Painful melody

Oleh Sofiacuofano

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ATTENZIONE: SONO PRESENTI SCENE DI SESSO ESPLICITO E DI VIOLENZA!!! Lei è nata nell'agio della famiglia più p... Lebih Banyak

PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
CAPITOLO 42
CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 45
CAPITOLO 46
CAPITOLI 47
CAPITOLO 48

CAPITOLO 39

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Oleh Sofiacuofano


MIHAI

Oggi...

Sentivo ancora addosso il suo profumo, sui vestiti, sulla pelle, su quei tagli coperti dalla garza che per fortuna non si era sfilata durante ciò che avevamo fatto che per me aveva significato tutto, mentre per lei doveva esser stata soltanto l'ennesima scopata fatta con un uomo leggermente diverso da quelli che aveva avuto in dodici anni di mia assenza.

Mi stava esplodendo il petto, desideravo di distruggere tutto a partire da me stesso e mi odiavo perchè una persona sana di mente avrebbe percepito il bisogno di distruggere lei, la causa di quel mio continuo e interminabile tormento. Ma la verità era che non l'avrei più toccata per farle male, ero già arrivato a quel punto e mi pentivo di aver anche solo toccato quel corpo armato di cattive intenzioni. La verità era che quella donna mi avrebbe anche potuto sparare un proiettile al centro del petto, e io avrei continuato a vedere in lei la ragazzina di sedici anni che mi aveva fatto perdere la testa.

Perchè? Mi chiedevo urlando, ma solo tra i miei pensieri.

Perchè amavo? Cosa c'era di bello in tutto quel dolore che mi teneva ancorato a lei?

La guardavo inerme, in piedi su quella terrazza chiedendomi come facessi ad amare quel mostro, come potessi adorare il suo buio, la sua oscurità. La risposta la conoscevo bene però, fin troppo bene.

Era proprio nell'oscurità che si celava la luce delle stelle, e in lei, o meglio in ciò che era stata la mia Reginetta, avevo visto una luce che mi aveva scaldato il petto. Senza quel calore sentivo freddo, gelavo.

Strinsi il pugno che attendeva l'imminente impatto contro qualsiasi superficie, la pelle mi pizzicava in attesa che la tagliassi per sfogare quella sofferenza, per dar voce al mio dolore.

Avrei dovuto urlarle addosso che era la vergogna della vita, l'essere più spregevole che conoscessi, eppure di fronte a quella donna, così dannatamente bella, intelligente e impenetrabile, vidi di nuovo la mia Piccola peste.

Riuscendo a mormorare soltanto delle semplici parole che ero certo, che non l'avrebbero neppure sfiorata.

<<Non provo che odio per te.>> Bugiardo, mi redarguì la coscienza. Il mio fu un profondo e sottile sussurro che però la raggiunse ugualmente. Quella chioma scura si scostò leggermente su quelle spalle magre e il suo volto si girò appena di lato. Con la coda dell'occhio mi guardava, senza concedermi neanche un altro secondo di fronte a quelle pietre blu. <<Non sprecare parole al vento, sai che non è così Kovacs.>> Ribattè atona riportando gli occhi al cielo. <<Ma se ti aiuterà a farti andare bene questa situazione allora ben venga, fingi di odiarmi.>> Si voltò e i miei occhi ricaddero sulle sue mani, lì dove vidi che si stava infilando nuovamente quel dannato anello e la fede. Allontanandosi di nuovo da me. Non riuscivo a sopportare la presenza di quei due anelli che in quel momento mi parvero delle vere e proprie catene.

<<Ora che farai? Tornerai a casa da lui fingendo che questo non sia mai accaduto?>> Feci dei passi avvicinandomi a lei che sembrava comunque distante.

<<No, sa che mi diverto anche con altri uomini quando si tratta del sesso.>> La sua noncuranza mi innervosì.

<<Ma io non sono uno dei tanti Kei, lo sai, lo hai detto tu stessa.>> Il mio tono si fece più affilato, tagliente, per combatterla dovevo arrivare ad essere all'altezza della mia avversaria e così avrei fatto.

