I Temibili 10

By GiulSma

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•Terzo volume della serie Le cronache dei Prescelti Celestiali• «We are here...» Negli Stati Uniti si sta ve... More

Prologo
1|Proprio come Eleven
2|Kitsune
3|Strizzacervelli
4|Di nuovo coi guardiani
5|Il MMantello
6|Chi è L. Degare?
7|Terapia di coppia
8|Team Anti-Killer X
9|Un gelato a marzo
10|L'avventuriera
11|Un pomeriggio col principino viziato
12|Killer X
13|Sebastian
14|Resisti
15|Una pessima babysitter
16|Fuggire dai problemi
17|Biscotto?
18|Necessario per vincere
19|Marta, sei un genio!
20|Petali blu
21|Pagina bianca
22|Segreti
23|Sta succedendo
24|Chiamata alle armi
25|Odi et amo - M&A
25|Odi et amo - R&D
25|Odi et amo - B&J
25|Odi et amo - E & A/S
25|Odi et amo - D & T
25|Odi et amo - G & T
25|Odi et amo - Loro...
26|Salvare i salvatori
27|Requiem
28|Sei il nostro piccolo Sole
29|Harron
30|Pace?
31|Regina dei mostri
32|In viaggio per Zurigo
34|C'è un asino dietro di te! Ah no, è Nicholas
35|Basta bugie
36|Il tempo scorre
37|Impossibile tocco di due dita
38|Chiromante
39|Non si torna più indietro
40|Non dimenticare le calze
41|Che la missione abbia inizio
42|Φιλία
43|È finita
44|Duo mortale
45|Esprimi un desiderio...
Epilogo
⚜️ Curiosità ⚜️
Ringraziamenti

33|Il succo è la mia debolezza

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By GiulSma

Scesi dalla macchina e ammirai l'immensità dell'edificio centrale della Hunter Company.
Era un mostro di vetro e pannelli bianchi, dalle dimensioni così grandi che mi sentivo un microbo al confronto.

Riuscivo a intravedere dalle finestre alcune persone in giacca e cravatta che camminavano senza fretta per i corridoi, reggendo delle cartelline importanti o parlando al telefono.

«Ha il suo fascino, lo so» La dottoressa si mise le mani sui fianchi sorridendo fieramente. Doveva amare molto il suo lavoro per esserne così entusiasta. «Seguimi»

Abbassai lo sguardo lentamente, puntandolo sull'entrata sorvegliata da dei bodyguard vestiti di blu.

"Non mi avevano detto che alla Hunter Company c'erano pure i Puffi" scherzai tra me e me.

Scattai velocemente una foto e la mandai a Kitsune mentre seguivo la dottoressa dentro l'edificio.
Entrare lì fu come varcare un portale per un'altra dimensione: decine di persone indaffarate facevano avanti e indietro per la hall riempiendo di richieste le povere segretarie, leggendo riviste, chiacchierando tra di loro e programmando uscite insieme.

Quindi era quello il mondo della scienza? Un mondo a cui solo gli adulti laureati avevano il pieno accesso?

Mi sentivo come una bambina al luna park: pronta ad esplorare ogni angolo di quel meraviglioso posto.

La dottoressa ridacchiò notando la mia espressione meravigliata. «Questo è solo l'ingresso, il bello arriva quando si entra»

Annuii come ipnotizzata e continuai a seguirla. Salimmo su un ampio ascensore insieme ad altre cinque persone, tutte che dovevano andare a piani diversi, e aspettammo di arrivare al tredicesimo piano.
Tutti e cinque i colleghi salutarono vivacemente la dottoressa Hoover.

«Virginia, la vedo raggiante, oggi» commentò un uomo pelato con dei lunghi baffi biondi.

«Sto introducendo una piccola ospite al nostro mondo, esserne felice è normale, specie se lei ne sembra così entusiasta» rispose mettendomi le mani sulle spalle.

L'uomo si abbassò leggermente per parlarmi. «Vedrai, ti piacerà. Il nostro lavoro dà molte soddisfazioni»

«E soldi» aggiunse un altro, scoppiando in una risata sofisticata.

