PRICELESS

Par JennaG2408

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"Le cattive abitudini generano pessime dipendenze" ๐ŸŒ˜Dark romance ๐Ÿ”žForbidden love ๐Ÿ’ฐCrime romance ๐Ÿ“š SCELTA... Plus

Avviso
C'era una volta una dedica
PARTE I
Prologo Lea
Prologo Trevor
1. FACCIA DA STRONZA
2. Finchรฉ qualcuno non ti compra
3. Fallo stabilire a me
4. Cosรฌ poco di lei, cosรฌ tanto di suo padre
5. Se l'orgasmo fosse un suono
6. Mi aspettavo di meglio
7. La sua degna erede
8. Un errore da 15 dollari
8.1 L'autrice si รจ dimenticata un pezzo di capitolo.
9. Tienila d'occhio
10. Non รจ Trevor
11. Non vali cosรฌ tanto
12. L'anomalia emotiva
13. Il valore dell'innocenza
14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.
15 Stasera quello rosso
16 Il mese prossimo potremmo essere morti entrambi
17 Non puoi urlare
18 La Dea piรน capricciosa dell'Olimpo
19. Aspettami senza far danni (parte1)
20 (parte2)Sei tu, la mia sola cosa importante.
21 (parte 3) Seppelliscimi con le scarpe giuste
22 (ULTIMA parte) Voglio sapere se posso urlare.
23 Who needs a boyfriend when you have puppies?
24 Sei uno stronzo fortunato, Trevor Baker
25 Ogni regina ha il suo scettro
26 Non puoi toccarla
PARTE II
27 Stanco, ma non di lei
28 La prossima volta ti farร  male
29 Un nome per il sesso e uno per l'amore
30 Dolce figlia di un figlio di puttana
31 Ah, Auguri.
32 Quello che sta intorno al cuore
33 L'inferno non va bene per Sebastian Baker.
34 Non sempre un uomo di successo รจ un uomo di valore
35 Fragola, cioccolato e una goccia di veleno: mortale tentazione
36 Non fare di lei la tua Harley Quinn
37 Due affamati nello stesso letto
38 Niente di male a sanguinare un po'
39 E comunque questo รจ un Valentino, stronza.
40 Cattive intenzioni e voglie pericolose
41 La mia bambina non si tocca
42 Scorre sangue immondo
43 La sua pelle e la mia fame (parte 1)
44 Groviglio di carne e abbandono (parte 2 )
45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)
46 Il sesso come strumento di guarigione
47 Facciamo finta di no
48 Tutti i per sempre portano il nostro nome
PARTE III
49 Quello che sono disposto a fare per te
50 Scelgo il profano e il blasfemo
51 Il sapore di una truce Apocalisse
52 Non abbastanza. Punto
53 Eppure Lea รจ viva
54 Effetto domino
55 Cinquanta sfumature di BlueDomino
56 Londra รจ la mia puttana
57 Questo non puรฒ essere peggio
58 Gli affetti veri muoiono, quelli falsi uccidono
59 Innalzare le mie depravate pulsioni
60 Non c'รจ differenza tra una danza e una guerra
61 Benvenuti a tutti quelli come noi
62 Dimmi cosa ti ha fatto
63 Fammi male
64 Io mi salvo da sola
65 Mister SeLaTocchiTiUccido
66 La differenza tra stimolare e godere
67 Il grillo che mette nel sacco il gorilla
68 Pietร  e rispetto
69 Non ti darei mai meno di tutto
71 Stavolta puoi urlare (parte 2)
72 Non lasciarmi solo
73 Ci sarรฒ sempre
74 Stai attenta, bambina
75 Piรน incazzato che lucido
76 Scolpiranno il mio nome sulla tua carne
77 Domani รจ giร  arrivato
78 Sembra un addio, signor Baker
79 Esisti per me
80 A fanculo un'ultima volta
81 Non morire senza di me
82 Soffrire ancora un po'
83 Mentre fuori il mondo cade a pezzi
84 Quella vita non รจ mai la tua
85 Ma tu non ci sei (parte 1)
86 Scopami nel modo sbagliato
87 UNLOCKED
PARTE IV
88 Morirรฒ da re
89 Sono il vostro dio
90 Uno stronzo senza cuore
91 Tre baci sulla punta del naso
92 Un sollievo breve e inaspettato
93 Ciรฒ che mi รจ dovuto
94 Ci sarรฒ io, con te
95 Roba cosรฌ
96 Nessuno di noi avrร  conti in sospeso

70 Incassare, elaborare, espellere (parte 1)

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Par JennaG2408

La bugia è un vizio che ho sempre stimato, se perpetrato come si deve. Una menzogna ben rifilata ha quel non so chè di sensuale e sporco. Le donne che sanno mentire molto bene mi hanno sempre arrapato da morire. Lea mentiva da schifo eppure mi arrapava lo stesso perché lo faceva malissimo ma con convinzione. In ogni caso Lea era arrapante anche mentre respirava, per me.

