PRICELESS

By JennaG2408

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"Le cattive abitudini generano pessime dipendenze" 🌘Dark romance 🔞Forbidden love 💰Crime romance 📚 SCELTA... More

Avviso
C'era una volta una dedica
PARTE I
Prologo Lea
Prologo Trevor
1. FACCIA DA STRONZA
2. Finché qualcuno non ti compra
3. Fallo stabilire a me
4. Così poco di lei, così tanto di suo padre
5. Se l'orgasmo fosse un suono
6. Mi aspettavo di meglio
7. La sua degna erede
8. Un errore da 15 dollari
8.1 L'autrice si è dimenticata un pezzo di capitolo.
9. Tienila d'occhio
10. Non è Trevor
11. Non vali così tanto
12. L'anomalia emotiva
13. Il valore dell'innocenza
14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.
15 Stasera quello rosso
16 Il mese prossimo potremmo essere morti entrambi
17 Non puoi urlare
18 La Dea più capricciosa dell'Olimpo
19. Aspettami senza far danni (parte1)
20 (parte2)Sei tu, la mia sola cosa importante.
21 (parte 3) Seppelliscimi con le scarpe giuste
22 (ULTIMA parte) Voglio sapere se posso urlare.
23 Who needs a boyfriend when you have puppies?
24 Sei uno stronzo fortunato, Trevor Baker
25 Ogni regina ha il suo scettro
26 Non puoi toccarla
PARTE II
27 Stanco, ma non di lei
28 La prossima volta ti farà male
29 Un nome per il sesso e uno per l'amore
30 Dolce figlia di un figlio di puttana
31 Ah, Auguri.
32 Quello che sta intorno al cuore
33 L'inferno non va bene per Sebastian Baker.
34 Non sempre un uomo di successo è un uomo di valore
35 Fragola, cioccolato e una goccia di veleno: mortale tentazione
36 Non fare di lei la tua Harley Quinn
37 Due affamati nello stesso letto
38 Niente di male a sanguinare un po'
39 E comunque questo è un Valentino, stronza.
40 Cattive intenzioni e voglie pericolose
41 La mia bambina non si tocca
42 Scorre sangue immondo
43 La sua pelle e la mia fame (parte 1)
44 Groviglio di carne e abbandono (parte 2 )
45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)
46 Il sesso come strumento di guarigione
47 Facciamo finta di no
48 Tutti i per sempre portano il nostro nome
PARTE III
49 Quello che sono disposto a fare per te
50 Scelgo il profano e il blasfemo
51 Il sapore di una truce Apocalisse
52 Non abbastanza. Punto
53 Eppure Lea è viva
54 Effetto domino
55 Cinquanta sfumature di BlueDomino
56 Londra è la mia puttana
57 Questo non può essere peggio
58 Gli affetti veri muoiono, quelli falsi uccidono
59 Innalzare le mie depravate pulsioni
60 Non c'è differenza tra una danza e una guerra
61 Benvenuti a tutti quelli come noi
63 Fammi male
64 Io mi salvo da sola
65 Mister SeLaTocchiTiUccido
66 La differenza tra stimolare e godere
67 Il grillo che mette nel sacco il gorilla
68 Pietà e rispetto
69 Non ti darei mai meno di tutto
70 Incassare, elaborare, espellere (parte 1)
71 Stavolta puoi urlare (parte 2)
72 Non lasciarmi solo
73 Ci sarò sempre
74 Stai attenta, bambina
75 Più incazzato che lucido
76 Scolpiranno il mio nome sulla tua carne
77 Domani è già arrivato
78 Sembra un addio, signor Baker
79 Esisti per me
80 A fanculo un'ultima volta
81 Non morire senza di me
82 Soffrire ancora un po'
83 Mentre fuori il mondo cade a pezzi
84 Quella vita non è mai la tua
85 Ma tu non ci sei (parte 1)
86 Scopami nel modo sbagliato
87 UNLOCKED
PARTE IV
88 Morirò da re
89 Sono il vostro dio
90 Uno stronzo senza cuore
91 Tre baci sulla punta del naso
92 Un sollievo breve e inaspettato
93 Ciò che mi è dovuto
94 Ci sarò io, con te
95 Roba così
96 Nessuno di noi avrà conti in sospeso

62 Dimmi cosa ti ha fatto

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By JennaG2408

Fino a quel momento era andato tutto bene, quasi a meraviglia. Litigare con Trevor e subire le sue penitenze non era certo un problema: espiare la mia vile scopata con Denis faceva parte del mio biglietto per Londra.

