𝑾𝒀𝑺𝑻𝑬𝑹𝑰𝑨

By bluelliestories

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Prologo - Road to Avalon
Cast/Disclaimer
Benvenuti a Wysteria Wood
1. We'll go back to strangers
2. Your beauty never ever scared me
3. You will be my world
4. If I am so special, why am I a secret?
5. When I wake up, I'm afraid
6. Are we too young for this?
7. Just a little bit colder
8. Don't know who's in the mirror
9. A haunting face, is she a lost embrace?
10. Does he know you call me when he sleeps?
11. Are we fucking doomed?
12. War of hearts
13. Left my innocence on your mouth
14. The hunt has just begun
15. It's all fun and games 'till somebody falls in love
16. Drunk calls, drunk texts, drunk tears, drunk sex
17. This is addictive
18. Love can burn like a cigarette
19. God loves to watch her angel's sin
20. So you wanna play with magic?
21. I just come back more obsessed with you
22. I just wanna be one of your girls tonight
23. Don't take me to Heaven
24. My Lucifer is lonely
26. Love is pure insanity
27. Spit in my face, my love
28. Sleepwalker
29. I miss the sex, the way you kiss
30. She my cold blooded bitch
31. Nobody knows how to punish me, like me
32. Call me babydoll
33. Sweet dreams are made of this
34. Love into a weapon
35. The deep end is where I live
36. I'm the one, can you feel it?
37. Your blood, my blood, we bleed it
38. 'Til the end of time

25. Blood moon painting red in the sky

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By bluelliestories





Voglio possederti
Come possiede la notte
Occhi negli occhi tuoi.



🌓🌕🌗












Non era una principessa da salvare, Avalon Mariposa Wingrave.
Me lo ero ripetuto almeno un milione di volte, da una quantità di anni che mi sembravano diventati secoli.

Era un cazzo di sogno proibito, anche mentre si addormentava tra le mie braccia, era un sogno ad occhi aperti con quella biancheria intima trasparente bianca ricamata con fiori di pizzo color pesca, quella sottile striscia di tessuto che aveva addosso quando qualcuno l'aveva toccata, e quel qualcuno non ero io.

Continuerai a farti scegliere, o finalmente sceglierai?

Gli occhi dei poliziotti che si erano concentrati per qualche istante di troppo sul suo corpo seminudo, li avrei strappati uno ad uno per farli mangiare a Duke of Hell durante la colazione dell'indomani.

La pelle di Avalon era candida come la neve sui ghiacciai in estate, se non fosse che brillava di infinite galassie di lentiggini, che io avrei voluto visitare una ad una.
Minuscoli puntini appena accennati che univo con lo sguardo in costellazioni e girocolli di stelle brillanti.
Sulle spalle, sul petto, sul ventre, attorno all'ombelico, sulla punta del naso ad aprirsi a ventaglio sulle gote, sulle cosce: ripercorrevo la strada della mia lingua, a vedermela nuda in quel modo per un altro uomo.

Volevo ancora affondarle nella carne come lama nel burro perché quello che le avevo fatto non sarebbe bastato a un disperato figlio di puttana come me.
Volevo che il sangue rigasse ancora la sua pelle e finisse a macchiare la neve, con i suoi sogni a distrarla dal dolore, e i miei incubi che si tingevano del colore dei suoi capelli.
Rosso scarlatto.

Volevo che si aprisse ancora completamente a me e a nessun altro, nessun maledetto stronzo che avesse provato a sfiorarla avrebbe potuto strapparle quel fiore dal petto.

«Venga via con noi.»

La voce di quell'agente si rivolse ad Avalon.
Cooper aveva in testa il Fedora come se fossimo in un poliziesco degli anni Sessanta, ma quantomeno mi risvegliò da quel lungo e silenzioso scrosciare dei miei pensieri verso di lei.

«No. Lei è con me.»

Un sospiro che sapeva di tabacco di quell'uomo mi raggiunse.
Non volevano avere più nulla a che fare con la nostra famiglia, ed era proprio quello il mio obiettivo.
«Devo trattenere sua sorella per intralcio alla giustizia.»

«Stronzate. Non ci sono gli estremi per un'imputazione del genere. Vi denuncio.»
Mi avvicinai a quel cappello ridicolo sotto il quale spuntavano dei ciuffi di capelli sale e pepe.

«Facciamo finta che lei non sia mai stata qui. E nessuno di voi si beccherà un trasferimento in qualche posto sperduto delle Highlands.»

Lo sussurrai all'orecchio di quell'agente: sapevo che per quanto facesse il moralista, era molto più furbo e meno integerrimo di quanto volesse dare a vedere.
E io avevo il potere di fare esattamente ciò che avevi minacciato.
E infatti, mi guardò di sguincio e fece finta che Avalon non fosse quella presenza ingombrante e catalizzatrice di attenzioni maschili che era, ferma e mezza nuda impalata in mezzo alla stanza.

«Non c'è bisogno delle manette.»
Dweller si lamentò mentre stava per essere portato via via. A vederlo così pensai che mia madre si sarebbe incazzata a morte, eppure le mie labbra si incresparono in un sorrisetto soddisfatto.

Sorriso che venne spazzato via dal fatto che si guardarono, Avalon al mio fianco e quel figlio di puttana ancora con la camicia aperta, con una strana luce di confidenza complice che feci fatica a interpretare.

Andiamo, diamine, non c'era bisogno di interpretare proprio nulla.
Avalon aveva i suoi istinti e i suoi appetiti e li aveva forti e prepotenti quanto i miei.

Se fossi arrivato dieci minuti più tardi, probabilmente l'avrei trovata con il suo cazzo da pervertito infilato da qualche parte.
Il sangue mi ribollì nelle vene, la mascella quasi non esplose per la forza con cui la stritolai.
Mai la soddisfazione di guardarlo negli occhi mentre lo vedevo portato via dalle nostre vite me la sarei tolta lo stesso.

«Mi assicurerò che tu marcisca in galera per il resto dei tuoi fottuti giorni.»
Gli dissi soltanto, lui mi guardò con uno sprezzo che avrei voluto cancellargli a suon di pugni sui denti.

«Sei solo un coglioncello di vent'anni a cui hanno fatto credere di essere Dio.»

La porta si chiuse, dopo quella frase.
Calò un gelo nella penombra e quasi non faticai a respirare, come se fossi piombato in un'intimità non mia e me ne fossi appropriato con la forza.
Lei non si era spogliata per me.
Lo aveva fatto per lui.

«Rivestiti.»
Mi voltai verso di lei, tuonando un ordine che lei ignorò totalmente.

«Altrimenti finisco di spogliarti io.»

E sarà doloroso.
E tu ne vorrai sempre di più.

Si strinse il petto tra le braccia incrociate e il broncio incazzato, e il risultato di quel gesto velatamente pudico fu solo quello di farle schizzare le tette sotto al collo.

«Non sei il tipo da finire di spolpare le carcasse lasciate dagli altri. O forse è proprio questo che fanno i corvi.»

