(Un)expected

By anna_storiess

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SPIN OFF DI (IM)POSSIBLE Ally. Chioma corvina. Postura sicura. Sguardo glaciale. Reputazione di ragazza faci... More

Book Trailer 🎬
Dedica✨🖤
Prologo
Chapter one
Chapter two
Chapter three
Chapter four
Chapter five
Chapter six
Chapter seven
Chapter eight
Chapter nine
Chapter ten
Chapter eleven
Chapter twelve
Chapter fourteen
Chapter fifteen
Chapter sixteen
Chapter seventeen
Chapter eighteen
Chapter nineteen
Chapter twenty
Chapter twenty-one
Chapter twenty-two
Chapter twenty-three
Chapter twenty-four
Chapter twenty-five
Chapter twenty-six
Chapter twenty-seven

Chapter thirteen

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By anna_storiess

Rientro in camera verso le tre e mezza, senza neanche ringraziare Matt per il passaggio.

Durante il tragitto verso il campus ho avvertito la stanchezza aumentare a ogni metro percorso e i muscoli intorpidirsi, desiderosi soltanto di rilassarsi e posarsi su un letto. Sto infatti anelando al materasso che si trova a pochi metri da me, avvertendo il sonno di tutta una notte che sembrava essere completamente svanito soltanto un'ora fa.

Apro quindi lentamente la porta ed entro in stanza, sfilando gli stivaletti sulla soglia in modo svogliato. Tuttavia, nel momento in cui mi piego per prenderli in mano, in modo da sistemarli nella scarpiera, ecco che qualcosa posizionato sul pavimento attira la mia attenzione.

Socchiudo le palpebre per cercare di squarciare l'oscurità che incombe nella stanza e prendo in mano quella che sembra essere una busta bianca.

Aggrotto le sopracciglia, certa più che mai che nel momento in cui sono uscita non era lì. Mi domando quindi chi abbia potuto inviare una lettera nel bel mezzo della notte, e la rigiro tra le mani per leggerne il destinatario.

Allison.

Ritiro lievemente il capo all'indietro, colpita.

Me?

Con curiosità mi affretto ad aprirla, tentando di non fare troppo rumore per evitare di svegliare Charlotte- la quale dorme in modo tranquillo sul letto poco distante dal mio. Ne tiro fuori un foglio di carta ripiegato in uno strano modo. Ha infatti una forma triangolare che, nel momento in cui lo apro e ne allontano gli angoli gli uni dagli altri, sembra trasformarsi in una perfetta e simmetrica...

stella.

Schiudo le labbra.

Ma che-

Sistemo una ciocca di capelli dietro l'orecchio e, in una panoramica generale, osservo la superficie colma di parole. Il colore della penna usata è nera ed è abbastanza rimarcata. Le parole presentano una calligrafia elegante e raffinata, con le lettere oblique.

Mi siedo sul letto, curiosa di scoprirne il contenuto e, soprattutto, il mittente. Perciò, senza neanche attendere un solo secondo di più, inizio:

"Secondo la tradizione popolare le stelle cadenti indicherebbero l'avvicinamento di un Angelo alla Terra che è giunto per raccogliere i desideri di noi uomini e portarli in cielo, affinché questi possano essere esauditi.

Ebbene, piccola Allison, io ho una visione completamente diversa riguardo questa leggenda. Ritengo infatti che questi piccoli punti luminosi che cadono e attraversano il cielo non rappresentino altro che demoni scacciati via dalla volta celeste e mandati sulla terra per portare i peccati e gli errori commessi là su.

Loro che, da esseri peccaminosi e imperfetti, sono rifiutati dal cielo stesso e mandati a portare dissidi e odio qui tra gli uomini.

Portatrici di dolore, affiliazione, pena, non appaiono ai miei occhi che come lo spettacolo più affascinante da contemplare. Poiché è esattamente questo significato che rappresenta la mia vera identità.

Io, che ripudiato dalla mia vita esattamente come loro, giungo in quella altrui per dilettarmi dell' angoscia, della miseria, della punizione.

Turbolenze che disfano essenze.

Dolori che sostituiscono amori.

Familiari che diventano lontani cari.

Il gioco è iniziato, Allison. Tu sei una pedina. Eppure non amo affrontare un singolo giocatore, dovresti saperlo bene...

Augura sogni d'oro alla tua sorellina.

Che le danze abbiano inizio... "

Ogni singola cellula del mio corpo si immobilizza all'istante. I muscoli si paralizzano, incapaci di accennare anche un impercettibile movimento. Le palpebre sono sgranate, le labbra schiuse e il respiro mozzato. Il cuore batte lentamente, pompando sangue con una velocità paragonabile a quella di una lumaca, a causa dello shock che si sta impossessando di me.

Rileggo più e più volte la lettera, cercando di scorgere altri significati celati dietro queste inquietanti parole. L'orrore che ne traspare, però, mi lascia attonita.

"Il gioco è iniziato, Allison. Tu sei una pedina."

"Io, che ripudiato dalla mia vita esattamente come loro, giungo in quella altrui per dilettarmi dell' angoscia, della miseria, della punizione. "

"Non mi piace giocare con una sola pedina..."

E poi, con la stessa forza con cui si attraggono due magneti, i miei occhi piombano su una frase in particolare, capace di farmi accaponare la pelle e irrigidire l'intero corpo.

"Augura sogni d'oro alla tua sorellina"

Il cuore mi si ferma.

Il respiro si azzera completamente.

Emily.

Ed ecco che la paura, il terrore e un'ansia incontenibile che non provavo da ormai molto tempo si fiondano su di me come un fiume in piena. Mi inondano il petto, scombussolano ogni mio organo e colmano la mente con una serie di scenari tragici che mi portano a boccheggiare.

La frequenza cardiaca passa da zero a diecimila in pochi secondi, lasciandomi priva di sensi e incapace di non farmi trascinare dal panico più totale.

Le ha fatto qualcosa?

Con le dita tremanti afferro il telefono e digito il numero di Emily. Avvio la telefonata, ma il segnale risulta assente.

Aggrotto le sopracciglia.

Non viene prodotto neanche uno squillo. Neanche un minimo fottutissimo squillo.

Riprovo svariate volte, telefonando anche a zia Isobel e zio John, eppure anche i miei tentativi si disperdono nell'aria tagliente e gremita di un intenso terrore.

«Cazzo!» impreco sottovoce, sganciando un potente calcio sul pouf accanto al mio letto.

Mi alzo quindi di scatto e mi dirigo verso il comodino di Charlotte. Afferro il suo telefono e controllo se ci sia segnale, eppure anche per lei non vi è traccia di linea.

È uno scherzo?

Passo entrambe le mani fra i capelli e serro gli occhi, impanicata più che mai. Rifletto sulle parole scritte e sull'ambiguità del mittente anonimo.

Ed è proprio nel momento in cui ragiono su quest'ultimo che un dettaglio che rammento un nuovo particolare: il biglietto che mi era stato inviato soltanto poco tempo fa. Le parole inquietanti, il fatto che lo avessi sottovalutato e il nomignolo che mi era stato affidato: "piccola stella".

