𝑾𝒀𝑺𝑻𝑬𝑹𝑰𝑨

By bluelliestories

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Prologo - Road to Avalon
Cast/Disclaimer
Benvenuti a Wysteria Wood
2. Your beauty never ever scared me
3. You will be my world
4. If I am so special, why am I a secret?
5. When I wake up, I'm afraid
6. Are we too young for this?
7. Just a little bit colder
8. Don't know who's in the mirror
9. A haunting face, is she a lost embrace?
10. Does he know you call me when he sleeps?
11. Are we fucking doomed?
12. War of hearts
13. Left my innocence on your mouth
14. The hunt has just begun
15. It's all fun and games 'till somebody falls in love
16. Drunk calls, drunk texts, drunk tears, drunk sex
17. This is addictive
18. Love can burn like a cigarette
19. God loves to watch her angel's sin
20. So you wanna play with magic?
21. I just come back more obsessed with you
22. I just wanna be one of your girls tonight
23. Don't take me to Heaven
24. My Lucifer is lonely
25. Blood moon painting red in the sky
26. Love is pure insanity
27. Spit in my face, my love
28. Sleepwalker
29. I miss the sex, the way you kiss
30. She my cold blooded bitch
31. Nobody knows how to punish me, like me
32. Call me babydoll
33. Sweet dreams are made of this
34. Love into a weapon
35. The deep end is where I live
36. I'm the one, can you feel it?
37. Your blood, my blood, we bleed it
38. 'Til the end of time

1. We'll go back to strangers

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By bluelliestories





Settembre.
Il primo gennaio.
Il primo giorno di ogni mese.
Il lunedì.
I solstizi e gli equinozi.
Abbiamo continuamente bisogno
di nuovi inizi.









🌓🌕🌗










Dicono che tre sia il numero perfetto.
Dicono.

Tre stati della materia, tre gli elementi del fuoco, tre colori primari, tre dimensioni dello spazio.
La sintesi del pari, due, e del dispari, uno.

Gli sono state attribuite proprietà magiche in tutte le civiltà e in tutte le epoche, e anche io ero stata convinta fermamente del fatto che quel numero fosse la quintessenza della mia esistenza.

Capiamoci: ho sempre detestato la matematica, figuriamoci ritrovarmi a parlare dei simboli attribuiti ad essa dai pitagorici o dalla Bibbia.

Ma io da quel numero mi sentivo definita come se fosse una parte ancestrale di me, suggestionata come se su di me aleggiasse un miracolo, come se con le sue forme arrotondate il numero tre potesse accompagnare le mie, per anni rimaste spigolose e poco femminili. Quelle che con il passare del tempo erano sbocciate, morbide, sotto una camicia da notte di lino dello stesso colore della mia pelle.

Tre, come eravamo noi.
Che di perfetto non avevamo assolutamente nulla: eravamo del tutto sbagliati e pieni di sogni, troppi, perché c'è sempre quel momento in cui il sogno si accartoccia su se stesso e tu ti ritrovi a pregare di riuscirti a svegliare, e noi eravamo esattamente in quel punto preciso.
Quando tutto sta per precipitare.

Avete mai desiderato di svegliarvi e di essere un'altra persona?
La mia pelle aveva il colore rosato della pesca matura, e non vi era nulla di magico in questo: era la tonalità un po' stinta del petalo appassito, e dal mio polso quasi trasparente si intravedevano le venature verdi e bluastre come piccoli ramoscelli secchi increspati dall'autunno.

Raccoglievo spesso i miei lunghi capelli rossi in trecce ordinate, sognando di tingerli di nero corvino, ben sapendo che avrei offeso generazioni di scozzesi che mi scorrevano nel sangue.
Tendevo a nascondere con il trucco il firmamento di lentiggini di cui il mio corpo era interamente ricoperto, perché per quel particolare mi erano stati affibbiati fin troppi soprannomi.