Il mondo poteva smettere di girare anche in quel momento, la carestia poteva prendersi l'umanità intera e io avrei assistito alla fine di tutto ciò che mi circondava senza rimpianti e con pochi rimorsi.

Ma la mia apocalisse non era nemmeno partita, e avrei dovuto mettere in conto che sarei inciampata in qualche frammento del mio passato lungo i corridoi del Baker Hill. Invece accadde senza che mi fossi preparata, troppo occupata ad ansimare sotto il corpo di Trevor.

«Non addormentarti, bambina.»

«Non mi stavo addormentando.»

«Bugiarda.»

Mi stiracchiai, pronta a ricevere qualunque trattamento avesse intenzione di infliggermi Trevor.

«Allora tienimi sveglia, mio re.»

Mi baciò su una tempia, alzandosi dal letto. «La notte si conclude nella prossima suite, Lea, dove ho fatto portare la tua valigia e potrai infilarti qualcosa di comodo per... dormire.»

Mi misi a sedere, mica tanto convinta. «Dormire» puntualizzai.

«Sì, sai, quella cosa che le persone normali fanno di notte, a volte prima a volte dopo e a volte sia prima che dopo il sesso, Lea.»

Risi, divertita. «Ma noi non siamo persone normali, Starlord.»

«Ma siamo persone, fino a prova contraria. Le persone dormono, ogni tanto.»

«Io non ti ho mai visto dormire. Ne deduco che sei il frutto di un ardito esperimento di laboratorio.»

«Dovresti solo dedurne che ti addormenti prima e ti svegli dopo di me. Ma va bene anche se mi ritieni una creatura sovrannaturale in grado di piegare l'universo al proprio volere, mia queen.»

Mi alzai per infilarmi di nuovo nell'accappatoio oversize. «Comunque non ho sonno.»

«Ti chiedo la cortesia di conservare i capricci per la prossima stanza, questa ha già espletato la sua funzione.»

Sbuffai. «Non s'è mai visto un capriccio sottostare alle regole, signor Baker.»

Mi guardò serio e quasi mi venne da obbedirgli. Quasi. «Ci vengo ma non dormo» aggiunsi quindi.

«Quello che succede nella suite numero quattro resta nella suite numero quattro, bambolina.»

«Cose sconce?»

Il suo sguardo serio s'infranse e l'ombra di un sorriso gli increspò le labbra. «Cose sporche e appiccicaticce.»

«Oh. Davvero?»

«Davvero.»

Mi prese per mano e inciampai nell'accappatoio fuori da quella stanza per entrare nella quarta suite insieme a lui. La mia valigia era ai piedi del letto e abbandonai la sua stretta per poterla aprire. Non avevo portato molto, ma la sottoveste di seta blu scuro era proprio in cima alla pila di vestiti che ci avevo infilato dentro. La presi subito, ma il mio criminale non fu d'accordo.

«Non quella, Lea. Avrai freddo.»

Trevor si stava infilando la solita t shirt Tommy Hilfiger e un paio di short anonimi.

«Mi scaldi tu.»

Si avvicinò e tirò fuori dalla valigia il pigiama di Crudelia che avevo acquistato a Milano con lui. «Questo. Va bene questo.»

Abbandonai la sottoveste da 200 euro sul letto e presi dalle sue mani il pigiama da ventidue euro e novantanove centesimi. Chissà se lesse la delusione nella mia espressione. «Non è molto sexy.»