Aggrotto le sopracciglia e mi dirigo a passi svelti verso il mio letto. Riprendo in mano la lettera e ne osservo la forma, raffigurante una...

stella.

Rilascio il capo all'indietro e passo una mano sul viso, stranita da tutta questa situazione.

Realizzo che probabilmente la persona che ha inviato il biglietto è la stessa della lettera, e un brivido di inquietudine mi attraversa la spina dorsale.

Non è quindi uno scherzo di qualche matricola. Non è una sciocchezza. Si tratta di qualcuno che si diverte a farmi impazzire e che, soprattutto, conosce la mia sorellina.

Sbuffo pesantemente, in modo preoccupato, e tento di placare i miei dubbi e le mie ansie riguardo Emily, eppure non ci riesco. Le sue parole sono state chiare, mia sorella non mi ha scritto per tutta la sera e non riesco neanche a mettermi in contatto con lei.

Come posso restare qui in camera e aspettare fino a domani mattina? E se le succedesse qualcosa?

Perciò, travolta da un'ondata di preoccupazione immane, passo nuovamente una mano sul viso in modo disperato e mi avvio verso la porta.

Devo andare a Orlando, subito.

Infilo quindi nuovamente gli stivaletti e prenoto un Uber che mi porti al locale e mi faccia riprendere la mia macchina. Dovrò raggiungere mia sorella questa notte stessa, non posso aspettare oltre.

Afferro quindi il telefono e la lettera ed esco dalla stanza. I miei passi sono rapidi e affrettati, smaniosi di arrivare il prima possibile nel giardino del campus. Scendo i gradini a due a due, rischiando quasi di cadere, e mi piombo fuori il dormitorio, venendo investita all'istante dalla brezza notturna. Questa, però, appare insignificante di fronte ai brividi di terrore già presenti sulla mia pelle.

«Cristo...» mi guardo intorno distrattamente, tuttavia, nel momento in cui mi volto verso un muro dell'edificio, ecco che il mio sguardo si posa su qualcosa di strano.

Una figura abbastanza alta e imponente, i cui occhi erano dapprima puntati su di me, fa velocemente un passo indietro, in modo da sparire dietro il dormitorio e occultare il suo corpo nell'ombra.

Schiudo le labbra, notando le mie mani iniziare a tremare.

Il timore che possa trattarsi della stessa persona che mi ha inviato la lettera si impossessa di me. Tuttavia, nonostante debba- come farebbe un qualsiasi individuo dotato di ragione e responsabilità- allontanarmi e scappare via, le mie gambe proseguono in piena autonomia verso quel punto. Ogni parte di me, ancorata al lato più razionale della mia mente, tenta di fermarmi, eppure non lo faccio. Proseguo con lentezza verso il punto in cui si è nascosto il ragazzo, eppure nell'esatto momento in cui mi sporgo verso di lui- rimanendo pur sempre a debita distanza per paura che si tratti di un killer in procinto di uccidermi-  ecco che rimango impietrita.

«E tu cosa diavolo ci fai ancora qui?!» la mia voce è alta e stranita, con le sopracciglia aggrottate e un'espressione a dir poco scioccata in volto.

Gli occhi azzurri di Matt mi squadrano per alcuni minuti, scontrandosi dapprima con il mio stupore e in seguito con il mio sguardo indagatore. Sembra esitare inizialmente, non riuscendo a trovare le parole esatte da pronunciare, fino a quando, però, non indica con un cenno del capo la sigaretta che ha in mano.

«Fumavo.»

Aggrotto le sopracciglia.

«E perché lo facevi nascosto in un angolo del giardino del dormitorio femminile?»

Lo guardo con circospezione, non riuscendo a credere appieno alle sue parole. Il tono risulta infatti abbastanza ambiguo, nonostante il suo sguardo rimanga impassibile come al solito.

Fa infatti semplicemente spallucce, tentando di non darmi troppa corda e di minimizzare al massimo ciò che gli ho appena chiesto, e fa un altro tiro.

«Sono rimasto dopo averti accompagnata. Qualche altra domanda, agente Jackson?» mi sbeffeggia in modo ironico, celando tuttavia una nota di fastidio.

Non me ne curo però più di tanto. Roteo semplicemente gli occhi al cielo e, seppur molte domande rimangano senza risposta- come per esempio il fatto che si sia nascosto d'istinto non appena mi ha vista uscire- decido di lasciar perdere. Passo quindi una mano tra i capelli e rilascio un profondo sospiro, rassegnata al fatto che la mia mente abbia ricominciato a formulare ansie e paure riguardo Emily.

Mantengo le palpebre chiuse per qualche secondo e cerco di regolarizzare il respiro. Guardo poi l'orario sul telefono e noto che sono le tre e quarantasette di notte.

Mancano dieci minuti all'arrivo dell'Uber e poi potrò finalmente precipitarmi a Orlando.

In modo del tutto involontario, la mia mano inizia a tremare a causa della paura e dell'inquietudine. Penso e ripenso a Emily, domandandomi se stia bene, se quello psicopatico stesse bleffando o se davvero abbia intenzione di farle qualcosa.

Sbuffo pesantemente.

Sbatto il palmo della mano contro il muro e impreco ad alta voce, non curandomi della tarda ora e del fatto che Matt sia a soltanto pochi passi da me. La rabbia fuoriesce infatti in modo autonomo e incontrollato, accompagnata dal terrore che possa succederle qualcosa.

«Porca puttana!» emetto un urlo adirato e inizio a girarmi intorno con entrambe le mani sui fianchi.

«Va tutto bene?» la voce di Matt, graffiata e arrochita dal fumo, appare ovattata dal boato delle mie paranoie.

No. Non va affatto bene. Niente va bene.

Tiro un calcio al muro esterno del dormitorio, graffiando lievemente la punta dell'anfibio.

L'ira scivola via dalla mia pelle come piccole goccioline di sudore. La mascella mi si serra, mentre gli occhi si infuocano sempre di più. La paura lascia infatti pian piano spazio alla rabbia, alla frustrazione e all'impotenza di non poter fare niente.

«Ehi, calma... Che succede?»

Sulla fronte di Matt compare un evidente cipiglio. Sembra davvero interessato e preoccupato per la mia reazione, eppure non gli rispondo, non riuscendo a placare la mia agitazione.

Continuo infatti a sbuffare incessantemente, mordendo il labbro inferiore in modo nervoso e tirando una serie di calci al muro, al cestino della spazzatura in ferro e a una panchina lì vicino.

«Figlio di puttana!» l'ira monta come un cavallo imbizzarrito e privo di redini, i cui ostacoli rappresentano soltanto una fonte di collera inspiegabile.

Cosa significavano quelle parole? Che le avrebbe fatto del male? E se glielo avesse già fatto?