Dicevano che i miei occhi erano viola del colore del quarzo ametista, ma penso che fosse solamente il riflesso del glicine che era rimasto a fluttuare in fondo al mio sguardo.

La mia casa era un'antica tenuta settecentesca di nome Wysteria Wood, circondata in lontananza da un fitto bosco di larici a perdita d'occhio, mentre nel giardino fiorivano bacche di biancospino e querce sempreverdi che tappezzavano il terreno di uno strato di foglie secche.

Wysteria Wood e i boschi che fiancheggiavano le sue mura confinandola in un luogo senza tempo, erano tutto quello che io conoscevo.
Tutto il mio mondo, che si spingeva fino allo stagno artificiale e tornava indietro fino alle fontane ricoperte di muschio e edera nel giardino.

Avevo passato la mia infanzia a esplorare ogni anfratto di quella tenuta, dove i grappoli color pervinca della pianta rampicante del glicine crescevano solo in estate e ricoprivano i tralicci in pietra antica, adornandone il grigiore dei mattoni.
Era il mio passatempo preferito, che svolgevo sotto lo sguardo vigile di due paia d'occhi che mi tenevano sotto controllo.

Due paia di occhi verdi come le gemme che spuntano in primavera dai rami scarni dell'inverno, la tinta di chi suggella una promessa silenziosa.
Quelli dei miei due fratelli.

Gremory e Draven erano interdipendenti.
Gemelli omozigoti, avevano condiviso lo stesso sacco amniotico e avevano radici l'uno nell'altro, la stessa origine come una biforcazione dello stesso ramo, ed ero quasi certa che non potessero vivere l'uno senza l'altro.

Io non assomigliavo affatto a loro: io ero nata da sola, in un luogo lontano, ed ero figlia di nessuno.

Loro avevano avuto occasione di viaggiare, io ero finita sepolta nella mia casa come se fosse l'unica dimensione che potessi meritare.
La loro bellezza eroica e sfacciata li aveva resi popolari, tale da aver ereditato la dirigenza dell'esclusiva club universitario di cui nostro padre era stato fondatore.

Vivevamo in un luogo fuori dal tempo, ma sapevo che loro da questo mondo avrebbero sempre ottenuto tutto ciò che volevano.
I loro boccoli castani erano un dono di un qualche dio particolarmente benevolente, i loro occhi pozzi profondi su una miniera di malachite brillante.

Avevano quell'aria improbabile di due cavalieri romantici che galoppano sulla scogliera al limitare del tramonto, mentre sotto rumoreggia il mare in tempesta, oppure ero io che avevo troppa fantasia o che li amavo troppo, l'uno più dell'altro, guardandoli con ammirazione fin da quando ero piccola.

Eppure a un certo punto qualcosa tra noi si era incrinato.
Il globo di neve era esploso e aveva liberato nell'aria quel suo stesso gelo in tutta Wysteria Wood.
E adesso il vetro crepato continuava a scricchiolare come l'immensa scalinata principale che curvava attorno all'ingresso appena sotto la mia camera da letto.

In realtà, a ben pensarci non era l'unica cosa a scricchiolare in quel momento.

E mentre ero in dormiveglia rotolandomi tra le coperte increspate avvertii distintamente qualcosa, un rumore di sottofondo.. una finestra aperta durante il temporale.
Ero accaldata, i miei sogni di fuga mi agitavano e mi eccitavano al tempo stesso, eppure..
Sollevai la schiena contro la testiera accorgendomi di avere la fronte umida.
Erano le sei del mattino e quel rumore era troppo cadenzato per essere un normale crepitio del legno al passaggio di qualcuno che stava usando le scale.

Diedi un'occhiata alla finestra: il sole dell'alba creava un vortice di nebbia quasi magico, ma al clima di Glastonbury, dove vivevo, era difficile chiedere di più.