Ero quindi un grande seguace dell'imbroglio, la Discordia era una dea cui ero devoto, e sapevo di essere uno dei suoi più bravi profeti: spandevo il mio falso verbo con soddisfazione, seminavo bugie da così tanto tempo che ormai era impossibile fermarne la proliferazione.

Tanto Lea faceva schifo a raccontare falsità, tanto io ero bravo a riconoscerle e ad affibbiarne agli altri. Ma c'era un ambito in cui mentivo peggio di lei, uno in cui non avevo scampo, uno in cui avevo due formidabili alleati nella vita che mi tradivano involontariamente ma inesorabilmente: nel sesso venivo tradito dal cazzo e dalla vena sul collo.

E l'esperta del sesso deprecabile, bugiardo, corrotto era Lea, che lo aveva conosciuto e inseguito e venerato fino a restarne prima incantata e poi vittima.

E quindi sapevo bene che in lei si era insinuato qualcosa tanto quanto un qualcosa si era insinuato dentro di me. Non aveva smesso di sorridere, non aveva smesso di farmi domande, non aveva smesso di mostrare entusiasmo per quel viaggio, mentre prendeva confidenza con un volo lunghissimo che diventava sopportabile grazie ai Martini che generosamente le servivano le hostess e le concedevo io.

Scopare in volo era stata una cazzata ma io avevo così voglia di lei che non avevo saputo resistere all'aroma del suo corpo frizzante che voleva a tutti i costi incastrarsi di nuovo con il mio.

Come cazzo potevo resisterle ancora, dopo giorni e giorni in cui avevo avuto modo di starle lontano almeno mentre lavoravo alla Tower?

Venticinque ore di volo, e dopo tre le avevo già infilato dentro l'uccello.

Una stronzata, una grossa, che avevo potuto camuffare concedendole di stare sopra, confidando nella scomodità del contesto.

Ma Lea era un fottuto segugio, aveva annusato la mia reticenza in certi aspetti prima ancora che ne potessi prendere consapevolezza io.

Avevo letto il biasimo nella sua espressione insieme allo spandersi dell'orgasmo, il piacere che si faceva largo sgomitando con la frustrazione.

Che era poi la stessa condizione con cui avevo dovuto fare i conti io, riversandole nella pancia un amplesso rassegnato.

Sapevo che la mia regina mi avrebbe presentato il conto, che avrebbe voluto capire, avrebbe dichiarato guerra alla mia condizione emotiva nei suoi confronti.

Ma mi sentivo morire alla sola idea di doverle dire cosa fosse accaduto e cosa ne fosse scaturito. Il semplice fatto che mi sentissi in quel modo e per quel motivo, faceva incazzare me, figuriamoci come avrebbe fatto sentire lei.

Dovevo solo lavorarci un po' su, elaborare il fatto che mi avesse toccato nel modo in cui aveva toccato l'agente Gessi, che mi avesse parlato come se fossi lui, che si fosse comportata con me come aveva fatto con quello stronzo. Come lui le aveva insegnato a fare.

Dovevo dimenticare la sensazione della sue dita che mi appiccicavano addosso gli avanzi degli abusi e le colpe dei nostri padri.

Sapevo che la mia cosina preferita, con me, non provava niente che fosse anche solo lontanamente paragonabile a quello che le aveva fatto provare Matteo Gessi, ma ne ero condizionato lo stesso.

Avevo assistito all'abuso che quella merda di Viktor le aveva inflitto, ma l'avevo anche vista resistervi con un dignità divina e infrangibile. Non si era né piegata né spezzata, aveva incassato, elaborato ed espulso. Lo aveva fatto a modo suo, lo aveva fatto in buona parte sotto la mia doccia, ma lo aveva fatto. Quantomeno, Cristo di Dio, Viktor non aveva provato a camuffare lo schifo che le aveva fatto.

Matteo Gessi, invece, aveva chiamato i suoi abusi in un sacco di modi che avevano a che fare con l'educazione e a quelle bugie, la mia bambina, aveva in un qualche modo creduto. Aveva sicuramente dubitato, ma il danno era fatto.

E il danno lo avevo visto, sentito, lo avevo indossato insieme a lei, che mai avrebbe voluto condividere quelle sensazioni, quei frammenti di immeritate umiliazioni.

Dovevo solo fare come Lea aveva fatto con Viktor: incassare, elaborare, espellere.

Se ce l'avessi fatta in poco tempo, Lea non avrebbe cercato risposte. Avremmo avuto di nuovo il nostro sesso audace e tenero, brutale e profondo.

E sarebbe andato tutto bene senza affrontare altri cazzo di traumi.

