PRICELESS

By JennaG2408

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"Le cattive abitudini generano pessime dipendenze" 🌘Dark romance 🔞Forbidden love 💰Crime romance 📚 SCELTA... More

Avviso
C'era una volta una dedica
PARTE I
Prologo Lea
Prologo Trevor
1. FACCIA DA STRONZA
2. Finché qualcuno non ti compra
3. Fallo stabilire a me
4. Così poco di lei, così tanto di suo padre
5. Se l'orgasmo fosse un suono
6. Mi aspettavo di meglio
7. La sua degna erede
8. Un errore da 15 dollari
8.1 L'autrice si è dimenticata un pezzo di capitolo.
9. Tienila d'occhio
10. Non è Trevor
11. Non vali così tanto
12. L'anomalia emotiva
13. Il valore dell'innocenza
14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.
15 Stasera quello rosso
16 Il mese prossimo potremmo essere morti entrambi
17 Non puoi urlare
18 La Dea più capricciosa dell'Olimpo
19. Aspettami senza far danni (parte1)
20 (parte2)Sei tu, la mia sola cosa importante.
21 (parte 3) Seppelliscimi con le scarpe giuste
22 (ULTIMA parte) Voglio sapere se posso urlare.
23 Who needs a boyfriend when you have puppies?
24 Sei uno stronzo fortunato, Trevor Baker
25 Ogni regina ha il suo scettro
26 Non puoi toccarla
PARTE II
27 Stanco, ma non di lei
28 La prossima volta ti farà male
29 Un nome per il sesso e uno per l'amore
30 Dolce figlia di un figlio di puttana
31 Ah, Auguri.
32 Quello che sta intorno al cuore
33 L'inferno non va bene per Sebastian Baker.
34 Non sempre un uomo di successo è un uomo di valore
35 Fragola, cioccolato e una goccia di veleno: mortale tentazione
36 Non fare di lei la tua Harley Quinn
37 Due affamati nello stesso letto
38 Niente di male a sanguinare un po'
39 E comunque questo è un Valentino, stronza.
40 Cattive intenzioni e voglie pericolose
41 La mia bambina non si tocca
42 Scorre sangue immondo
43 La sua pelle e la mia fame (parte 1)
44 Groviglio di carne e abbandono (parte 2 )
45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)
46 Il sesso come strumento di guarigione
47 Facciamo finta di no
48 Tutti i per sempre portano il nostro nome
PARTE III
49 Quello che sono disposto a fare per te
50 Scelgo il profano e il blasfemo
51 Il sapore di una truce Apocalisse
52 Non abbastanza. Punto
53 Eppure Lea è viva
55 Cinquanta sfumature di BlueDomino
56 Londra è la mia puttana
57 Questo non può essere peggio
58 Gli affetti veri muoiono, quelli falsi uccidono
59 Innalzare le mie depravate pulsioni
60 Non c'è differenza tra una danza e una guerra
61 Benvenuti a tutti quelli come noi
62 Dimmi cosa ti ha fatto
63 Fammi male
64 Io mi salvo da sola
65 Mister SeLaTocchiTiUccido
66 La differenza tra stimolare e godere
67 Il grillo che mette nel sacco il gorilla
68 Pietà e rispetto
69 Non ti darei mai meno di tutto
70 Incassare, elaborare, espellere (parte 1)
71 Stavolta puoi urlare (parte 2)
72 Non lasciarmi solo
73 Ci sarò sempre
74 Stai attenta, bambina
75 Più incazzato che lucido
76 Scolpiranno il mio nome sulla tua carne
77 Domani è già arrivato
78 Sembra un addio, signor Baker
79 Esisti per me
80 A fanculo un'ultima volta
81 Non morire senza di me
82 Soffrire ancora un po'
83 Mentre fuori il mondo cade a pezzi
84 Quella vita non è mai la tua
85 Ma tu non ci sei (parte 1)
86 Scopami nel modo sbagliato
87 UNLOCKED
PARTE IV
88 Morirò da re
89 Sono il vostro dio
90 Uno stronzo senza cuore
91 Tre baci sulla punta del naso
92 Un sollievo breve e inaspettato
93 Ciò che mi è dovuto
94 Ci sarò io, con te
95 Roba così
96 Nessuno di noi avrà conti in sospeso