Aguzzai le orecchie mentre mi svegliavo: dei lamenti in lontananza mi carezzarono l'udito fino a farmi scendere un brivido lungo la schiena. Qualcuno stava soffrendo, e la cosa mi intorpidì le estremità come se quasi mi facesse piacere.
Anzi, guaiva come un cane bastonato, perché quel sottile piagnisteo si acuiva col passare dei secondi, intervallato da lunghi momenti di silenzio.

Ci misi qualche minuto per alzarmi dal letto. Scesi le scale senza preoccuparmi di non fare rumore, con i piedi scalzi, le gambe nude e una felpa che mi copriva dal fresco pungente della mattina autunnale.
Il profumo di corteccia umida che proveniva dalle finestre aperte mi colmò i polmoni.

Il tempo di afferrare una tazza di caffè fumante sul tavolo da pranzo, e poi mi affacciai in cucina per controllare che tutto andasse bene, perché quel lamento sommesso proveniva da lì.

Sentii il volto avvamparmi in un istante, le ginocchia quasi crollarono sotto il peso di quello schiacciante senso di imbarazzo.

Sulla soglia della portafinestra intravidi il volto di una ragazza a faccia schiacciata contro il muro, gonna arricciata in vita, lo sguardo provato, un profilo mascolino dietro di lei e due mani aggrappate ai suoi fianchi.
Una nuvola di capelli biondi e arruffati le copriva a malapena il viso e le labbra schiuse, gonfie e arrossate.

Qualcosa mi bruciò le viscere al di sotto dell'ombelico, l'imbarazzo mi avvampò afferrandomi da dentro l'esofago.
Conoscevo benissimo entrambi.

Lui con le braghe calate, le spinte annoiate e ritmiche del suo bacino in perfetta sincronia.
Lei, completamente rapita, quasi posseduta.
Mi scoprii ad osservare per qualche istante di troppo, mi autocondannai, ma non riuscii a staccare gli occhi da quell'immagine.
Sgranai gli occhi rilassando i muscoli della mano, il caffè mi cadde a terra e la tazza si frantumò in mille pezzi.

Beccata.
«Cazzo.. Avalon!»

Lo sguardo del ragazzo dietro di lei, seminascosto dalla folta chioma della ragazza mi trapassò da parte e parte come una lama di coltello ben affilata.
Era lui..
Draven Wingrave, mascella squadrata e contratta come se volesse affondarmi i denti nella carne e scuoiarmi a pelle viva, mi guardava come per decidere da quale parte iniziare a sbranarmi.

«Levati di mezzo, porca puttana.»

Lo aveva detto a me, oppure a lei?
Io e la ragazza ci guardammo negli occhi per un istante che bastò a riconoscerci.
Sgranai i miei sbattendo le palpebre: si chiamava Coraline o qualcosa del genere ed era una delle cameriere di Wysteria Wood, arrivata da poco più di una settimana.
Non appena si accorse di me si divincolò rapidamente fuggendo fuori di casa, io feci lo stesso scappando verso l'ingresso e schiantai le spalle alla parete a recuperare il respiro.

L'espressione di dolore di Coraline mi sarebbe rimasta per un po' incisa in testa.
Era una di quelle ragazze che Draven faceva assumere a sua madre: lui aveva un potere illimitato su Cordelia Wingrave, su tutta la nostra residenza, e di conseguenza su di me.

Non so dove le trovasse, ma credo che le conoscesse nei suoi continui viaggi a Londra.
Loro pendevano letteralmente dalle sue labbra, come se osservassero il Re Sole ogni volta che passava senza degnarle di uno sguardo.
E io che pensavo che fosse perché gli trovava un lavoro a servizio ben remunerato.

Stupida ingenua.

Ero rimasta impalata a guardarli come se fossi stata trasformata in una statua di sale, cercai di recuperare il respiro ma improvvisamente il mio petto sembrava stritolato in una morsa di ferro.
Lui riapparve alle mie spalle passandomi al fianco per prendere le scale, scoprendo il mio nascondiglio e facendomi trasalire.