Lea mi concedette quella possibilità, in effetti. Non ebbe bisogno dello Xanax nemmeno dopo lo scalo. Nell'ora e mezza che trascorremmo a Dubai aggiornò di nuovo il profilo Instagram. In poche ore, avevamo racimolato quasi diecimila follower. Lei ne fu soddisfatta, ma io sapevo che non erano abbastanza.

La lasciai pasticciare con le foto e le stories e altre puttanate mentre io boicottavo i contenuti social di mezzo mondo per dare risalto ai nostri. Sì, stavo barando hackerando i social.

Dopo un paio di selfie e un video nel quale cercò di farmi ridere facendo le smorfie più stupide e adorabili mai nate su un volto umano, mi chiese se fosse normale che i nostri bagagli non facessero lo scalo insieme a noi.

«In realtà saliremo sullo stesso aereo di prima, quindi i bagagli restano a bordo. Tutti tranne i nostri.»

«Perché?»

«Perché i nostri non sono a bordo.»

«E dove sono?»

«Su un altro aereo, diretto in Italia. In Australia è quasi estate, quindi quasi niente di quello che avevi in valigia era adatto. Nella mia ho messo roba adatta alla stagione che troveremo in Italia e non avevo voglia di farne un'altra.»

Mi guardò tutta concentrata. «Andiamo in Australia senza nemmeno un paio di mutande di riserva?»

Era seduta accanto a me, e trovai insopportabile che non fosse seduta sopra di me. Quindi pretesi di averla addosso prima di dare spiegazioni. Mi soddisfò con piacere.

«Andiamo in Australia con la mia carta di credito e le mie app di pagamento virtuale.»

«Che è un modo per dire che dovremo comprare tutto.»

«Non fingere che ti dispiaccia, miss.»

Smise di fingere e mi sorrise prima di abbracciarmi in quel modo carico di cose belle che avrebbe fatto invidia anche al sacco magico di Babbo Natale.

In aereo si nutrì in modo decente, ordinando un' omelette. Quando arrivò, però, notai che c'era qualcosa che non la convinceva.

«Sputa il rospo, miss.»

Sembrò indecisa, ma alla fine cedette ai suoi vizi. «Mi piace con tanto formaggio, tanto da vederlo colare fuori e gocciolare nel piatto.»

Figuriamoci se non ero più che disposto ad accrescere i suoi bellissimi vizi fino a farli esplodere. Ordinai un' omelette con doppio formaggio e io mangiai la sua. Ricordo benissimo il sorrisone grande che fece nel vedere il formaggio colare da tutte le parti e la frase con cui commentò quel pasto semplice. «Sto mangiando un piatto francese su un aereo arabo partito dal Regno Unito diretto in Australia. Mi fai girare il mondo in tutti i modi.»

«E tu mi fai girare la testa in tutti i modi. Potrei portarti dal Polo nord al Polo sud scavando un tunnel lungo l'asse terrestre con le mani solo per vederti sorridere ancora così.»

Smise di masticare per un attimo. Mi guardò con gli occhi lucidi. Poi inghiottì il boccone e disse: «Anche io lo farei per te.»

Ovviamente era la verità.

Guardammo un film dimenticabile, infatti non me lo ricordo.

E poi la mia bambina mi si addormentò addosso serena, si svegliò per vedere l'alba dall'oblò e poi tornò a regalarmi la pace appoggiando di nuovo il suo corpo al mio.

Infine, arrivammo a destinazione.

E in albergo le cose...non è che si complicarono.

Però, ecco...diciamo che si fecero interessanti.

***

Avevo conosciuto l'amore in modi strani, e avevo perso quasi tutti quelli che avevo amato fino a quel momento, ad eccezione di Denis e di Trevor.

Ma qualcosa lo avevo capito, sull'amore: è come un grande contenitore pieno di altri sentimenti che non voglio definire secondari, ma consentitemi di definirli complementari o derivanti da esso.

Ce n'era uno di questi che non avevo mai avuto il tempo di sperimentare: la gelosia.

Non ero stata gelosa di Denis, perché mi aveva fatto credere di amarmi in un modo che non poteva comprendere la carne. Non ero stata gelosa di quel ragazzino magro e romantico che mi aveva conquistata offrendomi un pacchetto di crackers alla pizza durante l'intervallo, perché me lo avevano ucciso prima che smettesse di guardarmi come se fossi un sacchetto pieno di gemme preziose che non avrebbe mai più trovato se avesse spostato gli occhi da me. Non ero mai stata gelosa di Matteo Gessi, perché non lo amavo. Non ero stata gelosa di Mami, perché mi aveva amato al di sopra di qualunque altra cosa.

E fino al giorno in cui misi piede a Sydney, non ero stata gelosa di Trevor, perché le donne lo ammiravano da lontano con un misto di devozione e terrore, e lui non aveva mai mostrato interesse per qualcuna che non fossi io.