Avalon, dannazione.
Come avrei potuto spiegarle le fiamme che mi inghiottivano ogni qualvolta apriva la bocca per dire qualcosa che mi mandava in bestia?

Schiacciarla contro il muro mi avrebbe reso pazzo, ma avevo bisogno di sapere.
Restai a distanza di sicurezza, ma la ingabbiai tra le mie braccia e un tavolino poco distante su cui finì a doversi sedere.
E se avessi potuto diventare un pezzo di compensato, avrei decisamente sperato di finire al suo posto.

«Ho una domanda. Tre parole.»
Quanto cazzo era bella, con lo sguardo sicuro mentre non nascondeva nemmeno un millimetro del suo corpo?
Quanto cazzo era bella, quando invece si sentiva non all'altezza e aveva gli occhi dipinti di timida malinconia?

«Falla.»
Il suo tono di sfida mi innervosì, e io deglutii a fatica perché nemmeno sette giri di catene addosso avrebbero potuto fermarmi, assetato com'ero.
Ma la risposta a quella domanda forse sì.

«Avete fatto sesso?»

Piegò la testa e osservò le mie labbra in maniera indecente.
«Ti dispiacerebbe, esserti perso lo spettacolo?»

Rimasi un istante a interpretare le sue parole.
«Ma che cazzo di domande sono?»

«Così non saresti stato tu il responsabile del sangue che mi sarebbe colato tra le gambe. Un senso di colpa in meno, no? Non avresti firmato tu la mia condanna a morte.»

Aveva ragione.
Totalmente, spaventosamente ragione. E arrivava a ciò a cui non arrivavo io su me stesso, molto prima e più velocemente di me.

«Non è così, dannazione. Non è così!»

Aveva esattamente centrato il punto, potevo urlare ai quattro venti che non fosse vero.
Non potevamo ignorare quello che avevamo fatto, non potevamo smettere di ascoltare che avremmo voluto anche tutto il resto.

«Allora fallo, avanti, spogliami. Che aspetti?»

Piegò le braccia all'indietro, per slacciarsi il gancetto del reggiseno, gesto che bloccai prontamente fermandole i polsi.

«Così dopo potrai fingere ancora una volta che siamo fratello e sorella, alla prossima cena di Natale. Potremmo mangiare il pudding davanti a nonna Willa raccontando di quante volte mi hai fatto vincere a backgammon, quest'anno. Solo poche ore dopo avermi..»

La mia mano si piazzò sulla sua bocca, i miei muscoli si tesero per evitare che parlasse oltre.
Avalon era arrabbiata.
Non le avevo dato quello che volevo, ma ero troppo geloso per permetterle di prenderselo da qualcun altro.

«Stai zitta. Per l'amor di Dio.»
Spinsi con il palmo sulle sue labbra, per sentire la pienezza di quei due petali carnosi e sempre troppo sporgenti e rossi per venire ignorati.
«Cosa ti aspettavi, una proposta di matrimonio?»

«Mia sorella vaneggia, mh? È pazza.»

Mi allontanai dal suo corpo demoniaco, perché cazzo stavo avendo delle visioni di lei che stavano per mandarmi al manicomio.
Giocava con i miei rimorsi come se potesse tirarne i fili, a volte mi sentivo un burattinaio, altre mi sentivo una fottuta marionetta.
Il suo risentimento era la ragione per cui aveva deciso di farmela pagare, Dio solo sapeva come.

«Ho giurato di difenderti. Anche dagli scandali pubblici.»

«Quando dici scandalo pubblico, parli di Arden? O parli di te?»

Freccia numero uno, freccia numero due. Cercai di schivarle parandomi il petto.
«Dannazione, Ava. Sono stato settimane intere ad indagare su di lui. Lui non è la persona che credi.»

«E tu? Tu sei la persona che credevo? Hai fatto arrestare un innocente.»

Ho fatto arrestare un innocente perché non volevo che te lo scopassi.

Santo cielo, Drave, ti sei davvero fottuto in cervello.

«Non è innocente. L'ho fatto arrestare perché è uno schifoso.»

«Ma non è un assassino! E tu lo sai perfettamente.»

Mi venne incontro costringendomi a guardarla, e se non si fosse rivestita all'istante avrei dovuto dare sfogo in bagno a tutti quei pensieri oscenamente viziosi.
«Stammi lontana, maledizione.»

«Tu sai perfettamente che lui è innocente. Lo sai benissimo. Non ha un movente, Theor era il suo migliore amico.»

«Non sai niente di lui. Sapevi che avesse debiti per migliaia di dollari, prima che andassi io in Canada? Cosa ne vuoi sapere tu, di moventi?»

Non sapeva nemmeno quali prove avesse la polizia contro di lui.
Mi chiesi se fosse davvero così convinta della sua innocenza, o se stesse solo cercando di stuzzicare la mia rabbia inconsulta.

«Se non vuoi sembrare una ragazzina circuita da un orgasmo o due, dovresti farti due domande su quell'uomo. Non pensi che abbia qualcosa di molto più grosso da nascondere?»

«Ma anche tu lo hai. O non è così?»

Rimasi imbambolato a chiedermi se si stesse riferendo a noi due.
Addirittura a quello che in quel momento mi scalpitava in mezzo ai pantaloni.
Era così fottutamente visibile che non avrei potuto nasconderlo nemmeno con quel Fedora in velcro ridicolo che indossava l'agente Cooper.

Avrei voluto che me lo stringesse tra le labbra e si spingesse in fondo alla gola la mia punta gonfia, e avrei potuto venire nelle mutande al solo pensiero, perché era talmente sensuale da incarnare qualsiasi desiderio proibito che il più perverso degli uomini avrebbe mai potuto concepire.
Avalon in quei pochi mesi aveva virato verso un brutale disincanto. E cominciai a sospettare che le avessi strappato davvero tutta la sua innocenza di dosso come quel paio di calze di nylon con cui mi ero preso tutto.
Senza nemmeno pensarci.

Chi è il farabutto, adesso?
Chi è il lurido figlio di puttana?
Chi è l'approfittatore?
Chi è che dovrebbe marcire in galera per aver scopato brutalmente sua sorella contro un muro?

Se lo avesse saputo mio fratello, se ne sarebbe andato via per sempre da Wysteria Wood, senza voltarsi indietro.

«Sai, forse dovrei proprio dire alla polizia che quel dannato fermaglio lo avevi tu. Che lo avevi rubato dal suo cassetto.»

Aveva poca credibilità a causa del suo disturbo, ma visto il fuoco che le scoppiettava nelle iridi, se fossi stato un'agente di polizia forse le avrei dato credito solo per la sua lucida convinzione.
«E tu hai anche un movente, avresti tutte le ragioni per fare fuori il marito di Sybilla, visto che ti facevi sua moglie. E te la scopi ancora.»

Mi tornò in mente il volto di mio padre.
Cosa avrebbe detto, se avesse udito nel tono di voce di Avalon lo stesso detestabile disprezzo che avevo scorto io nelle sue parole?
Come l'avrebbe presa, se l'avesse vista così odiosamente sprezzante nei miei confronti?

