Painful melody

By Sofiacuofano

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ATTENZIONE: SONO PRESENTI SCENE DI SESSO ESPLICITO E DI VIOLENZA!!! Lei è nata nell'agio della famiglia più p... More

PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
CAPITOLO 39
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
CAPITOLO 42
CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 46
CAPITOLI 47
CAPITOLO 48

CAPITOLO 45

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By Sofiacuofano


MIHAI

Sfogliavo le pagine di quel quaderno senza trovare più cosa scrivervi, nella mia mente vi erano ancora i mostri di quegli anni in carcere che mi ostruivano il cammino verso la quiete interiore, ma era come se per un attimo tutto si fosse messo in standby. Non sentivo più la necessità di scappare per quanto ancora mi sentissi fuori posto, tra quelle persone, tra quelle mura, in quel paese di ricordi che mi stava circondando da ormai fin troppo tempo. Era dura continuare ma avevo trovato un motivo per farlo, ecco perchè non mi sembrava così. Era tutta una questione mentale alla fine, la mia mente governava le mie azioni, bastava poco per farmi scattare e quel segno sul suo polso mi aveva portato ad impazzire tanto che non avevo pensato ad altro per tutta la notte. Saperla nel suo stesso letto mi aveva portato ad impazzire, sapere che era lì con l'uomo che si era azzardato a metterle le mani addosso, invece che con me che la toccavo sempre e solo per lambire quella reliquia, mi portava ad uscire di testa.

Non riuscivo a sopportare più quella situazione, soprattutto in quel momento in cui tutto stava iniziando lentamente a degenerare. Cornelius stava iniziando a capire che la quiete ormai era lontana anche per lui, che il matrimonio perfetto e da favola che avevano vissuto fino al mio ritorno era sempre stato una finzione, che non ci sarebbero più stati santi che lo avrebbero potuto salvare quando la mia vendetta finalmente si sarebbe conclusa. Per il momento dovevo solo attendere, aver pazienza e usare la testa. Il tutto messo insieme, quando in mezzo vi era Keira si rivelava ancor più difficile per me, ma dopo ciò che quel bastardo si era azzardato a fare, il desiderio di ridurlo in cenere si era fatto ancora più agonizzante.

Ma come potevo trovare il modo di descrivere come mi sentivo tramite delle parole? Non riuscivo più a scrivere, né per sfogarmi su delle pagine ingiallite con del banale inchiostro e ne tanto meno, per creare canzoni, non scrivevo più da più di dieci anni.

I miei occhi scivolavano lenti sulle parole dell'ultimo testo che avevo scritto e che nessuno aveva mai conosciuto, non avevo mai permesso a nessuno di leggerlo, difatti quando Paige si era azzardata a farlo ero impazzito. Avevo percepito una sensazione forte ma nuova, inspiegabile, come se il solo sapere che quelle parole stavano per essere conosciute da occhi che non erano i miei, mi avrebbe strappato ricordi che nessuno avrebbe saputo custodire con la mia stessa gelosa attenzione.

Si trattava dell'ultima canzone che avevo scritto.

L'avevo buttata giù in una sola notte, ma non in una notte come le altre.

Ricordavo ancora quel momento. La prima sera in carcere, qualche notte prima del processo finale che avrebbe posto la parola "fine", a quel meraviglioso capitolo della mia vita che si era concluso in tragedia.

Sentivo il petto esplodere, rabbia, delusione, odio e un amore che nessuno avrebbe mai potuto reggere, nemmeno me medesimo, che spingevano per trovare la libertà. Come se la gabbia del mio petto li avesse imprigionati senza alcuna pietà. Non avevo saputo come sfogarmi, non avevo saputo se mi avrebbero permesso di tenere con me quel quaderno, così vi avevo inciso quelle parole, su una delle tante pagine che conteneva. Con la speranza che se me l'avessero tolto quelle parole sarebbero arrivate a lei. Non era stato così e con il senno di poi, dopo dodici anni ringraziai che non fosse accaduto, che me lo avessero lasciato.

Era una canzone ai miei occhi priva di una decenza, l'ultimo testo che avevo scritto e anche il peggiore perchè vi ero io in quel brano, e ai miei occhi era penoso. In quel brano ero io senza di lei, ecco perchè era penoso.