54 Effetto domino

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By JennaG2408

La noia. Era la prima volta che sperimentavo la noia. Tutta la mia vita era stata un'attesa; io sapevo aspettare, ma non mi ero annoiata mai. Per anni avevo cercato di replicare El Diablo. Poi avevo cercato di sbloccarlo. Poi avevo dovuto costruirmi una professione con un titolo di studio insufficiente. Poi il Sweety. E intanto preparavo tutto, studiavo il come, il dove, il quando e soprattutto il con chi.

Avevo dovuto modificare alcune cose in corso di progetto, ed è normale quando un progetto ricopre dieci anni di vita. Quindi sì, avevo atteso, ma anche agito, pianificato, costruito e rubato.

Avevo finito. Sentivo di aver finito. E Trevor, che avrebbe potuto mandare all'aria tutto quanto, non lo aveva fatto. Tante cose mi erano andate storte nella vita, ma una mi era andata bene, un piccolo miracolo in un deserto di sogni infranti: l'uomo che aveva strumenti e capacità per distruggermi, si era rivelato anche quello in grado di amarmi al di sopra di tutto.

Ma non era ancora il momento di cliccare su invio, con Trevor a Londra e suo padre sulle mie tracce. E i Volkov? Sapevo troppo poco di loro, ma se loro avessero saputo tutto di me?

Prima di innescare il mio effetto domino dovevo vedere come ne usciva Trevor e, se necessario, aiutarlo in qualche modo a sbarazzarsi di Sebastian e dei russi.

Perchè volevo Trevor con me. Per sempre. Quindi dovevo aspettare. Ancora. Senza poter far nulla. Dannazione. Che noia.

Sbuffavo da un paio d'ore davanti al terminale della Credit, fingendo di lavorare anche se in realtà sistemavo i portafogli di alcuni clienti in vista del mio effetto domino.

Alcuni meritavano la mia clemenza.

Il primario, ad esempio.

Le ragazze del Sweety.

Una coppia che aveva adottato due fratellini colombiani.

Pochi altri.

Faceva parte del progetto tutelare qualche organizzazione e una manciata di persone, ma era senza dubbio la parte meno interessante del piano.

Poi il cellulare di Trevor s'illuminò, e il mio umore con lui.

«Give me baby one more time.»

Il display si sbloccò e lessi il suo messaggio.

Ciao bambina. L'ha già trovata?

Aggrottai la fronte. Non capivo.

Buongiorno mister sterlina. Trovata cosa?

Non le hai trovate. Nessuna delle tre, evidentemente.

Mi presi qualche secondo per decifrare quei messaggi ma mi arresi.

E il mio oscuro sovrano pensa di condividere il suo segreto o mi ha scritto solo per farmi salire il nervoso?

Mi rispose con uno smile, prima di darmi qualche coordinata in più.

La prima è nel cassetto, Lea. Sei al lavoro da ore, davo per scontato tu andassi in cerca di una penna, prima o poi. Mi sbagliavo, piccola scansafatiche.

Aprii, e la vidi subito. Richiusi il cassetto in un nanosecondo, avvertendo il suo contenuto sbattere contro il legno di bassa qualità.

Avviai la chiamata e Trevor rispose prima che avessi il tempo di respirare.

«Te lo avevo detto, no? Ti avevo detto che non sarei partito senza lasciartele.»

Feci mente locale. Il primo giorno al poligono di tiro. Lo avevo preso a schiaffi sul marciapiedi, quella mattina.

"Questa è un'arma sportiva, e non può contenere più di venti colpi. Quelle che ti lascerò prima di partire per Londra ne conterranno di più."

Così aveva detto, ed evidentemente poi lo aveva anche fatto. Aprii di nuovo il cassetto e presi in mano l'arma, davvero piccola e maneggevole. E leggera. Ed era anche...

«Bellissima. Non pensavo che un'arma potesse essere bellissima, Trevor.»