<<Come credi che la prenderà il tuo adorato maritino cornuto quando verrà a sapere che a toccarti questa volta sono stato io? Che sei venuta grazie a me? Che ti sei lasciata baciare da me?>> Più mi avvicinavo più sembrava irritarsi, ma non si spostò, mi attese composta e diritta con lo sguardo assottigliato a due fessure ricolme di astio.

<<Non mi interessa come la prenderà, sono libera di fare ciò che voglio.>> Affermò con convinzione e fui certo che avesse ragione, si era presa la sua libertà in quegli anni, inconsapevole di non averla mai avuta veramente. Portava al dito le catene che la ancoravano a quella famiglia abominevole.

<<Allora è una fortuna che non hai sposato me, perchè se solo fossi venuto a conoscenza che ti eri lasciata toccare da un altro uomo lo avrei ammazzato.>> Un solo passo e fummo talmente vicini che riuscivo a percepire il suo respiro irregolare contro al viso. <<Non stento a crederti.>> Al contrario del suo respiro, la sua voce rimaneva immutata, completamente indifferente, ma ero certo che non le ero più tanto indifferente.

<<Anche al tempo eri un tipo geloso, Cornelius non lo è.>> Ricordò superba.

<<Si è gelosi quando si ama così ardentemente da aver il timore di perdere qualcuno.>> Avazaii ancora e a quel punto fu costretta ad indietreggiare, ma quando fece un passo indietro si ritrovò con la schiena premuta contro alla ringhiera di quella terrazza, con le mie mani poggiate su di essa, ai lati del suo corpo.

<<Lui non lo è probabilmente perchè già sa di averti persa.>> Il bagliore che vidi in quegli zaffiri confermò il mio parlato. <<Impossibile, non puoi perdere ciò che non possiedi e nessun uomo mi possiede, neanche mio marito.>>La sua sicurezza era snervante ma alcun tempo mi incentivava a continuare.

<<Eppure ricordo ancora quanto ti eccitavi quando ti ricordavo che eri mia.>> Avvicinai le labbra al suo orecchio.

<<Solo mia.>> Sibilai.

<<Smettila.>> Ordinò.

<<Lo farò quando ammetterai di avermi amato.>> Riportai il viso di fronte al suo per osservare quegli occhi bugiardi, nascondere la verità.

<<Vuoi che io ti illuda ancora?>> Quella vicinanza mi faceva risentire i brividi che avevo percepito risentendo ciò che si provava a stare tra le sue gambe, dentro di lei, avvolto nel suo calore.

<<Voglio che tu smetta di illudere te stessa.>> Mentendo continuamente di non avermi amato, non faceva che mentire anche alla ragazzina che era in passato, oltre che a me.

<<Io non ti ho mai amato.>> Ribadì ad un soffio dalle mie labbra con la convinzione di una serpe.

<<Menti.>>

<<Non si usa chi si ama.>> Ribattè ancora. <<E se firmi quel contratto io ti userò a mio piacere, quando e come vorrò, quindi ti conviene accettare questa verità prima che ti faccia troppo male.>> Su quelle labbra che erano già tornate a posto, con il rossetto di nuovo perfettamente sistemato, si spinse un sorriso che fece vibrare la rabbia in corpo.

Mi allontanai da lei punto dal suo veleno percependo la rabbia scorrermi nelle vene. Mi ero sbagliato, nulla di ciò che vi era in lei era ancora salvabile. Niente, era completamente prosciugata, svuotata da ogni briciolo di umanità che era stato consegnato all'essere umano alla propria nascita. Non era più viva.

Le voltai le spalle e con passo deciso presi a marciare verso l'ascensore, presi frettolosamente la giacca dal tavolo e mi diressi verso l'uscita da quella gabbia a cielo aperto. Mi sentivo soffocare, persino con il vento che volteggiava intorno a noi.

<<Mihai.>> La sua voce mi richiamò con la capacità di fermare i miei passi, fu in grado di arrestare il mio camminare con il solo pronunciare il mio nome, fu incredibile, non riuscivo a credere ad una tale risposta da parte del mio corpo al solo suono della sua voce.