Un leggero rintoccare contro la porta mi distrasse dalla mia rilettura, così richiusi il quaderno poggiandolo sul comodino, prima che due occhioni blu spuntassero dalla fessura della porta che, anche senza il mio permesso, si stava lentamente aprendo sotto la spinta di quel nanerottolo petulante.

<<Posso entrare?>> Il fatto che me lo domandasse quando la sua testolina era già ormai nella mia camera mi strappò un ghigno, quel bambino era di un'ingenuità che riusciva a rallegrare anche un morto.

<<Ormai sei già dentro Jack, che lo chiedi a fare?>> Accorgendosi di quel piccolo dettaglio, richiuse di scatto la porta tornando fuori. Sorrisi scuotendo il capo. <<Ti ho disturbato?>> Alzò la voce pensando che la sottile porta che ci divideva fosse talmente spessa da ovattare la sua voce squillante, quando invece paradossalmente la sentivo ancora meglio. <<Jacob scherzavo, entra.>> Con la stessa velocità con la quale si era richiusa, la porta si spalancò di nuovo e, quel pestifero, planò in camera mia con la stessa velocità di quelle automobili da corsa che tanto gli piacevano. Corse, corse, corse fino a quando non fece un salto abbastanza potente da arrivare a salire sul mio letto, dove ero sdraiato, senza alcuna difficoltà. Poi si lasciò cadere a peso morto su di me per sedersi sul mio addome.

Mi ero svegliato forse da un'ora e mentre io ero ancora tra le coperte, in boxer e la mente ancora assonnata, lui era già bello arzillo, ma con addosso ancora il pijama.

<<Zio sai che giorno è oggi?>> Iniziò a ricalcare i tatuaggi che mi riempivano il petto con la stessa precisione del tatuatore che me li aveva fatti, ne rimaneva sempre incantato, come se vedermi tutto quell'inchiostro che mi riempiva la pelle fosse per lui incredibile.

<<Mercoledì?>> Cercai di mettermi a sedere ma con quelle sue manine mi riportò sdraiato, voleva tutta la mia attenzione su di sè, in pratica ero intrappolato sotto un bambino che sapeva imporsi meglio di un uomo. <<No!>> Mi contraddì.

<<Invece io sono alquanto sicuro che sia Mercoledì, Jack.>> Ma lui scosse il capo, incrociando le braccia al petto. Era testardo quel marmocchio.

<<Sì, però non è un Mercoledì come gli altri, prova a ragionare.>> Mi accarezzai la lieve ricrescita di barba che mi sarei dovuto fare, se solo mi avesse permesso di iniziare la giornata, ma avevo come l'impressione che non mi avrebbe lasciato libero se prima non gli avessi dato ciò che desiderava. Il tempo trascorso con sua zia iniziava a dare i suoi frutti e non sapevo quanto positiva fosse come cosa.

<<Il giorno dopo il tuo compleanno?>> Domandai sperando di azzeccare.

<<Esattamente e sai che cosa c'è il giorno dopo, il giorno del mio compleanno?>> Mi stava facendo confondere con tutte quelle parole, dette a quella velocità, soprattutto perchè mi ero appena svegliato ma tentai di stargli dietro, sia a lui che alla sua testolina pazza.

<<Mercoledì?>> Il sorriso sparì dal suo volto, che divenne imbronciato.

<<Zio!>> Mi richiamò.

<<D'accordo, non so cosa ci sia oggi, me lo vuoi dire tu?>> Era più facile per entrambi se mi avesse aggiornato lui stesso, stargli dietro era difficile anche quando ero bello sveglio, in quel momento si stava rivelando impossibile. Aveva una mente complicata quel bambino, ragionava meglio di sei adulti.

<<C'è il giorno del mio desiderio.>> Mi spiegò, ma non fece che confondermi ancor di più.

<<E sarebbe?>> Mi informai.

<<Ricordi che ho espresso un desiderio quando ho soffiato sulle candeline ieri?>> Annuii.

<<Ecco, zia Keira dice sempre: "Il compleanno è fatto per i regali, e il giorno dopo il compleanno è fatto per realizzare i desideri che si esprimono quando si soffiano le candeline al compleanno, è come un post sbornia, la gente ti tratta come se fossi ancora ubriaco e tu puoi chiedere tutto ciò che vuoi.">> La sua imitazione mi lasciò talmente attonito che mi chiesi quanto tempo lui e quella donna passassero, lo stava trasformando in una sua piccola copia, in pratica era come avere una sua versione al maschile e con qualche anno in meno.