La dottoressa fece una smorfia contrariata. «È ancora una ragazzina, non credo che le importi qualcosa sull'arricchirsi rubando le idee degli altri, non è vero Reiner?» Gli lanciò un'occhiataccia. «Ringraziami di non averlo detto all'amministratore delegato o a quest'ora altro che soldi e ville, vivresti ancora in quel tuo buco di monolocale»

L'uomo si zittì, uscendo alla prima fermata possibile. Sembrò preferire le scale ad un'altra conversazione con la dottoressa.
Be' se l'era cercata, ma dovevo ammettere che la lingua affilata di quella donna mi metteva paura.

L'ascensore emise un acuto DING e le porte si aprirono rivelando un enorme sala ristoro. Sia a destra che a sinistra vi erano dei corridoi non troppo stretti costellati di porte bianche che si aprivano solo con una tessera elettronica.

«Vuoi qualcosa da bere? Un caffè? Del tè freddo? Acqua naturale o frizzante? Succo?»

«Che genere di succo?» chiesi.

«Ananas, arancia, mirtilli...» sorrise. «C'è anche l'ACE»

Mi brillarono gli occhi dalla gioia. «Davvero?»

«Certo, vieni» Mi portò di fronte ad una macchinetta e sfilò un bicchierino di carta da una pila accanto al distributore. «L'ultimo gliel'ho fatto mettere io. Questo piano lo frequento praticamente solo io e un paio di altri miei colleghi. Che dire ho un debole per il succo all'ACE»

«A-anche io...» dissi stupita e inorridita allo stesso tempo. Più passavo del tempo con lei e più mi accorgevo che era una sorta di versione più grande di me, e la cosa non era assolutamente buona.

La dottoressa riempì due bicchieri di succo e me ne porse uno. «Alla salute»

«Alla salute»

Lo bevvi tutto d'un sorso e sorrisi soddisfatta. Sì, era proprio buono.

«Ne vuoi un altro?»

Annuii con troppa enfasi, suscitando la risata della dottoressa.

«Abbiamo scoperto la debolezza della signorina Rossi: il buonissimo succo all'ACE»

Arrossii lievemente. «È... è buono...»

«Lo so, stavo solo scherzando» Buttò il bicchiere vuoto nel cestino e tirò fuori dalla tasca una tessera bianca e blu. «Vuoi vedere il mio studio?»

Feci di sì col capo e zampettai dietro di lei con ancora il bicchiere in mano. Mi vergognavo ad allontanarmi per andare a buttarlo.

Prendemmo il corridoio di destra dove notai una porta aperta. Ci sbirciai dentro e vidi due impiegati sfidarsi ad una combattuta partita a ping pong.

«Loro sono Erik ed Igor. A differenza di quello che potresti pensare, non sono degli sfaticati, bensì dei colleghi geniali che hanno passato un pomeriggio intero a riempire una lavagna di calcoli per cercare la cottura perfetta per un panino al formaggio»

«Figo! E il panino è venuto buono?»

«Sì...» Poi si avvicinò al mio orecchio. «Anche se per me era un po' bruciacchiato»

Quel commento suscitò una risatina comune che incuriosì i due. Li vedemmo affacciarsi alla porta. «Ehi Vi! Chi è la bambina?» chiese Igor mettendosi degli occhiali che gli resero gli occhi giganti. Trattenni il fiato per non scoppiare a ridere.

La dottoressa gonfiò il petto. «La mia nuova assistente»

«Uhm... e si dimostrerà all'altezza di questo arduo compito?»

«Di certo saprebbe fare dei panini migliori dei vostri»

Erik sembrò offeso. «Ma noi abbiamo creato la formula per la cottura perfetta!» protestò

«Non serve una formula perfetta quando si ha l'assistente perfetta» Mi accarezzò la spalla. «Se ci volete scusare, voglio farle vedere il mio ufficio»

Igor si sistemò gli occhiali. Giuro che se li avessi fissati per un altro po' sarei scoppiata a ridere per ore. «Intendi lo stesso ufficio enorme che ti ha riservato il capo?»

La dottoressa rise con arroganza. «Ai migliori l'ufficio migliore. Ci si vede dopo»

I due ritornarono dentro la stanza riprendendo la partita, mentre la dottoressa mi condusse di fronte ad una porta liscia e bianca. Passò la tessera sulla serratura e la porta si aprì, scorrendo di lato.

Dicono che sono poche le persone che sanno tenere una stanza ordinata, pulita e precisamente addobbata, la dottoressa era una di queste.