Il rintoccare dei suoi tacchi riempì il silenzio che seguì quel suo richiamo civettuolo, erano lenti e piano piano si facevano sempre più vicini finchè non riuscii a percepire la sua mano vellutata, adornata da anelli e brillanti, mi tocco la spalla con delicatezza.

<<Te la stavi dimenticando.>>

Il mio sguardo si abbassò sulla sua mano che si sporse in avanti, per passarmi quella dannata busta contenente il suo contratto, il patto con il diavolo che avrei dovuto firmare, ma prima mi stava dando persino modo di leggerlo e studiarlo accuratamente.

E lo avrei fatto, per vincerla dovevo studiare un modo per rigirare le sue clausole a mio favore.

Glielo strappai di mano con un gesto becero e entrai nell'ascensore, le cui porte si richiusero subito dopo alle mie spalle, allontanandomi da lei, per quanto non mi sarei sentito lontano da lei neanche se avessi cambiato pianeta. Il mondo intero le apparteneva, era snervante.

Soprattutto dopo l'ultima geniale idea che aveva messo in atto, lavorare per suo padre, era fuori di testa.

Raggiunsi la macchina di mio fratello parcheggiata sul ciglio della strada e vi salii, percependo l'ira ribollirmi nelle vene, bruciarmi sulla pelle, corrodermi le ossa. Era così forte da far male.

Guidai a tutta velocità verso casa, ingranando la marcia e schiacciando sull'acceleratore. Ero stato debole, le avevo concesso troppo sperando che lei facesse lo stesso ma non commettevo mai lo stesso errore due volte, non le avrei mai più detto un semplice "ti amo" che di semplice non aveva niente.

Avevo fatto un passo falso.

Mostrarmi vulnerabile a lei era come porgere l'anima al diavolo sperando che non la dannasse.

Lo sguardo per un secondo, durante il tragitto, mi cadde sulla busta che avevo gettato sul sedile a fianco a quello dove ero seduto. Mi aveva trattato come uno dei suoi tanti uomini, la storia di essere stato il primo non era stata che una scusa per addolcirmi, convincermi a lasciarmi andare. Sapeva bene come manipolare le menti.

Ma l'avrei fatta soffrire, le avrei mostrato cosa significava prendersi gioco di me, soprattutto dopo ciò che aveva fatto. Voleva la guerra e io non potevo di certo tirarmi indietro, avrei dovuto affilare le spade e prepararmi al peggio.

Raggiunsi la mia casa, la mia vecchia casa o forse semplicemente un'abitazione che non sentivo più mia, tutto il vuoto che aleggiava lì dentro era peggio di una coltellata al petto. Dopo quella sera il desiderio di andarmene di nuovo da Los Angeles si fece più impellente, ma dovevo resistere, non potevo scappare. Io non scappavo.

Parcheggiai la macchina sul vialetto e scesi, ma prima infilai la busta nella tasca interna della giacca, non volevo domande. Probabilmente a quell'ora tarda dormivano già tutti, quindi nessuno mi avrebbe visto, ma non volevo rischiare.
Dalle finestre non arrivava alcuna luce, e quando entrai ebbi la conferma di ciò che pensavo, dormivano tutti. Tra quelle quattro mura sopravviveva il silenzio più assoluto, ne fui appagato. Non avrei sprecato altro tempo a parlare, volevo spegnere la mente e dimenticarmi di quella serata al più presto possibile, conscio che non ci sarei riuscito.

Salii le scale per raggiungere camera mia, mi serviva una doccia e dei vestiti di ricambio, dovevo togliermi di dosso il suo profumo, che mi impregnava la pelle come una piaga fastidiosa. Era talmente buono da darmi alla testa, sapeva come farsi ricordare quella donna.

Aprii la porta e solo quando la vidi mi ricordai di dovermi muovere più silenziosamente. Paige dormiva nel mio letto, nella mia vecchia stanza dove avevo riposto anche la mia roba, se avessi fatto troppo rumore avrei rischiato di svegliarla. Dormiva così rilassata e avvolta tra le coperte del mio letto che mi sembrava ancora più piccola del solito. Piccola, innocente, docile. Lei si che avrebbe regalato ancora molto al mondo, quel poco di dolcezza che avrebbe tenuto l'oscurità lontana dal suo cuore.