Chissà se aveva sorriso, al di là dell'Oceano. Sorrideva così poco, ma ogni volta che lo faceva mi portava via un altro pezzo della mia anima consumata. Avrei voluto dargliene una di maggior valore, ma io non l'avevo.

«Ovviamente è un modello...»

«Fammi indovinare: unico al mondo?»

«Naturalmente. Non viene rilevata dai metal detector, infatti ha superato senza fatica la bussola del tuo istituto. Contiene 45 colpi più quello in canna. Ho fatto mettere la sicura più in basso, si adatta meglio alle tue mani piccole. Ne hai una anche al Sweety, sotto la cassa. Tienila comoda, Lea, mi raccomando. La terza è a casa tua, nello sportello dei Martini. Ti ho lasciato anche tre confezioni di proiettili. Hai diverse centinaia di colpi a disposizione e tutte e tre le armi sono cariche.»

Me la rigirai nella mano libera. Sulla canna era inciso a lettere eleganti il mio nome, in piccolo, in una tonalità di viola che ricordava la nostalgia.

«Lo sai che questo non è Matrix e io non sono Trinity, vero?»

Lo sentii ridacchiare. Eppure lo sentivo anche teso, forse preoccupato.

«Lo so. Ma sono un megalomane, mica potevo lasciarti una beretta del cazzo, amore mio.»

Amore mio.

«Grazie Trevor. Spero di non doverla usare...»

«Lo spero anche io.»

«... contro di te. Perchè se non mantieni la tua promessa di tornare in fretta dovrò usare tutti i tuoi apparecchi unici al mondo prima per trovarti e poi per ucciderti.»

«Sarebbe un epilogo degno di un vero dark romance, però.»

«Preferisco i lieti fini, Trevor Baker.»

«Mah, i dark romance dovrebbero finire tutti nel sangue. Altrimenti sono solo romance.»

Sorrisi, perché era davvero adorabile pensarlo nel suo abito fatto su misura, seduto su una poltrona che costava come un'utilitaria, davanti a un pc che conteneva il prezzo di molte vite, in cima a una torre che portava il suo nome, mentre mi chiamava amore mio e disquisiva sulle mie letture.

«Sai, Trevor, che se la nostra vita fosse contenuta in un dark romance, di sangue ne sarebbe stato versato già a sufficienza.»

«Allora è un bene che questo non sia un dark romance, perché ho intenzione di far scorrere ancora un po' di sangue, Lea.»

Sospirai. «Come fai a sapere che non sarai tu, a restarci secco?»

Un secondo di silenzio. «In effetti, non posso saperlo.»

In quel preciso istante, decisi di dirgli tutto. Implorarlo di lasciar perdere i Volkov, Sebastian, la Baker Agency, abbandonare i suoi progetti per seguire solo il mio. Sì, forse ci avrebbero cercati, forse avremmo dovuto adattarci a una vita randagia, cambiare spesso posto per impedire loro di stanarci ma... Ne valeva la pena, no?

«Lea, sei sola?»

Risposi distrattamente, inseguendo ancora l'idea di dirgli come e dove raggiungermi, affidandomi alla tecnologia di quel cellulare che Trevor mi aveva garantito essere inespugnabile. «In ufficio. Sono in ufficio, lo sai...»

«E la porta è chiusa?»

Ma Trevor non avrebbe mai accettato, non con Viktor ancora in giro. Il Baker del mio cuore mi avrebbe seguita, ma solo dopo aver concluso i conti che aveva ancora in sospeso.

Sospirai, senza rispondere alla sua domanda, mentre mi rassegnavo al bisogno di aspettare. E di annoiarmi.

«Lea, ti ho fatto una domanda.»

Il suo tono era cambiato, la durezza con cui aveva pronunciato la frase mi riportò sulla terra.

«Sì, scusa. La porta è chiusa.»

«A chiave?»

Rimasi appesa alla stranezza di quella domanda. Appoggiai la pistola e richiusi il cassetto.

«Beh, no. Non ho la chiave, Trevor. Qui non custodiamo segreti mortali. A parte quelli che mi lasci tu nel cassetto, naturalmente.»