Avrei dovuto immaginare che quella condizione privilegiata era destinata a finire.

Accompagnati solo da un autista privato che non assomigliava affatto ad Andrey, dal bagaglio a mano e da un jet lag importante, ci spostammo dall'aeroporto direttamente al Four Seasons Hotel di Sydney.

La hall era chiaramente elegante, ma tutto quel legno e quei lampadari di cristallo avevano un sapore antico che non c'entrava un bel tubo di niente con il brio di una delle città più giovani del pianeta. Il confronto con il lampadario colorato e originale del Baker Hill fu impietoso, per il mio gusto personale.

Comunque dell'albergo non mi fregava un cazzo, quindi seguii Trevor alla reception mentre il personale si occupava del piccolo bagaglio che non conteneva quasi nulla.

E quello che vidi dietro il bancone mi risvegliò dal torpore del viaggio e del fuso orario. Risvegliò anche Trevor, che ben pensò di mettere in chiaro le cose prendendomi per mano con un certo ritardo rispetto a quanto era accaduto a Milano, dove si era ricordato dell'importanza delle apparenze ben prima che fossimo dentro l'hotel.

E a Sydney, dove le apparenze non esistevano, dato che eravamo ormai i Levor per mezzo mondo, trovai sospetto che l'uomo che mi aveva regalato un sacco di cose uniche al mondo per tenermi in vita decidesse di prendermi per mano proprio quando eravamo ormai giunti a un bancone dietro al quale l'attendeva una hostess infinitamente figa, estremamente bionda, particolarmente tettona, fastidiosamente sorridente. Ci diede il benvenuto con il suo british perfetto, privo di qualunque inflessione straniera, ma se avesse potuto strappare via la camicia a Trevor con la forza del pensiero, l'avrebbe fatto. Fu odio a prima vista. E fu reciproco, a giudicare dall'occhiata che gettò alle nostre mani intrecciate e all'anello che pensai bene di schiaffare sul ripiano, allargando le dita come se dovessi lasciarci l'impronta.

«Buongiorno Kate, ho prenotato la solita suite.»

La solita suite.

Ma soprattutto Buongiorno Kate stocazzo!

Ora, ci sono cose che solo una donna può comprendere. Gli uomini sono troppo stupidi o troppo istintivi, ma più probabilmente troppo stupidi, per cogliere certi meccanismi.

La bionda aveva la targhetta con il nome appiccicata su una delle noci di cocco che aveva strizzato nel reggiseno, e diceva Kateleen, non Kate. Quindi Kate sta minchia.

E potevo sorvolare sul fatto che l'avesse riconosciuta senza leggerle il nome sulla targhetta, perché per quanto stupidi, gli uomini non si mettono a leggere targhette appiccicate alle tette di un'altra mentre sono con la propria partner. E quindi ok, non era stato così pronto da chiamarla "miss", o non chiamarla affatto, ma apprezzai l'intento di non scontrarsi con le due bocce che lei invece faceva di tutto per far rientrare nel campo visivo di Trevor.

Non potevo però sorvolare sul sorriso di lei.

Perché era quel sorriso lì.

Dai, il sorriso che dice tutto, che evoca ricordi, che strizza l'occhio a un'avventura da fuochi d'artificio. Eppure, sarebbe potuto essere un fastidio passeggero, dato che né io né Trevor avevamo trascorso la vita a tenerci le mutande addosso.

Ma il problema fu il modo in cui lei guardò me. Il suo sorriso si spense sotto un fiotto di sconcerto, la sua fronte si aggrottò come se avesse appena visto Obama portare a spasso Peppa Pig. Vidi un moto di tenerezza attraversarle lo sguardo. Chinò la testa e sbatté le ciglia come se stesse immaginando la mia sonora sconfitta con un dispiacere frutto solo dell'insoddisfazione causata da una vittoria così poco impegnativa.

Fu un conflitto che nacque e crebbe in meno di due secondi, e il modo in cui Trevor si schiarì la voce per richiamare l'attenzione di KateleenTetteFinteESorrisoEbete nulla poté per spegnere un incendio che era già divampato.

«I nostri documenti, Kate» le disse allungando i passaporti sul bancone.

La troia prese solo il mio. Inspirai così rumorosamente che Trevor mi strinse più forte la mano, nel disperato tentativo di soffiare sulla mia fiamma.

Fummo registrati, e nell'allungare di nuovo i nostri documenti a Trevor, Kate mi dichiarò guerra.

«Nel frigo ho fatto mettere il suo solito Macallan, signor Baker. Ho provveduto personalmente a preparare la suite affinché sia tutto come lo desidera lei. Trova ogni comfort, anche le lenzuola che lei ha tanto gradito l'ultima volta...»

