(Un)expected

Par anna_storiess

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SPIN OFF DI (IM)POSSIBLE Ally. Chioma corvina. Postura sicura. Sguardo glaciale. Reputazione di ragazza faci... Plus

Book Trailer 🎬
Dedica✨🖤
Prologo
Chapter one
Chapter two
Chapter four
Chapter five
Chapter six
Chapter seven
Chapter eight
Chapter nine
Chapter ten
Chapter eleven
Chapter twelve
Chapter thirteen
Chapter fourteen
Chapter fifteen
Chapter sixteen
Chapter seventeen
Chapter eighteen
Chapter nineteen
Chapter twenty
Chapter twenty-one
Chapter twenty-two
Chapter twenty-three
Chapter twenty-four
Chapter twenty-five
Chapter twenty-six

Chapter three

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Par anna_storiess

Matt

Il verde smeraldo delle foglie, decorate da impercettibili linee di un colore più scuro, accoglie sulla sua superficie gocce di pioggia trasparenti. Scivolano lentamente, e ondeggiano con movenze delicate a causa della brezza  non troppo fredda.

Una farfalla dalle ali rosa pastello, la cui punta e i bordi sono interamente neri, si posa sul fiore. Tuttavia, non vi rimane a lungo poiché, come attirata da qualcos'altro, si sposta più in basso. In particolare si concentra su alcune sassolini, apparentemente insignificanti, posati disordinatamente accanto al fiore. Si posa proprio su di essi, battendo le ali con la stessa meraviglia e intensità delle onde che si scagliano contro gli scogli rocciosi.

Quell'immagine attrae la mia attenzione e mi induce a puntare la macchina fotografica proprio lì. Metto a fuoco il connubio dell'eleganza dell'insetto con l'apparente neutralità del sasso e la punto con l'obiettivo. Regolo l'intensità e poso la mano sulla ghiera dello zoom. Attendo qualche secondo che possa assumere una posizione ferma in modo da non apparire sfocata, e catturo l'immagine.

Allontano poi la fotocamera dall'occhio e sposto lo sguardo sul display.

Il colore delicato e raffinato delle sue ali è in netto contrasto con quello scuro e privo di magia della pietra, eppure sorrido ugualmente, affascinato soltanto dalle foto di questo tipo.

Noto come il resto della fauna verde e rigogliosa si stagli dietro la farfalla cercando di catturare la sua attenzione, eppure lei rimane ferma lì, su un sasso, come se quello fosse la cosa più bella e interessante che abbia mai visto.

Sospiro soddisfatto e rimuovo il rullino ormai pieno, per inserirne uno nuovo. Tuttavia, proprio quando sto per andare via e fotografare qualcos'altro, ecco che due voci- una più squillante, l'altra più pacata e controllata- mi interrompono.

«Ancora con queste foto? Ma non ti annoi a stare fermo ore davanti a quella...» Sally agita le mani in aria, sobbalzando alle mie spalle insieme a Charlotte. «cosa?» indica la macchina e fa una smorfia.

Prendo quindi posto su una panchina lì vicino, ignorando la domanda che mi ripete sin dalla prima volta in cui ha scoperto la mia passione per la fotografia. Lascio che la macchinetta rimanga sospesa al mio collo, data la fascia appoggiata sulla mia nuca che ne impedisce la caduta, e sfilo il pacchetto di Marlboro dalla tasca dei jeans.

Mi si avvicinano entrambe, con un sorriso gentile. Porgo il pacchetto a Charlotte, chiedendole se ne vuole una, ma lei rifiuta con un gesto del capo.

«No, grazie. Sto cercando di smettere.»

Sorrido a quella frase, cosciente del fatto che il suo periodo da fumatrice fosse terminato contemporaneamente al suo dolore.

Cosa che non posso dire di me, invece.  Il fumo infatti è diventato una vera e propria dipendenza per me. Finisco circa un pacchetto e mezzo al giorno, ingabbiando una quantità di nicotina dannosa ma anche maledettamente rilassante.

È l'unica cosa, dopo la fotografia e il sesso, in grado di farmi disconnettere per un attimo da tutta la merda che mi circonda o che mi butto addosso da solo, e non posso davvero farne a meno.

«Cos'hai fotografato?» mi domanda Charlotte con un'ingenua curiosità.