<<Non so bene cosa sia una sbornia, ma lei non sbaglia mai e se zia dice così vuol dire che così si deve fare.>> Inarcai un sopracciglio, sorpreso dall'intransigenza con la quale quel bambino seguiva i consigli di sua zia, senza tralasciare il minimo dettaglio.

<<Tu ho come l'impressione che fai solo ciò che ti conviene.>> Keira lo aveva viziato per bene. Mi sorrise furbamente aguzzando quelle pietre blu. <<Forse.>> Proprio come sua zia.

<<Sentiamo, quale sarebbe il tuo desiderio, piccolo Kovacs?>> Si portò un ditino tozzo al mento come se avesse avuto bisogno di pensarci, quando ero certo che ce lo avesse ben stampato in testa, fin dal giorno prima.

<<Voglio...>> Iniziò. <<Non si dice "voglio", si dice "vorrei".>> Lo corressi.

<< "Vorrei" è per le persone che sono sicure di non potersi permettere ciò che vogliono.>> Ribattè sicuro.

<<Fammi indovinare, lo dice sempre la zia vero?>> Il piccolo infame annuì sorridente.

<<E va bene, cosa vuoi Jack?>> Roteai gli occhi tra l'esasperato e il divertito.

<<Voglio che mi insegni a suonare la chitarra.>> Il sorriso mi morì sulle labbra, per quanto già poco accennato fosse. Non aveva idea del peso che possedeva quella sua richiesta e non gliene feci una colpa, in fondo era ancora piccolo, non poteva capire il vero senso di ciò che mi stava domandando, ma io non ero pronto a riprendere in mano quella chitarra.

Non mi apparteneva più.

Non ero più il cantante di successo di un tempo.

<<Questo non si può avere Jacob.>> Lo afferrai per i fianchi e lo misi a sedere sul letto, così che potessi finalmente alzarmi. Il suo sorriso sparì con la stessa sveltezza del mio, lasciando il posto ad un broncio che non sopportai. Keira lo aveva cresciuto con la consapevolezza che il "no" non era ben accetto, mentre i "sì" erano sempre all'ordine del giorno. Non andava affatto bene.

<<Ma come no? Papà dice sempre che eri il migliore quando suonavi.>> Si lamentò con la cantilena dei capricci. <<Io non suono più, anche tuo padre lo sa fare, chiedilo a lui.>> Il suo viso si imbronciò ancor di più. <<Ma io voglio che me lo insegni tu.>> Raccolsi il primo jeans che trovai a terra e me lo infilai alla svelta. <<Ho detto no.>> Presi una felpa nera dal cassetto.

<<Ma zio!>> Controbattè offeso.

<<No! Chiaro? Non ti insegnerò a suonare.>> Fui categorico arrivando anche ad alzare la voce, spinto dal fastidio che la sua pressione mi stava scaturendo nel petto. E mi resi conto del mio spaglio subito dopo. Avevo esagerato nel reagire così duramente. I suoi occhioni si riempirono di lacrime che scacciò con riluttanza, il suo viso arrossì dalla rabbia e si contrasse in una smorfia di collera. Lo avevo ferito alzando la voce e forse perchè gli avevo fatto credere che non volevo che imparasse a suonare, quando probabilmente lo voleva semplicemente per legarsi a me tramite qualcosa che ci avrebbe avvicinato ancor di più. Per l'ennesima volta sentii di non meritare il suo bene, il suo affetto, era troppo buono e fragile per uno come me.

<<Non mi parlare più, io ti odio!>> Balzò giù dal letto e corse via prima che potessi fermarlo per chiedergli scusa. "Ti odio", detto da lui fece ancor di più male di un proiettile impiantato nello stomaco. Gli avevo rovinato il suo desiderio, mi facevo schifo da solo.

