mi fece quasi perdere l'equilibrio, e io trattenni il respiro.
Ero rimasto glaciale per una vita intera, a soffocare tutto ciò che mi aveva colpito credendo di essere invincibile.

«Parlami.. dimmi qualcosa. Non ti vedo.»

Specificai, senza esternare quell'assurda impressione e soprattutto cercando di nascondere che stessi diventando incredibilmente curioso.
Cominciai a bramare di sapere chi fosse, e non solo quello.

Non so perché sentii che era così vicina da poterla toccare, e fu quello il momento in cui posò le mani aperte sul mio petto.
Cercò ancora il contatto: le sue labbra sfiorarono le mie e un bisogno disperato caricò dentro di me come uno stormo di corvi in picchiata.
E quando mi resi conto che ero oltre un punto di non ritorno, io mi gettai su quel sapore e la baciai come un condannato al patibolo.

Afferrai la sua nuca da dietro, le labbra collisero con le sue e io divorai il suo labbro superiore.
Schiuse le labbra, le scavai in fondo con la lingua ad accarezzarle la sua.
Si tradì per un istante, quando la sentii vibrare per me, sotto le mie dita che si allungavano a cercarle i capelli.

Nella mia mente era talmente bella da spazzarti via la ragione.
Al tocco della mia lingua aveva le labbra più morbide che avessi mai sfiorato, il sapore avvolgente e zuccherino del latte e del miele, una felicità devastante mi costrinse a leccarla e a succhiare la sua lingua, mentre la sentivo eccitarsi ad ogni mio piccolo movimento insinuante. 

La strinsi a me come non avessi potuto fare altro nella vita, approfondii il bacio entrando nella sua bocca, come se volessi imprimermi in quella ragazza in maniera definitiva, fino a che lei ne avesse memoria.
Di solito ci riuscivo sempre, ma lei lo fece con me più di quanto pensavo che fosse possibile.

Era una puttana.
Era sicuramente una puttana, perché si muoveva esattamente come una di loro.
Era contro il mio personale regolamento morale baciarne una, ma se si trovava in quel luogo non c'era altra possibilità se non quella che fosse stata pagata dai Cavalieri. Avevo dato l'ordine di non far entrare nessuno che non fosse dei nostri, a parte le donne con cui ci saremmo divertiti.

Dieci uomini, e un numero infinito di donne che si plasmavano a diventare la personificazione del nostro piacere.
Ma la mia mente era totalmente sconnessa e io avrei voluto fondermi con chiunque lei fosse,
senza nemmeno sapere che aspetto avesse.
La vedevo attraverso le trame dei miei polpastrelli affamati.
La sentivo nel profumo dei suoi brividi, schiusi al passaggio del mio tocco.
Nel cigolare del mio cuore arrugginito, nei miei morsi sferzanti veleno.

Se fosse stato possibile innamorarsi di una pelle, di un sapore, di un universo sconosciuto ancora prima di averlo visitato, io sarei precipitato in quella galassia senza nome né volto.
Se fosse stato possibile innamorarsi di un bacio, io sarei stato perduto.

Una voglia infernale mi violentò il respiro, mentre prendevo più spazio nella sua bocca e il sangue prendeva a martellarmi lungo l'uccello, con il ritmo battente del sopraggiungere di una catastrofe.

«Devo scoparti. Adesso. Immediatamente.»

Non rispose, nemmeno a quell'impellenza.
Nemmeno alla mia disperazione cieca, rimase del tutto indifferente, quantomeno a voce.
Cercai il suo corpo, lo strinsi a me, tastai le sue forme, mentre lei oppose una leggerissima resistenza. Mi eccitai come non ero mai stato eccitato in tutta la mia vita.
Sarei stato capace di venirmi nelle mutande, se non si fosse sbrigata a fare quello che stava facendo.

Quando le sue dita peregrinarono nella patta dei miei jeans, io la bloccai. Perché soffrivo come un pazzo ingabbiato, ma restavo pur sempre un sadico stronzo.
«Fermati. Dammi la mia benda.»

Me la porse, ben sapendo dove stessi andando a parare.
Toccai la sua testa, i suoi capelli setosi, avvolsi quello strato di tessuto sottile attorno ai suoi occhi. Controllai bene che fosse sistemata sopra il suo naso, infilai il dito dentro la sua bocca voluttuosa, morbida, invitante.

Non avevo mai desiderato di scoparmi tanto qualcuno come in quel momento.
Forse a rendermi un maniaco era il fatto di non sapere come fosse fatta, ma poteva avere qualsiasi aspetto, per me sarebbe stata comunque la settima meraviglia del creato.
Ma se io non potevo guardare lei, lei non avrebbe visto me.