Mi sorride infatti, speranzosa che, almeno questa volta, forse condizionato dalla buona giornata o dall'assenza di lezioni a orari improponibili, possa cedere. Eppure dovrebbe sapere benissimo di quanto sia geloso delle mie foto. Non le vede nessuno, né amici né parenti, genitori o chissà chi altro.

Potrebbe essere uno dei classici metodi di abbordaggio utilizzati dai miei coetanei, ma in realtà io mi diletto a usare qualcos'altro per far cedere una donna. Non serve che strumentalizzi le immagini che catturo.

Scuoto quindi il capo e inspiro il fumo.

«Nulla di che.»

Lei rotea gli occhi al cielo, rassegnata, e prende posto insieme a Sally accanto a me.

«Ma perché non le vendi? Se sono belle potresti farci un sacco di soldi!» la sua voce squillante e alta mi induce a serrare velocemente gli occhi.

«Non mi interessa.» faccio spallucce.

«Soltanto a un cretino come te non interessano i soldi.» mi rivolge una lieve spinta con il palmo della mano, che però non riesce a smuovermi quasi per nulla.

Sospiro.

«Ho già i soldi, praticamente mi escono dal culo.» mi lascio andare alla volgarità, mentre mi concedo a ulteriori boccate di fumo.

Charlotte sghignazza e scuote il capo.

«Vorrei averlo io allora, il tuo culo.» Sally sbuffa, rassegnata alla differenza economica che ci caratterizza.

Io, però, non riesco a concentrarmi tanto su quest'ultima, poiché colgo da subito un involontario riferimento sessuale che mi porta a scuotere il capo e a contrarre lievemente gli addominali.

Poso una caviglia sul ginocchio e alzo di poco il bacino, per assumere una posizione più comoda.

«Se ti sentisse David in questo momento ti lascerebbe seduta stante.» pronuncia Charlotte, dando voce ai miei pensieri.

Sally aggrotta le sopracciglia e scuote il capo energicamente: «Ma cosa dite? Mica volevo intendere-»

Non la lascio terminare poiché, con un ghigno derisorio, la interrompo:

«Lo so, ma il tuo ragazzo in questo periodo mi sta rompendo talmente tanto le palle che un giorno riceverà un bel pugno dritto in faccia.» una leggera stizza fuoriesce dalle mie parole al solo pensiero di quel ragazzino che riempie la sua ragazza con la sua gelosia paranoica.

E si, per me è un vero e proprio ragazzino, non solo per il suo carattere a volte troppo infantile, ma anche e soprattutto considerando il fatto che sono due anni più grande di lui.

Ora probabilmente però vi starete chiedendo come diamine sia possibile che un ragazzo di ventidue anni sia ancora al secondo anno di college.

Beh, è una storia molto lunga e troppo complicata in realtà, che spiegherò solo in seguito. Vorrei solo chiarire però che non sono stato bocciato o cose del genere, poiché nonostante non mi piacessero le materie che studiavo e studio tutt'ora ho sempre ottenuto voti molto alti, lasciando che i professori elogiassero la mia dialettica e la mia intelligenza durante i colloqui. Ciò che posso, però, accennare per il momento è solo che ho "perso" due anni prima di iscrivermi al college.

Perciò, a quasi ventitré anni mi ritrovo a frequentare i corsi con i ventenni come David.

«Non dovrebbe essere geloso di Matt, a lui interessa qualcun'altra...» le allusioni di Charlotte mi portano a puntare lo sguardo su di lei e ad aggrottare lievemente le sopracciglia, data la mia confusione.

Non c'è infatti nessuno, in questo momento, di cui io mi sia infatuato o fissato particolarmente.

«Avanti, non fare il finto tonto.» mi dà un buffetto sulla spalla. «Sappiamo tutti che ti piace Ally.»

Per poco non scoppio a ridere a causa di quell'assurdità, e scuoto il capo.

«Nessuno di voi ha capito un cazzo, allora...» rispondo in maniera quasi divertita, sbalordito da come davvero possano pensare che nei confronti di Jackson ci possa davvero essere qualcosa che vada oltre il sesso. «A patto che abbiano almeno un po' di cervello, una fica vale l'altra per me, Stone, dovresti saperlo.»

La sfacciataggine e la rudezza con cui pronuncio queste parole urtano la purezza della biondina, che rotea gli occhi al cielo.

