(Un)expected

By anna_storiess

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SPIN OFF DI (IM)POSSIBLE Ally. Chioma corvina. Postura sicura. Sguardo glaciale. Reputazione di ragazza faci... More

Book Trailer 🎬
Dedica✨🖤
Prologo
Chapter one
Chapter two
Chapter three
Chapter four
Chapter five
Chapter seven
Chapter eight
Chapter nine
Chapter ten
Chapter eleven
Chapter twelve
Chapter thirteen
Chapter fourteen
Chapter fifteen
Chapter sixteen
Chapter seventeen
Chapter eighteen
Chapter nineteen
Chapter twenty
Chapter twenty-one
Chapter twenty-two
Chapter twenty-three
Chapter twenty-four
Chapter twenty-five
Chapter twenty-six
Chapter twenty-seven

Chapter six

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By anna_storiess

⚠️ATTENZIONE⚠️

🔞Questo capitolo contiene scene esplicite🔞

Mangiare o essere mangiati. Non c'è altra opzione.

Non si può scegliere alcun ruolo al di fuori di attaccante o attaccato. Devi comportarti come uno dei due, essendo ben consapevole delle conseguenze a cui vai incontro. Non c'è una via di mezzo, una terza via che possa equilibrare entrambe le cose.

No.

È un mondo fatto di pezzi di merda, pronti a sbranare e a distruggerti in mille pezzi alla tua prima caduta o segno di cedimento. Sono lì, i bastardi di turno, sul punto di precipitartisi addosso e divorarti fino all'ultimo boccone, facendoti pentire di aver scelto la via sgombra di sensi di colpa, considerata la più "corretta."

Corretta.

Buffo come si usi questo termine in un mondo che tutto possiede, tutto ottiene, in ogni modo possibile eccetto che con la "correttezza".

Tutti noi scegliamo sin da bambini il ruolo da interpretare, ciò che influenzerà le nostre scelte e ci impronterà ad azioni e situazioni particolari, che ci concedono l'illusione di sentirci meno in colpa. Un senso di colpa che, però, riaffiora comunque nel momento in cui capiamo che la scelta fatta, anni prima in cui ci siamo affidati alla più "umana" delle opzioni, ci ha portato soltanto a essere umiliati, calpestati, rigirati e distrutti da chi ha sin da subito utilizzato le carte da gioco a suo vantaggio, in modo da liberare l'asso senza troppe preoccupazioni e colpire senza timore o remore. È in quel momento che si cambia drasticamente direzione: si arresta il cammino, ci si volta e si torna indietro, fino a quando non si ripresenta il bivio in cui possiamo scegliere:

Uccidi o vieni ucciso.

Io sono ormai da molto tempo che scelgo la prima. Ogni giorno, ogni ora, ogni singolo secondo delle mie giornate. Ovunque e comunque. Non c'è un singolo momento in cui mi pento della mia scelta e della mia brutalità. A dir la verità, sono fiera del modo in cui il mio cammino non viene intralciato neanche da un misero ramoscello, poiché troppo timoroso della reazione che altrimenti scatenerebbe. Mi compiaccio ogni volta che i miei occhi si scontrano con la paura di coloro che mi guardano.

Oh, la paura. L'ho provata per così tanti anni che ormai mi è diventata amica e ha iniziato ad assecondarmi, a passeggiare al mio fianco e a travolgere gli altri nel momento in cui mi vedevano.

Esattamente com'è successo nei confronti di quel coglione di Ryan Keller. Un idiota del terzo anno che ha bisogno di sottomettere me e i miei amici pur di essere guardato per un istante dagli altri.

Beh, almeno gli ho dato quello che desiderava ieri.

Lo hanno guardato proprio tutti. Deridendolo, ma lo hanno guardato.

Sorrido compiaciuta mentre esco dal bagno, ripensando a come il mio gesto non abbia avuto ripercussioni. O almeno, in teoria le ha avute, ma nella pratica me ne fotterò come faccio sempre.

Ci sono voluti almeno quattrocento dollari e una minaccia abbastanza esplicita per convincere il preside a non sospendermi o a ricevere eventuali punizioni. Alla fine ha scritto sull'annotazione - che ha tranquillamente centrato il fondo della spazzatura poco dopo- che avrei dovuto pulire i bagni del dormitorio per una settimana.

Sbuffo divertita.

Sì, come no.

È stato divertente notare come sperasse davvero che pulissi i cessi da tutte le canne, i mozziconi e le gomme lasciate lì.

Avrebbe dovuto sapere benissimo che non lo avrei mai fatto. Per questo motivo ora, invece di trovarmi lì, ho appena finito di fare una doccia e mi sto dirigendo in camera.

Sfrego i capelli bagnati con l'asciugamano, per evitare che gocciolino in tutta la stanza, e mi avvicino al mio letto. Percorro la camera vuota, avvertendo l'odore di lavanda che la mocciosa spruzza ogni volta che finisce di fare sesso con Jason, poiché, per lei, è una cosa troppo imbarazzante che qualcuno entrando possa capire che cosa hanno appena fatto.

Ghigno divertita e scuoto la testa, per poi dirigermi al mio armadio. Sfilo l'asciugamano dal corpo, rimanendo completamente nuda. Alcune goccioline sono ancora presenti sul corpo, e scorrono lungo la schiena e il ventre.

All'improvviso, però, una strana sensazione mi pervade interamente. Avverto degli occhi puntati su di me, che mi bruciano la schiena e mi perforano da un lato all'altro del corpo.

Mi volto di scatto, con un lieve affanno a causa della sensazione di essere osservata, ma nella stanza non c'è nessuno. Soltanto io e la mia immagine riflessa allo specchio.

Aggrotto le sopracciglia e abbasso lo sguardo sulle t-shirt piegate nel mio armadio, cercando di scacciare via questa strana e inquietante sensazione.

Ne afferro una dei Neighbourhood, la mia band preferita, e la infilo. Il tessuto nero mi arriva fino a metà coscia, quindi non mi preoccupo di indossare nient'altro sotto, se non dei semplici slip in pizzo.

Libero i capelli dal turbante e lascio che le ciocche scure mi ricadano fino a sotto il seno. Sono completamente bagnati, perciò mi volto in direzione del bagno.

Tuttavia, la sensazione di avere due occhi fissi su di me persiste e mi porta a ridurre le palpebre a due fessure. Sposto lo sguardo da un punto all'altro della stanza, senza però vedere realmente qualcuno.

«Ma che diavolo...» sussurro fra me e me con un cipiglio sul volto e un'inquietudine non molto piacevole che porta i battiti del mio cuore ad aumentare.

Cerco comunque di scacciarla via il prima possibile, dando la colpa a tutti i film d'horror che la mocciosa mi obbliga a guardare ogni sera, se e quando nessuna delle due esce. Subito dopo entro in bagno e ripongo entrambe le asciugamani al loro posto, per poi iniziare ad asciugare i capelli. Il rumore del phon si disperde in tutta la stanza, così come il calore.

Osservo la mia immagine allo specchio, mentre agito il phon in maniera abbastanza caotica, in attesa che si asciughino il prima possibile.

Punto in particolare le iridi azzurre, inespressive e spente. Le osservo con attenzione, appurando da quanto tempo sono solo in grado di vedere, ma non di guardare. Da quanto tempo non riescono più a stringersi, spinte da un sorriso allegro e sincero. Da quanto tempo non vengono attraversate dalla luce di pace e gioia di un tempo. Da quanto tempo la felicità non si impossessa di loro e porta via questa passività a cui sono state costrette a sottomettersi.