Serro gli occhi, tentando di scacciare via questi pensieri, e comincio a stringermi la testa fra le mani. Esercito infatti una notevole pressione alle tempie, come se questo fosse sufficiente a bloccare i pensieri paranoici.

Il respiro diventa irregolare e sempre più affannato, provocando un aumento consequenziale della frequenza cardiaca.

Sento che potrei avere un infarto da un momento all'altro, eppure non mi importa. La mia mente è unicamente rivolta alla mia sorellina e a ciò che potrebbe accaderle.

Matt mi guarda con preoccupazione, la quale aumenta nel momento in cui inizio a girarmi attorno in modo frenetico e nervoso. Fa infatti un ultimo tiro e, gettando il mozzicone della sigaretta nella spazzatura, si avvicina a me.

«Ally, mi vuoi dire che cazzo succede?» domanda con tono apprensivo.

A quel punto sbuffo e, senza neanche rendermene conto, scoppio come un fiume in piena: «Non risponde ai miei messaggi, non riesco a telefonarle e non mi ha inviato la solita buonanotte...» le parole fuoriescono confuse dalla mia bocca, risultando il riflesso scombussolato della mia mente.

«Chi?»

Passo ulteriormente la mano tra i capelli in modo nervoso e poso una mano sul petto. Il battito è accelerato fin troppo, esattamente come il respiro, che appare un vero e proprio affanno.

«E se le succedesse qualcosa? Se in questo momento fosse in pericolo?!» agito le braccia in aria e mi rivolgo direttamente a Matt, come se lui avesse le risposte alle mie domande.

Infatti, mi guarda con un cipiglio curioso sul volto, senza comprendere le mie parole e trovarne un nesso.

«Ally, di chi stai parlando? Non riesco a seguirti.» si avvicina maggiormente a me, fino ad arrivare a un passo dal mio corpo.

Piega il capo verso il mio, in modo da incastrare i miei occhi nei suoi. E, non appena lo fa, nell'esatto momento in cui l'indaco delle sue pupille si fonde con il mio azzurro, ecco che dentro mi me inizia a diffondersi una strana e nuova sensazione di...

pace.

Schiudo le labbra.

Il mio respiro inizia a calmarsi e i miei muscoli a essere pervasi da quella che sembra essere serenità. Avverto infatti la tranquillità mettere da parte l'ansia, la paura e la rabbia. La placidità si fonde alla quiete e riesce a farmi dimenticare, anche se solo per un'impercettibile frazione di secondo, tutto ciò che è avvenuto soltanto pochi secondi fa.

I suoi occhi mi fissano infatti con intensità, riuscendo a creare attorno a noi una bolla in cui ci siamo soltanto io e... lui.

Abbasso lo sguardo.

No, no, no. Smettila.

Non voglio che abbia su di me quest'effetto, nonostante gradisca l'insolita sensazione di pace che mi trasmette. Non è la prima volta che i suoi occhi riescono a scombussolare così tanto dentro di me e disorientarmi come una bambina alle prime armi. E questo non mi piace affatto. Perciò mi schiarisco la voce ed emetto un profondo sospiro, decidendo di raccontargli tutto.

In fondo, lui era presente la sera in cui mi è stato inviato quel biglietto anonimo...

«Mi è arrivata questa poco fa.» afferro la lettera, ormai stropicciata, dalla tasca della felpa e gliela porgo con furore.

Lui aggrotta le sopracciglia nel momento in cui posa lo sguardo sul pezzo di carta. Legge poi velocemente ogni singola parola, ponendo però la giusta attenzione, e man mano che ne legge il contenuto il cipiglio sul suo volto aumenta maggiormente.

Una volta finito, mi aspetto che mostri la sua confusione e che mi riempi di domande. Eppure, questa non è la sua prima reazione. Infatti, tutto ciò che fa è chiudere le palpebre e rilasciare il capo all'indietro.

Aggrotto le sopracciglia.

Emette un sospiro e passa una mano tra i capelli, per poi posare gli occhi sul prato in modo riflessivo, mentre la mia confusione incrementa a dismisura.

Perché reagisce così?

Ripunta i suoi occhi nella mia direzione e mi guarda come se sapesse molto di più di me, come se questa lettera fosse qualcosa che lui si aspettava, ma che non sperava arrivasse.

Riduco quindi le palpebre a due fessure, insospettita dal suo comportamento, e lo guardo con circospezione.

«Dove l'hai trovata?» domanda in modo asettico, con un tono totalmente lontano da quello usato prima per farmi calmare.

Non rispondo subito, troppo confusa dalla sua reazione e incapace di dare un senso alle sue parole e ai suoi gesti. Tento infatti di capire per quale motivo abbia reagito in quel modo, perché sembri costantemente che ne sappia più di me riguardo i bigliettini e le lettere anonime e perché si sia incupito così tanto, eppure non ci riesco. Perciò mi limito a pronunciare:

«Nella mia stanza. L'avranno fatta passare sotto la porta.» il mio tono è un misto tra il rassegnato e il frustrato. Non riesco infatti a realizzare che ci sia qualcuno che possa inviarmi queste cose alle tre di notte e suscitare in me una tale reazione.

«Bene... Le opzioni sono due: o è uno psicopatico o è un coglione di prim'ordine.» il suo tono è serio, e ciò sembra sottolineare il fatto che nonostante queste siano le parole che escano dalla sua bocca, lui ne stia pensando tutt'altre...

Scuoto la testa. «Non lo so, ma è da ieri che Emily è sparita. Non mi scrive, non mi telefona... Ed è strano, noi ci sentiamo tutte le sere e-» l'agitazione ricomincia a prendersi gioco di me, le mie mani ricominciano a tremare e i brividi a percorrere la spina dorsale.

«Pensi che le sia successo qualcosa?» domanda in modo gutturale.

«È questo il punto, non ne ho idea! Ma non è da lei sparire in questo modo. Non penso sia una coincidenza il fatto che sia stata nominata nella lettera proprio oggi che non riesco a mettermi in contatto con lei!» inizio a camminare avanti e indietro, pronunciando le parole con un tono di voce fin troppo alto rispetto all'ora della notte.

«Cos'hai intenzione di fare?» domanda con le sopracciglia aggrottate e un cipiglio serio sul volto.

Sospiro.

«Andare da lei, adesso. Non posso aspettare ancora.»

Le mie parole lo sorprendono, lasciandolo con le labbra schiuse per una manciata di secondi. Sembra infatti riflettere sulla mia frase più volte. Si gratta il sopracciglio in modo pensieroso, spostando lo sguardo dapprima sull'erba sottostante e in seguito su di me, per poi rispondere:

«Va bene, lasciami prima fare una telefonata.» sfila il telefono dalla tasca dei jeans, ma non appena lo schermo viene illuminato si accorge che non c'è linea.

Neanche per lui.

Riduce quindi le palpebre a due fessure e osserva il telefono in modo circospetto.

«Cazzo...» impreca sottovoce, con un tono roco e baritonale, per poi continuare: «Tua sorella vive a Orlando, giusto?»

Annuisco.

«Bene, ti accompagno io.»