Mi avviai verso il bagno e mi chiusi la porta alle spalle dopo aver acceso la luce così da non illuminare la stanza, non avevo voglia di parlare, non mi sentivo in vena di fare una conversazione e poi non volevo disturbarla mentre riposava. Aprii l'acqua nella doccia e lo scroscio riempì il piccolo bagno.

Mi sfilai dunque la giacca e la maglia, tolsi la garza dal braccio e rimasi per qualche istante ad osservare i segni che mi mi rovinavano i tatuaggi su quel punto della pelle, lì dove ci avevo fatto passare le lame di forbici e rasoi, punendomi a causa sua.

Avevamo fatto sesso, le sue mani mi avevano lambito, i suoi occhi mi avevano venerato e non si era neanche accorta della fasciatura che portavo sul braccio. Le era importato soltanto di avere ciò che voleva e in parte ringraziai il suo egoismo, non doveva sapere di quei tagli.

Mi sfilai anche i pantaloni insieme ai boxer e mi infilai nella doccia venendo accolto dal calore dell'acqua che mi si sciolse addosso, mi accarezzò la pelle, i muscoli tesi, il viso la cui fronte feci scontrare contro la parete di mattonelle di quel box. Gelida in contrasto con il bollente calore dell'acqua.

Che grande cazzata che avevo fatto.

La più grande.

Fare sesso con lei, desiderarla così tanto, avevo fatto il suo gioco quando mi ero imposto di affrontarla.

Eppure sentirla gridare il mio nome, gemere per me, vedere quel corpo contorcersi sotto il mio in preda al piacere, tutto quel ben di Dio mi aveva riportato indietro e non avevo più trovato la maniera per fermarmi.

Non vi era un modo, era come una droga.

Presi il bagnoschiuma e iniziai a sfregarmelo addosso rendendolo schiuma. Le mie mani accarezzarono la mia stessa pelle con una tale cattiveria che pensai di staccarmi le carni, mi strofinai con irruenza le braccia tatuate dove i tagli bruciarono al contatto con il sapone, passai su ogni parte del corpo sperando di lavare via la sensazione del suo corpo intrecciato al mio. Ma era come far dimenticare al mare il vento, un'impresa impossibile. All'arrivo di quest'ultimo le sue acque si sarebbero comunque risvegliate, lasciandosi trasportare dall'impeto di quella potenza.

Mi risciaquai e come volevasi dimostrare, fu come se non fosse cambiato nulla, paradossalmente sentivo ancora il suo profumo addosso, impresso nelle ossa.

Arreso uscii da quel box doccia e mi avvolsi un asciugamano intorno ai fianchi mentre con un altro mi asciugai il torace e me lo passai sulla testa asciugando i capelli rasati a cui ancora dovevo farci l'abitudine, era una sensazione strana non sentire i miei capelli lunghi.

Legarli era diventato una specie di tic, non avendoli mi stavo abituando a non farlo.

Spensi la luce e uscii dal bagno per raggiungere la cassettiera e prendere qualche indumento pulito, un pantalone della tuta e dei boxer sarebbero bastati.

Aprii il cassetto e ci frugai dentro afferrando i boxer puliti passando a cercare dei pantaloni comodi per andare a dormire e dimenticarmi di quella giornata.

<<Mihai, s-sei tornato.>> La sua voce addormentata alle mie spalle arrivò morbida e assonnata, l'avevo comunque svegliata o forse si era addormentata mentre mi aspettava, in ogni caso non cambiava molto visto che ormai era sveglia.

Mi chinai leggermente per infilarmi i boxer facendoli passare sotto l'asciugamano, non mi andava di spogliarmi di fronte a lei, anche se non mi sarei di certo vergognato, più che altro non volevo metterla in imbarazzo.

Una volta fatto, lasciai cadere l'asciugamano e mi infilai i pantaloni della tuta raccogliendo la pezza bagnata da terra per poggiarla sul mobile. <<Mihai?>> Mi richiamò, non ricevendo alcuna risposta.