Mio fratello, che in quel momento si trovava ad attraversare lo stesso corridoio, prossimo ad andare a lavorare, quasi non venne investito da quell'uragano di suo figlio, che schivò per un soffio, guardandolo fiondarsi in camera sua senza dargli alcuna spiegazione. <<Ehi, ma dove corri?>> Il piccolo entrò in camera sua e si sbattè la porta alle spalle, nella stanza proprio dirimpetto alla mia. <<Jacob?>> Lo chiamò senza ricevere risposta. Quando si voltò verso di me in cerca di spiegazioni non riuscii nemmeno a reggere il suo sguardo, avevo sbagliato e non occorreva che lo sapesse, ma non ci mise niente a dedurre che c'entrassi anch'io nel motivo dell'improvviso malumore del figlio. <<Si può sapere cos'è successo?>>

Mi lasciai cadere sulla sedia della mia scrivania massaggiandomi le tempie, già di prima mattina si era presentata la prima emicrania, quella giornata iniziava proprio con il piede sbagliato, pensai.

<<Che hai fatto?>> Domandò appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate e la smorfia di chi già sapeva che ne avevo combinata un'altra.

<<Ho detto di no al suo desiderio.>> Fui breve e sintetico ma lui comprese subito cosa intendevo, sogghignando mentre scuoteva il capo con consapevolezza.

<<Il giorno del desiderio, mi sono dimenticato di farti sapere della sua esistenza, perdonami.>> Ridacchiò staccandosi dalla porta per sedersi ai piedi del letto, di fronte alla sedia dove ero seduto io. Lui rideva, io invece mi odiavo probabilmente non abbastanza rispetto a quanto mi odiava quel bambino, mi sentivo uno zio schifoso. <<Ma sentiamo, cosa ti ha chiesto?>> Non ne aveva parlato neppure con suo padre, ciò mi fece capire ancor di più quanto per lui fosse importante quella richiesta che io avevo scartato a priori.

<<Di insegnargli a suonare la chitarra.>> Alexei, comprendendo quanto per me significasse, smise di ridere, ritornando più serio per prendere la situazione con più cautela.

<<Capisco e tu non te la senti, giusto?>> Me lo chiese ma ero certo che ne fosse già abbastanza sicuro.

<<Non tocco quella chitarra da dodici anni Alexei.>> Mi alzai in piedi, in preda al nervoso.<<Non posso.>>

Quella stanza mi soffocava. <<Io non ci riesco.>> Non ero più neanche sicuro che sapessi ancora come si facesse, probabilmente mi ero anche dimenticato come si suonasse.

<<Non dirlo se neppure ci hai provato Mihai.>> Mi richiamò come si faceva con il fratello minore, quando invece eravamo gemelli, ma lui dimostrava molta più maturità di me.

<<E non ci proverò, quegli anni per me sono finiti.>> Gli anni di gloria, fama e concerti per me erano un capitolo chiuso, anzi, un libro che di certo non avrei più riaperto, non ci sarei minimamente riuscito, pesava troppo per me tornare indietro. Perchè nulla sarebbe stato mai come un tempo.

<<Ritoccare quella chitarra non vuol dire per forza tornare indietro.>> Ribattè. <<Sai bene che potresti tornare ad esibirti, la gente non attende altro da anni Mihai e io potrei aiutarti a tornare quello di un tempo, ma se non vuoi semplicemente potresti tornare a fare ciò che ti piaceva fare un tempo solo per te stesso, per capire che il passato ormai è passato.>> Scossi il capo ripudiando le sue parole, non poteva comprendere cosa volesse dire per me tutto quello che stava dicendo, affrontavamo tutto con due pesi e due misure diverse, come al solito. Gemelli, ma solo sulla carta.

<<Non è passato niente Alexei!>> Tuonai. <<Lui non è più qui e questo non cambierà.>> Il mio migliore amico non ci sarebbe stato dopo a dirmi quanto avrei spaccato, a dirmi che anche dopo anni ero rimasto quello di un tempo. Non ci sarebbe stato il mio migliore amico a supportarmi se solo mi fossi bloccato o avessi sbagliato. Il passato non era passato perchè lui era morto, e nulla me lo avrebbe potuto riportare indietro, la sua mancanza non sarebbe mai potuta cessare di esistere.

Il suo sguardo raggiunse il pavimento insieme al sospiro di comprensione che esalò. Non poteva contraddirmi così semplicemente tacette. Anche lui ne sentiva la mancanza, giorno per giorno, ma contrariamente a me, aveva comunque qualcuno che colmasse quel vuoto.