Cosa?

Rimango attonita da ciò che ha appena detto, non riuscendo a capire se le sue parole siano vere oppure se me le sono soltanto immaginata. Tuttavia, le risposte mi vengono fornite dallo sguardo intenso che mi rivolge, in attesa di una risposta.

«Come? No, andrò con la mia macchina.» il mio tono non risulta molto deciso, poiché la mente è ancora occupata dalla preoccupazione per Emily, e ciò lo incita a non darmela vinta.

«Dopo quattro Ak-47, una sbornia e una crisi di rabbia? No, non esiste.» scuote il capo in segno di diniego e afferra le chiavi della sua Maserati.

Aggrotto le sopracciglia.

«Matt, voglio andare da sola, non c'è bisogno che tu mi faccia da guardia del corpo costantemente.» pronuncio seccata.

Lui, però, non si smuove dalla sua posizione. Rilascia infatti un semplice sospiro, e continua:

«Non mi importa di quello che vuoi fare, ti accompagnerò. Fine del discorso.» si impone in modo austero e perentorio, riuscendo soltanto a innervosirmi maggiormente.

«Senti, sono grande e vaccinata abbastanza da poter guidare per tre ore senza l'ausilio di un prepotente che mi sta sempre attaccato!» esclamo infastidita, riferendomi a ogni singola volta in cui ha insistito per starmi vicino, anche quando gli ordinavo di non farlo.

È infatti da ormai diverse settimane che Matt si offre di accompagnarmi a casa, di portarmi via dai locali e da viscidi che tentano di portarmi a letto. Non so come faccia, ma è presente tutte le volte che mi trovo in difficoltà o da sola, compresa questa notte.

Rotea gli occhi al cielo e solleva velocemente le sopracciglia, come se stesse pensando qualcosa che però non può dire.

«Non che mi diverta, girasole. Non è il mio miglior hobby stare dietro a una ragazzina che non riesce a non mettersi nei guai per più di due ore di fila.» risponde con sarcasmo e col chiaro intento di non farmi andare oltre, eppure dovrebbe sapere che durante una discussione sono in grado di fare tutto, eccetto che quello di non rispondere...

Perciò socchiudo le palpebre e faccio schioccare la lingua sul palato in modo piccato.

«Non mi sembra di averti mai chiesto nulla, sei tu che ogni volta usi la scusa di Charlotte per starmi addosso!»

Ghigna in modo derisorio e scuote il capo. Sembra voler aggiungere altro, probabilmente per negare le mie parole e schernirle completamente. C'è infatti qualcosa, nel suo sguardo, che mi fa pensare che non sia esattamente come la penso io. Tuttavia, non chiedo nulla e lui non osa ribattere oltre. Si limita quindi al silenzio per una manciata di secondi, per poi spezzarlo poco dopo dicendo:

«Comunque sia, non ho intenzione di lasciarti viaggiare da sola. Perciò, o vieni con me di tua volontà o ti porto di peso in macchina. Scegli.» incrocia le braccia al petto, mettendo in risalto i bicipiti fasciati dalla felpa.

Gli occhi ricadono per un momento lì, ma riesco a distogliere lo sguardo e a scuotere il capo infastidita.

È inutile. Non gli interessa vincere con le parole, l'importante per lui è che si faccia come dice.

Sbuffo seccata.

Stronzo.

Decido di non controbattere, nonostante il suo sorrisino soddisfatto mi faccia uscire fuori di testa e, seppur con ogni nervo teso e infastidito, accetto. Lo supero quindi con una spallata abbastanza forte che, tuttavia, non riesce a smuoverlo di un centimetro, e mi dirigo verso la sua macchina.

«Sappi che lo faccio soltanto per mia sorella!»

Un sospiro divertito giunge da dietro le mie spalle, ma lo ignoro completamente. Mi affretto a entrare dentro l'auto e, una volta dentro, mi diletto a fare una delle cose che odia di più al mondo: con un tonfo potente sbatto la portiera, chiudendola con talmente tanta violenza che la Maserati trema per una frazione di secondo.

Beccati questo, stronzo.

Incrocio le braccia al petto e inarco un sopracciglio, compiaciuta dall'espressione a dir poco truce con cui mi fulmina non appena entra in macchina.

Tuttavia, non reagisce propriamente nel modo in cui mi aspettavo. Non urla o mi insulta in alcun modo. Tutto ciò che fa è sospirare e scuotere il capo.

«Ecco perché sei una ragazzina, insolente e infantile...»

Riduco le palpebre a due fessure.

«Di dodici anni, a quanto pare.» continua provocatorio.

Serro la mascella, adirata più che mai dal tono della sua voce e dal modo in cui non sembra propenso ad accettare una mia obiezione. Punta infatti lo sguardo sulla strada e mette in moto, uscendo con facilità dal parcheggio.

Non penso di aver ancora metabolizzato il fatto che Matt mi stia accompagnando ad Orlando alle tre del mattino. Mi sembra surreale e fin troppo strano. Ne sono tuttavia, da un lato, contenta, poiché viaggiare da sola nel pieno della notte non rappresenta il massimo della sicurezza per una ragazza di vent'anni, con ancora i residui di una sbornia addosso e totalmente invasa dai pensieri.

Dopo alcuni minuti di viaggio, lo sguardo mi ricade accidentalmente sul corpo di Matt che, con assoluta nonchalance, si accinge a ingranare la sesta marcia. Preme poi il piede sull'acceleratore, mentre il contachilometri e la velocità aumentano sempre di più.

Le strade sono isolate e i palazzi man mano spariscono nel momento in cui ci allontaniamo dalla città.

Con gesti esperti, Matt continua a incrementare la velocità, fino a quando, in autostrada, non raggiunge la marcia sette.

Osservo con le labbra schiuse il modo in cui tutto ciò che ci circonda ci passa a fianco in modo talmente rapido da non essere identificato. I cartelli stradali, le piante e le transenne, a causa della velocità, si fondono infatti gli uni con gli altri.

Il rombo del motore evidenzia la rapidità con cui Matt attraversa l'autostrada, risultando come una colonna sonora perfettamente armonica con i suoi gesti: le mani venose si posano infatti sul volante e sul cambio, gli occhi restano fissi sulla strada, la gamba allenata esercita una buona pressione sull'acceleratore.

Sposto lo sguardo sul suo viso, pentendomene però all'istante. Non appena, infatti, ne osservo i lineamenti concentrati e virili, la mascella squadrata, il naso dritto, le sopracciglia lievemente aggrottate, le labbra rosee e morbide, gli occhi intensi e ammaliatrici, rimango incantata. Le linee del volto risultano armoniche e proporzionate le une con le altre, risultando talmente perfette da sembrare quelle di una divinità Greca. I capelli biondi, setosi e non troppo corti, ricadono leggermente sulla fronte, rendendo ancora più luminoso il volto, che appare però oscurato dai pensieri tenebrosi che sembrano occupare la sua mente.