«No, non lo farai.»
Afferrai il suo braccio esile puntellato di piccole efelidi.
«Ascoltami bene. Se saltiamo in aria io e Grey, salti in aria anche tu.»

Chissà quale studio ci avrebbe assunto, se fosse uscita una storia del genere sul nostro conto.
«La regola del pubblico scandalo, te la ricordi?»

Si ammutolì, come se stesse riflettendo.
Le gettai addosso un asciugamano da doccia, in modo che si coprisse una volta per tutte.
Ovviamente non lo fece, perché conosceva benissimo il potere che aveva su di me la sua pelle scoperta.
«Mi stai ricattando?»

«E tu mi stai minacciando, bella addormentata.»

Afferrai la maniglia della porta, deciso ad andarmene da solo e a tornare a casa in taxi.
Se non fossi uscito immediatamente da quella stanza, avrebbero dovuto mettermi la camicia di forza e forse nemmeno quella mi avrebbe fermato.

«Dopo quello che mi hai fatto, servirà molto di più di questo per intimorirmi.»

Avrei dovuto dirle che tutto quello che era accaduto con lei non l'avrei mai rinnegato.

Che avevo respirato qualcosa di nuovo tra i suoi capelli, che ero affondato in una pelle troppo perfetta per essere reale, che era gelida come la luna e dolce come lo zucchero a velo.
Bianco purezza come la neve, i capelli color cannella erano scivolati contro il mio petto come un manto lucido di una fata dei boschi.
Era una favola scritta a metà, su un sogno macabro come la vita.

E avrei dovuto dirle che quando la guardavo, desideravo che l'Apocalisse ritardasse di un quarto d'ora soltanto.

E invece, tornai indietro di fronte a lei e dissi soltanto:
«Vorrei davvero scoparti dove non posso farlo. Vorrei leccare quel sangue, e poi girarti e frustarti ancora, per essere stata incestuosa e per avermi desiderato. Vorrei bere le tue lacrime, mentre piangi il dolore che ti infliggo io. Chiuderti in gabbia e sentirti implorare e poi liberarti solo per me. E voglio che quando ti parlano di amore fraterno, una scossa di piacere traditore ti faccia venire voglia di me. Ti faccia bagnare le mutandine. Questo è il mio egoismo. Questo è l'essere disumano che sono.»

Tirai su la spallina del suo reggiseno che era scivolata impudica mentre parlavo, e guardai la scollatura e il seno che mi schizzava prorompente sotto il naso e mi faceva venire voglia di affondarci il mio uccello dentro.
Di farla venire fino ai lividi.
Dio, fino ai morsi.

A quel punto, Avalon si coprì con l'asciugamano.
Cercai di fingere impassibilità mentre lei non nascondeva il petto ansimante e la bocca dischiusa.
Chissà cosa c'era stato poco prima, su quello bocca.

«Quindi farò qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa, per toglierti dalla mia testa.»

La sua espressione era cambiata.
Era rimasta in silenzio, a coprirsi con il telo di spugna, e negli occhi era tornata la bambina che guardava il mondo attraverso il suo unicorno di vetro.
Scommetto che ti stai chiedendo se hai fatto una cazzata, a farmi entrare.

«E adesso rivestiti. Torniamo a Wysteria Wood. L'anno è quasi finito in bellezza.»



*



La scritta Benvenuti, in gaelico scozzese, era rimasta intatta e po' logora, e troneggiava appesa all'ingresso della cripta, dai tempi di Halloween.
Fàilte.

Non avevo più potuto farla rimuovere per via della polizia che aveva messo sotto sequestro mezzo campus, e alla fine avevo deciso di lasciarla al suo posto.
Così, a imperitura memoria.
Avrei usato i soldi di mio padre per farlo incidere nelle mura della cripta dei Bellatores.

Oltre a quel macabro invito era tutto vagamente inquietante per essere una festa per l'ultimo dell'anno, ma non ero io quello addetto alle decorazioni della serata, e di certo se non lo ero c'era più di una ragione.

Non era colpa mia se eravamo una famiglia di individui perversi, con il gusto per il gotico, la demonologia e per le torture medioevali.
Di certo non eravamo propensi a infiocchettare più di tanto ciò che di fatto restava una cripta che l'Università aveva ceduto alla nostra società segreta studentesca.

Io mi limitavo alle comunicazioni, o a quelle che Gremory chiamava pubbliche relazioni.
E questo accadeva perché la gente voleva sempre starmi attorno come api al miele. Moriva dalla voglia di parlare con me, di fare parte della mia vita, di sapere cosa ne pensassi su argomenti di cui me ne fregava meno di zero.
Scacciavo gli sguardi come fossero dardi e li rimandavo indietro infuocati della mia rabbia verso il mondo.

Le donne, poi, quelle non riuscivo a levarmele di torno.
Era una vera condanna a cui sarei sfuggito, forse, quando sarei diventato vecchio e avvizzito e sempre più crudele verso il genere umano.

Non avevamo scrupoli, e nemmeno sensi di colpa. Vivevamo sul ciglio dell'edonismo, della ricerca del bello, dell'egoistica ricerca della nostra personale soddisfazione.
Un uomo era appena stato arrestato dopo due mesi di indagini, e non interessava a nessuno se fosse colpevole o meno.
Quello che volevano era solo tornare a divertirsi, a ubriacarsi, a scopare in pace.

Le ragazze mi guardavano adoranti come sacerdotesse al tempio del Dio a cui si erano votate, e io me ne approfittavo fino a quando ne avevo interesse. La sensazione del tempo che si fermava attorno a me quando entravo in una stanza, creava dipendenza.
E questo valeva per tutte.

Tutte, tranne una soltanto.

«Guarda un po'. C'è tua sorella.»

Quasi non mi strozzai con il mio bicchiere, perché avevo evitato Avalon come la peste in quei cinque giorni e di certo non le avevo dato il permesso di presentarsi a casa mia.

«Avalon ha le tette naturali più grosse della Triple Crown. Peccato che se la scopi quel quarantenne.»

«Non se la scopa quel quarantenne.»

Avevo dovuto spiegare a Ryder più di quanto fosse tenuto a sapere, visto che aveva assistito alla ricerca di Arden da parte di Avalon nei sotterranei di Wysteria Wood.
Eppure, restava sempre il solito cercopiteco ottuso, nonostante la sua indiscutibile avvenenza.

«Ehi, non ti scaldare. Adesso è stato arrestato, giusto? C'è spazio anche per tutti gli altri.»

Tutti gli altri.
Lo diceva per provocarmi, o quantomeno lo speravo, altrimenti si sarebbe ritrovato le palle in gola. Le mie, e poi anche le sue.
Ma l'espressione di Avalon che ci ascoltava in mezzo a quel frastuono da musica sparata al massimo parlava al posto suo: quando aveva aperto la porta delle mie stanze pensava davvero di trovarci un cadavere appeso al soffitto.
E forse, quello era proprio il mio desiderio non troppo nascosto.

Ma Dweller non se la scopava, perché li avevo fermati appena in tempo e nei suoi occhi brillava ancora la stessa luce che le avevo sempre visto.
Non se la scopava nessuno, tranne me e in maniera non propriamente convenzionale.