«Allora dovremo correre il rischio, bambolina...»

«Dio, Trevor, ti prego, non farmi fare niente di indecente...»

«Mi piace quando mi preghi, Lea. Forse se insisti mi convinci...»

Avvertii subito un'inaccettabile calore accendersi tra le gambe. Il respiro mi mancò troppo in fretta.

«Ti prego, Trevor...»

«Per cosa mi preghi, bambolina? Mmh? Per farmi smettere?»

«Io...»

«Vuoi che smetta, bambina?»

«Non lo so...»

«Allora non è per farmi smettere, che mi stai pregando. Vero?»

Caldo, all'improvviso in ufficio sentii caldo. Davvero tanto, troppo caldo.

«Ti sto pregando e non so più perché...»

Lo sentii emettere un lunghissimo sospiro: il suo ego si stava gonfiando con la mia sudditanza. Il mio orgoglio mi implorava di smettere, il mio corpo mi obbligava a continuare, il mio cuore si premurava solo di non smettere di battere.

«Cosa indossi?»

Valutai di mentire, di infarcire la sua oscena fantasia con un'immagine di me ammaliante, provocante, ma Trevor Baker era un dannato segugio addestrato nel dare la caccia alle bugie.

«Io... un paio di leggins, volevo essere comoda e...»

«Non giustificarti, miss. Se fossi lì, ti strapperei tutto di dosso talmente in fretta da non avere nemmeno il tempo di rendermi conto di quello che sto facendo.»

E cercai di salvaguardare gli ultimi brandelli della mia dignità soffocando un gemito, ma il piccolo bastardo mi scivolò sulla lingua e mi sfuggì dalla bocca. Lo immaginai sorvolare i confini invisibili di tutti gli Stati che mi separavano da Trevor, sorvolare immense distese d'acqua senza patria, destreggiarsi nel traffico e infine depositarsi nelle orecchie del più affascinante criminale di Londra.

Strinsi le gambe cercando di governare un bruciante spasmo al basso ventre.

«Sono al lavoro, non puoi farmi questo...» era una supplica senza spina dorsale, la mia. Erano parole randagie, prive di padrone, un piccolo branco indisciplinato senza speranza e senza credibilità. Mi erano uscite dalla bocca strisciando sul solco lasciato dalla mia volontà di non farmi dominare da Trevor. Un fallimento.

«Non ti sto facendo niente, ragazzina. Anche se vorrei farti un po' di cose.»

Cosa? Cosa vuoi farmi?

Mi morsi le guance per trattenere quelle domande, impedendo un'ulteriore umiliante fuga di quella che era di fatto una supplica.

«Da quella porta può entrare il mio capo...»

«Stiamo solo parlando, bambina.»

«O un cliente...»

«Ti vedrebbero solo appena un po' accaldata, vero?»

Sto bruciando.

«Magari avrebbero il piacere di notare che ti mordi il labbro mentre una mano stringe il cellulare e l'altra...»

No. No. Assolutamente no.

«... dimmelo tu, Lea. Dov'è l'altra mano?»

Stringeva il bracciolo della mia sedia girevole. Lo stritolava. Non potei più ignorare la sensazione di bagnato che mi restituiva il contatto con gli slip. Inghiottii e contai fino a tre prima di riprendere la parola.

«Non mi masturberò in ufficio, Trevor.»

Un silenzio tombale parve inghiottirsi il mondo per un paio di secondi.

«Sì, lo farai.» Il suo tono mi morse, mi affondò i denti nella pelle sottile del collo e poi mi leccò fino all'orecchio, mi succhiò il lobo e mi si infilò sotto i vestiti, nella bocca, sotto la carne, nello stomaco. La mano abbandonò il bracciolo e trovò rifugio tra le cosce, sfregò con disperata necessità la fessura imprigionata sotto la stoffa, cercando un sollievo che sapeva di tortura.

«Sei uno stronzo...» ansimai.

«Ho anche dei difetti.»