Afferrai io sia i documenti che la tessera per l'apertura della suite. «Il Macallan non va conservato in frigo. Per le lenzuola, le farò sapere se sono comode. Lo stesso vale per il divano, il ripiano del lavandino, il pavimento della zona living...»

«Facci avere una bottiglia di Martini, Kate» s'inserì, a tradimento, l'oggetto della contesa. Fu un ottimo tentativo di siglare la pace, da parte sua. Ma la rivalità tra donne alfa non può avere termine per mano di un uomo.

«Sì, Kate, fammelo avere. E non va in frigo neanche quello, ricordatelo.»

Kateleen annuì con un cenno della testa, troppo piccola rispetto alle tette.

Sì, ero ossessionata dalle sue palle da bowling.

Trevor s'incamminò verso l'ascensore, già pronto ad accoglierci. Quando mi girai vidi la stronza fare una smorfia scocciata nella nostra direzione.

Avrei scommesso la password del mio pc che mi avesse dedicato anche un dito medio non appena si furono chiuse le porte dell'ascensore.

«Mi hai portata in un albergo in cui hai scopato con le dipendenti, Trevor Baker?»

«A quanto pare sì, mia regina. Avevo... come dire... rimosso l'evento?»

Lo guardai attentamente, e lui come al solito non tradì assolutamente nessuna emozione. Quando Trevor voleva celare quello che pensava, l'unico modo che avevo per smascherarlo era sfilargli i boxer. Non era quello un contesto in cui potevo mettere in atto i miei intenti inpudici.

«Non ricordavi di esserti sbattuto una tettona di un metro e ottanta nelle "gradite lenzuola" di un hotel di lusso a Sydney?»

Si strinse nelle spalle. «Non è stata una prestazione memorabile, la sua.»

Le porte si aprirono e uscii non molto rassicurata dalla sua risposta. «La tua sì, evidentemente.»

Naturalmente, presi una direzione a caso. Risultò quella giusta, ma Trevor mi afferrò per un polso quando fummo davanti alla porta giusta.

PRESIDENTIAL SUITE.

Figuriamoci.

Trevor aprì ed entrai. Grande, luminosa, circondata da vetrate che fornivano una vista a 360 gradi che abbracciava l'Opera House e L'Harbor Bridge. Il mobilio era tanto lussuoso quanto anonimo nella sua modernità. Ma la vista... la vista era spettacolare. La baia di Sydney era ai nostri piedi.

Persi un battito nell'ammirare un panorama che fino a trenta ore prima ero certa non avrei mai visto dal vivo.

Poi mi ricordai di essere una stronza in preda a una crisi di gelosia.

«Te la sei scopata qui, vero?»

«No.»

«No? Devo credere che in precedenza tu ti sia accontentato di qualcosa che non fosse una suite presidenziale del cazzo?»

«Era una suite presidenziale. L'altra, dato che questa non era libera. Questa è più grande.»

Vidi il nostro bagaglio appoggiato accanto al divano.

«Sei gelosa, miss?»

Mi abbracciò da dietro e il calore del suo corpo mi avvolse come una coperta. Mi baciò sul collo, e già sentii i muscoli arrendersi a una nuova e più rilassata condizione. Infine, dissi la verità, che tanto non aveva senso mentire.

«Sì.»

«Perché?»

Ci pensai un po' su. «Perché è bellissima. Perché parla un british così fine che mi sono bagnata anche io. Perché ha due tette che le invidierò fino alla tomba. E poi perché ti ha guardato in quel modo... inequivocabile. È il modo in cui le donne guardano l'unico maschio alfa che ha regalato loro un orgasmo come si deve.»

Sentii il suo sorriso allargarsi contro la pelle sottile del mio collo. La barba mi grattò e io avevo già voglia di scoprire cos'avevano quelle lenzuola per essere così gradite.

«È bellissima, ma non quanto te. Il suo british è fine, il tuo è porno. Le tette sono notevoli, non c'è che dire, ma preferisco scoparmi il tuo culo. L'orgasmo come si deve lo ha avuto solo lei, altrimenti non avrei rimosso l'esperienza così facilmente. E anche io guardo te in modo inequivocabile, dato che sei l'unica donna alfa per cui ho sputtanato una ventina d'anni di lavoro.»

Mi rigirai tra le sue braccia per affondare le mie inutili insicurezze nel suo petto accogliente.

«La odio lo stesso. È un problema grande?»

Mi passò le mani tra i capelli.

«No, ma non c'è bisogno di essere gelosa, Lea.»

«Dì la verità, mister DistribuiscoOrgasmiIndimenticabiliMaIoLiDimentico, stai gongolando.»

Mi soffiò l'ombra di una risatina sulla nuca, la sentii morire nel suo sterno. «Un pochino, amore mio. Un pochino gongolo, a sapere che anche tu vorresti avere l'esclusiva su di me quanto io la vorrei su di te.»