«Sì che lo è. Ed è perfetto per le cose sporche e appiccicaticce.»

«Mi stai prendendo in giro, vero?»

Forse di delusione ne lesse fin troppa nella mia espressione, perché si premurò di prendermi il viso tra le sue mani enormi e calde e di lasciarmi un bacio sulla fronte, prima di rispondermi. «Non lo farei mai, Lea.

Forse ero un po' troppo stanca per fare dei veri capricci. «Ok.»

Entrai dentro la mia biancheria di cotone e nel pigiama di Crudelia. Ero comoda, ma vicina a un Trevor Baker, vestita così, mi sentivo anche minuscola e insignificante.

Eppure alzai lo sguardo su di lui e nel suo lessi ancora brama, desiderio, peccato, ossessione e un affetto mortale. La cosa mi rincuorò un po'.

«Sei la cosa più bella di Londra, Lea. Lo sei anche quando a Londra non ci sei, e quindi sei anche la cosa più bella di quell'altro posto. Ovunque vai, ovunque sei, non c'è niente e non c'è nessuno che possa rivaleggiare con i colori che hai dentro e di cui omaggi il mondo.»

Io e il mio pigiama di Crudelia ci rifuggiamo tra le sue braccia per nascondere la commozione. Fummo accolte prontamente, e non ci sentimmo più né troppo piccole né insignificanti. Mi parve un pigiama bellissimo, il più bello del mondo, degno di una regina.

«Ci vieni con me, in dispensa, o preferisci aspettarmi qui?»

Me lo chiese mentre ancora mi abbracciava e sentii il calore delle sue carezze tra i capelli. Non era facile convincersi che quelle mani avevano ucciso, e che lo avrebbero fatto di nuovo. Senza pentimento.

«Perché in dispensa? Vuoi dormire tra i sacchi di farina?»

«No, voglio dormire in questo letto comodo con te addosso. Ma le cose sporche e appiccicaticce sono tutte in dispensa. Vorrai mica guardare la tv senza sbriciolare tra le lenzuola, vero?»

Mi allontanai dal suo corpo solo perché volevo che lo vedesse il mio sorriso, che potesse riempirsi gli occhi della mia riconoscenza.

Ci sono altri modi di godere, mi aveva detto una volta. Capii davvero il significato di quella frase solo in quel momento. Trevor Baker stava tentando di fare l'impossibile: riavvolgere il tempo, restituirmi l'infanzia per consentirmi di vivere da grande quello che mi era mancato prima.

«Le patatine alla cipolla? Ce le hai le patatine alla cipolla?»

Mi piacevano tanto, ma Matteo Gessi non me le faceva mangiare.

«Se non ci sono le procuro, te lo prometto.»

«E quelle al formaggio? Quelle che poi bisogna leccarsi le dita...»

«Sono sicuro che ci sono.»

«Mi piacciono anche le caramelle gommose a forma di coccodrillo...»

«Va bene.»

«E quelle a forma di uovo, bianche e gialle, ce le hai quelle?»

Mi prese le mani e mi baciò la punta delle dita e mi tremarono un po' le gambe. «Stasera non ti mancherà niente, Lea. Ma quantità moderate, o starai male. Va bene?»

Mi alzai sulle punte die piedi per baciarlo sulla guancia. «Grazie, Trevor Baker, carogna di Wall Street.

***


Non era difficile liberare la bambina che Lea aveva rinchiuso lontano dal mondo. Eppure nessuno, prima di me, lo aveva fatto. Nemmeno Denis.

Era bellissima. Quando apriva la sua prigione, Lea si spogliava di tutte le maschere che si portava sempre appresso, e modificava anche il suo modo di comunicare. Diventava puro istinto, ma non quello primitivo o animalesco, no. Il suo era l'istinto dei cuccioli, che vivono la vita come un gioco senza fine, eterno inseguimento di gioie e piaceri, dando per scontato che la sopravvivenza faccia parte del pacchetto e che non vada né conquistata né sottratta ad altri.