Era accaduto solo una volta, ma mio padre diceva che il sesso col diavolo lascia bruciature sulla pelle per sempre.
Il sesso col diavolo è più bello al mondo.
Ma Quincy Wingrave mi avrebbe diseredato per molto meno, se avesse saputo quello che avevo fatto, se avesse saputo che avevo disobbedito ai suoi comandamenti quando lui era tre metri sotto terra.
Sentivo la sua voce rimbombarmi nelle orecchie e imbrattarmi l'anima che non avevo più.
Sodomia.
Con mia sorella.

Proprio lei comparve al nostro tavolo da biliardo senza che io la chiamassi, mentre io ero impegnato con Ryder in una di quelle stupide gare di beer pong in cui chi avrebbe perso sarebbe finito a limonare col pavimento del cesso a fine serata.

«Hai già abbastanza problemi, Ryder. Ne vuoi altri, per caso?»

«Problemi? Io?»
Lo guardai come se fosse senza speranza. Tutto sommato, mi faceva quasi tenerezza.

«Sai qual è la cosa che rende un ragazzo antisesso, agli occhi di una ragazza?»

«Le Birkenstock con i calzini? La tracolla di Gucci? Il cazzo storto?»

«I figli di un'altra.»
Si ammutolì, mentre mio fratello mi versava da bere e scoppiava a ridere al mio fianco.

«Anche i legami di sangue non sono molto ben visti.»

La voce squillante di Avalon mi corse lungo la schiena e mi bloccò dal tiro.
Mi voltai verso di lei, deciso a raggiungerla mentre si allontanava, perché stava fuggendo da me.

Gremory intervenne piazzandosi davanti a me e schiaffandomi una mano sul petto, cercando di trattenermi dal parlarle.

«Stagli lontano. Per una sera. È incazzata, hai fatto arrestare Dweller. Ti sta solo provocando. Ce la fai?»

«Lasciami in pace. Nessuno l'ha invitata.»

«È una Wingrave. Che ti piaccia o no.»

Mi trascinò in disparte, lontano dalla folla e lontano da lei, in un angolino in disparte tra la stanza dei tossici dove di giorno giocavamo a scacchi e un bagno che non funzionava.
«Ti ricordo il giuramento che hai fatto, Draven. Non dimenticare il giuramento. Io non ne ho fatto nessuno. Ma tu..»

Quasi non lo sollevai da terra, afferrandolo per la collottola della camicia.
Cosa voleva intendere, ricordandomi che lui non ne aveva fatto alcuno?

«Tu dovresti starle lontano quanto me.»

Il mio sguardo fu rapito da Avalon, la guardai da lontano sgattaiolare in mezzo a quella massa di gente, bella come un bacio umido dopo una scarica di schiaffi a mano aperta.

Cercherò qualcun altro su cui sfogare la mia malattia. Un'altra bocca, una fottuta mano generosa, un'altra te.

«Avalon Mariposa Wingrave.»
La chiamai superando il volume della musica, e lei si voltò.
Notai che indossava un baby-doll attillato, decisamente trasparente, sotto il quale aveva avuto il decoro di indossare il reggiseno.

«Penso che tu abbia frainteso il dress code per la festa. Era il nero.»

Dio, quanto poco me ne poteva fregare il cazzo del dress code in quel momento, solo Satana avrebbe potuto spiegarlo con un disegnino esaustivo.

«Il dress code di qualsiasi festa non è 'voglio fare sesso'?»

Ryder scoppiò a ridere alle mie spalle, buttando giù una generosa sorsata di birra.
«È diventata proprio tua sorella.»
Sghignazzò tra un tiro e l'altro verso i bicchieri, poi si rivolse a lei mentre si faceva riempire il suo da Gremory.
«Sei perfetta così, Ava Lava.»

«È questo, quello che vuoi?»
Ringhiai contro di lei.

«Solo se trovo il ragazzo giusto. Voglio proprio vedere..» Si guardò intorno, fingendo interesse.
«Pensi che potrei morire stanotte stessa?»

Si stava prendendo gioco di me e stava giocando col fuoco. Stava davvero giocando col fuoco.
Sicuramente quello che avevo nelle palle.
Degli occhi.

«Di cosa sta parlando, Drave? Cosa le hai detto?»

Ignorai la domanda di Gremory, perché lei si allungò verso di me alzandosi sulle punte, su quei sandali col tacco con il pon pon che ero sicuro avesse rubato a mia madre, che aveva una quantità di scarpe da far invidia a Bergdorf&Goodman.
Non mi arrivava nemmeno al collo.

«Sono qui per indagare.»

«Indagare

«Indagare.»

Afferrò Gremory e lo costrinse a seguirla.
Li osservai per qualche istante allontanarsi verso le scale che portavano ai cunicoli dei sotterranei che univano le varie zone dell'Università, prima di decidere che ovviamente li avrei seguiti.

«Non ti azzardare. Ci sono ancora i sigilli, in quella stanza.»
Tuonai alle loro spalle, quando fummo tutti e tre davanti all'ufficio in cui era stato ucciso Theor Templeton.

Avalon afferrò il nastro che sigillava la porta, e lo spezzò con un gesto rapido di incosciente indifferenza.

Entrammo in quella stanza che sapeva di chiuso e morte: attraverso la finestra, la luna non filtrava più come quella sera che ero rimasto ad annusare il profumo dei suoi capelli.
Dopo quella volta nello sgabuzzino avevo passato il resto della nottata a masturbarmi nel letto, su quel maledetto profumo, e anche sulla forma sinuosa e sul contatto morbido dei suoi fianchi contro il mio bacino.

Quella invece era una notte piovosa e umida, in cui le nubi creavano una cappa di aria irrespirabile che scendeva verso il terreno.

«Il luogo di un delitto.»
Avalon si voltò verso di noi spalancando le braccia, che non potemmo fare altro che restare a osservarla in tutta la sua luminosa bellezza. Aveva i capelli leggermente ondulati, raccolti solo su un lato da un fermaglio fatto di piccole perline bianche.
«È cambiato, rispetto a qualche mese fa. Non trovi, Drave?»

«Non è divertente, Avalon. Andiamo via di qui.»

«Sì che lo è.»

La mia testa vorticò su se stessa almeno due volte, al punto che caddi in avanti e dovetti reggermi alla scrivania.
Un chiaro sospetto mi fulminò la mente, a quello sbandamento violento. Reggevo molto bene l'alcol, conoscevo la sensazione di stordimento dopo tre bicchieri e avevo bevuto poco per i miei standard.

«Cosa cazzo c'era in quella birra?»

Gremory sorrise, al mio fianco.

«Amobarbital, anche detto il siero della verità. Non ti farà niente, ma magari ti renderá un po' più collaborativo.»

Gremory mi aveva drogato. Mio fratello mi aveva rinforzato la birra, dannazione.

«Stai scherzando, vero? È un ipnotico, un sedativo!»

«Non preoccuparti. È accompagnato da una puntina di LSD. Uno di quei cocktail che piacciono a me.»