«Se lo dici tu...» si siede meglio sulla panchina, in segno di resa, e lascia che la sua amica pronunci:

«Ma è ovvio che a Matt non interessi Ally. Insomma, stronza e puttana com'è-»

Charlotte non le fa concludere la frase, poiché la rimbrotta immediatamente:

«Sally, smettila di chiamarla così.»

La mora accanto a lei sgrana gli occhi e solleva le braccia confusa. «No, anche lei lo pensava di me prima che mi mettessi con David.»

Charlotte rotea gli occhi al cielo e scuote il capo, mentre io rimango impassibile dinanzi al loro scambio di battute. E inizio anche lievemente a seccarmi per la piega che sta prendendo la conversazione. Ogni volta che iniziano a parlare della ragazzina, infatti, non smettono più. Sally comincia a offenderla e a riservarle un epiteto peggio dell'altro, mentre Charlotte si affretta a difendere quella che per lei è...

la sua compagna di stanza, o una sua amica, o una semplice conoscente.

In realtà non so neanche io che cazzo sono loro due. Non che mi interessi, a dir la verità.

Perciò, gettando la sigaretta ridotta ormai a mozzicone nella spazzatura accanto alla panchina, mi alzo e abbasso di poco la t-shirt blu scuro fino al bordo dei jeans.

«Devo andare a lezione ora. Ci vediamo.»

Detto ciò, saluto entrambe con una carezza affettuosa sul capo, seguita da un grugnito infastidito di Sally e un sorriso di Charlotte, scombinando loro i capelli, e mi dirigo in aula.

***

«E poi?»

«E poi ho scoperto che aveva trent'anni e che aveva un figlio.» risponde TJ, il mio compagno di stanza, mentre sorseggia il suo caffè amaro. «Cazzo, le madri sono le più arrapate di tutte.»

Sghignazzo, scuotendo il capo e finendo di fumare un'ulteriore sigaretta.

Siamo seduti accanto alla vetrata della caffetteria e il fumo si dissolve all'esterno in nubi grigiastre. Mi sono seduto così di proposito, così gli altri clienti non rompono il cazzo per "l'intossicazione" che subiscono- a detta loro- ogni volta.

TJ passa una mano fra i capelli castani, i cui ciuffi più lunghi gli ricadono sulla fronte e sulle tempie. Sistema poi meglio sul collo le cuffie e continua:

«Sai, ricordo ancora il momento in cui sono uscito dalla sua stanza per andarmene e il suo primo figlio mi ha visto.» Inarca le sopracciglia, come se fosse ancora scioccato da quell'avvenimento, mentre io reprimo una risata. «Ti dirò una cosa però: abbiamo giocato tutto il giorno a calcio.»

Aggrotto le sopracciglia e ritiro il capo all'indietro.

«Cioè prima ti scopi sua madre e poi giochi con lui?» gesticolo con una sola mano, per rimarcare l'assurdità di quello che sta dicendo, e scuoto il capo.

Addenta una patatina e la mastica in modo non troppo elegante, scrollando le spalle.

«Che c'è di male? Gli ho dato anche il mio numero.»

«Alla madre o al bambino?»

«A entrambi.»

Sorriso divertito e rassegnato dal suo modo di fare, e inarco le sopracciglia.

«E comunque so che per te sembra strano perché sei allergico ai bambini, ma è stato divertente giocare con lui.»
Divarica le gambe per sedersi meglio sul divanetto non troppo comodo della caffetteria.

Assumo un'espressione disprezzante. «Io non sono allergico. Mi piacciono anche, quei marmocchi, fin quando non mi si avvicinano e iniziano a frignare come dei neonati o a costringermi a giocare con loro.» scrollo le spalle e posiziono un braccio sull'intero schienale della seduta. «Se dovete giocare, fatelo per conto vostro. I loro giochi sono anche stupidi, poi. Non hanno senso.»

TJ scoppia a ridere a queste mie affermazioni, anche se in realtà non mi sembra di star dicendo poi niente di assurdo.

Non ho mai apprezzato in particolar modo i bambini. O meglio, visti da lontano o in foto sembrano anche divertenti e carini, ma nel momento in cui mi si avvicinano e mi assillano con le loro richieste o le loro domande, iniziano a darmi i nervi.

"Sono curiosi." mi aveva una volta spiegato Charlotte.

Sì, ma io non sono il loro fottuto documentario personale.