Era una felicità cristallina e limpida, per nulla contaminata dagli abusi, dal cinismo, dalla brutalità cui la vita, in varia misura, sottopone tutti. Noi più di altri.

Di quella felicità lì era invasa, quando decise che in dispensa ci sarebbe venuta anche lei, "chè le patatine alla cipolla le voglio scegliere io!".

E fui ben felice di attraversare i corridoi del Baker Hill illuminato del suo incantesimo, senza cercare di domare il sorriso idiota che senza dubbio mi si era stampato sulla faccia a vederla così piena di vita.

Si era preoccupata per meno di un secondo dell'eventualità di incrociare influencer e miliardari mentre indossava un pigiama Tezenis e dei calzini spaiati: potevamo usare l'ascensore di servizio ed evitare la sala dei ricevimenti.

Ma fece soltanto cinque o sei passi fuori dalle porte scorrevoli di quell'ascensore, prima di spegnersi come una lucciola morente.

La sua mano strinse la mia con una forza che non pensavo nemmeno potesse esercitare. Il corridoio poco illuminato che portava alla porta secondaria della dispensa era popolato da un solo uomo, a parte noi due. Concentrato sull'inattesa reazione di Lea, quasi congelata sul posto dalla sua vista, il cervello si fiondò a scartare le ipotesi peggiori: l'uomo con la schiena appoggiata al muro, davanti alla porta che dovevamo attraversare, non era mio padre e, grazie a Dio, non era nemmeno Viktor.

Il mio sollievo non contagiò la mia cosina preferita. Non avevo al polso lo smartwatch che mi segnalava i suoi battiti, ma avrei scommesso quel dannato hotel e tutto il suo contenuto che il ritmo cardiaco era da allarme rosso. Non ne capivo il motivo.

D'istinto, mi feci avanti e coprii con il mio corpo quello di Lea. Non ero minimamente preoccupato dalla situazione, lo feci esclusivamente per rassicurare lei, e celarla il più possibile dalla visuale corrotta di uno dei tanti stronzi con cui ero cresciuto.

«Danyl. Che cazzo ci fai qua?»

Il bagliore rosso della sigaretta mi svelò l'arcano: mio padre, fumatore incallito, non tollerava che quello stesso vizio fosse sfoggiato da altri nei suoi locali, men che meno dai suoi sottoposti. Con uno scatto di reni staccò le spalle dal muro. «Oh, il piccolo Baker. Tuo padre ti cerca da ore.»

Sentii anche l'altra mano di Lea avvolgersi intorno al mio polso. Praticamente mi stava aggrappata addosso. «Ero occupato.»

Lo vidi chinare la testa, ghignando. «A scopare?»

«Sì. Non essere troppo invidioso. Prima o poi capiterà un'occasione anche a te.»

Gettò la sigaretta a terra e la pestò con la scarpa. «Facciamo che io non dico a tuo padre che sei troppo occupato a fotterti una ragazzina per omaggiare i tuoi ospiti, e tu non gli dici che ero troppo occupato a fumare nel suo hotel per svolgere il mio lavoro?»

«Facciamo che se fai o dici qualunque cosa mi possa infastidire ti sfilo l'intestino dalla bocca.»

Dalla gola gli sgorgò fuori una risata catarrosa. Ormai, doveva essere prossimo ai cinquant'anni. Esattamente come mio padre alla sua età, ne dimostrava venti di meno. Probabilmente non si sarebbe potuto dire lo stesso dei suoi polmoni, assuefatti da decenni di tabacco consumato con una continuità sconcertante. Fumava anche mentre uccideva. Secondo me fumava anche mentre cagava. Se non fumava mentre scopava era perché non scopava.

«Carina questa minaccia. Posso rubartela e usarla contro la mia prossima vittima?»

Mi sfilò accanto, e Lea mi si appiccicò alla schiena. Lo sguardo di Danyl si soffermò un attimo di troppo su di lei.

«Ehi, Capelli Rossi...»

«Non parlarle, non guardarla neanche. Vai a fanculo lontano da qui.»