Le osservo, senza però desiderare nulla di diverso da ciò che sono adesso. Non voglio cambiare il loro modo di vedere il mondo. Offrono tutte le volte una visione abbastanza chiara delle cose e mi mostrano tutto quello che mi circonda per come realmente è. Non sono corrotte da alcuna ingenuità o debolezza e riescono a rigare dritto, prive di alcun cedimento o segno di fragilità. Sono semplicemente due macchine da guerra che, in tutti questi anni, mi hanno permesso di non guardare più le cose con la solita purezza e innocenza di un tempo. Sono state in grado di rendermi diversa, ai miei occhi e a quelli degli altri, e a dimostrarmi l'unico modo in cui vanno affrontate le cose: con distacco, freddezza e indifferenza.

"Guarda una cosa senza guardarla davvero, e non sarà mai in grado di scalfirti." Mi ripeto queste parole da tanti anni ormai e non hanno mai sbagliato su alcun punto. Si ripetono nella mia mente incessantemente, ogni giorno, non appena apro gli occhi e mi preparo a vedere il mondo.

È piacevole notare come funzionino. Sempre e dovunque.

Uno strano cigolio mi fa sussultare lievemente, accompagnato da un terrore insolito e identico a quello di poco fa. Aggrotto le sopracciglia, per poi staccare di istinto la presa dal fono e riporlo nel mobile. Mi piego, cercando di impiegare il minor tempo possibile a trovare il suo giusto scompartimento nel caos del cassetto, e sbuffo. Tuttavia, proprio quando mi alzo, ecco che per poco non urlo dal terrore.

Allo specchio si presenta un'altra figura: la pelle è scura, il collo circondato da catene d'oro, le treccine africane vengono pressate da un berretto, gli occhi scuri...

«Cazzo, West!» sussulto con gli occhi sgranati e porto una mano al petto.

Il respiro è affannato, il timore che uno sconosciuto fosse entrato nella stanza elevato e la mascella serrata.

Gli occhi di Allen davanti a me si spalancano sempre di più, per poi portare tutto il corpo a essere scosso da una forte e sonora... risata.

Impreco sottovoce.

«Che cazzo di faccia hai fatto, Jackson. Pensavo di essere troppo nero per essere un fantasma.» si piega in due, divertito dalla mia espressione scioccata e dal mio viso improvvisamente impallidito.

Io, però, non rido. Affatto. Mi limito a guardarlo in modo truce e con gli occhi affilati. «È quello che sarai se proverai di nuovo a entrare di soppiatto.» scandisco le parole senza occultare la minaccia esplicita e lo immobilizzo sul posto con una semplice occhiata.

«Non è colpa mia se questo cazzo di phon fa il rumore di un trattore. Ho anche bussato!» scrolla le spalle, facendomi ricadere lo sguardo sulla felpa oversize viola che indossa e che gli arriva poco sopra il sedere, laddove i jeans larghi ricadono fino alle sneakers.

Sospiro e trattengo le palpebre chiuse per qualche istante, cercando di reprimere il più possibile l'istinto omicida che mi spinge ad afferrarlo per il collo e strozzarlo.

Emetto uno sbuffo ed esco dal bagno, accompagnata dalla sua andatura spavalda e abbastanza morbida.

«Vediamo, vediamo... Che c'è qui?» la sua attenzione ricade sul minifrigo presente a un angolo della stanza e, in particolare, su un pacchetto di m&m's all'interno. «Buoni questi, grazie per averli comprati apposta per me!» mi rivolge un sorriso grato, ma io aggrotto le sopracciglia.

«Ci sono dall'anno scorso, idiota, e non sono per te.» inarco le sopracciglia e mi aspetto che li posi, ma lui non fa altro se non aprire il pacchetto e iniziare a imboccarsene sei alla volta.

«Mhh, stagionati allora.»

Ma che...

Roteo gli occhi al cielo e mi lascio andare sul letto, controllando se le unghie siano a posto o abbiano bisogno di altro smalto.

Il nero le ricopre interamente, senza parti mancanti, perciò mi limito a limarle semplicemente.

«Comunque, ero venuto qui per chiederti se venivi al Galaxy stasera.» la voce di West, il quale si è appena stravaccato sul letto accanto a me, impastata dai diversi m&m's che ha ancora in bocca, mi induce a guardarlo.

Il Galaxy è il locale in cui lavora Samantha. Ci andiamo spesso, per farle passare almeno un po' il tempo lì dentro che- a detta sua-non passa mai, poiché ci sono troppi viscidi e pervertiti che ci provano costantemente e che lei è sempre costretta a liquidare.

Non ci penso una volta di più ad annuire: la mocciosa non ci sarà questa sera, poiché uscirà con Matt, Sally e TJ, e io odio restare da sola la notte. La sera è il momento peggiore, poiché si concentrano lì tutte le crisi e gli attacchi di panico, perciò tento sempre di uscire o almeno di avere qualcuno con cui passare la serata.

È già ardua passare ogni festività qui, da sola, al campus, poiché non ho nessuno da cui tornare. O meglio, ci sarebbe Emily, ma quest'anno zia Isobel ha deciso di partire insieme alla sua famiglia, compresa la mia stellina, per l'Italia. Hanno passato il Ringraziamento, Natale e Capodanno in giro per le diverse regioni. Avevano invitato anche me, ma ne ho approfittato per studiare per gli esami che ho dato o dovrò dare.

Ammetto che mi è mancata molto Emily, ma da un lato sono stata felice di non aver passato con Isobel e suo marito quei giorni. Sono dei bravissimi zii, anche molto protettivi considerando il fatto che sono due poliziotti, e si sono sempre comportati come degli ottimi genitori per Emily, ma sono stati loro a impedirmi di essere il suo tutore legale.

Hanno lottato con tutte le loro forze in tribunale affinché la piccola vivesse con loro, a Orlando. E se da un lato mi fa piacere sapere che adesso vive in una meravigliosa villetta, con una famiglia che la ama, che non le fa mancare niente, e una scuola fantastica... devo ammettere che avrei voluto tanto che vivesse con me. Voglio dire, i soldi non mi mancano: l'eredità di mia madre, con annessi tutti i suoi agri, sono finiti a me. Potrei permettermi di comprare tutto ciò che voglio e di renderle la vita molto più facile di quanto non sia stata la mia.

Tuttavia, non mi è stato concesso il suo affidamento, poiché sono troppo giovane, devo concentrarmi sullo studio e non avrei sicuramente tempo di stare dietro alle faccende che riguardano una bambina di otto anni.

Abbasso lo sguardo, mentre ricordo l'ultima volta che ci siamo viste, prima che iniziasse nuovamente il college. Riesco ancora a sentire le sue braccia esili che mi circondano in un abbraccio e mi stringono con affetto, rendendomi ancora più chiaro di come sia solo e unicamente lei in questo mondo a essere degna di avere le chiavi del mio cuore.

«Allora preparati già adesso, sono le dieci e mezza.» la voce di west, morbida e squillante, mi ridesta dai miei pensieri e mi fa voltare verso di lui. Per una frazione di secondo non riesco neppure a capire a cosa si riferisca, poiché troppo presa dal flusso che stava seguendo la mia mente. Tuttavia, ci metto qualche secondo a riconnettermi con la realtà e ad alzarmi dal letto.

