The Voices I've Lost

By FallonA_Mitchell

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Non ho un nome. Non ho un'identità. Non ho più una voce. Sedici è tutto ciò che mi rappresenta. Un numero. Un... More

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By FallonA_Mitchell

«Sei il mio miglior successo, Sedici.» Il Dottore mi guardava con scrupolo.

Ogni angolo del mio corpo era per lui, per le sue mani e i suoi strumenti. L'Omone non parlava, ma mi teneva d'occhio. Non aveva più avuto il permesso di toccarmi, dopo che mi aveva rotto un braccio.

«Voglio fare di te qualcosa di potente e pericoloso. Una bomba pronta a esplodere, portando con sé tutto ciò che impara ad amare.» Il suo dito percorse la mia spina dorsale, dalla nuca fino alla base della schiena. Nuda. «Senza di me, non sopravvivrai mai. E io userò contro di te ogni briciolo di bontà che troverai nel mondo. Ti romperò e rimodellerò per come ti voglio. Un'arma perfetta.»

Non osai sbattere le palpebre. Lui non voleva. Quando la porta si aprì, entrarono due figure. Un uomo e una donna, troppo familiari per essere due persone a caso: mamma e papà.

«Guardali, Sedici. Ti hanno amato e tu li hai fatti solo soffrire.» I loro volti, a guardarli meglio, non erano come le foto che aveva trovato Riri. «Devi liberarli da quel dolore.»

Il dito riprese la sua strada, percorrendo all'inverso la mia schiena. M'impedì di concentrarmi su altro che non fosse quel movimento. Si fermò tra le mie scapole e s'ingrandì. Non era più solo una falange. Sembrava rotonda e con un buco al centro. Sentivo freddo in quel punto. Gli occhi iniziarono a bruciare e dovetti sbattere le palpebre un paio di volte. Di fronte a me non c'erano più i miei genitori. Al loro posto, mi guardava un ragazzo dai capelli lunghi e scuri. Il mezzo sorriso che mi rivolgeva sempre non esisteva più sul viso. Era terrorizzato e il suo sguardo cadde su qualcosa che tenevo in mano.

Un'arma.

«Spara, Sedici.» Chiusi gli occhi e tutto ciò che sentii fu uno scoppio.

Aprii gli occhi di scatto e mi sollevai a sedere. Mi guardai le mani con urgenza, il fiato pesante che sconquassava il petto. I palmi erano vuoti e io ero vestito. Sospirai, provando a regolare il mio battito frenetico. Inspirai e trattenni il fiato, quel che bastava per sentire i battiti rallentare. Portai indice e medio della mano destra sul polso sinistro. Contai i battiti e rilasciai aria. Ripetei la sequenza un'altra volta e mi sentii più calmo. Voltai il viso verso il lato di letto dove dormiva Trevor. Ero sollevato dal fatto che dormivo sopra le coperte, così non potevo disturbarlo troppo con i miei incubi. Purtroppo, però, lo trovai a occhi aperti, seduto con la schiena contro la testiera del letto. Aveva il viso stanco. Dovevo averlo svegliato da pochi minuti.

«Stai bene?» sussurrò.

Non mosse un muscolo. Non mi toccò. Ne fui estremamente grato: non sarei riuscito a sopportare il tocco di qualcuno al momento. Nemmeno il suo. Scossi la testa e abbassai lo sguardo. Una cosa che mi aveva insegnato il Dottore, era la sincerità. Se non fossi stato sincero, sarebbe stato peggio per me e non erano le cinghiate a spaventarmi. Nemmeno una doccia gelida. Erano le sue mani, oltre a quello che faceva al mio corpo, che io non potevo sopportare. Quelle punizioni erano le peggiori.

«Posso fare qualcosa?» Afferrai il mio cellulare e aprii la chat con lui.

No. L'incubo passerà.

«Ti va di raccontarmelo?» I miei occhi si abbassarono ancor di più e solo in questo momento notai una delle sue mani coprire l'altra, chiusa in un pugno. Era così stretto da rendere le nocche giallognole. Il lenzuolo che tratteneva sembrava acqua agitata ma immobile. Era arrabbiato.

Ho sognato il Dottore e i miei genitori. Mi obbligava a far loro del male.