Mi stava davvero facendo l'occhiolino, come se avesse fatto una bravata simpatica?
«Giuda. Pezzo di merda.»

Cominciavo a vedere sfocato, e l'attimo dopo i miei sensi di acuirono di botto, come se potessi percepire ciò che non sarei riuscito altrimenti a vedere.
«Non è niente di che, Drave. Solo un po' di sballo.»

Mi ressi con le nocche al tavolo, barcollai verso destra e cercai di ritrovare l'equilibrio.
«Stai zitto, traditore del cazzo. Mi hai fatto drogare perché così puoi saltarle addosso in santa pace?»

«Sei geloso e possessivo da fare schifo. Datti una calmata.»
Avalon restava interdetta, perché stavamo parlando di lei come e non esistesse.

«Che cosa vuoi da me?»
Non potevo fidarmi nemmeno di lui. Quando c'era intorno lei, diventava imprevedibile. O forse lo era sempre stato.

«Voglio sapere cosa avete fatto la notte della Vigilia. E voglio saperlo da te.»

Avalon mi girò intorno, con il suo vestitino striminzito, le gambe nude e la scollatura in vista, aiutandomi a reggermi cercando di sostenere il mio peso. I lunghissimi capelli accompagnavano il movimento della schiena, e io avrei voluto vederla ballare e avrei giurato di non sfiorarla nemmeno.
Era talmente preziosa.

«Lo hai dato anche a lei?»

«Forse l'ho dato un po' a tutti. Motivo per il quale Ryder adesso si starà spogliando sul tavolo da biliardo. Mi piaceva l'idea dello sballo gratis e inconsapevole di Sybilla Templeton, non credi che fosse un'idea fantastica?»
Sicuramente era fatto anche lui, per parlare in quel modo. Ma dovevo ammettere che quella serata era stata rivelatoria.

Avalon si avvicinò a me, restò a guardarmi mentre respiravo a fatica.
I miei pensieri oscillavano tra il restare a guardarla e consumarle la carne contro la mia, fino all'ultimo brandello di sanità mentale.

«Visto che tua sorella è pazza e vaneggia, magari ti divertirai anche tu a cercare di capire cosa è reale e cosa non lo è.»

Sollevai a malapena lo sguardo dalla scrivania verso di lei.
«Sei pazza, confermo. E permalosa.»

«Rancorosa, Drave. Si dice rancorosa

«Hai mostrato alla polizia le mie gabbie. Cosa pensavi di fare?»

«L'hai detto tu. Non è un reato essere un sadico stronzo, giusto?»

«E a te piacciono, i sadici stronzi. Altrimenti non correresti dietro a Arden Dweller.»

Si guardò lo smalto perlato che faceva apparire le sue dita ancora più opalescenti.
«Gremory dice sempre che siamo una famiglia un po' strana.»

E proprio lui si fece avanti, deciso a farmi parlare.
«Avanti, Drave. Dille quello che sai.»

Mio fratello sapeva tutto, perché lo avevo sempre messo al corrente di qualsiasi cosa. Sapeva che avrei fatto arrestare quel figlio di puttana, sapeva tutto ciò che aveva combinato e lo sapeva perché glielo avevo detto quando era venuto in Canada.

E la mia mente cominciava a sconnettersi.
Uno strano bagliore aveva preso ad attraversarmi la mente, come una scarica dolorosa di elettricità concentrata.

«Grey, se non crepo stanotte, domani mattina saranno cazzi tuoi.»

«Sei stato tu, Drave? Sei stato tu a trovare le prove contro di lui?»
Avalon era talmente vicina che potevo fondermi con la sua immagine, talmente bella da sembrarmi un'allucinazione.
Talmente stronza da farmi un terzo grado mentre vedevo anche gli spiriti del Purgatorio.

«Chi vuoi che sia stato?»
Ringhiai contro quel corpo deplorevole.
Era indecente, come se ne andasse in giro con tutta quella inesperta sensualità, come se non avesse da essere grata a Madre Natura se mi faceva venire voglia di chiudermi io in una gabbia, per evitare di saltarle addosso.

«Avanti, Drave. Dimmi cos'hai scoperto in Canada.»
La mia mente si aprì come uno scrigno con un lucchetto, di cui la voce di Avalon era la chiave.
Sulla mia fronte, gocce di sudore freddo scivolavano verso le ciglia, mentre qualcosa mi spingeva a parlare.

«Il tuo caro avvocato si scopava la figlia di un suo cliente. Era minorenne, all'epoca, e lui aveva 35 anni. Era quello, il suo scheletro nell'armadio.»

Lo sguardo di Avalon avvizzì come un frutto che cade dall'albero, caricandosi di nubi impregnate di delusione.

«Cosa hai detto?»

«Quello che ho detto.» Mi ressi con fatica facendo leva sulle braccia, ma avevo paura di schiantarmi la testa contro il legno da un momento all'altro.

«Il problema è che la ragazza svanì nel nulla.
Non hanno mai ritrovato il corpo. E come ben sai, beh.. niente corpo, niente omicidio.»

Non riuscii a parlare oltre, perché le mie sinapsi si scollegarono del tutto. Restai immobilizzato, cominciai a dondolare in avanti e indietro.

«Va bene. Visto che siamo in vena di confessioni..»
Gremory si avvicinò a noi due, mentre Avalon aveva perso buona parte della sua spavalderia restando in silenzio a riflettere sulle mie parole.
Adesso lo sai, che è uno schifoso.

«Voglio sapere dove l'hai portata la notte di Natale.»
A proposito di schifosi.

I miei occhi collisero con quelli di Ava in una strana connessione fatale, a quella domanda, con lo sguardo fisso di mio fratello puntato su di noi.

«L'ho portata dentro un incubo.»
Risposi soltanto, con le braccia tremanti e il respiro sempre più difficoltoso.

«O forse è un incubo che è entrato dentro di me.»
Lei concluse la mia frase in un modo che non mi sarei aspettato, e potevo quasi sentire i denti di mio fratello stridere tra loro.

«Vaffanculo. A tutti e due.»
Lo vidi a malapena, Gremory Wingrave che mi dichiarava guerra uscendo da quella porta e sbattendola come se volesse far tremare il mondo.
L'avrebbe fatta a modo suo, sapevo già cosa aspettarmi ed ero pronto ad affrontarlo.
Ma dai lei.. da lei non sapevo a cosa dovessi prepararmi.

Lei era ogni giorno più imprevedibile.
E infatti prese le mie dita, il medio e l'indice, mentre io rischiavo di cadere a terra da un momento all'altro.
«Cosa vuoi da me, Ava?»

La sua lingua carezzò dolcemente la punta delle mie dita. A sentire quel tocco, tutti i miei muscoli si intirizzirono e il sangue mi esplose nelle vene.

«Il modo in cui mi proteggi da tutti tranne che da te.»

Poi, lentamente infilò entrambe le dita nella sua bocca, con una lenta danza della lingua attorno a entrambe, fino a farmi toccare la sua gola.
Chiusi gli occhi, e un piccolo morso dei suoi denti mi costrinse a riaprirli.
Lo stomaco prese a contorcersi, il sangue a indurirmi l'uccello e a pompare talmente forte da farmi quasi svenire.