«Cristo santo, Draven! Sei proprio uno stronzo!»

«E tu dovresti farti gli affari tuoi.»

La verità è che col passare degli anni avevo dovuto imparare a convivere con l'idea di avere due fratelli estremamente attraenti, al punto che la loro bellezza seppur doppia, per uno scherzo della natura restava unica nella sua meraviglia. 
Quello che non avevo ancora accettato era l'idea delle altre donne che giravano per casa.

«Ti stai davvero lamentando? Tu?»
«In questa casa non esiste privacy, cazzo.»

Mugugnò mentre cercavo di dirigere lo sguardo lontano da lui, che mi rapiva l'attenzione come se potesse strapparmela via dal petto. Era spettinato, con i capelli umidi lungo il viso e un asciugamano attorno al collo.

«È un maniero con dieci stanze e tu ficchi il naso in ognuna di queste. L'altro giorno hai letto i miei appunti di internazionale. Ci ho sentito sopra il tuo profumo.»
La mascella guizzava ferina sotto un paio di occhi scintillanti, la vena gonfia del collo pulsava come a scandire i secondi che mancavano alla mia fine.

«Quella non è la tua camera. È una cucina!»

«Cosa cambia? Sei sempre in giro a ficcanasare dappertutto.»

Io volevo solamente un porridge d'avena e latte di mandorle e mi ero trovata ad assistere alle sue prestazioni mattutine.
Ma ora lo stomaco si era serrato di botto e io mi trovavo a rimuginare su una sensazione indecifrabile.
Mi sentivo.. strana.
Gli occhi che scattavano in preda a un impaccio isterico, la pelle gelida che però emanava calore.

«Prima o poi ne metti incinta qualcuna.»
Gremory comparve sul ciglio della porta che dava sul salone mentre addentava una mela ben lucidata, e la sua presenza mi sollevò non poco.

Sembrava un personaggio delle fiabe, un poeta maledetto con la sua sensibilità indecifrabile, con quella camicia in seta e il foulard sottile, il cipiglio di quel lontano male di vivere che gli ingrigiva il verde degli occhi come una nebbia lontana.

«Sempre che non l'abbia già fatto.» Aggiunsi io.

«Mamma non ne sarebbe felice. Lo sai che ha già problemi con la bottiglia.»

«Non sarò certo l'unico Wingrave a non avere dei figli illegittimi.»
Gremory sollevò gli occhi al cielo.

Avevano quel british attitude, tutti e due, così dannatamente impostati eppure bastava che il cerino prendesse fuoco per farli divampare come i personaggi oscuri che erano entrambi, in maniere opposte e divergenti.

Gli inglesi erano freddi e glaciali come un blocco di neve, io avevo origini scozzesi: se ne avessi avuto la possibilità sarei stata chiassosa e socievole, amavo la natura, la birra e il profumo dell'erica.
E gli unicorni.
In pochi sanno che gli unicorni sono l'animale ufficiale della Scozia.
Io possedevo un'intera collezione di unicorni.

«Io non ti accompagno oggi. Veditela da sola.»
Draven mi ripassò accanto puntandomi il dito contro con aria minacciosa e mi superò con una leggera spallata, tuonando la sua punizione per essermi impicciata dei suoi affari.
Erano i miei fratelli, eppure per uno dei due sarei potuta morire che avrebbe probabilmente tenuto una festa per la mia dipartita.

«La accompagno io.»

«Tu vieni con me, Grey.» Decretò in risposta, mentre io allargavo le braccia scostandole dalla felpa oversize sotto la quale indossavo solo gli shorts del pigiama.

«Non ho la macchina. Non posso certo andare a piedi, con questo tempo.»

La mia famiglia era multimiliardaria, un'antichissima stirpe di proprietari terrieri votata al rispetto della legge da secoli, ma io non avevo accesso ai loro fondi nemmeno per comprare una stupida macchina usata.