<<Mihai, c'è Keira al telefono che chiede di poterti parlare.>> Dal piano di sotto, la voce squillante di mia cognata ci raggiunse forte e chiara. Ci mancava solo lei, pensai, a concludere il bel quadretto rabbrividevole di quella mattina. Per lo meno però colsi la sua chiamata come scusa per uscire da quella stanza, così a passo deciso uscii dalla mia camera, attraversai il corridoio e scesi le scale per raggiungere la cucina dove Stefany mi passò il telefono. Il mio malumore spense anche il suo sorriso. Si stranì nel vedermi già così nervoso, ma non più di tanto, ormai aveva imparato a capirmi.

<<Non è un buon momento Keira, quindi togliti dalla testa il sesso.>> Mormorai uscendo dalla cucina per raggiungere il salotto, dove avrei potuto godere di qualche istante di privacy. Fui secco e restio nel perdere tempo con giri di parole inutili e saluti convenzionali, non avevo tempo né voglia di parlarle.

<<Oh per quanto allettante sia l'idea di far sesso con la tua versione arrabbiata, non è di quello che ti devo parlare Riccioli d'oro.>> Ne fui sollevato, averla intorno non avrebbe fatto che confondermi ancor di più e quella mattina non ero in vena dei suoi giochetti.

<<Allora parla, che vuoi?>> Mi innervosiva ancor di più la sua calma.

<<Mh, rude e scortese, attento che potrei ripensarci.>> La stavo odiando, non riusciva ad avere un minimo di empatia. <<Keira!>> La richiamai esigendo la sua massima serietà e lei sembrò accettarlo.

<<Oh mio Hermes, stamattina hai un diavolo per capello, per quanto tu te li sia rasati.>> L'avrei voluta strozzare. <<Ad ogni modo, ho un compitino a casa da farti fare mio piccolo studente.>> Quella sua richiesta mi perplesse.

<<E sarebbe?>> La costrinsi ad essere più schietta di quanto non fosse già di suo.

<<Ieri sera ho cercato quella dannata chiavetta ma Cornelius non sembra essere così stupido come pensavamo, non c'è stato modo di trovarla.>> Quella sola informazione mi tese ancor di più, mi aveva chiamato giusto per dirmi che eravamo di nuovo punto a capo, quella giornata stava andando di male in peggio, non me ne stava andando una giusta.

<<Dimmi che c'è un "ma" in fondo a questa tua frase.>> Mi massaggiai il setto nasale.

<<Se me lo chiedi per favore forse c'è.>> Mormorò seducente.

<<Keira Martin!>> La richiamai ancora.

<<Che noioso! Ebbene sì, c'è un "ma".>> Tornò seria. <<Esaminando i documenti con mio nonno, siamo riusciti a trovare un nome che accomuna alcuni dei suoi uomini più fidati, nonchè alcuni dei suoi clienti più importanti.>> Quel "ma" mi alleggerì leggermente il peso che mi pendeva sul petto e per un istante potei finalmente tirare un sospiro di sollievo, non eravamo tornati al punto di partenza, in ogni caso qualcosa si era riuscito a trovare.

<<E che nome è?>> Il desiderio di arrivare ad un punto in tutta quella situazione mi fece probabilmente sembrare scalpitante. Ma era così, desideravo di scoprire dove ci avrebbe portato tutta quella situazione.

<<"Luxury Night">> Rivelò. <<Mio padre mi controlla, quindi sarai tu a doverti documentare per sapere di cosa si tratta, ma mi dovrai aggiornare istantaneamente non appena saprai qualcosa.>> Si aggiunse un secondo "ma" che non presi con lo stesso interesse del primo, ora che avevamo una traccia da seguire non avevo tempo da perdere con i suoi ordini.

<<Sarà il nome di qualche locale, lo cercherò, ci andrò e ti farò sapere.>> Spiegai velocemente.

<<Perfetto, mi piacciono questi tuoi tempi di reazione svelti.>> Ridacchiò.

<<Ti saluto Keira.>> Io invece fui più freddo, non avevo voglia di star ai suoi giochetti.

<<No, aspetta.>> Mi bloccò prima che potessi chiudere, costringendomi a riportarmi il telefono all'orecchio.

<<Che c'è ancora?>> Sbuffai infastidito.

<<Solo...>> La sentii sospirare. <<Stai attento, d'accordo?>> Lo disse così alla svelta che sembrò quasi di voler celare la sua preoccupazione dietro al suo muro di indifferenza, ma non abbastanza alla svelta da riuscirci perchè non me ne accorgessi. Bastarono quelle due parole a sottrarmi un altro po' di peso dal petto, era preoccupata che potesse succedermi qualcosa in fondo. Allora non le ero proprio indifferente, pensai.