<<Sì, sono qui Paige.>> Forse le suonai scontroso, fatto sta che sentii le lenzuola muoversi e immaginai che si fosse messa a sedere per svegliarsi meglio.

<<E' andata male vero?>> La sua ovvia ipotesi mi irritò, stava facendo ciò che non volevo che accadesse, ossia che qualcuno mi facesse domande a cui non avrei risposto.

<<Non mi va di parlarne con te.>> Con nessuno, pensai. <<Ma io e te parliamo sempre di tutto.>> Obbiettò.

<<Lei non è "tutto" Paige.>> Non è niente, ragionai, ed era quel niente a farmi male perchè l'avrei fatta sentire tutto se semplicemente avesse avuto la decenza di essere umana. Ma era priva di qualsiasi ragione, faceva schifo.

<<Se è così perchè sei così nervoso?>> Raggiunsi il bagno per prendere i panni sporchi e buttarli nella cesta, ma prima mi infilai la busta nella tasca dei pantaloni per non dimenticarla nella giacca, che appesi sullo schienale della sedia in camera. <<Mihai.>> Mi destò di nuovo ma questa volta era più vicina, in piedi, con indosso una maglia fin troppo familiare. 

<<Questa è mia.>> Le arrivava quasi alle ginocchia, tanto era bassina e magra.

Quegli occhi miele si abbassarono su quell'indumento e sembrò ricordarsene solo in quel momento, se ne era dimenticata. <<Ah sì aspetta, la tolgo subito.>> Sembrò così imbarazzata da farmi pena, la stavo trattando male senza un motivo e mi sentii in colpa. <<No, puoi...>> Sospirai cercando di rimanere calmo. <<Puoi tenerla.>>

I suoi occhi si illuminarono. <<Davvero?>> Annuii al cospetto della sua fanciullesca gioia, era una maglia come le altre eppure a lei pareva il regalo più bello che potessi farle. <<Grazie!>> Mi gettò le braccia al collo in preda alla felicità facendomi indietreggiare di un passo colto di sorpresa, con le sue braccia esili avvolte addosso, cariche di un calore che non conoscevo.

Ma quando il suo corpo si scontrò contro il mio mi resi conto che sotto alla maglia non indossava niente, il suo seno si spinse contro il mio petto nudo e riuscii persino a sentire il calore della sua pelle scontarsi contro il mio gelo.

E a rendermene conto non fui il solo.

Sembrò percepire il mio corpo irrigidirsi a quel contatto così intimo tanto che allontanò il viso dalla mia spalla allentando la presa per guardarmi. Quelle gote si impreziosirono di un porpora adorabile, i suoi occhi mi guardavano invece così imbarazzati che mi parve così innocente da vergognarmi anche solo a toccarla.

Eppure sentii la necessità per un secondo di accorarmi alla sua purezza.

<<Paige.>> Il suo some fluttuò nell'aria che parve tendersi sotto i nostri sguardi intrecciati. Allontanati da me, la pregai dentro di me sperando che ci arrivasse, che capisse da sola quanto fosse sbagliato ciò che le stava passando per la testa. E mi sentii un verme al solo pensieri che anche nella mia mente quell'idea ci si era stanziata per qualche istante, fin troppo lungo.

<<Io non sono lei Mihai, non ti farei mai del male.>> Le sue mani raggiunsero il mio viso dove le sue dita mi accarezzarono le guance ispide. La sua dolcezza mi parve così nuova da rilassarmi, nei suoi occhi vi era sincerità.

Non c'era indifferenza, crudeltà, amarezza in quelle gemme di miele.

Lei era pura, dolce, genuina.

<<Paige.>> Stavolta la mia suonò quasi come una preghiera che però non le fece cambiare idea.

<<Fidati di me.>> Sussurrò soave.

E quando accadde, sentii per un secondo che fosse per la prima volta dannatamente giusto.

Le sue labbra si posarono sulle mie, mi baciò cautamente quasi intimorita da un mio rifiuto.