Non volevo dirgli che mi obbligava a farne anche a lui. Vederlo nel mio sogno, terrorizzato da me, mi aveva fatto uno strano effetto. Avevo ancora la potenza di quelle sensazioni alla fine della gola, che la stringeva forte come una mano.

«Scoprire dei tuoi deve essere stato molto da digerire.» Annuii. Era vero: scoprire che anche io avevo una famiglia era stato... surreale. «Quel bastardo non farà del male a loro. Probabilmente non sa nemmeno della loro esistenza.»

Lo sperai. Anche se non li conoscevo e non avevo con loro un legame affettivo, mi sarei sentito in colpa se fossero stati feriti a causa mia. La luce calda della lampada di fianco a Trevor gli disegnava confini lungo tutto il profilo del corpo. Mi era ancora strano trovarmi con delle persone nel mio spazio vitale e mi spaventava ancor di più la facilità con cui sembravo abituarmene. Il Dottore avrebbe detto che abituarsi era un istinto di sopravvivenza innato in ognuno di noi. Mi rendeva forte. Eppure io volevo solo smettere di esistere.

Con un movimento che gli servì per sciogliere la tensione trattenuta nei muscoli, Trevor si alzò dal letto. «Bene, Rovere. Andiamo a prendere un po' d'aria.»

Tese la mano verso di me. Un invito. Mi piaceva la sua compagnia, ma non potevo fidarmi. Non dovevo...

Accettai.

∆∆∆

Sapevo che le luci della città si stavano riflettendo nei miei occhi. Non avevo mai visto così tante luci in un solo posto, così come non avevo mai visto così tante case. E macchine. E persone. Un leggero vento mi soffiava in faccia, dispettoso, ma non osai nemmeno una volta a stringere le palpebre per evitarlo. Lasciai che i miei occhi lacrimassero senza un vero motivo. Le mie dita stringevano il ferro della balaustra, alta quasi fino al mio petto. Era fredda e mi teneva ancorato alla realtà. Mi faceva venire voglia di gridare, lasciare che l'aria portasse via quel peso che la mia voce mancante ancora nascondeva. Trevor, al mio fianco, dava le spalle a quello che per lui doveva essere la normalità. Con la parte bassa della schiena era appoggiato al parapetto e guardava verso di me. Le mani nelle tasche e i capelli che fluttuavano ad ogni soffio dispettoso. 

 «Ti piace?» Il suo sguardo si tinse di curiosità. 

 Annuii e inspirai. I profumi e gli odori della città si scontrarono in fondo alla mia gola, creando una fragranza diversa ad ogni respiro. Ridacchiai. 

«Cosa c'è di divertente?» Tastai le tasche per cercare il cellulare ma non lo trovai. 

Aggrottai la fronte, confuso: credevo di averlo con me. Non avevo fogli o matite da poter usare. Il ragazzo se ne accorse e mi passò il suo dispositivo. Di nuovo, accendendosi, comparve l'immagine di una finestra colma di luce opaca. Al centro stazionava una persona, un ragazzo, con in mano un libro. La sua silhouette mi sembrò familiare, ma scomparve in fretta.

«Ecco, scrivi qui.»

I profumi sono divertenti. Sono tanti, strani. Un po' diversi. Non mi ricordano il sentore di alcool o disinfettante.

I muscoli della mascella s'irrigidirono, ma Trevor non mancò di mostrarmi un sorriso. «Se non sarà strettamente necessario, non dovrai più preoccuparti di sentire quegli odori.»

Accennai anche io una svelta espressione gioviale. La mia curiosità, poi, ebbe la meglio.

Che immagine è quella che ho visto prima?

«Quale?» domandò e pensai che facesse apposta a far finta di niente.

Pigiai il tasto di blocco due volte, quel tanto che bastava per spegnere lo schermo e riaccenderlo sull'immagine di cui parlavo. Un lampo oscuro passò nelle sue iridi, rendendole più buie. Pericolose. Tremai.

«Ah, questa.» Si morse il labbro inferiore, prima di prendere un respiro profondo e spiegarmi. Un po' alla larga. Al Dottore non sarebbe piaciuto. «Io, Riri e Jam ci occupiamo di queste compagnie da un po'. Chiunque conduca esperimenti non approvati. Siamo parte di una specie di lato segreto del governo. Indaghiamo e mettiamo fine a qualcosa che potrebbe essere una minaccia.»