<<Non ti libererai così in fretta di me amore.>> Non potevo vederla costringersi a non sorridere nel sentirsi chiamare così da me, come succedeva ultimamente quando le ero di fronte, ma fu come se la vedessi lo stesso, esitare davanti a quel mio modo contorto di farla sentire importante anche quando la trattavo male.

<<Che peccato Kovacs, quasi quasi ci speravo.>> Ironizzò e poi richiuse la chiamata celando la sua reazione, era così restia nel mostrare i suoi sentimenti che nascondeva tutto, persino a me che in ogni caso riuscivo a svelare ciò che pensava senza troppa difficoltà.

Prima di restituire il telefono a Stefany però, mi salvai il suo numero in rubrica, se voleva essere aggiornata continuare a chiamarmi attraverso il numero della sua amica era una perdita di tempo inutile, e noi di tempo da perdere non ne avevamo più. Dodici anni erano stati abbastanza.

<<Che voleva?>> Mi domandò la moglie di mio fratello mentre le ridavo il cellulare, con quel sorrisetto malizioso che la contraddistingueva ogni volta che si parlava di Keira.

<<Voleva sapere se avevo messo la benzina nella moto che ha regalato ieri a Jacob.>> Mentii anche se in effetti me lo aveva seriamente imposto il giorno prima, gli aveva regalato una di quelle minimoto per i bambini che però aveva un vero motore che andava a benzina. Era una piccola Ducati verde, non si era di certo risparmiata, ma non ne ero rimasto poi granchè sorpreso. Da lei ci si poteva aspettare di tutto.

<<Oh sì certo, "amore".>> Si fece beffa di me, aveva udito tutto. Era una serpe quella donna, non riusciva a farsi gli affari suoi. <<Hai mai pensato di guardarti una di quelle telenovele alla tv Stefany? Visto che ami così tanto farti i fatti degli altri.>> Ridacchiò mentre asciugava gli ultimi piatti della colazione.

<<Ne sto già guardando una, si chiama "Justicia y perdon", tra poco si scopre se Pablo ha tradito o meno Felipa.>> Quella donna era un caso perso. <<Bene, quando lo scopri fammelo sapere, ora devo andare.>> Uscii camminando all'indietro dalla cucina. <<Tra una puntata e l'altra di' ad Alexei che prendo la sua macchina.>> Presi le chiavi, il giubbotto e attraversai la porta richiudendomela alle spalle prima che Stef potesse gridare che la macchina serviva a mio fratello per andare a lavoro. Avrebbe fatto tardi ma la mia era una questione di vita o di morte, mi sarei dovuto sorbire una bella ramanzina ma in quel momento non mi interessava, avevo ben altro che mi girava per la testa.

Salii dunque in macchina e prima di partire cercai su Google quel dannato nome, come volevasi dimostrare, si trattava di un locale ma rimasi sorpreso nello scoprire che si trattasse di uno strip club. La cosa si stava facendo più interessante di quanto credessi.

Inserii l'indirizzo sul navigatore e partii lasciandomi guidare dalle indicazioni. Era che distava poco più di quattro chilometri dalla città di Los Angeles, non era in periferia ma neanche sotto i riflettori dell'enorme centro città. Non per questo però era poco frequentata, dedussi tra i miei pensieri, tenendo conto del fatto che se era frequentata da pezzi grossi come gli uomini di Martin, un motivo ci doveva pur essere.

In un'ora e mezza o poco più raggiunsi il locale che da fuori non dava neppure molto nell'occhio, non aveva insegne dalla luce accecante e scritte enormi che lo facessero risaltare in mezzo al resto degli altri bar o locali poco distanti da quello. Era come se quel posto fosse diventato famoso tramite i continui passa parola dei ricconi snob che ci andavano, chi lo conosceva voleva dire che conosceva gente importante, ciò gli conferiva a sua volta importanza e quindi era degno di entrarvi. Non gli occorreva dare nell'occhio per essere frequentato.

Di giorno però era poco meno di deserto. Nel parcheggio dove fermai la macchina vi erano si e no altre due vetture, e non vi erano fiumi di gente in procinto di slacciarsi i pantaloni all'entrata, di giorno quel posto era un locale come gli altri. E lo capii quando vi entrai.