Ma lo colsi, fu un guizzo, un dubbio che gli increspò la fronte per un secondo. Il silenzio con cui si girò per andarsene poteva essere frutto di un ricordo affiorato.

Mi rivolsi a Lea solo quando se ne fu andato, le alzai il mento per cercare risposte nei suoi occhi che non brillavano più come al piano di sopra.

«Dimmi cosa ti ha fatto. Adesso.»

«Non sono sicura sia lui.»

«Sì che lo sei.»

Si dimenò nei dubbi per un po'. Le lasciai il suo tempo. Dovette giungere a una conclusione inamovibile, perché mi rispose con lo stesso tono con cui mi aveva parlato la prima volta che andai al Sweety per conoscerla.

«Cose sporche e appiccicaticce, signor Baker. So che lo è anche il sangue, ma non è ciò che mi hai promesso. Voglio le mie patatine alla cipolla, stasera.»

Stasera.

«E le caramelle a forma di coccodrillo» aggiunsi.

Lea mi sorrise, tornò parecchia luce nel suo sguardo. «Torniamo nel paese dei balocchi, avanti.»

***

«Ci sono!» Lea quasi mi lanciò addosso un pacchetto di patatine. «Sono quelle tonde con il buco in mezzo, sono proprio quelle giuste!»

Era felice, porca puttana. Mi ero convinto di amarla la sera in cui a renderla felice era stata una coppa gelato, mi convinsi di essere condannato nell'istante in cui la vidi felice per un pacchetto di patatine alla cipolla. Non c'era penitenza che avrebbe potuto dissuadermi dal commettere il peccato, se il peccato era Lea. All'accusa di amarla più di quanto fosse lecito, mi sarei dichiarato orgogliosamente colpevole, avrei vestito la colpa come fosse una divisa da supereroe, e l'avrei sfoggiata come una corona.

Presi uno scatolone vuoto e ci misi dentro la confezione di patatine. Lea lo riempì ancora di schifezze assurde che non le avrei mai e poi mai permesso di mangiare, ma non c'era motivo di toglierle l'illusione di poterlo fare: era uno scricciolo e il suo stomaco si sarebbe chiuso ben prima di aprire tutte quelle confezioni. L'avrei quindi lasciata saltellare gioiosamente da un vizio all'altro, in quella dispensa: avrei permesso che riempisse quella scatola più di quanto avrebbe mai fatto con la sua pancia, perché Lea aveva gli occhi grandi e non era un problema, per una volta, lasciare che vedessero più meraviglie di quelle che realmente avrebbe potuto sopportare.

«I coccodrilli gommosi non ci sono...»

Era tutta concentrata a smistare i sacchetti di caramelle, senza trovare quello che cercava. Ne presi uno e vidi che dentro c'era di tutto.

«Qua ci sono anche i coccodrilli, bambina.»

Guardò la confezione dubbiosa. «Ci sono anche le liquerizie ripiene, lì dentro.»

«Non ti piacciono?»

«Mi piacevano, ma una volta ne ho mangiate fino a vomitare. Non le ho mangiate più.»

«Puoi mangiare solo i coccodrilli e lasciare nel sacchetto le liquerizie.»

«Davvero?»

Era impossibile, davvero impossibile, non intenerirsi davanti a una robina così. Eppure c'era chi non l'aveva fatto. Uno era mio padre. Non l'unico, purtroppo.

«Sì, davvero.»

Mi prese dalle mani la confezione con fare circospetto. «Ci sono più liquerizie ripiene che coccodrilli.»

«Stai serena, Lea. Se dico che puoi mangiare solo i coccodrilli, vuol dire che puoi e basta.»

Si convinse, e lanciò anche quelle dentro lo scatolone di robaccia da mangiare. Io contribuii con una bottiglietta da mezzo litro di Coca Cola.

«Niente acqua delle isole Fiji?»

«No, meglio roba con le bollicine. Ti aiuterà a prevenire il mal di pancia.»

«Mi sembra sensato.»