A volte mi chiedevo perché fossi ancora lì, ma poi guardavo Gremory e mi ricordavo di quanto potesse esserci del buono anche nelle peggiori famiglie.  

«Ti ho già detto come la penso su questa storia. Sono totalmente contrario all'idea.»
Draven mi ringhiò contro, io indietreggiai di un passo e mi ritrovai ancora spalle al muro.
Ancora la stessa storia.

«Perchè vorresti che rimanessi qui a cucinare e a stirare le camicie per voi?»
Tirai fuori il petto contro quello di lui, Draven scansò lo sguardo e lo diresse altrove. «Visto che le cameriere sono impegnate in altro.»

«Non hai mai stirato nemmeno un paio di mutande, Ava.» Gremory incrociò le braccia sotto al petto, stizzito all'idea che li stessi descrivendo come due carcerieri.

«Non potresti fare i vlog di make-up come tutte le ragazzine della tua età?»

Io non ero più una ragazzina da un pezzo, e volevo fare il procuratore.
Draven l'aveva presa come un personale insulto alla sua persona, dal momento che saremmo stati rivali sul campo come cane e gatto.
Lui sarebbe diventato presto un avvocato e io non avrei potuto certo ritrovarmi dalla parte opposta della sua barricata.
Quella dell'accusa.

«Non sono una ragazzina. Ho vent'anni. Ho passato un anno reclusa qui dentro a guardarvi andare avanti con le vostre vite, a fare tutto quello che volevate e molto più di quanto vi fosse permesso. Voglio andare al college.»

Draven conosceva la mia solitudine, e non faceva nulla per aiutarmi a uscirne. Anzi, a volte mi sembrava che se ne nutrisse come se la mia infelicità fosse la sua energia.

Indossava una maglietta leggera ed era appena tornato da una corsa mattutina in mezzo al bosco e sembrava quasi che si fosse scaricato, soprattutto grazie alla sua attività cardio, ma sapevo che il peggio della giornata doveva ancora arrivare.

Lui andava a correre ogni mattina.
Aveva appeso ad un leccio un saccone da boxe, si allenava con un percorso costruito negli anni da lui.
Nuotava nel fiume gelido ai margini del bosco incurante del fatto che potesse morire da un momento all'altro.
Cavalcava per ore, spariva per giornate intere e rispuntava dopo il tramonto quando speravi a quel punto che avesse finalmente deciso di non tornare più.
Era detestabile.

La sua personalità era un vulcano in ebollizione, in procinto di esplodere in qualsiasi momento.

«Il Triple Crown non è un semplice college, sorellina.»
L'ultima parola stridette tra i suoi denti stretti come unghie sulla lavagna.
Esistevano tante università nel Regno Unito, tanti college, innumerevoli scuole.
Ma solo uno era la scuola di legge centenaria per eccellenza, che combatteva per restare al primo posto nelle classifiche assieme ad Oxford.

«È un ospedale psichiatrico dove le camicie di forza sono i tuoi stessi sogni.»

Piazzò le mani sui suoi fianchi, tremai alla sua vicinanza, i miei denti batterono e il mio stomaco si tuffò nel vuoto cosmico delle sue pupille.
Avrei voluto arpionargli le unghie nel collo per aggrapparmi a lui.
«Ti tolgono tutto, se vuoi realizzarli.»

«Non puoi togliere tutto a chi non possiede niente.»

Li azzittii entrambi, Draven vicino, quasi aderente a me, Gremory sullo sfondo.
Mi rendo conto che fosse una frase a effetto, eppure loro sapevano quanto fosse vera.
Avevo soldi a palate, ma non potevo accedervi. Una casa enorme, che era la mia prigione.

Avevo una famiglia che non era la mia vera famiglia: ciò mi veniva ricordato costantemente dal modo che avevano di farmi sentire diversa, dal primo giorno in cui ero stata adottata, sebbene da tutta la vita mi sfuggisse il motivo per cui l'avessero fatto.
Una bambina di nome Avalon è arrivata a Glastonbury al volgere dell'autunno..