Mi avvicino dall'armadio e, con un lieve sospiro, ne tiro fuori un tubino viola aderente. È molto corto e il tessuto in velluto avvolge il corpo con naturalezza, evidenziandone ogni forma. È privo di bretelline e la scollatura mette in risalto il seno.

Mi avvicino allo specchio, posto accanto alla porta, e aspetto che West vada via, affinché io possa cambiarmi.

Tuttavia, lui non fa altro che stendersi sul letto di fianco, appoggiare il capo al palmo della mano e guardarmi con un'espressione d'attesa.

Inarco un sopracciglio e domando: «Che stai aspettando?»

«Che ti vesta. È sempre una gioia vedere corpi come il tuo... nudi.» il suo sorriso, che assomiglia più a quello di un ebete, gli increspa le labbra scure. E nonostante le parole potrebbero dimostrare il contrario, nel tono della sua voce non c'è una sola punta di malizia o strana perversione.

Ma certo. Ormai dovrei esserci abituata.

West ama le donne. Le idolatra in ogni secondo della sua giornata e starebbe tutto il giorno ad ammirarne i corpi e le forme, non in modo voluttuoso, ma con vera e propria... ammirazione.

Sostiene che siamo le creature "più belle al mondo" e che dovremmo essere ammirate da tutti...

Sì, certo... Il suo amichetto laggiù però non la pensa nello stesso modo, dato che il modo in cui si alza è tutto fuorché innocente.

Anche se, a questo, sono sicura, risponderebbe con un: "è una prova di rispetto, riconosce anche lui la vostra bellezza."

Roteo gli occhi al cielo. Sono sicura che non lo faccia con malizia e che il suo sia soltanto un atteggiamento innocuo, ma mi dà comunque fastidio che le persone mi vedano completamente nuda, senza che prima mi sia... occupata di alcune cose.

«Esci, idiota.» gli rivolgo perciò un tono perentorio e che non accetta repliche.

Lui sbuffa contrariato e lascia andare il capo all'indietro.

«Vai tu in bagno, mi scoccia alzarmi.»

Sbuffo infastidita e mi trattengo dal rivolgergli una serie di imprecazioni e offese che gli farebbero mettere il broncio per l'intera serata. Decido perciò di assecondare la parte di me che tenta di non soffocarlo seduta stante, e mi precipito in bagno.

Mi spoglio della maglietta e osservo con attenzione l'interno coscia.

Come al solito una ventina di cicatrici è presente in entrambe le gambe, tutte abbastanza vicine. La prima inizia vicino all'inguine, per poi lasciare spazio alle altre più in giù. Non occupano una grande parte della coscia, poiché sono quasi attaccate, e fortunatamente non si vedono neanche tanto. O almeno, non se sto in piedi o seduta.

Tuttavia, so già che finirò a letto con qualche ragazzo, come ogni sera d'altronde, per far sì che la notte passi più in fretta e dar alla mia mente la parvenza di essere "tranquilla", e non voglio assolutamente che qualcuno le veda. Perciò afferro, come ormai ogni momento prima di uscire, una spugnetta e applico della terra compatta su tutta la zona costeggiata da questi segni, per poi stendere un fondotinta waterproof abbastanza coprente.

Osservo infine il lavoro fatto su una sola gamba. Sono tutte abbastanza coperte e quasi completamente sparite, perciò sospiro soddisfatta e ripeto i passaggi anche sull'altra coscia.

Serro gli occhi nel momento in cui i momenti in cui mi si stavano formando quelle cicatrici mi riaffiorano, e tento con tutte le mie forze di scacciarli via.

Il dolore che provavo non appena si schiantava su di me quella-

«Ally, stai per caso fabbricando tu i trucchi che devi usare?!» West esclama spazientito dall'altro lato della stanza.

Mi volto verso la porta, per accertarmi che sia chiusa, e sospiro.

Subito dopo, mi affretto a infilare il vestito e ad applicare un semplice eyeliner, un po' di mascara e una tinta nude sulle labbra. Aggiungo poi alcuni gioielli e, dopo aver finito, infilo le scarpe che avevo preso poco fa. Sono degli stivali neri in velluto con tacco dodici, che arrivano sino a sopra il ginocchio. Lascio quindi da parte il mio metro e settanta, ammirando il modo in cui i tacchi slanciano la gamba. Passo poi velocemente la piastra sulla chioma castana e applico su tutto il corpo una crema alla mandorla, per poi spruzzare una quantità indefinita del Good Girl di Carolina Herrera.

«Hai fini-» non lascio che West termini la domanda, poiché esco dal bagno subito dopo, picchiettando i tacchi sul pavimento.

Gli occhi scuri di Allen si posano immediatamente su di me ed è costretto a interrompere la camminata impaziente e snervante con cui stava attraversando ripetutamente tutta la stanza. Mi squadra a fondo, concentrandosi sulla scollatura generosa e sulla porzione di coscia lasciata scoperta dal tubino corto.

«Per tutti i doppi cheeseburgers al mondo...» deglutisce, incapace di muoversi di un solo passo, come ammaliato da ciò che sta vedendo.

Roteo gli occhi al cielo e lo oltrepasso con fare sicuro, sorridendo sotto i baffi e afferrando una borsa nera.

Lo lascio indietro, avvertendo comunque il suo sguardo bruciarmi la schiena. Sospiro perciò, nonostante non sia infastidita dalle sue occhiatine, e domando:

«Dopo possiamo fare una foto, adesso andiamo.»

Lo sento sbuffare divertito alle mie spalle e mi raggiunge con una piccola corsetta. Chiudo la porta alle mie spalle e mi dirigo con West sino alla mia macchina. La mia Aston nera è parcheggiata non molto distante dal dormitorio, perciò non ci impieghiamo molto a raggiungerla e a salirci.

L'odore di bergamotto, unito al lampone e alla menta fresca, mi invade completamente le narici, facendomi inalare la fragranza per diversi secondi.

«Cazzo, Ally, non capirò mai come fai a guidare una di queste...» West accarezza il cruscotto con le mani, per poi passare ai sedili in tessuto completamente neri con rifiniture rosso fuoco, che riprendono le luci dei vari pulsanti.

Un improvviso fastidio mi assale immediatamente, perciò gli rivolgo uno sguardo truce e gli schiaffeggio le dita.

«Con queste,» gli indico le mie. «e giù le mani dalla mia macchina.»

La gelosia che mi pervade non appena qualcuno osa soltanto toccarla è immane. Non ci porto infatti nessuno all'infuori dei miei amici. E non ho mai lasciato che qualcuno la guidasse al posto mio. È un'auto molto costosa e, nonostante l'abbia pagata con l'immenso patrimonio lasciato in eredità da mia madre, ho comunque il timore che possa danneggiarsi o semplicemente graffiarsi.

West sbuffa contrariato e si lascia andare lungo il sedile. Incrocia le braccia al petto e si arrende alle solite regole che impongo per chiunque salga su questo gioiellino: stare immobili, non muoversi troppo, non toccare niente.

Facile, no?

Metto in moto, beandomi del rombo del motore, e inizio a sfrecciare per le strade di Miami a una velocità non propriamente consentita. Supero diverse auto e alcune moto, lasciando che le note di Reflections dei Neighbourhood si disperdano nell'abitacolo.