Presi lo scatolone, e Lea infilò un braccio sotto intorno al mio. Sembrava intimorita all'idea di uscire di lì. Avrei potuto dirle qualcosa per rassicurarla, ma lei mi guardò e mi sorrise e io compresi che voleva nascondere la sua paura. Le lasciai credere di potermi nascondere una cosa come quella. Ma Lea non poteva nascondermi niente, perché anche io conoscevo la paura, anche io ero cresciuto temendo quello che mi attendeva dietro le porte, dietro gli angoli, al piano di sotto e a quello di sopra.

Il corridoio era deserto, nessun Sebastian, nessun Viktor, nessun Danyl. La mia bambina si rilassò un po'.

Tornammo in camera, la chiusi a chiave e ogni traccia di tensione abbandonò i suoi lineamenti perfetti.

Appoggiai la scatola delle meraviglie accanto al letto, e ci accomodammo sotto le coperte, io con la schiena contro la testiera, Lea seduta tra le mie braccia, le luci soffuse e un'impareggiabile voglia di normalità.

Accesi il Tv. «Cosa vuoi guardare?»

«Non capisco niente in inglese. Scegli tu.»

«Posso selezionare la lingua, Lea. C'è anche l'italiano.»

«Non ho visto l'ultimo dei Guardiani della Galassia. Tu?»

«Io sì.»

«È tanto triste? La parte di Rocket, intendo.»

Riesumai la trama. Guardai Lea, Soppesai le sue aspettative. Emisi la sentenza. «Sì, quella parte è tanto triste, amore mio.»

S'incupì un po'. Rilanciai. «E Shan-Chi e i dieci anelli? Lo conosci?»

«Mai sentito. Non è un Avengers.»

Sorrisi. «Bambolina, devi arrenderti alla capitolazione della vecchia guardia, che tra i morti, i risorti e gli invecchiati il bilancio non è a favore. Abbiamo degli eroi nuovi. E poi... ci sono i draghi in questo film.»

Spalancò gli occhi e tutto il mondo divenne verde. «I draghi? Belli?»

«Bellissimi, quasi come te.»

«Vediamo questo super eroe nuovo e giovane.»

Feci partire il film. Lea aprì la confezione di patatine alla cipolla. Mangiò anche i coccodrilli gommosi, ma solo quelli rossi. Non finì le patatine al formaggio, per fortuna. Bevve un po' di Coca Cola. Non le venne mal di pancia.

La mia parte di letto si riempì di briciole.

Mi chiese scusa e io la baciai sulla punta del naso, poi sulla fronte, poi sulla bocca e poi di nuovo sulla punta del naso e avrei continuato in eterno ma lei scoppiò a ridere e fu come sentire il battito d'ali di tanti colibrì di cristallo.

Ci lavammo i denti, scrollammo le lenzuola ma alla fine lei mi si rannicchiò addosso e occupammo lo spazio di mezza piazza. Nella pancia sentivo una sensazione strana, che identificai quando lei si addormentò e io avevo ancora le labbra tra i suoi capelli. Ero felice anche io.

Sapevo che non sarebbe durata, ma avevo sperato di arrivare almeno fino all'alba.

Povero illuso.

Mi svegliai non appena la sentii agitarsi. Non avevo bisogno di tenere lo smartwatch al polso, perché la mia bambina mi era rimasta aggrappata come un cucciolo di koala, spostai le dita sul collo e le sentii il battito accelerare fino ad impennarsi.

Mi preparai a gestire la sua crisi di panico, come avevo fatto nelle notti precedenti, anche quelle in cui non ero accanto a lei. Ma quella notte ero lì, ed era fonte di sollievo sapere che avrei potuto stringerla tra le mie braccia subito dopo, confortarla in tutti i modi possibili. La misi supina perché sapevo che avrebbe iniziato a dimenarsi: le avrei tenuto i polsi e non si sarebbe fatta male da sola. Credevo di essere pronto, preparato.