La spinsi verso la parete, incrociammo qualcosa che somigliava a un archivio in acciaio e solo allora riconobbi che quella stanza era uno dei vecchi studi di mio padre, ormai in parte smantellato, con pochi mobili rimasti risalenti agli anni Settanta dove ogni tanto mi ero appoggiato per studiare.
Visualizzai la stanza attorno a me, ma lei restava ancora un'ombra scura in mezzo ai colori.

Peregrinai con la mano sotto i suoi pantaloni, erano jeans elasticizzati e io presi a tastare le sue cosce sode da sopra il tessuto.
Sfilai via i pantaloni e incontrai le sue natiche, la ressi da lì, mentre con l'altra mano controllavo che la mia benda fosse dove doveva essere, sul suo volto, a coprirle gli occhi.

«Se hai intenzione di non parlarmi, vorrà dire che ti farò urlare.»

Avevo scopato con gente che non ricordavo.
Avevo scopato con gente che non sapevo chi fosse, che non avevo più rivisto, che non avrei riconosciuto.
Cosa cambiava, se non conoscevo i suoi lineamenti?
Mi passai la mano sulla patta, a sganciarmi il bottone dei pantaloni.
Me lo tirai fuori che pulsava, malato di attenzioni, lo massaggiai tra le mani mentre sentivo quel calore insano esplodere tra le sue gambe e rendermi affamato.
Con l'altra mano, tastai le mie tasche e non trovai assolutamente nulla.

«Non ho il profilattico. Vaffanculo. Non ho..»

Mi bloccai sulla sua apertura, fermo, con una voglia di entrare che mi stava dando al cervello.
Era l'Inferno più accogliente su cui avessi mai posato la mia punta, la infilai dentro per un istante e trasecolai. La spinsi appena, una, due, alla terza volta, in me caricò un mortale bisogno di entrare fino in fondo.
Cazzo.
Sgranai i miei occhi persi nel vuoto, non appena sentii quello che mi attendeva.
Mi lasciai sfuggire un gemito, per quella stretta letale e bruciante.
Il suo petto era fuori controllo, lei si dimenò come una disperata senza però emettere un suono.

«Non mi frega nulla, io devo scoparti lo stesso. Altrimenti muoio.»

Cercai di tornare lucido e pensare a dove potesse essere. In qualche cassetto, nascosto in qualche scatola su quegli scaffali.
Non mi era mai capitato di incontrare una professionista senza preservativi, in tutta la mia vita.
A meno che..

Un dubbio assillante mi fece bloccare, l'attimo prima di penetrarla fino in fondo.
Di sentirla aprirsi per me, di scoparla fino ai lividi.
Trattenni il respiro mentre la mia mente faceva a botte con lo stomaco, e il cervello con l'uccello gonfio della sua stessa spasmodica attesa.
E se lei fosse chi non doveva essere?

Il mio raziocinio venne spazzato proprio da lei, che mi rapì ancora una volta.
Le sue dita premettero attorno al mio cazzo esattamente come avrebbe fatto una di loro, una tra le più brave.
Io affondai tra le sue labbra con la lingua e ne succhiai gli umori, perché quei baci avevano il sapore della creazione del mondo.
Cominciò a muoversi con il bacino, restando a gambe schiuse davanti a me, io tenni la mia erezione dura e premuta contro il suo clitoride e cominciai a muovermi, spingendo la punta tutta tra le sue labbra.

Quando lei mi fece capire che lo voleva dentro tanto quanto lo volevo io, spingendo affannata con le mani sopra il mio culo per costringermi a non fermarmi, mi bloccai del tutto.
Parlava con le cosce che mi stritolavano, con le dita, con la lingua, con tutto il resto.
E io compresi.
Non è una puttana.

Aveva il silenzio ricamato sugli occhi e su una bocca arrapante come un calice di vino rosso, un paio di ciliegie carnose imbevute al Maraschino, mentre loro erano rumorose, chiassose, fin troppo estroverse.
E soprattutto, una prostituta non avrebbe mai permesso che entrassi senza il preservativo.
Ma come era possibile? Avevo ordinato di non far entrare nessuno.

«Chi cazzo sei?»
Domandai a voce graffiata, sussurrando sulle sue labbra, la gola arrochita dai gemiti trattenuti, lei che schiudeva la bocca per accogliermi ancora.
La curiosità mi dilaniava tanto quanto la mia eccitazione.