C'è tuttavia una parte del suo corpo che attira la mia attenzione maggiormente e che mi costringe a inumidirmi le labbra: il suo pomo d'Adamo.

Così virile, mascolino e sensuale, infatti, si abbassa e si alza in modo erogeno. Vengono calamitati lì tutti i miei desideri, che incalzano sempre di più non appena diversi ricordi riaffiorano nella mia testa: le immagini della nostra ultima volta insieme che ritraggono le mie labbra avvolgersi attorno al pomo d'Adamo e succhiarlo con avidità. La mia lingua che lo accarezza e lo lecca come se avesse un sapore tutto suo, mischiato a quello inebriante della sua pelle.

Rammento il modo in cui mi ha fatto godere succhiarlo e avvolgerlo con le labbra, facendolo entrare a contatto con la mia bocca, il modo in cui mi sono beata delle sensazioni che ha inviato al mio basso ventre, delle pulsazioni che mi hanno pervasa e, soprattutto, dell'orgasmo provato solo e unicamente grazie a lui.

Dio...

Sono costretta a serrare la mascella e a schiarirmi la voce per scacciare questi pensieri. La mia temperatura corporea è improvvisamente salita a cinquanta gradi e un calore insopportabile ha iniziato a pervadermi ogni parte del corpo, soprattutto il basso ventre...

«Che caldo...» sussurro in un sospiro accennato, accendendo l'aria condizionata.

Lo sguardo di Matt si posa proprio su quest'ultima e la osserva come se avesse di fronte a sé un alieno con tre teste, probabilmente perché i gradi fuori sono completamente diversi da quelli presenti nel mio corpo.

E, subito dopo, come il più abile dei provocatori, pronuncia: «Che c'è, tigre? Starmi vicino per più di dieci minuti ti fa andare in fibrillazione?»

Un ghigno malizioso, ma non spavaldo, compare sul suo volto e io improvvisamente mi domando come sia passata dall'insultarlo nella mia testa per la sua arroganza all'eccitarmi per averlo semplicemente guardato.

Cerco comunque di non dargliela vinta e aumentare ancora di più il suo ego spropositato. Perciò, sollevando velocemente le sopracciglia, rispondo:

«Mi dispiace annullare i tuoi sogni, ma si tratta delle mestruazioni. Capisco però che tu non sappia cosa siano, in fondo appartieni a quel sesso che ha un pene in mezzo alle gambe e un cervello vuoto.» gli rivolgo un finto sorriso, mentre lui rotea gli occhi al cielo.

Bugia. Non si tratta delle mestruazioni, bensì del chiaro e tondo effetto di... Matt.

«Sì, certo...» sorride in modo malizioso e continua a guardare la strada completamente vuota davanti a noi.

Aumenta ancora di più la velocità, fino a ingranare la marcia otto e arrivare a duecentocinquanta chilometri orari.

La manualità e la facilità con cui guida risultano attraenti, eppure mi domando perché stia andando talmente veloce.

«Perché corri così?»

«Per arrivare a Orlando ci vogliono circa tre ore e mezza, se invece continuo con questa velocità ne impiegheremo soltanto due.» spiega con tono baritonale, posando una mano sul volante e un gomito sulla portiera.

«Oppure consumeremo tutto il carburante.» pronuncio con ovvietà, spostando lo sguardo oltre il finestrino.

«Faremo benzina.» risponde semplicemente, minimizzando le mie parole.

A quel punto, emetto un sospiro e mi accovaccio sul sedile in pelle. Il mio corpo è pervaso da una strana agitazione, dovuta all'adrenalina, alla rabbia e alla paura di questa notte.

I minuti passano infatti abbastanza lentamente, scanditi dalle lievi note di una canzone a dir poco disgustosa trasmessa in radio. Le mie orecchie si rizzano infatti un paio di volte, disturbate dalla musica rap, confusionaria e frenetica, che risuona nell'abitacolo. Cerco più volte di riposarmi e calmare i nervi tesi, eppure la canzone, probabilmente di 21 Savage, me lo rende alquanto impossibile.

Corruccio perciò le labbra in una smorfia disgustata e, con uno scatto rapido, cambio radio. Lo faccio senza pensarci due volte, non curandomi del fatto che sia la macchina di Matt.

Cambio stazione un paio di volte, fino a quando non mi imbatto in una delle mie canzoni preferite in assoluto: Swim di Chase Atlantic.

Le mie labbra si increspano in un impercettibile sorriso, provocando un verso soddisfatto. Mi risiedo quindi sul sedile e, compiaciuta, comincio a ondeggiare lievemente il capo a ritmo di musica.

Eppure, se io resto letteralmente ammaliata dalla canzone presente e dal modo in cui le parole danzano sulle note per creare una melodia perfetta e armoniosa, accanto a me si forma un'espressione disgustata e infastidita.

Matt, infatti, ha le labbra corrucciate in modo schifato e gli occhi che si spostano da me alla strada con incredulità. Sembra infatti non capire minimamente come sia possibile che preferisca questa musica a quella che lui stava ascoltando poco fa.

«Togli immediatamente questa roba.» ordina in modo perentorio.

Inarco un sopracciglio.

«E ritornare ad ascoltare quello schifo di prima? Assolutamente no.» incrocio le braccia al petto e torno ad ascoltare la voce melodiosa e travolgente di Chase Atlantic, muovendo il capo in modo fluido.

Tuttavia, Matt e il suo fastidioso modo di non darmela mai vinta me lo impediscono, poiché continua: «Mia la macchina, mia la scelta musicale.»

Detto ciò, si sporge verso la radio e torna alla canzone di 21 Savage. Il rimbombo delle parole cantate, pronunciate una dopo l'altra in modo caotico e per nulla piacevole al mio udito, muta completamente la mia espressione: da incantata passa infatti a schifata.

Disgustata.

Nauseata.

Ripugnata.

«Mi stanno sanguinando le orecchie!» esclamo infastidita, spostando lo sguardo nella sua direzione.

Sul suo volto si presenta un ghigno divertito, che non fa altro che provocarmi una seria orticaria a causa del fastidio che mi provoca.

Che faccia da schiaffi.

«Ci farai l'abitudine.» scrolla le spalle e, come se non bastasse, alza maggiormente il volume.

Schiudo le labbra. Il nervosismo comincia ad assalirmi interamente, accompagnato da una malsana voglia di vendicarmi. Infatti, senza pensare un solo secondo di lasciar perdere, assottiglio le palpebre e mi sporgo verso la radio. Rimetto "Swim" e lo guardo con sfida, intimandogli di non cambiare e giocare ulteriormente con la mia pazienza.

«Ally...» mi rimprovera allora in modo lento e spontaneo, con un tono talmente naturale e una voce così tanto virile che perdo per un attimo il focus del discorso.

«Non metterò quello schifo di canzone, a costo di ascoltare un podcast sulle discordie amorose nelle coppie cinquantenni.»