Spengo la Marlboro in un bicchiere d'acqua e la getto su un tovagliolo, per poi appallottolarlo e gettarlo in direzione della spazzatura che, ovviamente, centro.

Quando, però, sto per riconcentrarmi su TJ e sui suoi soliti aneddoti, ecco che due ragazze con la postura sicura, le spalle dritte e due gambe ben slanciate, entrano nella caffetteria, facendo tintinnare il campanellino posto alla porta.

Le loro chiome, rispettivamente mora e rossa, oscillano nella sala, catturando su di sé diversi sguardi, compreso il mio.

Le riconosco immediatamente, in particolare la moretta, dato il suo sguardo glaciale e affilato.

Ally e Samantha prendono infatti posto a un tavolo non troppo lontano dal nostro. La prima posa un gomito sul tavolo e si sfiora il labbro con l'indice, guardandosi attorno in maniera abbastanza disinteressata.

Assottiglio gli occhi nel momento in cui noto le gambe lasciate scoperte da una misera gonna in pelle, e inclino il capo.

Ricordo il momento in cui quelle gambe si sono sedute a cavalcioni sulla mia coscia, nello sgabuzzino, e hanno iniziato a cavalcarmi come se fossero a una fottuta gara di equitazione. Poi osservo le mani, che con sfacciataggine mi hanno palpato e provocato un orgasmo con il loro tocco voluttuoso. E infine osservo gli occhi, fonte della mia distruzione più totale, che mi hanno guardato con la loro solita aria fredda e glaciale, scaldata però in quel momento dal fuoco dell'eccitazione.

Sono costretto a sbattere più volte le palpebre per ritornare alla realtà e a notare il modo in cui un cameriere porge loro due caffè, probabilmente ordinati nel momento in cui la stavo mangiando con gli occhi.

Ammicca persino loro, ma nessuna delle due sembra dargli la minima considerazione.

TJ continua a parlarmi, raccontandomi un ulteriore aneddoto, eppure non lo ascolto. Cerco infatti di concentrarmi sulle parole di Ally e in particolare sul modo scocciato e infastidito con cui guarda il ragazzo.

«Io l'ho chiesto amaro.» riesco a udire, seguito da un: «Non ci vuole tanto a capire se mettere lo zucchero o no.»

Sbuffo divertito, mentre lei sembra abbastanza scocciata. In particolare nel momento in cui realizza di dover aspettare chissà quanto altro tempo, dato il modo in cui la caffetteria ha iniziato a riempirsi. Perciò, richiamando un'ultima volta il cameriere, ordina perentoria e imperativa: «E portamelo subito, non ho intenzione di berlo quando mi sarò già laureata.»

Riduco le palpebre a due fessure e la osservo meglio, notando il suo pessimo umore.

Tuttavia il cameriere annuisce semplicemente, per poi dirigersi dietro al bancone.

Come al solito rimango intrigato dal suo modo di fare, e senza neanche pensarci una volta di più, sfilo il telefono dalla tasca dei jeans e digito sulla sua chat:

«Un po' di zucchero non ti farebbe male, sai?»

La notifica le arriva istantaneamente. Abbassa infatti lo sguardo sul cellulare, leggendo con attenzione il messaggio inviato e, non appena appura che si tratta di me, aggrotta le sopracciglia. Si guarda intorno, cercando di capire come abbia fatto a vederla e, nel momento in cui incontra i miei occhi, un barlume di stupore le attraversa lo sguardo.

Cerca però di scacciarlo dopo pochi secondi, poiché si affretta a digitare:

«Sono allergica alle cose dolci, dovresti saperlo.»

Calamito il mio sguardo su di lei e sbuffo intrigato, per poi inumidirmi il labbro.

«Perché altrimenti si scioglie il tuo Antartide personale?» domando, riferendomi al modo in cui si comporta e in cui cerca di assumere questa facciata da stronza menefreghista.

Perché in realtà, per quanto quanto possa essere convincente quando la adotta, sono riuscito comunque a capire dal primo istante che c'è un motivo che l'ha indotta a munirsi di questa difesa.