Arriviamo al Galaxy dopo non molti minuti, ma, prima di scendere, ne approfitto per sfilare la tinta nude dalla borsa e applicarne ancora un po' sulle labbra. Subito dopo sistemo i ciuffi castani con le mani e, spegnendo l'auto, apro lo sportello.

L'aria più fresca di questa sera si scontra con le mie spalle nude, ma non me ne curo. Cammino piuttosto a passo sicuro verso l'entrata del locale, nonostante ci sia una lunga fila di persone ad aspettare il suo turno.

Una fila che non ho alcuna intenzione di rispettare. Per questo, senza neanche curarmi delle occhiatacce che mi rivolgono alcune ragazze, avanzo, superandoli uno a uno con West al mio fianco.

«Ally, non dovremmo aspettare il nostro turn-»

Allen non riesce neanche a concludere la frase, poiché la voce di un ragazzo non molto lontano da noi, lo interrompe.

«Ehi, non puoi superare, c'è la fila!»

Non mi volto neanche, continuo semplicemente a camminare, e pronuncio con assoluta nonchalance: «Sì, vieni a fermarmi, coglione.»

Lui, ovviamente, non osa rispondere altro. Borbotta semplicemente qualcosa di incomprensibile tra sé e sé, e sbuffa infastidito.

Sorrido compiaciuta e arrivo al bodyguard, che appuro trattarsi di Trevor.

West mi si affianca in modo frettoloso, lievemente imbarazzato per aver dovuto subirsi diversi sguardi truci. Tuttavia, non dice niente, aspetta semplicemente che mi avvicini al grosso uomo di circa trent'anni anni davanti all'entrata. Dev'essere alto due metri, e pesare un centinaio di chili, data la stazza imponente con cui copre praticamente metà ingresso.

Non gli dico nulla, mi limito a salutarlo con due baci sulla guancia. Trevor si addolcisce all'istante e mi rivolge un lieve sorriso, per poi scostare la tenda e farci entrare.

Ci conosciamo da ormai diversi anni, sin da quando Samantha ha iniziato a lavorare in questo locale. Ricordo le chiacchierate spensierate che facevamo ogni volta che ero in fila o quando lui finiva il turno e si fermava a bere qualcosa. È un tipo abbastanza simpatico, o forse lo considero tale poiché è abbastanza taciturno e propenso a farsi gli affari suoi. Fatto sta che si è affezionato a me, e sembra molto felice di vedermi ogni volta che arrivo qui al locale.

Entro insieme a West, attraversando dapprima un lungo corridoio e arrivando solo in seguito in un'ampia sala. La musica tecno risuona nelle casse in modo ritmico e fin troppo elevato, ma mi beo subito del modo in cui mi attraversa tutto il corpo.

Avanziamo nella sala, facendoci spazio fra la folla di persone propense a ballare in pista e a mischiarsi l'un l'altro sudore e saliva, e arriviamo in una zona più sgombra della stanza. Qui è presente un lungo bancone in vetro, con lucine a neon viola che lo percorrono interamente e un'enorme e vasta parete di bottiglie dietro di esso. Diversi camerieri camminano da un punto all'altro, riempiendo bicchieri e preparando cocktail, e, proprio fra questi, riconosciamo una chioma rossa che oscilla in modo fluido.

La figura snella di Samantha, vestita soltanto di un tubino corto nero che le mette in risalto le sue splendide forme, e un tesserino con scritto il suo nome, cattura la nostra attenzione. Sta preparando quello che riconosco essere un Long Island a un tizio che abbassa fin troppo lo sguardo sul suo seno, e ha un'espressione abbastanza concentrata.

Non appena porge il drink, sospira e punta lo sguardo su un altro punto del bancone, in attesa di scorgere altri clienti. Ecco però che incrocia la mia figura e quella di West.

Un sorriso di sollievo le sembra increspare le labbra non appena realizza che siamo qui, e non esita a raggiungerci.

«Come mai i miei stronzi preferiti sono al Galaxy di martedì sera?» aggrotta le sopracciglia. «Non dovreste essere alla festa di Morrison?»

Roteo gli occhi al cielo. Le feste di Morrison? Un vero schifo. Non si fa altro che sniffare e drogarsi in quei posti, con musica di merda e persone troppo sudate e puzzolenti per poter anche solo respirare la loro stessa aria. Sono stata lì soltanto una volta e mi è bastato per capire che è frequentata da soli tossico dipendenti e persone annoiate in cerca di sesso, droga e alcool per qualche ora.

«Non possono essere chiamate feste, semmai reunion di ratti trite e ritrite.» poso il gomito sul bancone in vetro e sostengo il mento con il palmo della mano.

Samantha sorride consapevole, e ringrazia mentalmente che siamo venuti a farle compagnia.

«Che vi preparo, dolcezze?» si rivolge a noi, ma agita un contenitore con del ghiaccio e lo versa in un bicchiere, per poi aggiungere del whisky e servirlo a una ragazza dai capelli biondi.

«Un Martini.» ordino con fare annoiato.

«Io una budweiser.»

Sam sposta la chioma rossa su una spalla, sentendo improvvisamente caldo, e porge la birra a West, per poi iniziare a preparare il mio drink.

Non ci mette molto, poiché soltanto poco dopo lo posa dinanzi a me e fa un cenno di saluto ad Allen che, intanto, si è diretto in pista a parlare con una ragazza.

«Ho saputo di ciò che è successo in mensa.» si piega sul bancone, sporgendosi verso di me, e mi guarda con un luccichio divertito negli occhi.

Le pupille color smeraldo mi squadrano a fondo, come se volessero ottenere risposte solamente guardandomi. Tuttavia le impedisco di captare i miei pensieri, e scrollo semplicemente le spalle.

«Aveva postato una mia foto senza il mio consenso.» sorseggio il Martini, senza sforzarmi di occultare il tono compiaciuto e soddisfatto nella mia voce.

«E tu hai deciso di spaccargli il naso.» continua Sam al posto mio, ridendo sotto ai baffi.

«E io ho deciso di spaccargli il naso.» ripeto divertita, come se fosse un'ovvietà.

Non ho mai dato il consenso a nessuno di provare a sopraffarmi, calpestarmi o deridermi. Poche persone hanno tentato di farlo, cercando di dimostrare una forza del tutto inesistente, e ciascuno di essi è stato aggredito, picchiato e umiliato. Sono stata talmente tante di quelle volte nell'ufficio del preside, che ogni volta mi dirigo lì da sola, senza neanche aspettare l'ordine di un insegnante o di una segretaria. Ne sono uscita molte volte indenne.

Ripeto sempre che l'uomo è l'essere più corruttibile sulla faccia della terra e dimenticherebbe persino un abominio in cambio di qualche centinaio di dollari.

«Brava la mia ragazza. Si è presentato qui, stasera, Keller e gli ho sputato nel drink.»

Sorrido divertita e scuoto il capo, inarcando le sopracciglia. Subito dopo le batto il cinque, mentre lei scoppia a ridere compiaciuta.

È sempre stato così fra di noi. Non saremo di certo quel tipo di amiche che si rivelano i segreti più intimi e profondi, raccontandosi i momenti peggiori delle nostre vite, ma abbiamo una complicità intensa. Ci difendiamo e proteggiamo come se fossimo sorelle, e trattiamo nello stesso modo le stesse persone. I suoi nemici sono i miei nemici, e viceversa. Non serve neanche parlare, riusciamo a capire ciò che fa stare bene l'altra semplicemente con i fatti.