Persino il mio corpo, a volte mi sembrava che non fosse del tutto mio.
«E qualsiasi cosa sarà meglio che restare a marcire qui dentro.»

«Qualsiasi cosa? Ne sei proprio sicura?»

Feci fatica ad annuire, il mondo mi faceva paura.
Il profumo del burro e del pane cotto nel forno a legna mi invase le narici, le gocce di pioggia cominciarono a tamburellare sui vetri delle finestre.
Avevo vent'anni e non avevo prospettive di vita, ero bloccata lì, a Wysteria Wood, dove il tempo e lo spazio si erano fermati con Cordelia che passava le giornate a ricevere ospiti e ad alcolizzarsi e alla servitù che chiacchierava su ogni nostro movimento.

Draven si addolcì leggermente leccando il labbro superiore. La sua pelle aveva le fattezze del marmo italiano, gli occhi incorniciati da una corolla di ciglia scure, su un naso dalle proporzioni perfette e un paio di labbra che schiuse o serrate avrebbero fatto arrossire qualsiasi persona sulla faccia della terra.
Tranne me.

«Tu lo sai perché non voglio. Dovresti stare più attenta, Avalon.»

Sapevo a cosa si riferisse, ma io non avrei lasciato vincere quella forza oscura che mi trascinava lontana dalla coscienza quando non ero in grado di gestire le mie emozioni.
«Sono abbastanza grande da decidere da sola.»

Gremory si avvicinò a lui, fronteggiandolo dalla stessa identica altezza, sussurrando tra i suoi capelli. E in quel momento, noi tre eravamo davvero molto vicini.

«Lei frequenterà il Triple Crown, Draven. Che ti piaccia o no.»
Quella frase era una sfida neanche troppo celata, ma i gemelli erano sempre dalla stessa parte, anche quando sembravano in disaccordo su qualcosa.
«Non ho intenzione di guardarla finire a fare da moglie trofeo per uno stronzo qualsiasi come se fossimo negli anni Cinquanta. Avalon è troppo intelligente.»

«Pensi che io possa permettere che faccia una fine del genere? Che possa finire con un uomo qualunque?»
Draven si picchiettò la tempia e ci guardò come scarti di manicomio.
«Siete tutti fuori di testa qui dentro.»

«Allora che cosa vorresti? Che cosa vuoi da me?»
Mi scarnificò con uno sguardo al vetriolo, lo sentii punzecchiarmi la pelle come a infettarmela.
«Da te non voglio niente. Cosa voglio per te, allora è un altro discorso.»

La linea che separava la mania di controllo di Draven dalla sua sete sconfinata di potere era impalpabile quanto quella dell'orizzonte.
Lui era il capofamiglia e non tollerava discussioni.

«Non mi frega nulla di quello che vuoi per me.»
Ribattei, lui mi trattenne per una spalla e mi sussurrò le sue intenzioni.
«Hai fatto la tua scelta, Avalon. Ti renderò la vita impossibile», dichiarò per poi voltarsi e allontanarsi da noi.

Sapevo a cosa si riferisse, me lo aveva detto un migliaio di volte.
Voleva che vivessi da reclusa, che sparissi dalla sua vita o che mi facessi vedere il meno possibile. Voleva che il più grosso problema della sua famiglia scomparisse dal nulla, che nessuno parlasse più di lei: doveva essere eliminata così come era apparsa molti anni prima.
Scomparve anche lui come un'ombra ingombrante, risucchiata dal suo stesso buio.

«Lo hai beccato a scoparsi la cameriera nuova? È per questo che è così irascibile?»

Dovrei essere io quella irascibile.
Gremory aveva parlato con tutta la nonchalance di questo mondo, io annuii osservando la tavola apparecchiata, e un groppo in gola mi stritolò le corde vocali.
«Se non avesse voluto farsi beccare avrebbe potuto evitare la cucina.»