Non che mi interessi scoprirlo, in realtà, ma il fatto che provi a fronteggiare chiunque le capiti attorno mi attrae. Cerca di farlo costantemente anche con me, e se a volte la lascio fare, divertito dalla sicurezza che ha nel vedermi "vacillare", altre dovrebbe comunque sapere che, a differenza sua, io non ho costruito nulla attorno al mio cuore, eppure sono come lei ugualmente. Sono nato con una parte in me che non andava e, se da un lato provo a nasconderla dietro un muro di sfacciataggine, dall'altro sfocia in una mera e propria indifferenza. Indifferenza verso il mondo, verso la vita, verso le persone.

Indifferenza che mi porta a non fregarmene un cazzo di niente.

La ragazzina dovrebbe perciò sapere che non si gioca mai a poker con uno che bluffa in continuazione, poiché è l'unico in grado di fottere in qualsiasi modo e angolazione possibile.

Ally rimane impassibile davanti al mio messaggio, e continua:

«Se continui così dovrò pensare che hai fissato la mia chat.» mi stuzzica con un sorrisetto malizioso, e lo stesso faccio io.

«Ti sopravvaluti, tigre.»

Ed ecco che incastriamo nuovamente gli occhi reciprocamente.

Mi perdo nella vastità dell'oceano che contraddistingue i suoi, nel modo in cui l'azzurro ghiaccio accerchia la pupilla nera o in cui il contorno blu scuro incornicia i due diamanti. Affondo nelle acque della sua perversione, che portano a far riaffiorare nella mia mente le diverse immagini di tutte le volte in cui siamo andati a letto insieme e mi ha guardata con quegli stessi occhi. Intreccia le sue iridi alle mie in un nodo che non ha alcuna intenzione di sciogliersi. Che potrebbe restare in quel modo, ad attendere che smettiamo di scrutarci talmente a fondo da traforarci la pelle, a osservare due anime troppo strane e complicate che non fanno altro che provocarsi, per ore. O almeno, fino a quando la suoneria del mio cellulare non interrompe il contatto visivo in cui eravamo piombati e mi costringe a spostare lo sguardo sul telefono.

Che tempismo del cazzo. Penso frustrato fra me e me.

Aggrotto le sopracciglia, per scorgere di chi si tratta, ma, nel momento in cui lo faccio, il sorrisino di poco fa si spegne immediatamente. I tratti del volto mi si induriscono, gli occhi diventano torbidi e uno strano blocco mi appesantisce lo stomaco.

"Papà". È il nome che mi appare sullo schermo.

Sbuffo dalle narici e serro la mascella scocciato.

Inizio poi a picchiettare nervosamente la gamba sul pavimento e passo una mano fra i capelli.

So già perché mi ha chiamato, e non mi piace affatto, perciò rifletto più volte se rispondere o meno. Potrei ignorarlo e farlo impazzire a causa della cinquantesima chiamata che fa senza ricevere alcuna risposta, oppure potrei rispondergli, mandarlo a fanculo e chiudere definitivamente la questione.

E, ovviamente, da bravo figlio quale sono, scelgo la seconda. Mi alzo infatti di scatto, suscitando lo sguardo confuso di TJ e di Ally, che mi scruta con gli occhi assottigliati, forse per cercare di capire perché mi sia incupito da un momento all'altro.

Tuttavia, io distolgo lo sguardo da lei abbastanza facilmente, ed esco dalla caffetteria. Respiro nervosamente, abbassando e alzando il petto con velocità e fastidio.

Non riesco a credere che quel bastardo abbia ancora la faccia tosta di chiedermi la stessa cosa.

Con impeto, trascino il dito sullo schermo per rispondere alla chiamata, e porto il telefono all'orecchio.

«Che vuoi?» domando con arroganza e la mascella serrata.

Il sospiro di mio padre dall'altro capo del telefono mi fa supporre che sia sollevato dal fatto che almeno questa volta, dopo circa due settimane, abbia risposto. Ci mette infatti un po' a formulare la frase, come se pensasse che non avrei risposto neanche questa volta. Eppure, non appena lo fa, riesce a far riemergere tutta la merda che mi aveva portato a ignorarlo.

«Matthew, finalmente, è da tanto che non ci sentiamo...»

Sbuffo, scocciato da questa farsa, e ordino:

«Finiscila con i convenevoli, che cazzo vuoi?»

Indurisco il tono, posando una mano su un fianco, e aspetto che mi proponga la stessa cosa dell'ultima volta, affinché io possa dargli una volta per tutte la mia risposta definitiva e chiudere questa storia.

«Fra poco ci sarà il processo. Hai deciso cosa fare?»