Era grande, molto grande.

Sparsi per la sala vi erano i pali delle donne che si esibivano, rialzati da dei piccoli palcoscenici rotondi, contornati da divanetti di un porpora scuro, le pareti erano impreziosite da una carta da parati del medesimo colore, dallo stile gotico, con dei dettagli neri dalle linee sinuose e eleganti. In fondo alla sala vi era una tenda rossa che probabilmente celava il resto di quell'enorme sala, dei tavoli in mogano poco distanti dai palchi.

Poco distante dall'entrata vi era il bancone del bar.

Due uomini di mezz'età chiacchieravano scambiandosi qualche parola con noia, mentre sorseggiavano un liquore come gli altri senza troppi convenevoli, mentre la ragazza dietro al bancone di un legno pregiato, asciugava qualche bicchiere riempiendo i loro quando si svuotavano di nuovo. Erano probabilmente già ubriachi, non annoiati, ragionai. Quando entrai sembrano non sentirmi neppure, mentre la ragazza alzò lo sguardo che divenne più affilato quando noto che non ero un altro fenomeno da baraccone, come quelli che le stavano seduti di fronte, stravaccati sugli sgabelli del bar.

Mi avvicinai e mi sedetti su uno di quelli ben distanti dai due uomini che puzzavano di sudore e alcol, un orrore per un posto così ben curato.

<<Cosa ti porto tesoro?>> Posò l'asciugamano con cui stava asciugando le ultime cose, per servirmi, avvicinandosi con più curiosità di quanta ne avessi io nel girovagare da quelle parti. I miei fini erano altri, contanto che non bevevo. <<Una birra.>> Per quanto una birra ogni tanto, non la rifiutassi di certo, avevo comunque buon gusto. <<Arriva subito.>> Si voltò per raggiungere un bicchiere e farmi una birra alla spina, dandomi il tempo di esaminarla meglio. Fianchi larghi ma addome piatto, un seno prorompente che spingeva sotto la canottiera nera, jeans a vita bassa che lasciavano nudo il fondo della schiena dove vi era un tatuaggio leggermente sbiadito. Unghie laccate di rosso, pelle leggermente ambrata, un fisico asciutto come i lineamenti del viso dalle labbra gonfie e le ciglia finte che le intensificavano gli occhi scuri, dello stesso colore nocciola dei folti e lunghi capelli neri che le accarezzavano le spalle.
Non le avrei dato più di trent'anni.

<<Eccoti servito.>> Me la poggiò davanti e poi riafferrò lo straccio per asciugare gli ultimi bicchieri, si vedeva da come si muoveva che lavorava lì da molto, era agile e trasudava esperienza. Notai però come mi osservasse con interesse, probabilmente spinta dalla curiosità. Dunque tagliai la testa al toro.

<<Qualcosa non va?>> Domandai prendendo un sorso della birra.

<<Non ti ho mai visto da queste parti, sei nuovo nel giro?>> Mi passai il dorso della mano sulla bocca pulendomi dalla schiuma che mi aveva lasciato.

<<Diciamo di sì, non frequento spesso luoghi come questo.>> Posò di nuovo lo straccio, intrigata dalla situazione. <<E cosa ti porta qui alla luce del giorno, straniero dai bei occhi?>> Si appoggiò al bancone per guardarmi meglio, sguardo che soressi con lo stesso interesse, quella donna mi sarebbe potuta servire in parecchi casi, era bene che me la tenessi buona. <<Curiosità, me ne hanno parlato bene.>> Non le avrei però di certo rivelato i miei intenti, dovevo essere invisibile, non potevo farle sapere nulla che andasse oltre il limite. <<Beh hai sbagliato momento, qui la sera diventa tutto più... magico.>> Aggrottai la fronte con perplessità. <<Potrei tornare anche in serata, se è veramente così.>> Il mio tono era basso, caldo, proprio come il suo che era soffice come la seta ma arguto e attento, non era stupida, quella donna era molto furba. <<E' così eccome, qui la sera ci si diverte fino ad impazzire, Mihai Kovacs.>> Oltre ad essere anche molto attenta. Mi aveva riconosciuto e non andava affatto bene, nessuno doveva sapere che ero da quelle parti, ma avrei trovato un modo per farle tenere la bocca chiusa.