La guardai leccarmi ancora, succhiare con disperata voluttà.
Era un po' fatta, vagamente tenera, spaventosamente sensuale, e io non avrei permesso che facesse altro. Ma il mio cazzo non era affatto d'accordo con me, e si sarebbe molto presto ribellato.

Succhiò ancora le mie dita, poi le fece scivolare verso il basso, lungo il suo corpo, peregrinando sulla scollatura e sul ventre fino ad arrivare all'inguine, e a farmi insinuare in mezzo alle cosce.
Scansò le mutandine, mi spinse nella sua carne più tenera, ma la fatica che feci per entrare in lei nonostante la saliva e la sua eccitazione mi spaventò quasi.
Era così bagnata, eppure così stretta.

E noi eravamo sul luogo di un delitto, dove avevano ucciso un uomo poco tempo prima.

Entrai con due falangi in lei, tremante, con una paura di farle male che non avevo mai avuto prima.
Reclinò la testa all'indietro, io grugnii malamente, senza nascondere un'erezione mai placata mentre la sua carne tumida e gonfia si schiudeva appena attorno alle mie dita.

«Sei fatta. E bellissima. E vorrei farti talmente tutto che vorresti tornare vergine ogni singola volta, per rifarlo allo stesso modo.»

Socchiuse gli occhi e schiuse leggermente le gambe per aiutarmi l'accesso in quella piccola apertura, dove mi infilai spingendo piano.
A volte era tesa, nervosa, poi si rilassava piano quando un timido piacere si faceva largo tra i suoi ripieghi di pelle vellutata.

«E sono tua sorella.»
Non lo era mai stata davvero, ma quel pensiero la eccitava.
Me ne accorgevo dalla cera calda dei suoi umori che mi avevano preso a impregnarmi le dita e che scivolavano sulle mie mani.
Niente sangue, solo desiderio.
Mi aveva desiderato fin dai nostri primissimi, timidi sguardi impacciati da ragazzini.

«Sono io, Avie..»
Mi bloccò guardare in alto e notare una sua lacrima, ma non sapevo se fossi io ad avere le allucinazioni, con quel quantitativo di droga in circolo.
Mi guardai le dita.
C'era del sangue sulle mie mani, sbattei le palpebre con forza con un terrore che mi annichiliva in battito, e l'attimo dopo non c'era più.
Soffrivo di allucinazioni da incubo, vedevo prendere forma alle mie paure.

Le avevo giurato che me la sarei levata dalla testa eppure era bastata una birra leggermente acidula, con un po' di barbiturico, per farmi crollare come un ponte sotto un temporale.

«Qualcuno.. ha mai..»
«No.»

Aveva risposto decisa, io cercai di spingermi ancora dentro di lei.
La luna che ci osservava dalla finestra era imbrattata del suo stesso sangue, rossa come una pozza scarlatta in cui avremmo potuto tuffarci entrambi.
Il sangue di Avalon.
Il sangue di Templeton.
Il mio e quello di Gremory, che era esattamente lo stesso.

«Non posso farlo. Non posso essere io a farti questo.»

Avalon sembrò delusa.
L'aria spavalda con cui era entrata quella sera, e come un turbine violento nella mia vita, si era acquietata dopo la mia rivelazione su Dweller.
Forse aveva davvero bisogno di non essere trattata come un fiore di cristallo.

«Sono solo allucinazioni, Drave. Niente è reale.»

«Ma tu sì. Tu sei reale.»

Le mie dita uscirono da quella carne vellutata al ritmo di un suo sospiro, io realizzai quello che stavo facendo e mi allontanai da lei come se d'improvviso ustionasse.
«E io non posso farlo.»

Fuggii da quella stanza reggendomi la testa, tornai nel salone principale della festa a tentoni, reggendomi al muro e seguendo un orientamento che non ero certo di avere più.
Le grida di mio padre avevano preso a tormentarmi.
Non potevo restarle ancora accanto.
Sarei finito ad andare fino in fondo.
E poi mi sarei impiccato.

«Ehi, Drave. Sei un rottame, hai un aspetto orribile.»

La voce di Ryder era distorta e gelida, quando tornai dai miei amici: rimbombava da una parte all'altra della mia testa come una sfera d'acciaio su un piano inclinato.
Era mezzo nudo, si era sfilato la maglietta, la festa attorno a me era un delirio di corpi sudati e altri liquidi non meglio identificati.
Non pensavo fosse rimasto qualcuno di sobrio, ma sicuramente Gremory si era assicurato di garantirmi la dose più massiccia del suo famigerato cocktail.

«Barbiturici. Psichedelici. Non so cosa mi abbiano dato. Quella stronza..»

Ryder mi ascoltava a malapena. Già le sue capacità di comprendonio erano scarse, ma adesso percepiva la metà della metà delle frasi che dicevo.

«Quale stronza?»

Avalon era di nuovo dritta di fronte a me, in una sala che ormai mi sembrava troppo piccola per tenerla a distanza.
Ci cercavamo nel buio, alla luce accecante dei fari al neon, per non incontrarci mai, e poi ci toccavamo senza incontrarci.

Sollevai lo sguardo verso di lei, che mi osservava dalla balconata, endemica come una droga potentissima, come polvere di stelle si spargeva nel mio sangue che diventava cenere, di fronte alla sua bellezza quasi tragica.
Le pareti ridevano di fantasmi grotteschi e bocche deformate si prendevano gioco di me.

Quella stronza.
Quella bellissima stronza.

Adesso era appoggiata sulla ringhiera, e aveva appena rivolto a un tale un sorriso che era più bello del secondo cerchio dell'Inferno.

Poi, aguzzai la vista, strabuzzai gli occhi, la mente tornò a fare i capricci e a insudiciarmi la testa di visioni orripilanti.
Un uomo senza volto se la prendeva, e io impazzivo nel vederla con qualcuno che non fossi io.
Impazzivo e mi eccitavo, avrei voluto prendermi a frustate da solo.

Poi, il volto di Gremory si mescolava a quello di Dweller, che godevano dietro di lei proprio come avevo fatto io.
Che cazzo di scherzi stava facendo la mia mente? Se avessi avuto una pistola avrei fatto giustizia, avrei sparato a tutti e due, o forse per eliminare quella visione avrei dovuto sparare a me stesso una bella pallottola dritta in mezzo agli occhi.

Ero eccitato come una belva, eppure stavo desiderando che mio fratello morisse per mano mia.

«Ciao, Draven.»
Una voce sconosciuta interruppe quel sogno lucido, io sollevai lo sguardo.
Davanti a me distinguevo a malapena i lineamenti di una ragazza bellissima, ma la mia messa a fuoco era quella di una macchina fotografica arrugginita di qualche ventennio fa.

«Hai bisogno di rilassarti? Ti vedo un po' teso.»