Qualcosa cadde dalle tasche dei suoi jeans in uno strano tintinnio, ma non ero convinto che quel suono fosse reale perché i miei sensi erano stravolti, ammazzati, annichiliti dalla sua polpa che profumava di una giornata in estate.
Divenni egoista, e menefreghista, perché lei prese a pompare il mio cazzo tra le mani aggraziate e io dimenticai qualsiasi domanda.

Mi masturbai su di lei spingendo nella sua stessa carne, sul suo nocciolo pulsante, pensando a quello che avevo a malapena assaggiato, finché un fiume di me venne sul suo Monte di Venere completamente glabro.

Cominciò a bruciarmi lungo il petto, mi percorse il basso ventre, un dolore fitto di crampi salì furibondo dalle palle al cazzo e dovetti morderle le labbra e affogarle in bocca per non urlare come un condannato a morte sulla sedia elettrica.
Una scossa, due scosse, tre scosse, morto.

Perduto il conto, quel flusso bruciante del mio liquido mi percorse tutta la lunghezza mentre i miei muscoli pulsanti si tesero al punto che temetti potessero stracciarsi.

Le vene mi esplosero tra le sue pieghe carnose, e lei si protese al mio schizzo violento che andò a colpirla, ma non dovrei avrei voluto.
In quel momento, mentre mi rovesciavo su di lei come un fiume in piena, dei microscopici e chiaramente immaginari stimoli luminosi puntiformi comparvero davanti ai miei occhi, netti: piccole lucciole artificiali mi volteggiavano attorno mentre io mi stringevo al suo corpo come se le stessi venendo dentro.
Era la prima volta che durante un orgasmo non pensavo a mia sorella.

Rimasi in affanno, senza poter credere al fatto di essere entrato dentro quella ragazza solo per un momento, e di aver avuto l'attimo di godimento più intenso e sconvolgente di tutta la mia vita.
Una stretta folle, pulsante, dilaniante, un calore abbacinante attorno al mio sesso che non avrei mai più dimenticato.

Feci due passi indietro sistemandomi l'uccello al suo posto, dentro i boxer, spaventato da quella carica di lussuria vorace, e cercando di immaginarla davanti a me proprio come l'avevo lasciata. A gambe aperte, i jeans alle caviglie, sfilati da un solo piede.
Respirava a fatica a meno di un metro da me.
Era bionda? Era mora? Castana? Rossa come il mantello di una volpe? Di che colore aveva gli occhi?

Voleva me. Tutto il resto, trascolorava sui suoi fianchi che erano gusci di mandorle.
La sentii muoversi, disperata, accartocciarsi su se stessa perché non aveva avuto ciò che voleva.
Come una piccola preda indifesa catturata dalla mia gabbia, la raggiunsi sfiorando il suo sesso con le mie dita sporche di me.

Tremò, quando lo feci. Vibrò di un calore da magma terrestre.
Mi leccai le labbra, mi piegai su di lei, e la resi schiava della mia lingua, leccando i miei umori mescolati ai suoi.
I miei liquidi le colavano ancora bollenti lungo la pelle più setosa e calda che avessi mai incontrato, e io fiero, totalmente ubriaco, mi spinsi con la lingua colpendola in quella piccola fessura che mi aveva concesso per un solo istante.

La sentii annaspare, in affanno.
Mi eccitai di nuovo come un forsennato, quando mi schiacciò il viso contro di sé per farmi affondare in lei.
Aveva il sapore di quando l'Inferno si mette a scopare col Paradiso.
Una dannata propulsione orgiastica grande e potente quanto tutto il cielo dei Beati.

Poi, di botto, lei mi bloccò.
Quel corpo tenero, sodo e accogliente, divenne di marmo.
Mi costrinse a sollevare il busto e a raggiungerla ancora, mi baciò con un trasporto spaventoso, come se dovesse morire a momenti anche lei.

Sciolse quello scambio di fluidi dissennato e mi allontanò da lei, la sentii tirare su i jeans mentre io avevo le mani cariche di agitazione.
Preso dal panico e dallo stordimento, cercai di afferrarla e di inchiodarla di nuovo contro gli scaffali, ma lei mi sfuggì, approfittando di un mio momento di distrazione.
Non mi permise di farle oltre.

«Aspetta. Fermati..»

Ci fu un istante solo, in cui non oppose resistenza, in cui mi dissi che non avevo intenzione di lasciarla andare.
Mi diede un bacio soffice, umido.
Poi, il suo polso sottile e gracile mi scivolò dalle dita, il mio cuore si fermò e lei mi sfuggì.