Non apriamo l'un l'altra il nostro cuore- probabilmente perché io non ne avrei neanche uno da aprire- eppure quando siamo insieme una minima parte dei problemi che ci assillano sembrano sparire per un po', ritirandosi nelle loro tane in attesa del momento giusto per farci di nuovo visita.

«Torno subito.» Sam si sposta verso un altro ragazzo, che ha alzato il braccio per ordinare, mentre io continuo a sorseggiare il mio Martini.

Intanto sfilo il telefono dalla tasca e digito a Emily che la sua lettera mi è arrivata e le auguro la buonanotte. Lei fa lo stesso.

Sorrido nell'osservare la foto di noi due al parco, qualche anno fa, e riposo il telefono.

«Mi porti altri due Martini, grazie.» una voce maschile, profonda ma per nulla familiare, mi giunge alle spalle e mi induce a voltarmi.

Dietro di me torreggia un ragazzo castano, di circa un metro e ottanta, con due occhi grigi che mi squadrano con attenzione.

Non lo conosco, eppure lui mi rivolge un sorriso e si siede sullo sgabello accanto a me.

L'eccessiva puzza di fumo mi avvolge istantaneamente e mi induce a nascondere un'espressione schifata.

Il barista, a cui probabilmente si è rivolto poco fa, ci porge i due drink e si allontana.

«Scusa se sono arrivato così, alle spalle, ma ti ho notata in pista e non potevo non avvicinarmi.» la sua voce tradisce la sua età inferiore ai vent'anni, il che mi induce a distogliere da subito l'attenzione.

Lo ignoro, annuendo semplicemente e finendo di bere il mio Martini, senza neanche avvicinare quello offerto da lui.

«Com'è che ti chiami?» si avvicina maggiormente con lo sgabello in pelle nera e mi rivolge un sorriso amichevole ma al contempo inquietante.

Sospiro lievemente e rispondo: «Ally.»

«Io Gregor.» allunga la mano nella mia direzione, mentre io la guardo con disinteresse.

Inarco un sopracciglio, e sbuffo. «Sì, Gregory, non mi interessa come ti chiami.» faccio per alzarmi, ma non appena poso entrambi i piedi a terra, ecco che mi afferra per l'avambraccio.

«No, aspetta, vorrei conoscerti.»

Fulmino con lo sguardo quelle cinque dita arpionate attorno al mio polso e ripunto lo sguardo su di lui.

«Io no, ora lasciami.»

Sul suo volto appare un'espressione scocciata, che lo porta a serrare maggiormente la presa. «Avanti, balliamo insieme. Prometto che sarà divertente.» avvicina il suo corpo al mio e mi punta l'erezione già presente sul ventre.

Io deglutisco schifata e cerco di divincolarmi dalla sua presa. Tuttavia rafforza maggiormente la stretta.

«Ma come, soltanto un ballo e-» Gregor cerca di convincermi con un semplice sguardo, eppure proprio nel momento in cui sto per mandarlo a fanculo e allontanarmi, ecco che una voce roca, perentoria e baritonale mi precede.

«Ha detto di lasciarla, coglione.»

Sposto lo sguardo oltre le spalle del ragazzo e il metro e novanta di Matt mi si presenta davanti, con le braccia conserte, i bicipiti fasciati da una camicia nera, e le pupille color indaco puntate in modo fulmineo sulla mano del ragazzo.

Gregor si volta verso di lui e, dopo averlo squadrato con le sopracciglia aggrottate, domanda: «E tu chi cazzo sei?»

Matt fa un passo nella nostra direzione, incombendo sullo figura bassina  rispetto alla sua, del ragazzo.

«Io ti consiglierei di domandarti chi sarà il medico che ti guarirà ciò che ti farò se continuerai a parlarmi in questo modo, perché dubito che riuscirà a risistemarti la faccia.»

Il suo tono è roco e minaccioso, e mi porta per un attimo a deglutire. Tuttavia, subito dopo aggrotto le sopracciglia, non sapendo cosa ci faccia qui e perché è intervenuto. Avrei potuto benissimo difendermi da sola, o almeno, lo avrei fatto tirando una testata al coglione davanti a me.

«Sì, certo...» Gregor lo sbeffeggia con un sorrisetto derisorio e torna a riconcedere la sua attenzione a me.

Tuttavia, nel momento in cui questo gli dà le spalle, Matt sorride compiaciuto e annuisce impercettibilmente per una manciata di secondi. Serra poi la mascella e, con abbastanza tranquillità, afferra la nuca del ragazzo e gli sbatte la faccia sul bancone in vetro.

Sussulto per l'assalto improvviso, e faccio un passo indietro. Gregor impreca tra i denti e tenta di liberarsi dalla presa di Matt, tuttavia questo non accenna a lasciarlo andare. Tutt'altro. Una furia cieca gli inonda le iridi e lo induce e digrignare i denti a causa della rabbia eccessiva.

Sgrano gli occhi e aggrotto le sopracciglia.

Ma che gli prende? Perché fa così?

«Ti consiglio di portare via da qui il tuo culo, se non vuoi che ti conficchi in faccia ogni singola scheggia di vetro di questo bancone.» la sua voce è intimidatoria e strettamente bassa, quasi inquietante.

Le parole giungono al ragazzo in modo minaccioso e lo portano ad annuire spaventato e deglutire ripetutamente.

«D'accordo, amico, ma stavamo soltanto parlando.»

Riduco le palpebre a due fessure e mi avvicino al ragazzo, subito dopo che Matt lo ha lasciato andare con uno strattone.

«Non stavamo parlando, tu mi stavi rompendo le palle con le tue parole.» subito dopo, afferro entrambi i Martini offerti da lui e glieli getto addosso, lasciando che il liquido gli imbratti la maglietta costosa.

Gli si mozza il fiato, ma proprio nel momento in cui sta per insultarmi e rivolgermi chissà quali offese, ecco che punta lo sguardo su Matt.

Lui assottiglia gli occhi e inclina di poco il capo, come se lo stesse avvertendo a non andare oltre.

Ed ecco che, come se sotto un fottuto incantesimo, il ragazzo abbassa il capo e si allontana, lasciandomi attonita.

Mi serve infatti qualche secondo per realizzare ciò che è appena successo e, soprattutto, il fatto che Matt sia stato sul punto di picchiare un ragazzo. Non appena lo faccio, però, ecco che un enorme e intenso cipiglio mi appare sulla fronte e mi porta a puntare con uno scatto lo sguardo sul biondino dinanzi a me:

«Che cazzo ti sei messo in mezzo a fare?!» il mio tono è scorbutico e i miei occhi infastiditi, poiché odio quando qualcuno mi difende o agisce al posto mio.

Mi fa sentire debole e non abbastanza forte da gestire autonomamente le situazioni.

E non riesco a sopportarlo.

Matt, tuttavia, sembra capirlo, poiché sospira e arrotola la camicia nera sugli avambracci con disinvoltura. «Tranquillo, girasole, potrai prenderti i meriti di averlo allontanato tu.»

Cosa?

Inarco le sopracciglia e lo spintono dal petto.

Il suo sguardo saetta su di me, inchiodandomi sul posto con la stessa forza di un uragano.

«Pensa a te, Taylor, non ho bisogno di qualcuno che mi salvi il culo.»

«Te lo avrebbe preso per bene, invece, quel culo, se non fossi intervenuto.»