Volevo interrompere la chiamata. Volevo smettere di cedergli il controllo sui miei bisogni. Ma non ci riuscivo. Trevor Baker era come il crack: mi arrivava al cervello troppo in fretta, era un'ondata d'adrenalina che non potevo arrestare, solo subire. Il suo modo di fare del male era troppo piacevole, per me. E io volevo interrompere quel supplizio tanto quanto desideravo proseguisse.

«Devi toccarti per me, Lea.»

«Lo sto già facendo, brutto pezzo di merda...»

Mi pareva di vederlo, alzare un angolo della bocca, appagato per quell'ennesimo successo.

«No, non abbastanza bambina, perché riesci ancora a pronunciare frasi di senso compiuto. Dov'è la tua mano, bambina?»

Ma porca puttana...

«Lo sai. Lo sai dov'è.»

«Ma io voglio sentirtelo dire.»

«No.»

Ma le dita vezzeggiavano proprio il mio piccolo rubino di carne, corteggiandolo con insistenza. Il mio corpo rispondeva con una brama insopportabile.

«Non fare i capricci, Lea. La situazione può ancora peggiorare, sai?»

Presi fiato, concedendomi di abbandonarmi alle mie maliziose carezze con gli occhi chiusi, pregando che la porta dell'ufficio non si aprisse proprio in quel momento.

«Dove hai la mano? Me lo devi dire.»

«Tra le gambe, ti ho detto che mi sto toccando per te!» rabbia e frustrazione condirono la mia risposta.

«Devi infilarla dentro i leggins, Lea.»

«Cosa?»

«Hai capito.»

«Sono in ufficio, Cristo.»

«Sì, lo so.»

«Non posso.»

«No, non puoi. Tu devi.»

Mi tremavano le mani.

«Mi stai punendo» realizzai.

«Ti sei fatta scopare da un altro, bambina.»

Non mi perdonerà mai.

«Non è così che...»

«Oh sì, invece. Infila la mano nei leggins, Lea. Allarga le tue grandi labbra e usa le tue dita sottili per lubrificarti.»

Cinque secondi. Mi presi cinque secondi per trovare la forza di volontà di interrompere la chiamata. Trevor mi regalò quei cinque secondi di incertezza, mi concesse la grazia di recuperare un po' di lucidità.

Ancora una volta scelsi il profano e il blasfemo.

Infilai la mano nei leggins e non provai nemmeno a trattenere il mio compiaciuto sospiro, non nascosi la fine del tormento, offrii a Trevor tutta la mia perversa accondiscendenza.

Fammi quello che vuoi. Ma fallo bene. Fallo come sai fare tu.

«Brava, miss. Questo è un sospiro che mi piace, questo è un gemito che può compiacere uno come me. Adesso devi ricordare, Lea. Devi ricordare quanto ti piace sentire la punta della mia lingua sul tuo clitoride, devi ricordare quanta pressione esercito sulla tua carne bollente per farti godere, bambina mia, devi ricordare con quanta decisione affondo le labbra tra le tue, succhiando il nettare del tuo piacere dolce, devi ricordare quanto ti piace avermi tra le tue gambe, lasciare che mi prenda cura del tuo corpo e del mio, incastrare il mio bisogno di te con il tuo bisogno di me... »

E la capacità di articolare frasi di senso compiuto la persi davvero, come aveva sperato, come aveva voluto lui. Lo desiderai sopra di me, il peso del suo corpo che avrebbe potuto farmi del male e che invece mi faceva bene, donando sollievo al mio animo tormentato, regalando redenzione alle mie inclinazioni irrecuperabili, consegnandomi un perdono che non avevo mai pensato di meritare.

Il mio posto nel mondo era lo stesso che occupava Trevor Baker, il criminale che aveva messo in ordine i miei scampoli di donna frantumata, sciolto i nodi dei miei tormenti arruffati.

Mi sfuggì un singhiozzo rauco, mentre le dita massaggiavano i miei punti più sensibili, avvolte dalle sue parole piccanti. Mi sentivo bruciare, la mia voglia mi consumava.

«Regalami un amplesso, bambina. Fammi sentire la tua vocina ansimare il mio nome, fatti scopare dalle mie parole. Oh, Lea, io dentro di te potrei perdermi per sempre, sai? Mi hai fottuto il cervello, amore mio, e adesso io voglio fotterti anche l'anima, ho bisogno di goderti in ogni livello d'esistenza, vorrei entrare nei tuoi sogni e scoparti anche lì, cazzo.»