Ai suoi primi attimi di silenzio, emetto un verso soddisfatto, che mi porta a puntare gli occhi su di lui in maniera vittoriosa, eppure il momento di idilliaca vincita non sembra durare molto, poiché continua:

«Sai, tigre... Se c'è una cosa che odio fare quando gioco è far vincere l'avversario.» la voce è roca, lo sguardo puntato sulla strada, ma le sue parole strettamente rivolte a me. «Non mi importa tanto incassare la vittoria, quanto più non farla ricevere agli altri.» fa una pausa, durante la quale sfila una Marlboro dal pacchetto, la interpone tra le labbra con gesti spontanei e l'accende.

«Magari non me ne frega un cazzo della partita che sto conducendo, ma è sempre meglio che l'avversario accresca la vergogna rispetto all'ego. Perciò, nonostante adesso io possa non vincere, l'importante è che non vinca...» cambia radio subito dopo, facendo sì che la voce di una giornalista si diffonda nell'auto. «tu.»

Mi rivolge un occhiolino provocatorio, per poi sbuffarmi il fumo in faccia subito dopo.

«Perdo io, perdi tu. Perdi tu...» fa un altro tiro. «vinco io.» scrolla le spalle, accrescendo in me una vera e propria collera assassina.

I miei occhi gli riservano infatti un'occhiata talmente truce e intensa che, se gli sguardi ne avessero il potere, lo ucciderebbe seduta stante. Lo incenerisco infatti con la stessa forza del peggiore degli incendi, infastidita dal modo in cui cerca sempre di avere la meglio.

Su tutti e per tutto.

Esattamente come me.

E, anche se odio ammetterlo, questo non è l'unico aspetto in cui siamo molto simili...

Sbuffo infastidita e serro la mascella, per poi voltarmi verso il finestrino e puntare lo sguardo sulla strada buia e deserta.

Con gli altri mi viene piuttosto facile prevaricare e impormi. Di solito sono io quella ad avere un ruolo dominante in ogni rapporto o conversazione umana, sono io a dettare ordini, ad avere l'ultima parola e a scalfire chi mi sta dinanzi, eppure con lui... con lui non ci riesco.

Mi sembra di impazzire ogni volta poiché non sono mai in grado di impormi come faccio con gli altri.

E, Dio, odio questa cosa...

Sospiro e sistemo una ciocca di capelli  dietro le orecchie, tentando di porre l'attenzione su altro. Osservo infatti la radio e mi concentro sulle parole trasmesse.

"È da ormai un mese che il cinquantenne floridiano Nerrad Mallow, condannato all'ergastolo, è fuggito dalla "Dade Correctional Institution" , la prigione situata nella contea di Miami-Dade, in Florida."

Sbuffo in modo scocciato e sollevo il braccio per cambiare radio. Tuttavia, prima che possa farlo, la voce di Matt mi interrompe:

«No, aspetta, voglio sentire.»

Alza quindi il volume, mentre la sua espressione diventa man mano più corrucciata e riflessiva nell'udire le parole della giornalista. Aggrotta infatti le sopracciglia e inizia a mordersi distrattamente il labbro inferiore, concentrandosi sulla notizia.

Mi domando inizialmente perché ne sia così interessato, ma lascio perdere, decidendo di ascoltare.

"La polizia lo sta ancora cercando, ma le sue tracce sembrano essere completamente scomparse. Nelle prime settimane, le poche segnalazioni che sembravano averlo visto in California, Florida, Canada e persino Spagna, si sono dissolte nel nulla, lasciando interrogativi e punti ciechi concerni la sua evasione."

Inarco le sopracciglia, per poi scuotere il capo subito dopo. «Non lo troveranno più allora... Chissà dove sarà scappato.» faccio spallucce in modo rassegnato, per poi riabbassare il volume nel momento in cui parte una canzone.

«Più vicino di quanto pensi...» la sua voce esce in un flebile, quasi impercettibile, sussurro. Non riesco a capirne infatti bene le parole, per questo mi volto verso di lui e domando:

«Come?»

Il suo volto è corrucciato, riflessivo e completamente lontano dall'espressione provocatrice che presentava soltanto pochi minuti fa.

«Niente.» risponde semplicemente.

Aggrotto dunque velocemente le sopracciglia, ma non continuo con ulteriori domande. Mi limito semplicemente a scrollare le spalle e a riprendere la posizione di poco fa. Avvicino le ginocchia al petto e mi stringo a esse, iniziando ad avvertire la stanchezza di questa giornata, o meglio, di questa nottata, che si presenta.

Le palpebre diventano infatti più pesanti, mentre dalla bocca fuoriesce uno sbadiglio. Tento comunque di restare sveglia, nel caso Emily dovesse telefonarmi o scrivermi, eppure la spossatezza prende il sopravvento, portandomi a chiudere gli occhi e lasciarmi andare nelle braccia di Morfeo...

***

Non so esattamente quanti minuti siano passati -forse venti, forse trenta- da quando mi sono addormentata. Non passa però molto tempo, poiché il mio sonno risulta debole e non abbastanza profondo.

Nel momento in cui apro le palpebre, comunque, mi sveglio più rilassata e serena di prima. La preoccupazione devastante di poco fa sembra essersi assopita, esattamente come la rabbia. Cerco quindi di far sì che rimangano affievolite, in modo da non avere un'altra crisi, e sposto la mia attenzione sul brontolio che invade il mio stomaco.

Non mangio da oggi a pranzo, per la scarsa voglia di cibo che ho avuto per l'intera giornata, e adesso inizio a risentirne. Cerco infatti nella tasca della felpa una gomma, una caramella o qualsiasi cosa che possa mettere sotto ai denti, ma non trovo nulla.

Soltanto il telefono e quella stupida lettera.

Sospiro.

«Siamo vicino a una stazione di servizio per caso?» mi schiarisco la voce, leggermente arrochita dal sonno.

Gli occhi di Matt si posano su di me per un istante fugace, per poi risposarsi sulla strada.

«Mhh...» si sporge lievemente in avanti col capo, fino a quando non nota proprio l'insegna illuminata di un autogrill a circa cinquanta metri da noi. «Sì, devi andare in bagno?» domanda con un tono di voce baritonale e profondo.

«No, sto morendo di fame.» sfrego due dita su un occhio, per poi sbadigliare ancora.

Matt non risponde. Si limita ad annuire e ad aumentare di poco la velocità, in modo da arrivare prima.

Infatti, nel giro di qualche minuto ci ritroviamo davanti a una pompa di benzina completamente deserta. L'unica luce è fornita dall'insegna a neon che indica i prezzi di quest'ultima e quella all'interno del bar.

«Andiamo.» spegne il motore e scende dall'auto. Faccio la stessa cosa e, richiudendo la porta dietro di me, mi avvicino a lui.

Il suo corpo risulta molto più alto e più imponente rispetto al mio, pronto ad avvolgermi con il suo profumo alla menta, vaniglia e muschio. Mi costringo a non posare lo sguardo sulle sue spalle possenti, eppure la tentazione di ammirare le linee della sua figura risulta molto più forte rispetto alla mia volontà.