«Comunque una che mette il Macallan in frigo fa cocktail peggiori dei miei, garantito.»

Mi alzò il mento con due dita e si abbassò per baciarmi sulla fronte. «Probabile, miss, probabile. E ora, che dici se andiamo a fare un po' di shopping? Siamo a corto di... beh, di tutto.»

«Posso comprarmi due tette grosse come le sue?»

Mi sorrise e mi strinse i fianchi un po' più forte. «Puoi fare quello che vuoi con il tuo corpo, Lea, purchè tu ne abbia cura. Ma se vuoi il mio parere, sei perfetta così.»

Sospirai, pensando a quanto la tettona bionda sarebbe stata meglio di me nei selfie accanto a Trevor su Instagram. Fatto sta che nei selfie c'ero io e fanculo le sue mammelle.

«Ok, allora mi limiterò a biancheria intima, abiti e... credo sia il caso di comprare una valigia per riportare la roba sul volo di ritorno.»

«Credo anche io.»

«La posso prendere con le rotelle che girano in tutte le direzioni? La valigia, intendo. Me la pago.»

Non sembrava granché intenzionato a lasciarmi andare, e a me stava poi bene riempirmi la bocca di cose frivole mentre mi stringeva ancora un po'.

«A parte che se te la paghi non devi chiedere il permesso a me. E comunque te la compri come vuoi e usiamo la carta di credito black della Baker Society.»

«La carta di credito black?»

«Sì.»

«Allora la prendo blu e sbarluccicosa con la rotelle che girano.»

«Va bene. Poi abiti comodi, un po' di bikini, e qualcosa di carino per la sera, bambolina, ok?»

Annuii con la testa, ma prima di decidermi ad allontanarmi da lui mi lasciai stringere ancora un po'.

Il fatto è che Kate, oltre a poter sfoggiare due tette abbastanza grandi da oscurare il sole in una giornata di luglio, era una cazzo di donna alfa, ma di quelle che mentono benissimo come piace a me, ti guardano come se potessero succhiarti l'uccello con gli occhi come piace a me, ti parla come se volesse farti venire nelle mutande con la voce come piace a me, si muove come se sapesse di avere ben poche rivali e anche questa è una di quelle cose che piace a me, ma poi scopa come una ragazzina che a letto si limita ad allargare le gambe e questa, porca puttana, è una di quelle cose che non mi piace proprio per niente.

Poi per carità, quella notte di quasi tre anni prima me l'ero rigirata in parecchi modi e lei si era lasciata fare tutto, ma se non fosse stato per quelle tette che rimbalzavano come palloni da basket a ogni mia spinta, la prestazione sarebbe stata insufficiente oltre che noiosa.

Naturalmente, se avessi ricordato che c'era il rischio che Lea incrociasse tra le dipendenti del Four Seasons una donna che ci lavorava e che mi ero portato a letto, avrei optato per un'altra struttura: a Sydney non mancavano di certo gli alberghi a cinque stelle che affacciavano sulla baia e che offrivano suites con vista sull'Harbor Bridge e l'Opera House. È pur vero che c'era una Kate che mi ero sbattuto in quasi tutte le strutture... ma ero quasi certo ci fossero un paio di cinque stelle in cui non avevo trovato una dipendente di mio gradimento in cui infilare l'uccello.

Comunque, il fatto è che Kate aveva gradito un po' troppo la nottata, e mi aveva cercato per qualche settimana dopo il mio ritorno a Londra. Si arrese al mio ostinato silenzio quando ero ormai pronto a dirle che la mediocrità non faceva per me, anche quando aveva due tette portentose.

Ebbi la possibilità, quindi, di non dimostrarmi cafone.

Lea, con il suo fìsichino asciutto, si era forse sentita oscurata dall'aspetto travolgente di Kate, ma la mia cosina dai capelli rossi pareva nata per farmi godere in ogni livello d'esistenza e non c'era rivalità al mondo che dovesse anche solo temere.

Per pura comodità, ci facemmo accompagnare al Westfield di Sydney, dove avremmo trovato sostanzialmente tutto quello che ci serviva senza vagare per la città. Il viaggio aveva comunque spossato Lea, per niente abituata ai voli e ai jet lag, e a tenerla in piedi erano i Martini, l'entusiasmo e il recente conflitto sorto con Kate.

Trovò una valigia di suo gradimento, anche se non "sbarluccicava".

Acquistò una quantità smodata di biancheria intima di cotone che definire "comoda" era solo un modo educato di dire "triste", pigiami buffi che non vedevo l'ora di vederle sfoggiare, t shirt, pantaloncini, tre bikini che me lo fecero venire duro mentre la guardavo nel camerino.

La convinsi a scialacquare un altro po' di inutile denaro prendendo qualche abito da sera e relative scarpe. Sarebbe stato recapitato tutto in hotel dopo un passaggio in tintoria.