La percepii allontanarsi e scappare da me, la porta chiudersi e bloccarmi l'uscita.
Rimasi a fissare il vuoto come uno stronzo, ma era tutto inutile: non sapevo in che direzione fosse andata, e se l'avessi cercata non l'avrei più trovata.
Un dubbio che avevo messo a tacere fino a quel momento con un'eccitazione da vertigini, mi assalì e cominciò a gridare.

Ero sconvolto.
Semplicemente sotto shock, con il respiro ancora in panne, il suo sapore ovunque, la voglia di scoparla che diventava ossessione e si impennava, scalpitava in me il bisogno di sentirla aprirsi fino in fondo. 
Recuperai la benda da terra, proprio lì sotto, dove ci eravamo avviluppati e poi avevamo fatto invidia al demonio: il tessuto profumava delle sue ciglia impregnate di lacrime di godimento.

Adesso riprenditi, sembri un ragazzino alla sua prima puttana.

Ma quella non era una stata una scopata, e non solo non lo era stata tecnicamente.
Era stato un banchetto di due bestie affamate.
E io da avido che ero, avrei continuato a cercarla ovunque, perché io in quell'attimo fuggiasco di lei avevo dimenticato persino il mio nome.

Scivolai con la schiena lungo il mobile e mi sedetti a terra, mi legai il tessuto in cotone dietro la nuca, infilandomi le dita tra i capelli.

Ci si poteva innamorare di una sconosciuta?

Il mio orgoglio diceva che era solo voglia di sesso, ma potevo ammazzarmi di seghe ma lei non si sarebbe più mossa dai miei pensieri.
Poi, la mia mano scivolò sul pavimento gelido in pietra ruvida, mi accovacciai con la patta ancora aperta, e fu lì che mi trovai tra le mani un piccolo oggetto metallico che mi rigirai tra le dita per capire cosa fosse.
Le era caduto davvero qualcosa dalla tasca dei jeans, non me lo ero immaginato.
Era gelido, a contatto con il pavimento, ma non riuscivo a capire cosa fosse quel piccolo oggetto stondato che apparteneva a lei.
Ma era tutto ciò che mi rimaneva per ritrovarla, o capire chi fosse.

Avevo bisogno di restare solo, ma avrei chiesto a Ryder di fornirmi tutti i nominativi delle ragazze che erano state lì.
A costo di doverle provare una ad una, provarle in senso biblico, fin quando non mi fossi tolto quel martello pneumatico nel cervello.

Mentre cercavo di capire cosa fosse, la tasca del mio telefono vibrò, più volte.
Mi tastai sotto la giacca, all'altezza del fianco, proprio sotto il telefono dove avevo posizionato la fodera.
Un momento di panico mi afferrò la gola, perché in quel momento mi accorsi che era vuota.

Cazzo, la pistola.
Quella stronza, chiunque fosse, mi aveva rubato la pistola.
Si era presa gioco di me in qualsiasi modo possibile, e io l'avrei trovata e l'avrei scopata a sanguinare.
Feci sbattere la testa contro il mobile, chiusi gli occhi e mi leccai le dita.
L'avrei portata nelle mie gabbie.

Tirai fuori il telefono, lo sbloccai con il comando facciale.
Una voce gracchiante e metallica lesse quel messaggio con tono totalmente asettico, perché lo chiesi personalmente all'assistente virtuale.
Rimbombò in quella stanza con il mobilio così minimale, e quella frase suonó alle mie orecchie come un incubo estraniante.

«Sono sulle tue tracce, fratellino del cazzo











HO SETE 🐦‍⬛
Non so voi.

Aiuto, vorrei farvi mille domande ma ho paura delle vostre risposte.
Questo spazio autrice sarà diverso dagli altri, perché ho tante cose da dirvi e non voglio farlo a scaglioni, ma lo farò molto presto..

Vi ringrazio per essere sempre qui, nonostante abbia ritardato con gli aggiornamenti.
Come sapete, ci sono ottimi motivi per cui l'ho fatto, ma voi siete sempre così speciali da comprendermi senza giudicare.
Questa storia diventerà sempre più torbida e perversa, non so bene in quali labirinti della mia mente finiremo, ve lo dico (in realtà lo so benissimo).
Accendete una stellina per una denuncia, perché mi volete bene nonostante tutto, perché mi odiate per i finali di capitolo, perché siete sicuramente più buone e meno sadiche di me 💜

Spero che abbiate passato un bel San Valentino (per me è solo una scusa per mangiare cioccolata), ma domani 16 Febbraio per me è una festa molto più importante: la festa degli amori impossibili.
Sono i miei preferiti.

Vi aspetto su IG per festeggiarli insieme 💜

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