Trevor riprese il suo cellulare e lo sbloccò. Andò in una cartella chiamata "galleria", dove comparvero tantissimi album di vari nomi, pieni di elementi. Immagini. «Abbiamo bisogno di prove e dobbiamo essere sicuri che siano affidabili al cento per cento. Per questo, mandano me. Sono l'uomo in prima linea. Quello molto importante, ma altrettanto sacrificabile.»

Con il dito sfiorò lo schermo e uno degli album rivelò il suo contenuto. Riconobbi il Dottore, in uno dei piccoli quadrati. «Jamie è il responsabile della squadra di soccorso, anche se preferisce cavarsela sempre da solo. Riri si occupa dell'informatica, come hai visto. È un vero genio. Ognuno di noi fa parte di gruppo più ampio, che opera su scala globale. Sventiamo solo alcuni dei laboratori. Purtroppo.»

Con pollice e indice afferrai la piega che la maglietta creava sul suo braccio piegato. Era calda. Tirai piano un paio di volte e indicai l'aggeggio elettronico che aveva tra i palmi. Me lo passò.

Cosa ne fate delle persone che portate via da lì? Le allontanate come avete fatto con me? 

Il contatto visivo durò solo un attimo, prima che Trevor abbassasse le sue iridi scure a terra e deglutisse. «No. Non sempre. Spesso arriviamo tardi per salvare davvero qualcuno, ma siamo riusciti a portare ragazzi e bambini in salvo, nel corso degli anni.» 

Non era felice di rivelarlo. Sembrava che il non salvare tutte le persone che voleva gli creasse un peso invisibile sulle spalle. Il senso di colpa per avergli ricordato quei momenti mi colpì nello stomaco.

Mi dispiace.

Il ragazzo scosse la testa e rivolse lo sguardo di nuovo a me. «Non è colpa tua. Sono gli ordini.» 

Nemmeno quello sembrava piacergli molto. Sperai che cambiare discorso lo avrebbe discostato da quei pensieri.

Cosa vuol dire che sei sacrificabile?

Trevor rise, abbassando il volto. I capelli sciolti scivolarono oltre le spalle e per un attimo gli nascosero i tratti. Allungai le dita e con attenzione spostai le ciocche fin dietro il suo orecchio. Un paio mi sfuggirono lo stesso, ma riuscivo a vederlo. E notai che si era irrigidito. Bloccato. Ritirai la mano e scrissi un veloce "mi dispiace".

«Non farlo.» mi guardò. Le parole quasi sussurrate. «Non dirmi che ti dispiace.»

Lo avevo fatto arrabbiare? Forse non voleva essere toccato e io non gli avevo nemmeno chiesto il permesso. Per un attimo, nelle sue iridi colsi la stessa aria famelica che notavo nel Dottore prima delle punizioni. Arretrai di un passo e gli consegnai il cellulare. La confusione spense quella scintilla bruciante ma non riprese l'oggetto. «Stai bene?»

Deglutii. Abbassai lo sguardo e mi feci piccolo piccolo tra le mie spalle. Con ancora il dispositivo tra i palmi, lasciai scorrere le dita sui suoi confini. Accennai un gesto affermativo e sperai che bastasse. Che ci credesse.

Passò un momento di silenzio, interrotto solo dal rumore della strada alcuni piani più in basso. Non osavo guardare più nulla, se non il pavimento grigio del tetto.

«Sono sacrificabile perché se non faccio bene il mio lavoro, potrei essere catturato. O morire. Avere delle prove è fondamentale. A volte servono registrazioni di situazioni estreme e per farlo ci vuole fegato. Se io mi spezzo, non è un problema. Si trova facilmente chi può rimpiazzarmi. Lo stesso concetto non vale per Jamie o Riri. Loro sono menti uniche. Insostituibili. Io proteggo anche loro.» Trevor per i suoi amici era come l'Omone per il Dottore.

Si prendeva cura della sua sicurezza a discapito degli altri. Ancora non sapevo, però, quanto dell'Omone ci fosse in Trevor. Sarebbe stato in grado di restare a guardare mentre una persona soffriva?

Trascorse ancora qualche minuto di silenzio. Mi sentivo a disagio dopo ciò che avevo fatto. Volevo rientrare e infilarmi nell'unico posto in cui mi sentivo davvero al sicuro: il mio letto.