Non c'era nulla di sparso o impolverato in giro. Tutti i fascicoli erano catalogati e messi in ordine in dei cassetti di metallo anch'essi catalogati e differenziati con varie targhette scritte con una calligrafia impeccabile.
Sulla parete di fianco all'ampia vetrata vi erano le due lauree della dottoressa che scintillavano alla luce del sole, perfettamente lucidate e fissate al muro.

«Siediti pure sul pouf» disse indicando un ampio pouf blu che riempiva un angolo vuoto. Accanto a quello ce n'era un altro dello stesso colore.

Mi sedetti sopra quell'insolita poltrona e ci sprofondai dentro, lanciando un urletto sorpreso.

La dottoressa scoppiò in una sonora risata. Era felice, si stava divertendo e dovevo ammettere che anch'io ero piuttosto emozionata di essere lì.

Si sedette vicino a me, sospirando contenta e mi guardò con i suoi occhi castani e curiosi schermati da un paio di occhiali con la montatura trasparente. Era giovane, un prodigio con due lauree, una donna che avrei ammirato interamente se solo... se solo? Che cosa mi aveva fatto di male? Certo, era stata antipatica all'inizio, ma mi aveva regalato così tante opportunità che mi sembrava inutile avercela con lei per un motivo che non riuscivo a trovare o a ricordare.

Sembrava sinceramente disposta ad aiutarmi. Non sapevo perché, magari glielo avrei chiesto quando avremmo imparato a conoscerci meglio, ma per il resto mi sembrava inutile continuare a sospettare di lei e a tenerle il broncio.

«Ti illustro il programma che ho in mente» esordì tirando fuori un foglietto dalla tasca. Era così organizzata e precisa che non mi sarei stupita se si fosse già fatta una lista dettagliata su ogni pasto che avrebbe dovuto consumare per un intero mese, o addirittura per un anno intero!

«Dato che il viaggio è piuttosto lungo e lo stage dura all'incirca tre o quattro ore, mi sembrava giusto farti iniziare questa estate. Posso ospitarti a casa mia. Ho due stanze e vivo da sola, una è un altro mio studio ma posso prendere tranquillamente un altro letto e ospitarti lì»

«In... estate?» Non avevo tutto quel tempo!

«Sì, non puoi mica saltare settimane intere di scuola. La tua preside è una donna piuttosto severa, così come il tuo consiglio docenti, non mi lascerebbero mai fare una cosa del genere durante l'anno scolastico»

«Va bene, grazie. Ma come farò a convincere i miei genitori? Li ha visti, sa quanto si preoccupano...»

La dottoressa liquidò le mie preoccupazioni con un gesto della mano. «Quello non è un problema. Ho convinto i tuoi genitori una volta, posso farlo ancora»

Non sapevo se esserne sollevata o preoccupata. Nel dubbio evitai di pensarci e mi concentrai sulla morbidezza di quel pouf. Era davvero favoloso.

«Qui ci sono i laboratori?» azzardai a chiedere.

La donna scosse la testa. «No, ci sono gli uffici. I laboratori sono in un'altra sede. Perché lo chiedi?»

Feci spallucce. «C'era troppo silenzio, dovevo colmarlo con qualcosa»

«Mi sembra giusto. Vuoi vedere i noiosi uffici pieni di persone noiose o vuoi fare un giro per Zurigo?»

«Se scelgo Zurigo non ti arrabbi, vero?»

«Certo che no! È la mia città preferita dopo Amsterdam e Roma!»

«Sei stata a Roma?»

«Certo, perché, tu no?»

Scossi la testa.

«Be', c'è una prima volta per tutto, vedrai che riuscirai ad andarci. Armati di pazienza, però, lì il traffico è terribile e ci sono fin troppe persone. Amsterdam invece è più sobria, ma puzza un pochino di cannabis in certi angoli della città»

«Cannabis? Intendi...»