Di fatto, nel momento in cui lui posa una mano sul mio fianco e lascia che entri prima di lui nel bar, ecco che i miei occhi vengono attratti dal torace allenato fasciato dalla felpa e dalle spalle. Queste ultime sono larghe, imponenti e simmetriche, perfettamente in armonia col resto del corpo.

Lo guardo dal basso e avverto l'improvvisazione sensazione di essere molto più piccola rispetto alla sua stazza.

Avanza nel locale, completamente vuoto, con sguardo sicuro e corrucciato.

La sua espressione sembra sempre fredda e infastidita, costantemente all'erta.

«Prendi quello che vuoi.»

Ci avviciniamo al bancone, dove sono esposte una serie di prelibatezze che mi provocano l'acquolina in bocca.

Ciambelle glassate, brownie, torte, cupcakes... Nel reparto del salato, invece, hamburger di ogni tipo, patatine fritte, hotdog...

Inumidisco involontariamente il labbro inferiore e guardo tutto quel cibo in modo sognante.

«Mi dà una ciambella, una fetta di quella torta al cioccolato e un hamburger, per favore?» domando alla commessa, di circa vent'anni, che sembra avere uno sguardo abbastanza stanco a causa della tarda notte.

Annuisce tuttavia con un sorriso cordiale e, mentre prepara il sacchetto, io afferro dalla tasca i soldi che ho portato.

Nel momento in cui lo faccio, però, il sorriso mi si spegne all'istante. Ho infatti soltanto otto dollari, poiché ho speso gli altri per i drink presi al locale.

Sbuffo.

Che palle.

«Anzi, faccia soltanto la ciambella.» pronuncio quindi con tono abbastanza basso per non farmi sentire da Matt, che intanto ha ordinato un semplice caffè.

Non voglio che capisca che al momento non ho i soldi per comprarmi la cena. Voglio dire, di solito ho tutto il denaro necessario per acquistare ciò che più desidero, ma questa sera sono uscita dalla camera talmente di corsa che non ho preso molto.

«D'accordo, sono sette dollari e novanta.» mi porge la ciambella glassata da una crema al cioccolato, per poi prendere i miei soldi.

Non le rivolgo alcun sorriso, poiché non è mia consuetudine farlo con nessuno, ed esco dal locale.

Tuttavia, una volta vicino alla porta, mi accorgo che Matt rimane fermo davanti al bancone per... parlare con la cameriera.

Roteo gli occhi al cielo.

«Non vieni?» domando in modo forse un po' troppo infastidito, senza neanche saperne il motivo.

Lui si volta nella mia direzione e, senza prolungarsi eccessivamente, risponde: «Ti raggiungo subito, tu aspettami in macchina.»

Non aggiungo altro. Mi limito a sbuffare e a riservare un'occhiataccia a lui e alla ragazza, che improvvisamente mi sembra una gatta morta in piena regola.

Mi precipito quindi fuori, camminando a passi svelti e non riuscendo a trovare il coraggio per riflettere sul motivo del mio fastidio. In fondo Matt per me non è nient'altro che sesso, esattamente come è per lui, eppure non capisco perché ogni volta che Chloe o qualsiasi altra ragazza gli si avvicina uno strano formicolio fastidioso e di pura rabbia inizia a espandersi all'altezza dello stomaco.

Sospiro.

Sicuramente sarà per il fatto che quelle che ci provano con lui sono delle galline fuggite dal pollaio. Mi autoconvinco di questo, mentre apro la portiera dell'auto e mi ci fiondo dentro.

Afferro quindi la ciambella dal sacchetto e la avvicino alla bocca. Il cioccolato entra a contatto con le mie papille gustative, fondendosi alla morbidezza dell'impasto della ciambella. La dolcezza di questo connubio mi inebria all'istante, portandomi ad agognarne altre dieci.

Tuttavia, non è possibile, poiché la ciambella finisce dopo pochi minuti, lasciando il mio stomaco abbastanza vuoto e voglioso di altra roba.

«Che palle...» impreco con frustrazione, mentre lecco le dita e mangio persino le ultime briciole rimaste.

Tuttavia, proprio quando avverto che la fame non è stata per nulla assopita è che ha soltanto preparato lo stomaco a mangiare qualcos'altro, ecco che il mio sguardo si posa su una figura in particolare: Matt è infatti appena uscito dal bar e sta camminando a passi sicuri verso la sua Maserati. I suoi capelli biondi contrastano l'oscurità che lo avvolge, esattamente come le gemme azzurre che ha al posto degli occhi.

Ne rimango ammaliata per una frazione di secondo, fino a quando il mio sguardo non viene calamitato da altro. In particolare, da due sacchetti che ha in mano.

Aggrotto le sopracciglia.

Entra in macchina poco dopo e, con nonchalance, si risiede al posto del conducente.

Io, invece, guardo in modo circospetto ciò che ha portato e che rilascia un odore magnifico. Mi sporgo in avanti, inalandone il profumo, e domando:

«Che... Che cos'è?»

Un sorriso sincero gli increspa lievemente le labbra, per quanto lui tenti di nasconderlo. Si volta infatti nella mia direzione, incastrando le sue iridi nelle mie e scrollando le spalle.

«Soltanto hamburger, hotdog, torte, cupcakes, ciambelle, patatine e...» sposta lo sguardo sul secondo sacchetto. «Due lattine di coca cola.»

Rimango letteralmente scioccata.

La mia bocca si spalanca, totalmente stupita da ciò che ha appena detto, mentre gli occhi mi si sgranano in modo automatico.

Ha comprato tutto ciò che c'era al bancone per me?

Si era accorto che non avevo abbastanza soldi?

Balbetto qualcosa di incomprensibile diverse volte, non trovando niente da dire, se non:

«Sono per me?»

Il suo sguardo viene attraversato da una scintilla di divertimento, che lo porta a inumidirsi il labbro inferiore e a sorridere.

«Dipende. Se la ciambella che hai preso ti ha saziata e vuoi lasciare che sia io a mangiare tutte queste cos-»

Non lo lascio finire. Con un movimento rapido e felino afferro uno dei sacchetti e ne tiro fuori un panino.

«Giù le mani dal mio cibo.» pronuncio semplicemente, mentre apro con la stessa foga di una bambina di dieci anni la carta che avvolge l'hambuger.

Sento un sospiro divertito da parte di Matt, eppure non distolgo la mia attenzione da ciò che ho in mano e che fornisce alla mia bocca un vero e proprio momento paradisiaco.

Dio, quanto è buono...

«Diciamo che non stavo parlando con la ragazza per provarci...» pronuncia a un certo punto, lasciandomi interdetta.

Una sensazione di inspiegabile e inammissibile compiacimento mi porta a smettere di mangiare per qualche secondo e a nascondere un sorriso soddisfatto. La parte razionale di me cerca comunque di contenerlo e mi porta a dire:

«Non che me ne importi qualcosa, comunque.»

Scrollo le spalle e inarco un sopracciglio, guadagnandomi uno sguardo derisorio da parte sua.