<<Spiegati meglio...>> Lasciai correre la frase non conoscendo il suo nome, e lei subito colse il mio lieve disagio per colmare la mia mancanza. <<Ashley.>> Mi informò. <<Mi chiamo Ashley.>> Un lieve ghigno mi increspò le labbra. <<Ebbene, Ashley, ormai mi hai incuriosito, spiegati meglio.>> Stavamo flirtando, lei era una bella donna e io di sicuro non le ero indifferente, ma mentre probabilmente lei già mi immaginava in piedi tra le sue cosce, io cercavo di capire come strapparle le informazioni che desideravo.

<<Qui non ci sono regole tesoro, ogni peccato è premiato, una volta che si varca quella soglia gli uomini dimenticano e si lasciano andare a tutto ciò che la vita può regalare.>> Quei suoi artigli rossi mi sfiorarono il dorso della mano accarezzando uno dei tatuaggi che ne macchiavano il chiarore.

<<Dimenticano cosa?>> Lasciai che mi toccasse, per vedere fino a dove si sarebbe spinta, fin quando a dividerci ci sarebbe stato quel bancone. <<Tutto, arrivano qui uomini sposati appesantiti dalla noia di un matrimonio, uomini ricchi che desiderano solo di divertirsi senza dover pensare al domani.>> Con il dito arrivò al mio avambraccio coperto dalla giaccia di pelle. <<Le mie ragazze riescono a far dimenticare persino ad un angelo come volare Mihai.>> Avevo come l'impressione che lei da quelle parti contasse molto, gestiva il locale ma non era suo, era troppo grande e di prestigio per appartenere ad una come lei, che si trincerava dietro ad un insulso bancone. <<Le tue ragazze?>> Mi stava incuriosendo sul serio.

<<Io sono una mistress tesoro mio, le ragazze che lavorano qui le gestisco io, così da insegnar loro come ci si lascia sottomettere da un uomo bisognoso di potere.>> Arrivò a sfiorarmi il viso, accarezzandomi la barba incolta. <<Una dominatrice che insegna come farsi sottomettere, non è un po' contraddittorio?>> Un sorriso le si disegnò in viso, era bella e sapeva di esserlo, ma su di me non aveva molto effetto, conoscevo una donna che era peggio di lei. Molto peggio. <<Devo addestrarle per portare piacere, solo così i clienti accorrono, è tutta una questione di business.>> Si scostò allontanandosi un secondo per allungare la mano e prendere un piccolo foglietto scuro su cui c'erano scritte alcune cose, sembrava un biglietto da visita, ma lei ci scrisse qualcosa prima di passarmelo. Ne approfitta per prendere un altro paio di sorsi di birra, quando ecco che poi me lo allungò. 

<<A breve ci sarà una serata in maschera, qui c'è scritta la data e il mio numero.>> Lo presi e me lo infilai in tasca senza neanche guardarlo, invece presi il portafoglio e le pagai la birra poggiando i soldi accanto al bicchiere. <<Controllerò l'agenda.>> Ci sarei dovuto tornare ma questa volta ci sarei dovuto tornare di sera quando il tutto era nel pieno dell'azione, quando quel posto prendeva seriamente vita. A quel punto ero certo che avrei scoperto qualcosa in più per quanto sentissi che non avevo fatto un viaggio a vuoto. 

<<Spero di rivederti occhi blu.>> Le rivolsi un accenno di sorriso e me ne andai dopo averle fatto un occhiolino che la fece sogghignare, non aveva minimamente idea di che pericolo fosse sperare di avermi, ma ero più che certo che si stesse già facendo qualche bel film mentale.

Il mio unico pensiero però in quel momento era un altro.

Trovare la prossima pedina che ci avrebbe permesso di svelare un altro pezzo di quel puzzle, prima però avevo un'altra donna con cui dovevo parlare. 



SPAZIO AUTRICE:

Uno strip club, beh possiamo dire che il tutto si sta facendo più interessante ma cosa accadrà? Cosa succederà nel prossimo capitolo che permetterà ai nostri due protagonisti di dare una svolta al loro piano malefico? Non ci resta che scoprirlo ;)

Cosa ne pensate?

In ogni caso se la storia vi è piaciuta, se vi va potete lasciare una stellina e scrivermi un bel commento, vi ringrazio per la lettura e al prossimo capitolo.

Ciauuuu <3

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