Comprai anche io, spendendo il triplo con la metà degli indumenti.

Poi la vidi oggettivamente stanca, sonnacchiosa.

«Ehi, mia queen, ti porto a mettere qualcosa sotto i denti, ok? Sei pallida da far paura.»

«Ci sediamo un momento lì?» indicò una seduta destinata agli avventori stanchi. «Solo un minuto.»

La feci accomodare, aveva gli occhi arrossati. «Ti gira la testa?»

«No.»

Era un sì.

Feci mente locale e due calcoli sul jet lag. Lea era a digiuno da troppe ore. Io anche. Le serviva qualcosa che entrasse in circolo in fretta, quindi zuccheri a volontà. Di certo non se ne sarebbe lamentata. Nonostante tutte le sue resistenze, la lasciai sola per il tempo necessario a procurarmi un frullato alla frutta con le gocce di cioccolato, i suoi marshmallow e il gelato al pistacchio sciolto dentro. Quando glielo portai spalancò gli occhi come se avesse sorpreso un folletto entrare dalla finestra. Però me lo offrì prima ancora di assaggiarlo.

«È tutto per te, bambina. Io sono più da the, lo sai.»

Ma me ne lasciò un po' lo stesso, alla fine. Disse che era troppo per lei, ma non era vero, Lea era una di quelle tipine che mangiava fino a star male, quando si trattava di schifezze zuccherate.

Ma la feci contenta, e lo finii. Fece bene anche a me, che per quanto grande e grosso, ero comunque fatto di carne e sangue.

«Ascolta il programma, Lea. Adesso torniamo in albergo e ci facciamo una doccia perché siamo in pessime condizioni tutti e due. Poi, e non voglio sentire storie, ti sdrai a letto e ti riposi un po'. Io sbrigo un paio di telefonate di lavoro. Stasera ti porto in un posto che ti piacerà a vedere qualcosa che ti piacerà. La cena ce la facciamo portare in camera. Domani visitiamo Sydney, cammineremo un sacco, quindi andrai a letto quando lo dico e ti alzerai quando lo dico io.»

Mi guardò e sembrò valutare quanto fosse opportuno rispondere alle mie direttive.

Naturalmente si infischiò di ogni valutazione e si espresse comunque. «Pensi anche di offrirmi un po' delle acrobazie di cui ha beneficiato KateTetteGrosse o scopare in questa città è un'esclusiva solo per lei?»

La baciai sulla bocca per assaggiare quel broncio magnifico che vi era apparso. Era più buono del frullato. «Anche il sesso lo faremo quando lo dico io, Lea. Comunque non ho intenzione di farti mancare niente, ok?»

Sembrò sul punto di chiedermi qualcosa. Attesi che lo facesse, consapevole che forse la scopata in volo e l'incontro con Kate potevano aver innescato più di qualche strano meccanismo nella sua testolina rossa. E infatti.

«Ho fatto qualcosa che non va, vero?»

«Non so di cosa parli. Non hai fatto niente, assolutamente niente, che non va.»

«Ti farò sputare il rospo, mister Nike. Potrei renderti il soggiorno più movimentato del previsto.»

Non avevo dubbi. Ma non avremmo affrontato il discorso nella galleria di un centro commerciale. Non lo avremmo affrontato proprio, se possibile.

«Non ho nessun rospo da sputare, miss. Ma non ho dubbi sulla tua capacità di rendere il viaggio interessante. E ora che hai di nuovo un colorito rassicurante, torniamo in albergo.»

Lea si alzò, insieme a me. Mi prese per mano, e mi guardò con lo stesso cipiglio che mi aveva offerto la prima volta in cui ero stato da lei al Sweety, quando avevo appoggiato il mio bicchiere sul suo palco.

«Sai, Trevor, se fosse davvero tutto a posto, tu mi avresti almeno chiesto cosa mi fossi ficcata in testa, per quale motivo pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato. Ma quello che è cambiato è evidente a te quanto a me, e hai eluso la domanda con troppa fretta. Tu sai, sai bene, a cosa mi riferisco. Giusto?»

Una resa parziale poteva essere una via d'uscita accettabile. Abbandonai la sua mano per incorniciarle il viso tra le dita. Aveva gli occhi pieni di timori ma anche di fiducia. Avrei spazzato via i primi, e alimentato la seconda.

«Mi serviva solo... un po' di tempo per elaborare una cosa. Non hai fatto niente, Lea, ok? Stai tranquilla. Non riguarda te, riguarda me. Davvero.»

Si morse il labbro, i timori erano ancora al loro posto. «Come fa a riguardare solo te, se quella che non riesci più a toccare sono io?»

Mi avvicinai al suo corpicino, volevo solo farle respirare il mio amore. «Non c'è niente al mondo che mi faccia perdere la testa quanto il mettere le mani su di te, Lea. Ti sto toccando anche adesso, non ho mai smesso, mai.»