Ma le cose presero una strada leggermente diversa. Quando me ne resi conto, aveva già smesso di gridare nel sonno ed era perfettamente sveglia. Sbarrò gli occhi: io compresi quello che le era appena successo, lei ancora no.

L'avrebbe presa malissimo e io non ero sicuro di poterla arginare. Infatti non ci riuscii.

***

La morte mi venne a trovare, e quella notte aveva aveva un volto. Quello di Danyl. Sentivo l'odore del suo fumo ogni volta che il gelo dell'acqua mi dava tregua, ma non sapevo cosa fosse peggio, se l'odore di lui o la collera fredda dell'acqua.

Mani spietate mi sommergevano con forza e il contatto con il gelo era come uno schiaffo sulla faccia e un calcio nei polmoni. Con la stessa cattiveria mi sollevavano la testa e al posto dell'ossigeno sentivo di respirare la puzza di quell'uomo. E poi di nuovo nell'acqua. Poi fuori. Dentro. Fuori. Mi spaventava morire tanto quanto la prosecuzione di quella tortura. Poi il getto caldo, umiliante, tra le gambe. Piscio bollente, acqua gelata, parole brutali e il mio piccolo cuore che si spezzava una volta, a undici anni, e poi di nuovo, a ventuno. E la morte che mi seguiva senza prendermi, ed essere sua prigioniera era pure peggio che morire. Almeno la morte era una forma di libertà.

Mi svegliai senza fiato, annaspando come sempre, la pressione di un macigno sul torace e una frusta annodata intorno al muscolo cardiaco. Lacrime tiepide che i baci morbidi di Trevor succhiavano via, mentre ansimavo come un pesciolino fuori dal suo laghetto.

«Respira piano, bambina, sono qui.»

Non ci riuscivo, non ci riuscivo mai, all'inizio. I polmoni erano minuscoli, contenevano poco e quel poco lo dovevo sputare fuori subito. Non c'era spazio dentro di me, nemmeno per l'aria, figuriamoci per una vita intera.

E il cuore galoppava, bisognoso di un posto più ampio, che lì dove lo tenevo io non ce n'era abbastanza, ci stava stretto, soffocava anche lui, insieme a me.

Lo sentivo tutto, il corpo di Trevor, sopra di me, contenere la ribellione del mio, incapace di respirare come si deve ma stupidamente cocciuto nel dimenarsi in cerca di una liberazione che lo avrebbe portato solo a farsi del male.

La stretta delle sue mani intorno ai polsi era forte e dolorosa e quel dolore lì mi servì, mi punse, acuto, fino a restituirmi un briciolo di lucidità. I polmoni si allargarono un pochino, e poi ancora, e poi ancora. Li rieducai, piano, a svolgere correttamente il loro compito, mentre si ammansiva anche il cuore, più testardo, ma comunque meno imbizzarrito di prima.

«Sono qui, adesso passa...»

Sì, sarebbe passato, sarebbe passato tutto, ma Trevor sarebbe rimasto, ed era buono, ero bello, era quello di cui avevo bisogno.

E nel riacquisire almeno in parte le mie facoltà mentali, tornai a percepire il mondo nella sua interezza. E mi accorsi che c'era qualcosa che mi aveva seguita dal piano onirico. Mi concentrai per farlo sparire, quel qualcosa, per smettere di avvertire quella sensazione di bagnato che fino a quel momento non aveva mai varcato il confine del reale.

Ma fallii, e fu frustrante. Il cuore la prese male e io provai di nuovo a far sparire quella parte di sogno che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Non ci riuscivo e non capivo perché.

«Lea, è tutto a posto, ok? È tutto a posto...»

Incrociai finalmente lo sguardo di Trevor e ci trovai una dose di preoccupazione più massiccia del solito. Fu quello il momento in cui lo realizzai, quello in cui dovetti accettare che non esisteva nulla che potesse varcare il limite del sogno per raggiungermi in quella stanza d'albergo. Quello fu il momento in cui capii di essermela fatta addosso, nel letto, accanto a Trevor Baker.