Mi sistemai sul divano in pelle, senza riuscire ad alzarmi. Non avevo forza nelle gambe: mi sentivo svuotato e avevo la camicia incollata al petto per il sudore.

«Che cosa vuoi da me? Chi sei?»
«Una tua debitrice.»

Ero immobilizzato.
Non riuscivo a muovermi. L'amobarbitral stava facendo effetto assieme all'LSD in una combinazione stupefacente e terrorizzante, la mia mente stava letteralmente crollando a pezzi, sfaldandosi come una diga di fronte a un maremoto.

«Se devi uccidermi, questo è il momento giusto per farlo.»

Mi aveva sorriso.
Era una ragazza che sembrava gentile: era castana, qualche lentiggine che mi ricordava qualcuno abbastanza da garantirmi un pompino soddisfacente.

«Conosco solo un modo per uccidere un uomo.»
Era ammiccante, aveva un taglio d'occhi vagamente felino, ma non catalizzava le mie attenzioni come quel flagello divino dai capelli rossi e gli occhi color glicine che ballava davanti ai miei occhi.

Distinguevo appena i suoi lineamenti, ma aveva un bellissimo corpo e il mio cazzo la percepì come un'ancora di salvezza dal mio rapido fluire verso la pazzia.
Avevo scopato in condizioni peggiori di quella, con persone che avevo conosciuto ancora meno.
Almeno lei mi aveva salutato.

Salì su di me a cavalcioni, indossava dei leggings in similpelle bordeaux e aveva lunghissime gambe da gazzella.
Chiunque fosse, le piaceva vincere facile, perché ce l'avevo già talmente duro da ore che sarebbe potuto scoppiare al primo tocco.
Probabilmente avrei fatto una figura barbina di un liceale alla sua prima volta, ma chissà se l'avrei mai più rivista.

Si strusciò leggermente su di me, e io cercai qualcuno nella folla, proprio dietro i suoi capelli.
Avevo gli occhi puntati sulla festa, su quella ringhiera, su di lei.
Mi sembrava che quella ragazza avesse un buon profumo agrumato e speziato, ma ero talmente fuori di me che non avrei distinto l'erba dal rosmarino.

Non mi piaceva essere toccato, ma avevo bisogno che qualcuno mi liberasse da quella morsa stretta alla gola, da quei crampi sotto le palle di quando stai per esplodere.
Sbrigati.
Fai quello che devi fare.

Penso che glielo dissi con gli occhi, perché lei si prese il permesso di sganciarmi i pantaloni.
Cercai tra la folla, rividi ancora una volta Avalon su quella dannata ringhiera.

«Ryder, porca puttana!»

Gridai, non mi sentiva, lo chiamai fino a sgolarmi ma la musica era assordante e i bassi rimbombavano nella testa come un martello pneumatico. Dovetti gridare almeno tre volte, per farmi sentire.
«C'è mia sorella, là sopra?»

«Oh, sì. Certo, sta ballando.»
Dovevo chiedere a lui la conferma di ciò che stavo vedendo.
Ero veramente ridotto male.

«Con chi?»
Ryder le lanciò un'altra rapida occhiata, mentre dalla cannuccia tirava su un sorso di Gin lemon. Si divertiva tantissimo, a vedermi distrutto e sfracellato a smascellare come un disperato.

«Con le gemelle.»

Fanculo.
Non si riusciva mai a capire se Ryder fosse serio o meno, anche perché in realtà, serio non lo era mai.

La osservai ballare lentamente, degnarmi di sguardi sfuggenti che fingevano disinteresse.
La vedevo innocente e pura come una bambina costretta nel corpo di una donna.
Poi, la vedevo scopata brutalmente da due uomini insieme, davanti ai miei occhi, come in un incubo che assumeva i contorni di una realtà spaventosa.

Quegli incubi divennero sempre più intensi, fatti di sangue e lacrime e di acqua scura, mentre quella ragazza cominciava a slacciarmi i pantaloni.
E poi, l'attimo dopo tornava tutto lucido, e Avalon mi lanciava occhiate continuando a fingere di vedermi a malapena.
Stritolai le dita contro la pelle del divanetto, perché non avrei sfiorato la ragazza a cui avevo permesso di soddisfarmi.

Ti sono debitrice.
Non mi fregava niente, in quel momento, di cosa volesse dirmi, ma non mi sarei definito un benefattore.

Le mie connessioni neuronali non rispondevano agli input più semplici, la mia materia grigia era in pappa.
Guardai Avalon ed era di nuovo con Gremory mentre lui la toccava, in mezzo alle cosce: lei era distesa sulla ringhiera e lui si spingeva sul suo corpo come aveva fatto su quel carosello, e lei godeva e godeva di lui.
Questo bastava a rendermi furioso.

Le labbra di quella ragazza mi accolsero e mi avvolsero l'erezione in un calore che mi sconvolse del tutto.
Cercai di osservarle i lineamenti, ma la mia mente non riusciva a elaborare nuove informazioni.
Prese a muovere la testa avanti e indietro, io attorcigliai le dita nei suoi capelli e spinsi la testa verso di me, più volte, con una furia distruttiva.

Socchiudendo gli occhi vidi Ryder che mi faceva segnali osceni di apprezzamento.
Ero davanti a tutti.
Era la mia festa, la mia casa, il mio divertimento.
Non avevo bisogno di appartarmi da nessuna parte, ma in realtà mi stavo divertendo molto poco.

Prima Dweller, poi di nuovo Gremory continuavano a possedere Avalon davanti a me, quantomeno nel mio sogno ad occhi aperti. Non sapevo dove si trovasse mio fratello, quello vero.
Poi, di botto, il volto del mio gemello divenne il mio, e fummo di nuovo io e lei, su quella ringhiera, in mezzo a centinaia di persone sudate e sfatte come me.

Avvicinai le dita, il medio e l'indice della mano destra, alle mie labbra, quando sentii un bruciore di piacere fin troppo familiare avvinghiarsi al mio ventre e scendermi tra le cosce indurite, tra i quadricipiti tesi.
Il sapore di Avalon sulle dita mi mostrò il Paradiso all'Inferno. Il suo profumo sulla mano mi mandò dritto in estasi.
La pesca matura.
Succhiai ancora, quasi mi morsi il dito fino a sanguinare.

Il mio uccello si gonfiò talmente tanto che quella ragazza piegata su di me faticò a tenerlo in bocca. La sentivo arrancare con le labbra attorno alla mia lunghezza, e cercare di giocare con la lingua mentre io mi indurivo e pompavo sangue all'inverosimile.

L'orgasmo mi trapanò le sinapsi, schizzai nella bocca di quella sconosciuta senza chiederle il permesso, che quasi non si strozzò appena per la violenza che decisamente non si aspettava.
Guardai in alto ancora una volta.
Era sbagliato il luogo dove ero io, era sbagliato il luogo dove era Avalon.
Dovevamo essere altrove, lontano da lì.
Insieme.

Riaprii lo sguardo dopo aver chiuso gli occhi: la ragazza si era sollevata in piedi pulendosi la bocca con il dorso della mano, mentre io mi richiudevo in fretta la patta dei pantaloni.