Riuscivo solo a gemere, e non sapevo più se a farmi godere erano le mie dita spietate o le sue parole inesorabili che si facevano strada dentro di me, che mi afferravano lo stomaco e cercavano di scambiargli di posto col cuore. E se Trevor Baker mi avesse fatto la divina concessione di entrare dalla porta io mi sarei fatta sbattere sulla scrivania, incurante del lavoro perso, della dignità incenerita, del pudore respinto.

E pronunciai il suo nome, il suono di un sospiro desolato davanti a un nemico invincibile, una resa incondizionata al cospetto di uno stratega infallibile. Una sconfitta sublime, soffice come un nido di piume.

«Dillo ancora, Lea. Dì il mio nome con quel tono umido, impregnalo della tua saliva, lecca ogni lettera, Lea, stuzzicale come faresti con la punta delle dita...»

Era una richiesta impura, sconcia, che mi procurò l'ennesimo spasmo vaginale. Un piccolo fiotto caldo e viscido mi avvolse le dita.

Un breve grido di piacere e stupore precedette la parola che consegnò al mio sovrano la definitiva capitolazione, il sospiro che decretò la fine di ogni resistenza, la fine di una zuffa che si concludeva con il mio orgasmo rassegnato, giunto vergognosamente in fretta.

«Trevor...»

E abbandonai la mano lì dov'era, avvertendo un piccolo moto di imbarazzo farsi largo nello snodo delle mie percezioni. Da fuori, dovevo sembrare davvero oscena, in quella scandalosa posa da svergognata. Cercai di gestire respirazione e disagio. Trevor se ne accorse, chissà se dal ritmo dei miei respiri, se da quello del mio battito cardiaco o se semplicemente aveva tratto una logica conclusione dopo quella prestazione immorale.

«È tutto posto, mia regina, mi lusinga che la mia voce abbia un effetto così veloce su di te. Ma mi aspetto una prestazione ben più durevole quando potrò scoparti come si deve, Lea.»

Sfilai la mano dai leggins, imbrattata del luccichio appena rilasciato dal mio corpo.

«Non garantisco una maggiore resistenza agli orgasmi, signor Baker.»

«Allora allenati a sopportarmi mentre te ne procuro uno dietro l'altro, Lea. E forse è meglio se la prossima volta che ti vedo non sia in un luogo pubblico, perché corro il rischi di spogliarti lì davanti a tutti.»

Non avrebbe dovuto dirlo. Perchè mi venne una pessima idea. Un'idea che temevo di non avere la forza di realizzare, l'ennesimo sigillo da spezzare dopo una vita di catene invisibili.

Ma ormai si era fatta largo, e l'idea divenne una voglia indomabile di fare la più bella stronzata della mai vita. Il terrore si gonfiava insieme al desiderio di metterla in atto, in un conflitto che mi generò una fstidiosa sudorazione e una nausea improvvisa.

«Lea... che cos'hai?»

«Niente.»

Avevo risposto talmente in fretta che Trevor non avrebbe avuto bisogno di ulteriori prove a supporto della mia menzogna.

«Il tuo battito è accelerato, bambina. Ti ho spaventata?»

«Oh no, non tu.»

Mi resi conto troppo tardi di aver detto qualcosa che lo avrebbe messo esageratamente in allarme.

«Che cazzo succede?»

Che stupida idiota.

«No! No, Trevor. Niente terroristi russi o padri assassini, scusami.»

Lo sentii sospirare appena.

«Bene. Lea, come stai?» Il suo tono preoccupato mi accarezzò tutte le cicatrici del cuore.

«Sto bene, è tutto a posto. Sono tornata al lavoro e al Sweety. Anche BlueDomino ha finito le sue ferie. È tutto ok.»

«Mangi?»

«Scusa?»

«Ti ho chiesto se ti stai nutrendo, bambina.»

«Certo.»

Il suo breve silenzio fu sufficiente a esprimere ben più di un dubbio.