«La foto che ho come sfondo, quella di cui chiedevi... sei tu. È una delle prove che ho raccolto durante il mio appostamento. Tu mi hai colpito fin da subito e ancora non so perché.» spiegò e le sue parole mi risultarono familiari.

Ricordai di averle lette nella sua prima lettera. La mia finestra lo aveva colpito, aveva rivelato. Volevo alzare lo sguardo e capire quale emozione balenasse sul suo viso, ma me lo proibii.

Possiamo tornare dentro?

«Certo, Rovere. Tutto quello che vuoi.»

∆∆∆

Faticai a riprendere sonno. Questa volta, non erano solo gli incubi a tenermi sveglio, ma anche la scoperta che avevo fatto su Trevor. Dentro di lui, da qualche parte, si celava qualcosa di ardente a cui ero stato abituato. Qualcosa che mi aveva sempre fatto paura. Tuttavia, al suo fianco, non provavo terrore. Non del tutto. Anzi, mi creava brividi di calore che percorrevano tutto il corpo. Anche ciò che mi aveva svelato su chi erano lui e gli altri continuava a tempestarmi nel cranio. Smisi di pensarci quando raggiungemmo Riri al tavolo, la mattina.

«Oh, mio Dio che bella dormita che mi sono fatta! Buongiorno ragazzi. Qualcuno di voi ha fame?So fare dei pancake talmente buoni che i morti resuscitano solo per averne un boccone.» Mi sorprendeva sempre sentirla parlare.

La ragazza era il mio opposto: io non parlavo e lei sembrava non smettere mai. Mi fece spuntare un sorriso sul volto. Poi un gemito infastidito catturò l'attenzione di tutti noi. Ci voltammo verso il divano e dal suo schienale comparve una testa piena di dreadlock. Così li aveva chiamati Jamie, quando mi aveva spiegato cosa fossero.

«Gesù, Riri! È a malapena l'alba. Puoi evitare di essere la mitragliatrice di parole che sei, per almeno un ora?» La voce del medico era impastata dal riposo.

La ragazza lo ignorò. «Ho caffè, tè, acqua, succhi di vari frutti, latte, energy drink... qualche super alcolico. Servitevi pure. Trevor, la dispensa è dove l'avete sempre tenuta, prendi quello che vuoi. Rovvy, tu mi aiuti a spadellare? Posso insegnarti.» Con il mio cellulare tra le mani, le chiesi cosa fosse spadellare. «Oh. Vedi, è un sinonimo di cucinare. Quando prepari il cibo in modo che possa essere mangiato. Con ingredienti uguali, ma in dosi diverse, puoi creare moltissimi piatti. Ti faccio vedere come si fanno i pancake, vuoi?»

Annuii e lei mi ordinò di stare al suo fianco. Seguii i passaggi e, nei momenti meno complicati, mi lasciava eseguire gesti semplici. Mescolai l'impasto e le passavo gli ingredienti, che poi pesava e univa in una grande ciotola.

Quando fu soddisfatta, mi fermò. «Così va bene. Adesso cuociamo questi pancake.»

Lo fece. Non capii come, perché non c'erano fiamme sul piano nero e lucido che usava per spadellare.

Eppure, dopo un po', tre grandi dischi di impasto cotto erano al centro del mio piatto. Lungo ogni lato del tavolo c'era una sedia per tutti noi. Trevor era alla mia destra, quasi attaccato all'angolo che ci divideva. Riri sedeva alla mia sinistra, ma al centro del lato più lungo. Jamie mi stazionava di fronte, con il viso di chi avrebbe voluto dormire più a lungo. I presenti iniziarono a spargere salse e condimenti sulla loro colazione. Li guardai, confuso e insicuro. Avrei dovuto farlo anche io? Il ragazzo più vicino, mi passò un contenitore di vetro.

«Questo è sciroppo d'acero. È dolce, ma se vuoi c'è anche del cioccolato.» All'ultima parola, sollevai lo sguardo fino a incontrare le sue iridi. Sapevo cos'era il cioccolato. «Vuoi assaggiare il cioccolato?»

Annuii e il mezzo sorriso che mi stava rivolgendo, divenne intero. Si allungò sul tavolo e afferrò un vasetto dalla postazione di Riri. Lo guardò come se fosse pronta ad azzannargli la mano. Tuttavia, quando Trevor fece cenno Verso il mio posto, l'espressione della ragazza si rasserenò.