Ma quel bacio fu come una ventata di ossigeno, sentii finalmente di poter mettere in pausa la rabbia e l'odio per ancorarmi alla sua purezza, l'avrei sporcata ma come un vampiro con il sangue, pur non volendo per vivere avevo bisogno di questo.

Le mie mani raggiunsero il suo viso e la baciai per davvero, come probabilmente nessun uomo aveva mai fatto prima di me. Lo percepii dall'inesperienza che si celava nel suo stupore, che però subito insabbiò per concedersi a me.

Le sue labbra sapevano di un liquore alla salvezza, un nettare alla quiete. Era facile, averla era semplice, con lei tutto era semplificato. Non mi sfidava, non mi faceva infuriare, non mi innervosiva, non tentava di mettermi alla prova.

Schiuse le labbra per dare il permesso alla mia lingua di scivolare tra quegli spicchi ciliegia e incontrare la sua, cercava di starmi dietro, sostenere il ritmo frenetico del mio bacio ma arrancava, inesperta.

Feci un passo in avanti portandola ad indietreggiare, scontrandosi con la mia scrivania su cui si sedette facendomi spazio tra le gambe nude.

Sentivo il suo respiro farsi più corto ma non riuscivo a fermarmi, mi nutrivo di lei con veemenza, con bisogno, un'urgenza che mi invase completamente.
A lei andavo bene io, così com'ero, solo e soltanto io. Non voleva nessun altro.

Perchè invece a lei no?

Cosa dovevo fare per essere abbastanza?

Nulla, la risposta era nulla, non meritava nulla quella donna.

Le sue mani scesero ad accarezzarmi il petto nudo salendo poi sui bicipiti e raggiungendo gli avambracci.

Quando però sfiorò i miei tagli mi scostai di scatto allontanandomi da lei di un passo.

<<M-Mihai.>> Balbettò senza fiato con le labbra gonfie e gli occhi imploranti, voleva spingersi oltre, ma non come immaginavo. Voleva entrarmi dentro, scovare ciò che in me non vi era più. Sperare che la lasciassi accomodare in quel posto nel mio petto che era ormai vuoto e così sarebbe rimasto, non avevo alcuna intenzione di permettere che si riempisse. Mai più.

I sensi di colpa mi assalirono. Era normale che volesse di più, era giovane e ingenua, ero appena stato il suo primo bacio, avevo rovinato a quel modo tutta la magia che ogni ragazza donava a quel momento fatidico, l'avevo rovinata. Proprio come temevo, avevo macchiato la sua innocenza.

Mi sentivo soffocare, avevo bisogno di aria, stava accadendo tutto così velocemente che non riuscivo più a capirci niente, Keira mi aveva completamente tolto ogni capacità di ragionare.

<<Che cazzo sto facendo?>> La volgarità impressa tra quelle parole stupì persino me stesso, eppure ripetei quella frase come un mantra con le mani appoggiate sulla testa. Stavo impazzendo.

<<Mihai calmati, ti prego, parliamo.>> Scese dalla scrivania per venirmi in contro ma alzai una mano fermando i suoi vani tentativi, avevo bisogno di spazio, di tempo, di aria, di capirci qualcosa e di riprendere in mano le redini della mia vita che mi erano sfuggite per fin troppo tempo.

<<Mihai!>> Ripete ma ormai avevo deciso, dovevo allontanarmi da lei per qualche istante, rimprendere il controllo della mia mente. Così il mio indietreggiare si fermò quando mi voltai e uscii da quella stanza, sotto il continuo richiamo della sua voce che ripeteva il mio nome e sotto il mormorio della mia coscienza che mi ricordava quanto stessi continuando a sbagliare. 


SPAZIO AUTRICE:

L'inevitabile è accaduto ragazze mie, cosa vogliamo farci, ma a quanto pare non ha fatto che mandare ancor di più in confusione il povero Mihai che prossimamente dovrà prendere una scelta: firmare o meno quel contratto, il patto con il suo diavolo al femminile.

Cosa ne pensate?

In ogni caso se la storia vi è piaciuta, se vi va potete lasciare una stellina e scrivermi un bel commento, vi ringrazio per la lettura e al prossimo capitolo.

Ciauuuu <3

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