Si voltò verso la direzione in cui stavo guardando, e poi si girò ancora una volta verso di me.
Non avevo nulla da dirle, la guardai come uno stoccafisso, con i capelli sconvolti, l'occhio annerito dalla pupilla dilatata e la bocca secca. Lei mi sorrise appena.

«Ci rivedremo presto, Re dei Corvi.»

La seguii con lo sguardo quel tanto che bastava per lanciarle un'occhiata di apprezzamento sul culo, visto quello che aveva appena finito di farmi.
Poi, la mia attenzione tornò catalizzata sulla maledetta ringhiera, come non aveva mai smesso di fare nemmeno per un istante.
Era stato uno dei pompini migliori della mia vita, soltanto perché lei era di fronte a me.

Ma la diretta interessata non doveva esserne troppo compiaciuta, perché Avalon aveva l'espressione più raggelata che le avessi mai visto.
Okay, aveva assistito a una ragazza che mi faceva sesso orale.

Ma mi aveva visto in cucina con Caroline, o forse era Coraline, in mezzo al porridge e alla torta di mele appena sfornata, e nonostante sentissi ancora il rumore della tazza che si frantumava a terra, ricordavo che non fosse sbiancata allo stesso modo.
Non poteva essere gelosia, quella.

La vidi scendere rapidamente dalla scalinata, e fuggire in mezzo a quella massa di gente informe che allungava le mani su di lei e le parlava addosso.
La musica era talmente alta che non mi permetteva di sentire ciò che le dicevano.

Mi sollevai con una fatica immane, per seguirla, come se improvvisamente tutti gli anni del mondo gravavano sulle mie spalle.
Si infilò in un corridoio, vidi a malapena la sua chioma color cannella mentre prendeva le scale verso il seminterrato.

La seguii nei sotterranei bui, chiamandola, e un dejà-vú mi attanagliò le corde vocali.
Ricordai la mattina in cui Duke mi aveva portato da lei, e gli istanti di terrore in cui avevo pensato di trovarla morta che mi ammazzavano il respiro.

Riuscii a raggiungerla mentre correva, e a bloccarla con la mia altezza sbattendola contro il muro.

«Dove cazzo vai? Cosa stai facendo?»

La rabbia nei suoi occhi brillava tanto quanto la sua bellezza sfacciata.
«Sto cercando quella ragazza. Quella da cui te lo sei fatto succhiare davanti a tutti.»

Mi guardava con un odio che mi infervorava.
Avevo sempre ammirato le persone che mi disprezzavano senza alcun timore reverenziale.

«Sono strafatto. Non so più cosa sia reale e cosa non lo sia. Lo avete voluto voi.»

Tu sei reale. E sei qui.

«Dov'è andata? Dov'è andata, quella ragazza? Come si chiama?»

«Non ne ho idea.»
Il suo corpo cominciò a ribellarsi. Le sue braccia mi allontanarono con forza, tentò di liberarsi dalla mia presa mentre io non allentavo la morsa.
«Lasciami andare. Lasciami! Devo andare da lei.»

«Cosa vuoi fare? Smettila, lasciala perdere! Sei impazzita?»

Ero talmente un narcisista fatto e finito che pensavo volesse farle del male per quello che mi aveva fatto davanti a tutti.
Che fosse gelosa da pazzi come lo ero io di lei.
Ma le donne sono sempre molto più dignitose di noi.

«Non toccarmi.»

«Tu non capisci. Io..»

Avrei voluto dirle che ero venuto nella sua bocca, e non in quella della ragazza sconosciuta.
Tra le sue labbra, col suo sapore in fondo alla lingua.

Ed ero venuto nella sua bocca talmente tante volte, da qualche mese a quella parte, almeno nella mia mente, che mi sembrava di conoscerne ogni singolo millimetro alla perfezione.
Ma mi sembrava troppo patetico, farle una confessione del genere mentre lei voleva ammazzare di botte chi il pompino me lo aveva fatto davvero.

«No, tu non capisci!»

Avrei voluto dirle che mi aveva spinto a farlo.
Che era tutta colpa sua, se quella ragazza mi aveva trovato in quello stato, strafatto e eccitato come il più folle del girone dei malati psichiatrici.

Avrei voluto dirle che stavo scoppiando, che non ero più padrone del mio corpo, che la mia mente morbosa e malata si era spinta tra le sue cosce con l'immaginazione, insieme a tutti gli altri avvoltoi che planavano su di lei e che avevo osservato come un pervertito schifoso, mentre la possedevano a turno davanti ai miei occhi.
Guardone di merda.

«No! Tu non capisci!»
Misi a fuoco il suo volto, e la riconobbi più sconvolta di quanto non l'avessi mai vista. Era terrorizzata, tremolante, a vacillare tra il disprezzo che provava verso il mio corpo e un terrore atavico che le rattrappiva il raziocinio.

L'istante stesso, la mezzanotte esplose al piano di sopra, rimbombando di festeggiamenti scellerati e fuochi d'artificio che scoppiavano sopra le nostre teste, propagando eco di tuoni spaventosi dal giardino e dalle sale ai piani superiori.

Mi rimproverò con lo sguardo tremante, lucido e carico d'odio.

«Quella era la ragazza che Templeton ha violentato, la notte in cui è morto!»











Buon anno nuovo assieme a tutta la Triple Crown e da parte di tutta Wysteria Wood  🍾

Questo è indubbiamente il capitolo più allucinogeno della storia più psichedelica che io abbia mai scritto.
Giuro che non ho preso acidi per scriverla, eppure eccola qui.

Abbiamo iniziato il nuovo anno col botto, voi state bene? Ovviamente vi faccio tantissimi auguri per un meraviglioso 2024.
Sarà sicuramente ricco di novità e bellissime sorprese, per tutti noi. Non posso ancora parlare, ma ne vedrete delle belle - sono emozionata.
Per ora, non vedo l'ora di vedervi tutti al firmacopie a Napoli e a Benevento, il 12 e il 13 Gennaio.

Ricapitolando: cosa state pensando dopo questo capitoli?
Se vi sentite un po' allucinati anche voi, allora ho raggiunto il mio obiettivo.
Vorrei che si comprendesse quanto Avalon e Draven si ricorrano, si respingano, si cerchino e si desiderino e al tempo stesso siano terrorizzati l'uno dall'altro.
(Nonostante l'evidente stato confusionale di tutti, cercate di non dimenticarvi la stellina, per favore.)

Avalon cerca vendetta perché lui ha fatto arrestare Arden, e poi cade vittima della sua stessa trappola.
Oppure, di quella ben architettata da Gremory per farli parlare, che sicuramente dopo aver capito l'intrallazzo non resterà a guardarli con le mani in mano (ehm) come vorrebbe il gemellino maggiore.

Questa storia diventerà sempre più folle, e io non vedo l'ora.
Avrei davvero tanto da dire su questo capitolo, ma lo farò dopo averlo pubblicato, sul solito box post-capitolo sul mio profilo IG @bluelliestories.
Il primo box del 2024.

Buone Feste a tutti, anche se ancora per poco (piango)💜

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