«Tutti i pasti?»

«Trevor. Ti prego, evita.»

«Mi piace quando mi preghi, mia queen, ma non in queste circostanze.»

«A colazione solo caffè. Oggi vado a pranzo con Denis.»

Se l'avversione potesse fare rumore, l'avrei sentita nel sospiro di Trevor.

«Dobbiamo parlare di lui, Lea.»

«Cosa vuoi sapere?»

«Chi è, ad esempio.»

Avete presente quei concetti così ampi, da trovare quasi impossibile esprimerli? Avete provato a spiegare a un bambino che l'Universo non ha confini? O che all'interno di un buco nero la curvatura dello spaziotempo diventa infinita? È difficile, poco tangibile: l'idea di un'assenza di confini, l'inesistenza di una misura determinata e la mancanza di concretezza manda in tilt molti cervelli.

Ecco.

Denis Cova era un buco nero, e io non solo non sapevo come spiegarlo a Trevor, ma non volevo neanche farlo.

«È il mio migliore amico. Quello che mi ha amata per anni senza dirmelo per paura di farmi del male. Quello che c'era quando non c'eri tu, Trevor Baker. E questa è la più calzante e importante definizione che avrai di Denis da parte mia.»

«Sto indagando, bambina. È giusto che tu lo sappia.»

«Non avevo dubbi. Ma non troverai niente.»

«Se cerco intorno a te, trovo qualcosa.»

«Pensi di poter distnguere ciò che è reale da ciò che è costruito ad arte?»

Mi ero scoperta, naturalmente. Ma i miei segreti stavano per perdere valore, stavo per dare il via al mio effetto domino.

«Sì.»

Sorrisi. Aveva così poca importanza, ormai.

«Buon per te, mio re. Ma adesso devo lasciarti. Ho un paio di cose urgenti da fare.»

«Ma sei hai cazzeggiato fino adesso!»

«Non mi riferivo certo al lavoro.»

«Cosa devi fare?»

«Non te lo dico.»

«Figuriamoci. Sai che posso penetrare tutti i tuoi device e scoprire quello che combini. Te l'ho già dimostrato.»

«Penetra qualcos'altro, signor Baker.»

«Che battuta scurrile, mia queen...»

«Scusi, ma lei non deve fare qualche inutile riunione per stabilire come spendere un paio di milioni di sterline?»

«Qualcosa di simile. Fai la brava, Lea. Per favore.»

«Ci provo. Mi richiami oggi, vero?»

Ti prego.

«Certo. Ma puoi farlo anche tu.»

«Magari ti disturbo mentre lavori...»

«Rischio che io in effetti con te non corro, piccola scansafatiche.»

«... o mentre uccidi qualcuno. Sono cose che richiedono concentrazione suppongo.»

«Puoi chiamare quando vuoi, Lea. È chiaro?»

«Va bene. Cerca di non mandare a puttane troppe scalate azionarie, carogna di Wall Sttreet.»

Il moto di immediata nostalgia che avvertii quando interrupi la chiamata svanì quasi subito.

Avevo preso una decisione. La noia non faceva per me.

Prima di ogni altra cosa, cercai su Google le scarpe più adatte all'occasione.

Le pagai 890 euro.

SPAZIO AUTRICE

Le priorità sono importanti, raga. Cioè, non è che possiamo ammazzare, rubare, trafugare o farci ammazzare con delle scarpe non adatte all'occasione eh.

Io credo che se Lea fosse Presidente del Consiglio saremmo tutti molto più poveri e forse anche morti da un pezzo, ma la nostra sarebbe stata una vita breve ma intensa.

Nle prosismo capitolo mi sa che scopriamo cose. Ovviamente non abbastanza ahahaha!


Se vi va...stelline commenti pubblicità sui social bonifici donazioni e scarpe da 890 euro sono ben accetti e utili per fare crescere la storia o consolare l'autrice che attende fiduciosa di diventare famosissima o almeno miliardaria.

Vi amo. 

PS

la frase di Trevor sulle pistole la trovate nel capitolo 35 (Fragola cioccolato e una goccia di veleno)

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