«Ma il tuo tocco è cambiato.»

«Cosa è cambiato? Cosa? La sai che affondare la lingua nella tua bocca a volte è l'unico modo che ho per respirare? E che sentire il calore delle tue guance sotto i palmi è l'unico modo che ho per accertarmi di essere ancora vivo? E che scaldare le tue manine fredde nelle mie è l'unico modo che ho per far scorrere il sangue nelle mie vene otturate dall'indifferenza verso il mondo?»

Boccheggiò un attimo, uno soltanto, cercando di spiegarsi meglio. Ero uno stronzo, perchè io sapevo bene qual era l'origine della sua sensazione. Ma non ero pronto e gestirla. Volevo solo che passasse tutto.

«Sì, non intendevo questo...»

«Cosa intendevi?»

E lo sapevo quanto poteva essere difficile per lei parlare di sé e del suo rapporto con il sesso, ma in quell'occasione non volevo aiutarla. Non ne volevo parlare. Perché quello in difficoltà ero diventato io. Sperai che non rispondesse alla mia domanda. Mi maledii per averla fatta.

«Intendo che non mi scopi come prima, Trevor Baker, carogna di Wall Street.»

Ero fottuto. E siccome ero anche coglione, era giusto così. Ma non ero disposto a perdere: almeno la disfatta era da evitare.

«Cristo, Lea, abbiamo chiavato in aereo dopo una settimana in cui hai fatto lo slalom tra cortisone e antibiotici. Forse è un tantino presto per trarre conclusioni affrettate, non credi?»

Strinse gli occhioni verdi come una gatta pronta all'attacco.

«No, non credo. Ma magari hai ragione, e stasera eviterai di essere così... delicato. Perché è così che sei stato l'ultima volta: delicato. E adesso, in effetti, dovremmo proprio tornare in albergo.»

Si girò lasciandosi alle spalle sia me che la sfida che mi aveva appena lanciato. Sfida che raccolsi, per poi raggiungerla con una sola falcata e avvinghiare la mia mano alla sua.

Non oppose resistenza. Quindi fanculo, le misi un braccio intorno alle spalle e rimandammo entrambi ogni cazzo di problema per parecchie ore. 

SPAZIO AUTRICE

Il capitolo supera abbondantemente le 10.ooo parole (il numero effettivo ve lo dico quando lo avrete finito così non scappate). Queste 4500 sono solo una scusa come un'altra per propinarvi la bozza della brutta copia del test di prologo della storia nuova.

Non so ancora come intitolarla, chiederò aiuto a voi a tempo debito, per ora sono indecisa tra:

1 Bad Romance

2 Going under

3 Everybody loves an outlaw

4 Unholy

Partiamo dal presupposto che potrei cambiare idea in qualunque momento ahaha!

Comunque bando alle ciance. Ecco a voi la voce di Alex. 

PROLOGO 

Sono un lupo che guida un branco di leoni.

Me li mandano tutti uguali, all'inizio: si credono esemplari alfa che mordono prima ancora di essere scoperti, invece sono solo cuccioli che fendono l'aria con i dentini da latte.

Sono piccoli e sporchi randagi che inseguono una vocazione senza avere una meta: indisciplinati, schiumano una rabbia che li rende più pericolosi per sé che per gli altri.

Ed è proprio tra questi avanzi di battaglie perse che scovo i migliori.

Me li mandano che sembrano rottami, io ne faccio macchine da guerra.

Era così anche lei, naturalmente, era così anche Alice: si dimenava come un cavallo imbizzarrito violando le regole, sfidando l'autorità e sputando sentenze velenose sull'organizzazione che le aveva offerto tutto quello di cui aveva bisogno.

Ma lei non voleva più aver bisogno di niente, e di nessuno.

Era perfetta per il mio branco: una leonessa agile e insospettabile, incazzata col mondo e piena di risorse, talento, grinta.

Sono tutti imprevedibili, all'inizio, i miei cuccioli. Ma siccome lei era più stronza, è rimasta imprevedibile.

Sto aspettando che entri di nuovo da quella porta, dopo mesi di lontananza. Non entrerà sola, credo. Suppongo ci sarà anche lui, e probabilmente dovrò rendere conto di come la ribellione di Alice non sia altro che un mio errore di valutazione, il mio primo fallimento.

E chissà se adesso che ha sperimentato di nuovo il dolore della prigionia e l'umiliazione delle sbarre avrà ancora quella grinta nello sguardo e quella cattiveria incastonata nel broncio delle labbra.

Chissà se finalmente si è piegata.

Chissà cosa ne sarà di lei, di noi.

Del mio branco di leoni.

Chissà se smetterò di essere dilaniato dal desiderio di abbeverarmi dalla sua bocca. 

Continuer la Lecture

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