Sorrido lievemente, in modo sadico, e mantengo le palpebre chiuse per qualche secondo.

Che bastardo.

«Mi sembra che tu sappia la decisione ormai da un anno, non capisco cosa ti serve ancora.» la mia voce è dura, perentoria, esattamente come la sua.

Sbuffa infatti pesantemente.

«Cosa mi serve ancora? Davvero?!» sembra che si sia alzato dalla sedia girevole del suo studio, poiché il cigolio di essa e il rumore delle ruote precede una sua imprecazione.

«Non testimonierò, papà, te l'ho già detto!» agito un braccio in aria e alzo talmente tanto il tono della voce che alcuni studenti si voltano verso di me e io sono costretto ad allontanarmi verso un punto più isolato.

«È la tua famiglia, porca miseria! Come puoi non farlo?!»

La rabbia inizia a prendere il sopravvento su ogni parte di me, portandomi a serrare i pugni talmente forte da far divenire le nocche completamente bianche.

Che ottuso del cazzo.

«Perché si tratta di mandare in galera un innocente, cazzo!»

Avverto le pupille dilatarsi talmente tanto da catturare tutto l'indaco che le circonda e imporre la loro oscurità.

Mio padre sospira, passandosi sicuramente una mano sul volto come al solito quando è nervoso.

Mi sta chiedendo di testimoniare contro un uomo innocente, semplicemente per scagionare sé stesso, da circa un anno, eppure mi sono sempre rifiutato. Sto cercando di fargli capire da troppo tempo che è stato lui a combinare quel casino e lui dovrà pagarne le conseguenze, ma ovviamente, da egoista figlio di puttana qual è, non ha neanche preso in considerazione l'idea di farlo.

«Non ti riconosco più, Matthew. Non capisco perché non vuoi aiutare tuo padre.»

Ed ecco che cambia improvvisamente tattica: da incazzato passa a vittima, tentando forse di far breccia nel mio cuore e farmi sentire in colpa. Tuttavia dovrebbe sapere bene che ormai queste strategie che utilizza con tutti: dipendenti, amici e parenti, non funzionano con me. Non hanno mai funzionato.

Decido perciò, ormai scocciato dalla sua insistenza, di concludere in modo brusco:

«Allora sforzati a capirlo, perché io non te lo spiegherò più. E smettila di chiedermi sempre la stessa cosa. Ci sentiamo.»

Detto ciò, senza neanche aspettare che risponda o che cerchi di ribattere in qualsiasi modo, aggancio e sbuffo.

Passo una mano fra i capelli, avvertendo il respiro irregolare e una pesantezza snervante all'altezza del petto.

Il cattivo umore che mi provocano lui, la mamma e Simon per questa storia è sempre lo stesso e ogni volta peggiore. Sostengono che la mia testimonianza sia fondamentale, poiché sarei il testimone oculare. Sarei l'unico in grado di scagionare mio padre, di non farlo finire in carcere per chissà quanto e farlo restare a piede libero a combinare altre cazzate come questa. Tuttavia, per quanto non mi alletti l'idea di vederlo dietro le sbarre, non ho nessuna intenzione di accusare un innocente. Glielo ripeto da tanti, troppi mesi, ma nessuno di loro riesce a ficcarselo in testa.

«Giornata no?» una voce femminile, suadente e fin troppo familiare mi giunge alla spalle e mi induce a voltarmi verso di lei.

Mi si presenta davanti una ragazza bassina, minuta, con una lunga chioma bionda acconciata in due codini bassi, che le arrivano fin sotto il seno. Gli occhi, di un marrone intenso, che si confonde quasi con il nero delle pupille, mi scrutano con attenzione.

Chloe, la mia ex ragazza, mi riserva un sorriso abbastanza dolce e comprensivo e si avvicina a me.

Sospiro e chiudo le palpebre.

«Sì, diciamo di sì.» lascio andare il capo, stremato come ogni volta dalle conversazioni che ho con mio padre.

In realtà non discutiamo di argomenti normali o del nostro rapporto da tanto tempo. Gli ultimi anni sono stati occupati dall'azienda, dall'accusa e infine da questo processo. È da quando ho compiuto diciotto anni che in casa si respira solo tensione o una finta facciata di famiglia perfetta che, in realtà, di perfetto, non ha proprio un cazzo.

Chloe si avvicina a me e mi sorride lievemente, come se volesse rassicurarmi.