Fu l'istante in cui il destino mi piantò l'ennesima coltellata nel petto, lacerando quel poco che mi era rimasto, strappando gli ultimi brandelli di dignità, privandomi dell'ultimo strato di corazza, esponendomi del tutto inerme alle conseguenze di quanto visto e vissuto. Piccola creatura senza spina dorsale, paurosa e afflitta, insetto da calpestare, ridicolo persino rispetto a uno scarafaggio che poteva contare sul suo carapace infrangibile, mentre io ero verme strisciante, cieco, sordo, muto, vulnerabile, cibo prelibato persino per passerotti coccolosi. Una nullità tremante, buona solo a subire, incapace di ribellione credibile.

«Lea...»

Spostai lo sguardo perché la pietà in quello di Trevor non l'avrei sopportata. «Sono sveglia. Lasciami.»

Lo fece, ma con circospezione, attento a ogni mia reazione, pronto a intervenire in caso di una mia reazione inappropriata.

Mi rimase accanto, incurante della pozza di piscio con cui avevo impregnato il letto, le lenzuola, tutto.

Era buio, ma cercai lo stesso di stimare le dimensioni del mio disastro, mentre raddrizzavo la schiena per mettermi seduta.

Tastai con la mano e il contatto con il bagnato non mi offrì il conforto di un errore di valutazione: avevo davvero fatto pipì nel sonno.

Trevor, accanto a me, mi studiava come fossi una bomba da disinnescare al più presto.

«Lea, ascolta..»

«No.»

«Non è successo niente...»

«No.»

«Stai tranquilla...»

«No.»

E il dolore mi esplose dentro, Trevor non lo poté disinnescare perché non c'erano fili da tagliare, nulla che potesse fermare l'innesco. Milioni di schegge mi si piantarono nel petto, ognuna era un ricordo, un errore, un difetto imperdonabile, un pezzo sbagliato di me, ed erano tutti appuntiti, affilati, letali.

Saltai giù dal letto e sentii le mani grandi e calde di Trevor cercare di agguantarmi con un'urgenza senza rivali, ma il mio bisogno di espiare era più grande e fui più veloce, o forse solo più convinta di lui nel decidere cosa fare e corsi in bagno, chiudendogli la porta in faccia. Potei solo sperare di non averlo colpito, mentre giravo la chiave.

Trevor urlò il mio nome molte volte, e i suoi colpi avrebbero disintegrato quella porta nel giro di una manciata di secondi. E quindi non ebbi molto tempo di pensare a come procurarmi quello che mi serviva. Colpii lo specchio con la mano chiusa a pugno e raccolsi il frammento più grande che vidi per terra. Mi ci vidi riflessa e agii in fretta, perché quel dolore mi stava consumando più in fretta di un incendio e io avevo bisogno di sopraffarlo con un altro dolore al più presto. 

SPAZIO AUTRICE

Trauma, fatto. Sangue, in arrivo. Poi un po' di affari per l'effetto domino e si torna a traumi e sangue... fino all'epilogo.

Ci saranno momenti, da qui in poi, in cui dovrete avere fiducia. Non tutto è come sembra. O forse sì, ma... va beh basta.

Siete pieni di dolcetti dopo Halloween?

Ragazzi nelle prossime settimane avrò novità da dirvi, se volete restare aggiornati mettete il follow, e per qualche anticipazione (su alcune cose non posso anticipare, però) mi trovate sia su Instagram (nuovo di zecca) che su tiktok.

Vi voglio bene, il vostro essere qui mi tiene in piedi. Ogni soddisfazione, ogni conquista piccola e grande che potrò avere in futuro è frutto del NOSTRO lavoro, perché le storie muoiono senza lettori, e voi tenete in vita i miei personaggi. Grazie. Seguiteci per le novità :)

Per chi non ha Instagram, vi lascio un saluto da Lea e Trevor, che sbriciolano patatine tra lenzuola di seta. Il pigiama di Crudelia non sono proprio riuscita a farlo intendere a Bing Image Creator 

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