Con il suo cucchiaino, il mio scarceratore prelevò un po' di crema dello stesso colore dei suoi capelli e me lo porse. «Assaggialo. Se ti piace, te lo spalmo sui pancake.»

Afferrai il metallo con le dita e lo portai alle labbra. Il sapore dolce esplose sulle papille gustative. La crema era densa e mi si attaccò al palato. Ma il sapore... così intenso, profumato. Mi venne l'acquolina e il resto della crema si sciolse. Deglutii. 

«Deduco che ti piace.» Trevor mi guardava meravigliato, così come Riri e Jamie.

Accennai un con la testa. Tenendo fede alla sua promessa, il ragazzo iniziò a spalmare un paio di cucchiai sulla mia colazione e poi mi lasciò mangiare, tornando a concentrarsi sul suo piatto. Notai il suo viso rilassato incresparsi per colpa di un piccolo sorriso soddisfatto, prima che si portasse in bocca un pezzo di soffice impasto cotto.

∆∆∆

«Bene ragazzi. Ho controllato l'edificio che hai quasi demolito e se ci fossero altri localizzatori nel corpo di Rovvy. Ho due notizie importanti da dare.» iniziò Riri, schiacciando pulsanti della tastiera del suo computer. Che parole buffe. «Non ci sono dispositivi di tracciamento e questa è una notizia fantastica. Quello un po' meno meravigliosa è che quel laboratorio è ancora in funzione. Stanno creando qualcosa.»

Trevor, con le braccia incrociate sul petto, strinse i muscoli coperti da maglia e pelle. «Devo tornare là. Non c'erano altri pazienti, ma se ne hanno trovati non possiamo lasciarli lì. Controlla se ci sono denunce per persone scomparse.»

«Già fatto e non risulta nulla. Terrò comunque un programma aperto in caso arrivasse qualcosa.» Lo sguardo di Riri era un po' più offuscato rispetto al solito, anche se la luce degli schermi illuminava il suo viso.

Subito dopo colazione si era messa a lavorare e dopo avermi scannerizzato con qualche aggeggio strano, aveva lasciato che mi mettessi sul divano a leggere. Eravamo rimasti solo noi due: Trevor e Jamie erano andati a comprare qualcosa per la casa e i prossimi pasti, oltre a controllare che gli scagnozzi del Dottore non fossero nelle vicinanze. Al loro rientro ci dissero che era tutto a posto e ora, Trevor era pronto a uscire di nuovo.

«Ci vogliono ore di viaggio per tornare al laboratorio e la casa sicura è stata scoperta. Non puoi tornarci ora: potrebbe essere una trappola.» s'intromise Jamie.

Si avvicinò all'amico e gli posò una mano sulla spalla. Con il suo tocco non ci furono reazioni: Trevor non si irrigidì e non lo guardò come se volesse sbranarlo. Non sembrava un animale nascosto nella pelle di un uomo, come successo con me. «Lo sai che devo. Andrò da solo, così sarà più facile nascondermi. Darò solo un'occhiata, poi torno qui.»

La rassicurazione non funzionò. Jamie si lamentò di nuovo e Riri si trovò a stillare una lista di pro e contro sulle mosse da attuare. Dopo quasi mezz'ora non si era ancora arrivati a un accordo unanime.

«Ascoltate, nelle ore di viaggio potrebbero arrivare denunce. Se partissi solo quando sono state comunicate alle autorità locali, potrei perdere del tempo prezioso. Tempo che potrebbe servirmi per salvare quelle persone.» Il tono era austero. Serio e severo. «Se al mio arrivo non c'è stata ancora nessuna denuncia, controllerò l'esterno, la nostra casa e farò dietro-front. Così è deciso.»

 «Dobbiamo darti la nostra approvazione per andare. Non puoi lasciarci qui senza che qualcuno prenda il tuo posto.» ribatté l'amico.

Trevor lo fulminò con lo sguardo. «Non ti ha dato fastidio restare solo quando sono andato aliberare Rovere, però.»

«Perché sapevamo per certo com'era la situazione al momento. Ora è un'incognita.»

«Se non vado a controllare, rimarrà sempre un'incognita.»

Riri si alzò dalla sua sedia e si frappose tra di loro. «Dio, ragazzi. Quanto testosterone in questa stanza. Smettetela o potrei innervosirmi anche io.» Si girò verso Jamie e gli puntò l'indice contro il petto. «Se ti fa sentire più tranquillo, ci sono agenti qui vicino. Possono darci protezione loro.»