«La tua famiglia, non è vero?»

Mi limito ad annuire, poiché lei non sa nulla di cosa stia succedendo nella mia vita. Ci siamo lasciati da pochi mesi, poiché mi sentivo intrappolato nella relazione con lei e perché avevo capito che le ragazze volevo soltanto portarmele a letto e non nel cuore, eppure non le ho mai parlato di me. Siamo stati insieme soltanto un anno, e in quei 365 giorni non ho fatto altro che tergiversare sulle mie questioni private.

Per questo non voglio darle neanche adesso ulteriori spiegazioni.

«So che sicuramente non ne vorrai parlare ora, ma sai che se ti serve qualcuno con cui sfogarti... io ci sono.» allunga una mano nella mia direzione e mi accarezza la spalla.

Le sorrido grato e, nonostante il contatto con qualcuno sia l'ultima cosa che desideri in questo momento, decido comunque di avvolgerle i fianchi e attirarla a me.

La abbraccio con calore, mantenendo però gli occhi ben aperti. Non si tratta di un gesto intimo per me, soltanto un modo per ringraziarla più di quanto non riesca a fare a parole.

Il suo profumo alle pesche mi invade le narici e mi induce a inspirarlo a gran boccate. Respiro la fragranza del suo corpo, avvertendo i suoi capezzoli pungere da sotto il top rosa cipria e premermi sul torace.

L'effetto che le provoca il mio corpo è sempre lo stesso: prova ancora molta attrazione fisica nei miei confronti, e certamente io non posso dire il contrario.

Chloe è davvero bellissima: i suoi lineamenti sono delicati, le curve, nonostante non siano molto pronunciate, sono comunque presenti, gli occhi le risplendono come se fossero quelli di un cerbiatto.

Mentirei se negassi che siamo andati a letto altre volte dopo che ci siamo lasciati. In realtà continuiamo a farlo tuttora. Solo che, a differenza di prima, non abbiamo più alcun impegno.

«Ci tengo a te, Matt, non mi va che tu sia male, sai quanto ti voglio bene.»

A quel punto, però, ecco che aggrotto lievemente le sopracciglia a causa di questo suo affetto smodato, e assumo un'impercettibile espressione disgustata. Non apprezzo quando le persone sono particolarmente dolci, quasi in maniera smisurata, e si rapportano con effusioni calorose e frasi stomachevoli. Il più delle volte le considero ipocrite e prive di un reale interesse significativo. E credevo che Chloe lo sapesse, ma a quanto pare mi sbagliavo.

Mi scosto perciò dal suo corpo minuto e le concedo un'ultima occhiata, prima di risponderle con un secco e neutro:

«Sì, grazie.» sospiro infastidito, e per nulla rilassato rispetto a prima, e guardo altrove, assottigliando le palpebre.

Le sto comunicando un chiaro e tondo: "vattene" con dei semplici movimenti. E lei riesce a captarlo abbastanza bene, poiché dopo non molti secondi, emette uno sbuffo comprensivo.

«Va bene, ho capito.»

Accenna un lieve sorriso e sposta anche lei lo sguardo altrove, a disagio ma al contempo conscia che non le sto dando particolare attenzione esclusivamente per la telefonata di poco fa.

Mi accarezza quindi una spalla con premura e mi saluta, prima di andare via.

E io rimango lì per forse altre due ore a fare ciò che mi riesce meglio: fumare e fotografare.

Potrei aggiungere certamente anche il sesso, ma in questo momento il mio corpo rifiuta qualsiasi tipo di contatto, sessuale e non, da non essere attirato da nient'altro se non dalla sensazione di solitudine, avvolta da un capo di angoscia e accessori di confusione. Una sensazione che riesce a farmi calmare, ma al contempo a infondere in me maggiori incertezze e paranoie riguardo tutta questa situazione rispetto a quante ne avevo prima...

💖SPAZIO AUTRICE💖

Hola, amici! Ecco il primo pov di Matt. Come avrete notato si tratta di un capitolo non molto lungo, ma comunque necessario per introdurre il suo personaggio, le sue abitudini, i suoi pensieri ecc.

Non ho voluto svelare sin da subito quale sia il motivo di questo processo, perciò spero che vogliate scoprirlo continuando a leggere.

Spero anche che il capitolo vi sia piaciuto, se così e se vi va lasciate una stellina🌟

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