Assottiglio le palpebre con fastidio, innervosita dalle parole volgari con cui mi si è rivolto, e gli punto un indice contro:

«L'avrei allontanato, se tu non ti fossi  messo in mezzo.»

Lo supero con una spallata, ma le sue parole mi interrompono.

«Potresti anche ringraziare la prossima volta che qualcuno impedisce a un coglione di violentarti.»

Serro gli occhi e mi fermo all'istante.

Violentarmi.

Nella mia mente si ripercorrono con una frequenza e una velocità inaudita una serie di immagini, di ricordi offuscati, di pensieri che avevo cercato di occultare con tutta me stessa, e che mi portano a serrare la mascella.

Non ora.

Inspiro ed espiro in modo irregolare e chiudo le palpebre. Il battito cardiaco aumenta, la frequenza respiratoria accelera di conseguenza e una stretta inizia a serrarmi il petto.

Non adesso. Andate via. Vi prego.

Serro la mascella e tento con tutte le mie forze di impedire a un'ulteriore crisi di svilupparsi. Di solito capitano quando sono da sola, non fra circa settecento persone. Eppure ciò che ha detto Matt ha risvegliato ricordi e voci che...

Impedisco a qualunque forma di debolezza di ripresentarsi e conficco le unghie nella parte esterna della coscia. Delle mezzelune si disegnano su di essa e il dolore che ne sussegue mi porta a rilassare i muscoli per qualche secondo.

«Hai altro da dirmi?» la voce di Matt mi giunge con fare annoiato alle spalle, poiché probabilmente si starà domandando perché me ne sto in piedi, impalata, senza né fare né dire nulla.

Non rispondo. Tento semplicemente di regolarizzare il respiro in tutti i modi.

Smettetela. Vi prego. Andate via.

Ma restano lì. Quelle immagini orribili e tortuose restano inchiodate nella mia mente a farsi beffa di me. Mi deridono, umiliandomi e torturandomi come la prima volta. E più cerco di scacciarle via, più le loro ombre incombono su di me e mi prendono per mano, trascinandomi nell'abisso con loro.

Annaspo in cerca d'aria. Non mi muovo. Resto lì ferma, con gli occhi di Matt addosso.

«Ehi, tutto bene?» il suo tono diventa più preoccupato, perciò si avvicina a me e mi posa una mano sul braccio.

Il suo tocco mi provoca una scarica elettrica in tutto il corpo, facendomi tornare immediatamente alla realtà.

Sussulto, con il volto pallido, quasi... scioccato, e punto il mio sguardo nella sua direzione.

Non rispondo, mantengo le labbra schiuse e lo guardo con aria assente.

«Ehi, tigre... Che succede?» il suo tono si ammorbidisce all'istante, mentre i suoi occhi mi perforano il viso, in attesa di scoprire che cosa sta accadendo.

Punto le mie iridi nelle sue e cerco di appigliarmi a qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non sprofondare nuovamente.

Ma in fondo sono sempre la stessa Ally. La stronza che va con tutti. Che va a letto con un ragazzo diverso ogni sera senza alcun ripensamento. Quella che trova tranquillità soltanto guardando il mare o scopando.

E sinceramente comincio a pensare che sia una delle poche cose che mi riesce bene...

Perciò, senza ripensarci un attimo di più, avvolgo la nuca di Matt con entrambe le mani e lo attiro a me. Le sue labbra si scontrano con le mie con forza, e non perdo tempo ad accogliere la sua lingua in bocca.

Le sue mani si posano di riflesso sui miei fianchi, stringendoli in modo ferreo, e mi avvicinano con irruenza.

Le gambe mi tremano e il battito aumenta maggiormente nel momento in cui mi scappa un gemito, che svanisce subito dopo nella sua bocca.

Ho bisogno di questo adesso.

Dopo interminabili minuti in cui a stento riesco a reggere il ritmo in cui la sua lingua si avventa sulla mia, ci scostiamo l'uno dall'altro.

Le nostre labbra sono a pochi millimetri di distanza, e l'odore fruttato del suo alito si scontra con la mia pelle.

«Fammi spegnere questo cazzo di cervello per un po'.» gli ordino con il respiro affannato.

E lui non se lo fa ripetere due volte: un luccichio malizioso gli attraversa le iridi e lo porta a mettere da parte la discussione avuta soltanto pochi minuti fa.

Al diavolo tutto, ho bisogno di sesso, ora.

«Ti avviso però che non sarò gentile.»

Il tono è lussurioso e al contempo minaccioso. Un mix che mi porta a serrare le gambe, per cercare di tenere a bada l'eccitazione crescente.

«Non lo sei mai stato.»

Ghigna lievemente e mi avvolge una mano attorno alla gola. La presa è stretta, e a stento riesco a respirare, ma il suo sguardo eccitato trasforma il dolore in desiderio.

«Vieni con me, ragazzina.» il suo corpo torreggia su di me e mi porta a raggiungere il bagno del locale.

Entra in quello delle donne, spalancando la porta in modo brusco, e trascina entrambi all'interno.

Fortunatamente non c'è nessuno, se non qualche ragazza nelle cabine, perciò passiamo ancora altro tempo a sbranarci l'uno le labbra dell'altra. A passi affrettati ci dirigiamo in uno dei bagni liberi e ci chiudiamo la porta alle spalle.

Matt si scosta lievemente dalla mia bocca, allunga una mano dietro di lui e fa scattare la serratura, mentre l'altra mano è ancora arpionata al mio collo.

«Sicura di volerti chiudere in un bagno a scopare?» si avvicina a me in modo voluttuoso, come se non gli interessasse realmente la risposta.

Accenno un sorrisino.

«Possono essere contate sulle dita di una mano le volte in cui l'abbiamo fatto su un letto normale.»

Matt solleva velocemente le sopracciglia e inclina il capo di lato.

«Troppo comodo e banale.»

Sospiro intrigata e gemo nel momento in cui rafforza la presa sul mio collo.

Subito dopo, la sua stazza imponente si avventa su di me e mi induce a voltarmi di lato. Il mio petto si scontra con la parete totalmente scritta davanti a noi, e il suo busto inizia a schiacciarmi la schiena.

Tuttavia, nell'esatto momento in cui mi morde il lobo dell'orecchio e inizia a succhiarlo in modo avido, ecco che uno strano panico si impossessa di me.

Apro gli occhi e non riesco a scorgere bene il suo viso. Il petto si stringe in una morsa e altri fottuti ricordi si susseguono in modo fastidioso nella mia mente.

Il senso di oppressione e sottomissione durante il sesso mi ricorda il periodo peggiore della mia vita, in cui ogni singola parte di me ha iniziato a disintegrarsi pian piano, impedendomi di rialzarmi con il cuore della vecchia Ally.

Per questo a letto sto sempre sopra e, in questi casi, non permetto di usare queste posizioni.

Mi volto infatti con uno scatto.

«No, non così.»

Matt non fa domande, semplicemente annuisce e mi sussurra sulle labbra.
«Lo facciamo nella posizione che preferisci, questo non cambierà la forza con cui ti fotterò.»

Le mie guance avvampano dall'eccitazione e mi portano a mordergli il labbro inferiore. Subito dopo, posa le mani sulle mie cosce e le solleva, fino a farsi circondare la vita.

Il mio vestito si alza e le mie mutandine fradice entrano a contatto con la sua erezione, pressata nei jeans.

Oddio...