«Fa sempre così. Lo sai com'è fatto. Non ha il minimo gusto, si scopa tutto quello che si muove.»

Quello che mi faceva rabbia non era il fatto che Draven avesse una quantità di donne a disposizione da set di un film a luci rosse, o in fatto che Gremory ne avesse altrettante, nonostante fosse sempre più discreto con le sue continue e indefesse conquiste, e neanche il fatto che si vociferava che dentro casa nostra ci fossero persino delle gabbie per donne e che noi fossimo un covo di pervertiti.
Quello che detestavo è che io non avessi alcuna libertà, e che tutti mi trattassero come se non potessi averne.

Draven mi ignorava, fin quando non si trattava di tenermi lontana dalla vita.
Dalla sua e dalla mia.
Eravamo stati legati in passato, ma da molti anni a questa parte lui mi guardava come se fossi un ospite poco gradito.

Osservai Gremory leccare con la punta della lingua il lato superiore di una cartina, e sorridermi affabilmente con lo sguardo sollevato al di sotto delle ciglia.
Era la fotocopia esatta di suo fratello maggiore e sarebbe stato indistinguibile se non avesse avuto i capelli corti, perché era nato appena dieci minuti dopo di lui, e certe volte mi faceva quasi impressione perché se fosse stato per l'aspetto la gente avrebbe fatto fatica a riconoscerli.

Stessi zigomi alti, occhi penetranti, pagliuzze d'oro nel verde prato, onde morbide color cioccolato attorno al viso, la pelle lattea quasi trasparente arrossata dal vento.
I corpi massicci e ben strutturati, la linea delle spalle imperiosa e la vita stretta, fasciata dalla cinta che stringeva i pantaloni dell'abito.

Erano identici, nessuno avrebbe mai potuto distinguerli se non fosse che Draven aveva il corpo letteralmente ricoperto di tatuaggi, tutti al di sotto della camicia e dei pantaloni per evitare che potessero essere visti quando indossava il completo. Ne aveva a centinaia, mentre Gremory era una tela immacolata.

Io però li avrei distinti dallo sguardo, dal modo di usare le parole nonostante anche la voce fosse molto simile.
Il timbro però era profondamente diverso, il tono roco e oscuro graffiato di buio di Draven non aveva niente a che fare con quello dolcemente accondiscendente di Gremory. 

Gremory era equilibrato, aveva un senso della giustizia che ardeva in lui al punto da spingerlo a voler diventare un giudice, possedeva un innato senso di responsabilità che a volte sfiorava l'eccesso.
Draven era un ribelle e detestava le imposizioni.

«Non mi interessa chi o cosa si scopa. Vorrei sapere perché fa così con me.»

«Lo sai come è fatto. Lo fa con tutti.»
«Non è vero, Grey, lo sai benissimo. Solo me guarda con quegli occhi. Mi fa venire i brividi.»

«Non ti farebbe mai del male.»
Dopo averlo pronunciato ad alta voce con severa serietà, il suo sguardo mutò da un'ostentata sicurezza a un dubbio che velava i suoi occhi. «Almeno credo.»

Grey era fisico.
Draven era gelido e detestava il contatto, persino quella cameriera l'aveva toccata a malapena e solo per assicurarsi che restasse ferma.

Il più piccolo dei due affondò le dita dietro le mie orecchie, sollevandomi di poco i capelli a palmi aperti, e fece scontrare la mia fronte contro la sua.
«Qualsiasi cosa accada, io non permetterò che ti facciano nulla di male.»

Era sempre stato così.
Gremory aveva pepite negli occhi.
Draven aveva dardi d'acciaio.

E io non avrei mai visto nulla di più prodigioso di loro due insieme.







Sorpresa: ci vediamo al secondo capitolo, stasera.
Chi mi segue da un po', sa che amo i doppi aggiornamenti.
A brevissimo 💜

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