Poi si voltò verso Trevor e compì lo stesso gesto sul suo petto. «Per quanto riguarda te, quello che vuoi fare è pericoloso e sconsiderato. Non stai preparando un piano come si deve e, prima che m'interrompi, potrei avere una soluzione.» La ragazza aspettò che l'amico le dicesse qualcosa. Trevor annuì solamente. «Ottimo. Ho un drone che si collega a varie distanze e vari dispositivi. Se lo collego al tuo cellulare, può rilevare immagini in movimento fino a diecimila metri da dove ti trovi tu. Grazie alla connessione internet del tuo dispositivo, vedremo anche noi in tempo reale cosa succede. E, se avrai bisogno di supporto, dovrai aspettare molto meno, rispetto al partire senza un'adeguata preparazione.»

Non capii una sola parola, ma sembrava fosse un discorso azzeccato. O, per lo meno, il migliore negli ultimi trenta minuti. Anche Jamie sembrava pensarla come me e lui aveva capito tutto. Ne ero certo. Alla fine, Trevor sbuffò e accordò il piano. Non poteva partire subito, perché avrebbe dovuto aspettare il suo rimpiazzo. Mi aspettavo un altro ragazzo, simile al mio scarceratore, invece, dopo alcuni colpi alla porta, scoprii che si trattava di una donna.

«Raquel! Da quanto tempo!» La voce era leggermente rauca e il tono di superiorità sfiorava le corde vocali.

La ragazza che avevo imparato a conoscere s'irrigidì. «Già. Come mai hanno mandato te?»

Una nuvola di capelli giallo chiaro entrò dalla soglia e scandagliò ogni metro in cui vivevamo al momento. «Beh, sai... per sostituire Travis devono mandare la migliore.»

I suoi occhi si fermarono su di me proprio nel momento in cui pensai che non mi piaceva il modo in cui aveva appositamente sbagliato il nome di Trevor. La sufficienza che inclinava le labbra era fastidiosa, ma rimasi stretto nelle mie spalle. La vita mi aveva insegnato che reagire mi avrebbe messo in situazioni ben peggiori.

Il ragazzo dai capelli lunghi compì un passo in mia direzione, con l'intento di nascondermi almeno in parte dalle iridi verdi della donna. «Appunto. Mi aspettavo la migliore. Dov'è Kara?»

Solo due volte avevo sentito Trevor così autoritario. Era sicuro delle parole che lasciavano la sua gola e anche il suo intero corpo ostentava fiducia. Nonostante la sua voce, non mi sentii in pericolo.

La donna, ancora senza nome, sorrise furba in nostra direzione. «Kara è in missione.» Mi guardò. «Ma che sciocca, non mi sono nemmeno presentata.» Si avvicinò a me, ma il ragazzo emise un verso di avvertimento. La donna si fermò. «Io sono Audrey. E tu sei..?»

«Un civile di cui non devi preoccuparti.» s'intromise il muro di carne e tessuti tra me e lei.

Gliene fui grato. La curiosità si mostrò con un lampo negli occhi della nuova arrivata. «Ma che meraviglia. È il tuo nuovo animaletto, Trevor?»

Ogni muscolo nel corpo del giovane s'irrigidì e ondate di rabbia si diffusero nell'ambiente. «Non chiamarlo mai più così.»

«Sono certa che sappia difendersi da solo, vero tesoro?» La guardai confuso.

Cos'era tesoro? Era qualcosa che aveva a che fare con una scoperta? Il mio silenzio fece vacillare il suo sorriso, ma non avevo voglia di parlare con lei. Nemmeno tramite messaggi. Si stava comportando male e lo percepivo da tutti i presenti che conoscevo. Senza degnarla di una risposta, Trevor le diede le spalle e mi fece cenno di entrare in camera. Eseguii volentieri il consiglio e, per la prima volta, desiderai avere una porta. Uno spesso strato in metallo che ci avrebbe separato da quella fastidiosa presenza.




Spazio autrice

Oggi ho poco da dire 🙈 Cosa ne pensate di questo capitolo?
Noi ci vediamo nel prossimo capitolo 🫠
Ve se ama, come sempre 🤍

-Fallon

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