«Non che ti creda, comunque.»

Incastro i miei occhi nei suoi e riesco a leggere dentro tutto ciò a cui si riferisce: la sera della festa a casa di Lily e la lite che avevamo avuto riguardo Chloe, il fastidio che il suo tono e la sua voce mi avevano provocato, il modo in cui faceva la gatta morta con Matt...

Serro la mascella nel momento in cui riaffiorano questi pensieri, e mi riconcentro sull'hamburger.

Lo addento con fame, beandomi del sapore della carne, dei pomodori e dell'insalata che si unisce con armonia a quello delle salse.

Emetto un mugolio di piacere, mentre le mie papille gustative vanno letteralmente in fibrillazione. La fame, infatti, acuisce maggiormente il gusto del panino, facendolo apparire ancora più buono.

Matt, intanto, rimette in moto e si avvia in strada.

L'oscurità della notte viene quindi squarciata soltanto dai fari dell'auto, mentre al di fuori sembra crescere un potente vento più fresco del solito.

Spengo perciò l'aria condizionata che avevo acceso poco fa, a causa del calore generato dalla vicinanza di Matt, e continuo a mangiare.

A ogni morso il piacere aumenta, e io non riesco a trattenere i gemiti che fuoriescono in modo del tutto autonomo e incontrollato. Non ci faccio neanche troppo caso, poiché troppo impegnata a gustare il panino, eppure Matt, al mio fianco, non sembra essere della stessa idea.

«Cristo santo, Ally, potresti...» posa una mano sugli occhi e li sfrega per qualche secondo. «smetterla?»

Aggrotto le sopracciglia e mi volto di scatto verso di lui, non capendo perché il suo tono sia così agitato e affannato.

«Perché?»

Sospira, mentre ripunta gli occhi sulla strada, seppur la sua attenzione sia rivolta altrove.

Il suo pomo d'Adamo si alza e si abbassa, mentre il respiro sembra farsi più pesante e concitato.

«Perché potrei star pensando a circa dieci modi diversi per farti uscire questi stessi gemiti mentre hai le gambe aperte e la fica pronta per me. Ecco perché.»

Deglutisco.

Le parole mi arrivano forte e chiare, scontrandosi contro il mio sesso e il mio petto in modo erogeno, intenso e travolgente.

Il modo in cui si pone, in cui la sua voce roca riempie l'abitacolo e mi stravolge interamente, in cui si espone senza pudore... tutto questo mi costringe a inumidirmi il labbro e ad abbassare lo sguardo, colpita dalla potenza del suo.

«Perciò, se non vuoi che accosti in questo stesso istante e ti scopi come un dannato, ti prego...» sospira. «smettila.»

Mi osserva attentamente, eccitato dalla mia sola presenza, esattamente come me. Il suo sguardo è avido e percorre la mia intera figura. Ciò che più sembra attirarlo, però, sembrano essere le labbra, su cui i suoi occhi persistono per diversi secondi. Secondi che sembrano minuti, ore, e durante i quali ogni mia singola cellula impazzisce e inizia a surriscaldarsi.

No, non di nuovo.

Non posso perdere il controllo proprio adesso. Devo arrivare il prima possibile a Orlando e accertarmi di persona che Emily stia bene, perciò devo evitare qualsiasi fonte di distrazione.

Per questo motivo scelgo di schiarirmi la voce e cambiare discorso:

«Perché non assaggi tu di persona, così comprendi la mia reazione?» sollevo lievemente l'hamburger per sottolineare l'oggetto della mia attenzione.

Il suo sguardo ricade lì, seguito da un cenno d'assenso.

«Dammelo tu, devo cambiare marcia.»

Inarco un sopracciglio. «E non puoi mangiarlo dopo averla cambiata?»

Sorride con malizia e stampa sul suo volto la stessa espressione di un bambino che è stato appena sgamato.

«Penso che potrei morire di fame.» pronuncia in modo falsamente serio.

Roteo quindi gli occhi al cielo e sospiro rassegnata, per poi avvicinare il panino alla sua bocca.

La vicinanza con le sue labbra mi fa un certo effetto, eppure tento di mettere da parte l'attrazione letale che ogni singola fibra del suo corpo esercita su di me.

Apre quindi la bocca e addenta il panino, mangiando praticamente metà del boccone che gli avevo porto.
I denti affondano nel panino, mentre le labbra avvolgono quella fetta di paradiso.

Chiude poi la bocca, iniziando a masticare. Assapora la carne e tutti gli altri ingredienti con meticolosa attenzione, per poi reagire con un semplice: «Mh.» secco e conciso.

Sul serio? Tutto qui?

Matt sembra leggermi nel pensiero, poiché nel momento in cui io sollevo entrambe le sopracciglia stupita, lui pronuncia:

«Niente orgasmi, tigre, mi dispiace.» si volta poi verso di me e mi rivolge un occhiolino. «A quelli però puoi pensarci tu.»

Scuoto il capo in modo arrendevole e mangio l'ultima parte del panino rimasta. A differenza sua, la mia reazione appare più che eloquente, poiché roteo gli occhi, emetto versi soddisfatti- ben distanti però dai gemiti precedenti- e muovo ogni parte del mio corpo per rimarcare la bontà di questo benedetto hamburger.

Torno perciò a guardarlo, eppure me ne pento all'istante. Infatti, i miei occhi ricadono involontariamente sulla sua bocca e in particolare sull'angolo delle sue labbra sporche di salsa. Passa lì il pollice per pulirlo, per poi leccarlo subito dopo.

Dio santissimo...

Ma che diavolo succede questa notte?

Come diavolo è possibile che ogni singola cellula di Matt emani così tanta virilità, lussuria e sensualità anche nei gesti più banali? Il suo intento, infatti, era soltanto quello di pulirsi, eppure ai miei occhi è sembrato un gesto talmente eccitante da farmi bagnare.

Mi auto impongo però di smetterla immediatamente e di darmi una regolata, o finirò realmente per saltargli addosso. Perciò rilascio un breve sospiro e mi sforzo di darmi una contenuta.

Manca circa un'ora e mezza all'arrivo e io cercherò con tutte le mie forze di impiegare questo tempo a dormire o a ignorarlo completamente. Rivolgo quindi i miei pensieri a Emily e, nonostante la preoccupazione si rifaccia presente, prego con tutta me stessa che stia bene e che quella strana lettera sia stata un semplice bluff...

💖SPAZIO AUTRICE💖

Questo capitolo è stato un parto, perché non riuscivo mai a finirlo e ci ho messo tanto ad aggiornare, ma finalmente l'ho pubblicato.

La trama inizia a tessersi pian piano e non vi dico quanto mi sto dilettando a inserire sempre più dettagli riguardo questo "psicopatico" che invia lettere e bigliettini. 🤫

Sono curiosa di sapere chi credete che sia, anche se è ancora presto per dirlo.

Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, se così e se vi va lasciate una stellina 🌟

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Profilo tik tok:

anna_storiess_

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