Gli poso le mani sulle spalle e inizio a strusciarmi sul membro eretto, improvvisamente desiderosa di averlo dentro di me.

Oscillo su di lui con sfacciataggine e gemendo in modo lussurioso.

Lui emette un suono roco.

«Porca puttana, sì, muoviti sul mio cazzo, girasole.» affonda i suoi occhi nei miei e io riesco a leggerci tutta la brama e l'eccitazione che lo sta pervadendo.

Non esito a ubbidire. Comincio a cavalcare il suo sesso, avvertendolo indurirsi a causa dei miei movimenti fluidi e perversi. Ansimo con fin troppa foga, avvertendo scariche di adrenalina in tutto il corpo.

«Pensavo dovessi uscire con la mocciosa, la sua amica e TJ...» affondo il capo nell'incavo del suo collo e continuo ad andare avanti e indietro, proprio come se mi stesse penetrando.

«Infatti.» risponde semplicemente, facendomi intuire che si trovano anche loro lì nel locale.

Aggrotto lievemente le sopracciglia.

«Non è un caso che ci troviamo sempre negli stessi posti?» apro per un secondo le palpebre, eppure nell'esatto momento in cui lo faccio, qualcosa nel suo sguardo cambia. Volta lievemente il capo, per impedirmi di notare qualcosa che sta cercando di nascondere, e allunga una mano verso la sua cintura.

La slaccia con agilità, tenendomi ben sollevata, e sbottona anche i jeans, per poi tirarli giù quanto basta.

Vorrei chiedergli perché non mi ha risposto con una delle sue solite battutine, eppure la mia attenzione viene immediatamente e irrimediabilmente catturata dall'erezione turgida e alta che si erge con maestosità.

«È lei che reclama le tue attenzioni ora...» mi guarda nuovamente negli occhi. «Perciò chiudi la bocca e apri la figa.»

Mi strappa un bacio e, senza neanche darmi il tempo di rispondere, infila il preservativo e affonda dentro di me con irruenza.

Il suo pene mi penetra in modo secco e brusco ma anche molto profondo, e mi porta a inarcare la schiena.

Le mie pareti tentano di adattarsi alle sue dimensioni fin troppo... importanti, ma non appena lo fanno, si bagnano ancora di più, facilitandone l'ingresso.

Dio...

Mi muovo a ritmo con il suo bacino avanti e indietro, senza fermarmi, riuscendo a sentire ogni singolo centimetro del suo membro dentro di me. Mi colma come se fosse il pezzo mancante capace di non farmi pensare e di lasciare indietro tutte le paranoie che mi assillano, e riesce a farmi semplicemente... godere.

Godere del suo sguardo su di me. Delle sue mani che mi palpano il seno da sotto il vestito. Delle dita che mi stringono la gola. Della sua bocca che succhia e morde il mio collo.

Una spinta da una diversa angolazione mi fa urlare il suo nome in modo talmente forte, che le voci di alcune ragazze si interrompono fuori dalla cabina.

Matt mi guarda divertito, mentre io mi inumidisco il labbro.

«Ancora.»

Non lo ascolto subito, poiché troppo impegnata a inarcare la schiena e a sbatterla al muro a causa delle sue spinte potenti.

Tuttavia, a un certo punto un colpo secco e brusco mi fa sobbalzare in aria.

Una sculacciata.

La mano di Matt si scontra con il mio sedere, lasciando sicuramente l'impronta delle sue dita su di esso, e portandomi a sussultare dolorante.

«Ho detto ancora.»

Ed ecco un'altra sculacciata.

Urlo.

Urlo il suo nome.

Urlo i gemiti e gli ansiti.

Urlo nel momento in cui la mia eccitazione cresce e la sua erezione si indurisce ancora di più dentro di me.

«Colpiscimi ancora.» lo imploro con la bocca attaccata al suo orecchio e diverse ciocche dei capelli aderite al mio viso a causa del sudore.

Non se lo fa ripetere due volte.

Un altro colpo, molto più forte dei precedenti, mi porta a serrare gli occhi e anche la mia intimità attorno al suo membro. Il mio corpo si solleva a dismisura, per poi continuare a ondeggiare insieme alle sue spinte.

«Più forte.»

La mia voce è ridotta a ansimi perversi, i miei occhi incastrati nei suoi, che mi guardano come se fossi la creatura più bella dell'universo e lo stessi elogiando nel migliore dei modi.

Mi stringe maggiormente la gola, portandomi ad annaspare. Mi sculaccia con furore e una manata talmente forte che sono costretta a mordermi il labbro inferiore.

«Ah! Sì, così!» lascio andare il capo all'indietro.

Lui affonda dentro di me in modo rude, passionale. Non mostra alcuna delicatezza. Semplicemente mi scopa con irruenza e una violenza tale da farmi eccitare sempre di più.

La mia schiena sbatte alla parete, provocandomi probabilmente diversi lividi. Le sue dita rimangono ancorate al mio collo, lasciando i segni rossastri, insieme ai succhiotti provocati dal modo sfacciato in cui intrappola e tira lembi di pelle con i denti. Il sedere brucia a causa degli schiaffi e l'intimità si stringe attorno al suo membro.

Porta la mano libera alla scollatura e l'abbassa fin sotto il seno, in modo da averne libero accesso.

Li guarda con avidità, come se fosse un bottino di cui ha improvvisamente bisogno per sopravvivere, e si piega.

Intrappola un capezzolo fra i denti e inizia a morderlo. Lo succhia, lo accarezza con la lingua e lo tira fino a farmi serrare gli occhi dal dolore. Dal piacere. Dal desiderio.

«Oddio, sì...»

Il capezzolo torturato comincia a dolermi terribilmente, eppure questo mi porta a volerne di più. Sempre di più.

Perciò infilo le mani nelle sue ciocche di capelli e glieli tiro lievemente, spingendolo con la bocca sull'altro seno.

Altri lividi compaiono anche lì, a causa del modo ferreo in cui morde, tira e succhia i capezzoli, per poi cercare di lenirli con la lingua.

«Quanto cazzo sei buona...»

Riporta il suo viso al mio e un gemito roco gli scappa nel momento in cui inizia ad affondare in un'altra angolazione.

La sua lunghezza mi arriva talmente in fondo da rendere attivi e vogliosi punti di cui non ero neanche a conoscenza.

Dio, è fantastico...

Serro la mascella e ansimo il suo nome.

Alcune contrazioni mi pervadono il basso ventre, lo stomaco si ingarbuglia terribilmente e la mia intimità inizia a pulsare maggiormente.

Sto per venire.

Serro gli occhi, mentre il suo pene continua ad affondare con sicurezza e voluttuosità.

«Esplodi sul mio cazzo, piccola, avanti...» la sua voce è roca, i suoi occhi ipnotici e il lieve ghigno che gli increspa le labbra mi manda su di giri.

Mi scombussola il petto e riesce a farmi tremare le gambe.

Vengo subito dopo.

Ricopro dei miei liquidi il suo membro turgido e voglioso, mentre brividi e scariche di eccitazione mi fanno schiudere le labbra.

«Matt...» ansimo il suo nome con tono flebile, mentre le energie di poco fa diminuiscono pian piano e mi portano a rilassarmi fra le sue braccia.

Mi tiene salda, mentre io mi beo della sensazione che ogni volta mi pervade non appena mi penetra.

«Ancora un po', tigre, ancora un po'...»  mi scuote lievemente, e serve una spinta più profonda per farmi tornare alla realtà e bagnarmi nuovamente.

Il sudore gli imperla la pelle ambrata, e alcune goccioline gli ricadono dal collo, facendo sì che alcune ciocche di capelli si attacchino alle tempie.

Dio, è bellissimo...

Cerco di tenere a freno questi pensieri, e continuo ad assecondarlo.

Mi scopa in modo forte, brusco, violento. Nel mio corpo si disperdono dolore e piacere allo stesso momento, riuscendo però a far prevalere la brama e la lussuria. La mia mascella si serra nel momento in cui mi succhia il lembo sotto l'orecchio con avidità e provoca alcuni lividi.

«Cazzo...» i suoi gemiti rochi si confondono al mio respiro affannato.

Il suo petto si striscia sui miei capezzoli, facendoli indurire più di quanto già non lo siano.

«Sei fradicia, tigre...» allunga una mano verso la mia intimità e, lasciandomi completamente senza forze, inizia a tirare il clitoride.

Porca-

Lo rotea con l'indice, per poi stuzzicarlo con altre due dita. Intanto, l'altra mano si avvia verso il mio sedere, tenendomi ben stretta a lui, e strizza le natiche con ardore.

I punti colpiti poco fa mi dolgono terribilmente nel momento in cui strizza i glutei, eppure mi ritrovo a chiedere di più, con la mia bocca a pochi centimetri dalla sua.

Continua ad affondare.

Mi penetra con una cupidigia strabiliante.

Mi prende come se fosse l'unica cosa di cui abbiamo bisogno entrambi in questo momento.

Mi fa sua. Ancora. Sempre più forte. Sempre più a fondo. Sempre con più intensità.

E io non riesco a reggere, poiché vengo un'altra volta, nell'esatto momento in cui le sue labbra si scontrano con le mie.

Non so quanto sia passato da quando ci siamo rinchiusi in questo bagno, forse mezz'ora, trentacinque minuti, non lo so. So solo che il biondino dal metro e novanta qui davanti a me mi sta sfinendo completamente. Mi sta svuotando di ogni singola forza e se ne sta appriopriando per continuare a scopami.

E, Dio, se mi piace.

«Se vedo un altro ragazzo...» le sue parole appaiono ostacolate dal respiro irregolare. «Che prova a trascinarti da qualche parte senza il tuo consenso...» un altro affondo, un'altra palpata al seno. «giuro che non mi tratterrò con i convenevoli e gli tirerò un pugno in pieno volto...»

Affondo il capo nella sua spalla, mentre la menta, la vaniglia e il muschio della sua pelle si confondono al sudore, inebriandomi ed estasiandomi terribilmente.

«So difendermi da sola. Non mi serve una guardia del corpo...» incrocio finalmente i miei occhi nei suoi, e questi riescono a guardarmi con una tale intensità da farmi vacillare per qualche istante.

Per un momento dimentico il mio nome. Chi sono. Dove mi trovo. E che mi sto facendo scopare in un lurido bagno di un locale.

Per un momento i suoi occhi riescono a trasmettermi un lieve barlume di serenità, e a farmi mettere da parte tutte quelle paranoie che mi assalgono continuamente.

«Allora rompigli direttamente un braccio la prossima volta. Mi sembra che tu ne sia capace.» mi provoca con un sorrisino malizioso, riferendosi chiaramente alla rissa con Keller.

Faccio un cenno compiaciuto con il capo.

«Lo farò sicuramente, ora però pensa a scoparmi.»

Sorride divertito e mi morde il labbro inferiore, facendo sì che alcune gocce di sangue scivolino via.

«Oh, lo farò. Ti sfinirò per ore e ore se necessario, ragazzina. E più sarai stanca, più mi chiederai di continuare. Più veloce. Più forte.» mi posa un dito sotto al mento e, con una delicatezza che è in netto contrasto con le sue parole, pronuncia a un sospiro dalle mie labbra: «Perché è così che ti piace, no? E non sai quanto questa cosa mi ecciti...»

Detto ciò, continua ad affondare dentro di me, per forse altri dieci o quindici minuti. Urlo il suo nome. Lui grugnisce il mio. Mi sculaccia, mi penetra, mi tocca e mi morde con avidità. Aumenta la mia eccitazione con la sua e riserva le sue voglie su di me, che mi accingo a soddisfare con la  mia solita sicurezza. Ondeggia dentro di me per altri minuti, fino a quando delle scariche non sembrano colpirgli il basso ventre. Il sangue affluisce nel suo membro, e le vene attorno a esso si gonfiano a dismisura.

Serra gli occhi, ringhiando come un animale, per poi appoggiare una mano alla parete al lato del mio viso, mentre con l'altra mi tiene stretta a sé.

Viene in un orgasmo potente e intenso.

Esplode con un gemito roco, serrando la mascella e di conseguenza gli occhi, e mi lascia andare piano piano.

I miei piedi tornano sul pavimento e, contemporaneamente, è come se anche io fossi tornata alla realtà.

«Dio, ci morirei fra le tue gambe...» si passa una mano fra i capelli, mentre si sfila il preservativo e lo getta nel cestino accanto al WC.

Il suo petto si alza e si abbassa affannosamente, gli occhi gli brillano di lussuria e i suoi muscoli, che sono stati in tensione fino a questo momento, si rilassano completamente.

Mi inumidisco il labbro inferiore, e osservo con minuziosa attenzione le sue mani venose e inanellate rialzarsi i boxer e i jeans. Sistema poi il colletto della camicia e punta lo sguardo su di me, ghignando compiaciuto nel momento in cui si rende conto del mio sguardo.

Mi schiarisco perciò subito la voce e sbatto le palpebre più volte. Subito dopo mi rialzo gli slip in pizzo e abbasso il vestito. Mi specchio poi alla fotocamera del telefono, per sistemare-per quanto possibile- il rossetto totalmente sbavato, e sposto i capelli dietro le spalle.

Bene. Possiamo andare.

Ripunto lo sguardo su Matt, e noto che i suoi occhi sono fissi proprio su di me. Mi perforano con un'intensità travolgente e disarmante, portandomi a perdermi nell'indaco delle sue pupille.

Osservo il pomo d'Adamo alzarsi e abbassarsi, e mordo il labbro inferiore, incapace di trattenere un'ulteriore scarica di elettricità.

«Cazzo, tigre, non guardarmi in quel modo.»

Inarco un sopracciglio con aria di sfida.

«Oppure?»

Ghigna lievemente e si avvicina di un passo a me, inebriandomi del suo profumo di Versace Eros e di sesso.

Un mix che mi manda fuori di testa.

«Oppure non sarai in grado di uscire da questo locale su quelle belle gambe che hai.»

Detto ciò, mi accarezza il labbro inferiore con il pollice, mi lancia un'ultima occhiata e se ne va. Mi lascia sola, in una cabina adesso fin troppo larga a causa della sua assenza, con ancora l'intimità dolente e ogni nervo che pulsa all'impazzata.





💖SPAZIO AUTRICE💖

Eccomi con un altro aggiornamento! Lasciatemi dirvi che i capitoli spicy saranno ben presenti in questa storia, molto di più che in quella di Charlotte e Jason, poiché si tratta di un One bed, perciò man mano i capitoli diventeranno sempre più dettagliati e... espliciti. E ovviamente se non vi piace leggere certe scene, io metto sempre l'avvertimento a inizio capitolo.

Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, se così e se vi va lasciate una stellina🌟

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