«Sì, quello. Non fumarla mai, anzi, non fumare proprio, potrei elencarti mille e uno ragioni per non farlo»

«Tranquilla, non ho intenzione di farlo. La puzza delle sigarette mi soffoca»

La vidi sorridere. «Be', direi che è una cosa che ci accomuna. Oltre alla passione per il succo all'ACE»

«Vero»

༺ 𓆩♱𓆪 ༻

Mi è dura ammetterlo ma le ore a seguire furono fantastiche. La dottoressa mi aveva portata in giro per Zurigo. In una sola giornata avevo visitato l'università dove lei si era laureata, la piazza medievale di Münsterhof, avevamo preso una strana frittata di patate avvolta in un cartoccio e ci eravamo fatte una passeggiata a Rieterpark, un parco così vasto che ad un certo punto avevo temuto che ci fossimo perse.

La dottoressa era stata gentile per tutto il tempo, concedendomi persino a fine giornata di chiamarla Virginia, facendomi promettere che l'avrei chiamata così solo in contesto informale o avrebbero pensato che lei facesse favoreggiamenti, cosa che effettivamente era vera.

Ma perché stava facendo tutto ciò? Quella domanda continuò a tormentarmi per gran parte della giornata, tra un momento felice e l'altro.

Dovevo essere grata di quelle attenzioni, eppure sentivo che qualcosa non andava e no, non era solo frutto delle mie paranoie. Mi ero immersa troppo negli effetti di quella visione troppo bella della realtà per accorgermi che nessuno è mai gentile di propria volontà, c'è sempre qualcosa sotto.

Cos'è che avevo detto nell'altro capitolo? Mai fidarsi di chi sa parlare bene.

Sì, ora ricordo. Per quanto volessi credere che la dottoressa era un'amica e potevo fidarmi di lei, molto probabilmente c'era qualcosa sotto.
Maledissi la mia paranoia perché aveva appena rovinato una giornata che poteva essere fra le migliori.

«Perché quel muso? Non ti stai divertendo?»

«Sì, mi sto divertendo. È che sono solo un po' stanca, tutto qui»

«Se vuoi fare una pausa possiamo passare da casa mia e poi ti riaccompagno in stazione»

A casa sua? Non sapevo se accettare o meno, ma non volevo sembrare scortese quindi accettai.
Avevo fatto la scelta giusta?

༺ 𓆩♱𓆪 ༻

La casa della dottoressa era più accogliente di quanto me la fossi immaginata.

Era un appartamento in mezzo alla città, nascosto tra tanti piccoli palazzi abitati da gente per bene.
Le pareti erano di una tonalità calda di giallo, tendente all'arancione, e tutti i mobili eran in ordine e ben puliti. L'ingresso dava subito sul salotto, poi a sinistra c'era la cucina e in fondo a destra riuscivo a scorgere un corridoio che portava al bagno e alle due camere.

«Eccoci qua, casa dolce casa» La Hoover sorrise soddisfatta e mi indicò il suo divano rosso.

Ci sedemmo contemporaneamente e sospirammo. Avevo tutte le gambe indolenzite da quanto avevamo camminato.
Osservai la venticinquenne farsi una coda bassa e appoggiarsi sullo schienale del divano.

«Cosa ti piacerebbe diventare, da grande?» mi chiese.

Quella domanda mi aveva colta alla sprovvista. Non ci avevo mai pensato veramente, anche perché in un modo o nell'altro ero stata impegnata ad evitare di morire subito o di rimanere intrappolata in una scuola-prigione.

Mi concessi qualche secondo per ragionarci. Cosa avrebbe fatto Giulia Rossi in un futuro dove avrebbe vinto la Grande Guerra senza morire?

«Vorrei lavorare nel campo della chimica» risposi. «È una materia che mi piace»

«Perché vai bene a scuola?»

«No, cioè sì... anche. Diciamo che mi piace tutto ciò di scientifico, in particolare la chimica»

«Quindi ti piace la scienza... perché?»

Iniziai a sentirmi a disagio. Troppe domande forse, ma lei era una scienziata e la curiosità era normale, credo. «Non lo so in realtà. Credo sia perché può rispondere a gran parte delle domande che ci poniamo. Tipo come divampa un fuoco, con quale velocità cade un fulmine, quale sia la cottura perfetta per un panino al formaggio» L'ultima parte suscitò la risatina della dottoressa. «Insomma, credo che ci si senta completi dopo aver risposto alle proprie domande ed è una bella sensazione»

«Sì, su questo non ti do torto»

Ci fu un attimo di silenzio. Dalla finestra semiaperta si sentì il suono di un paio di clacson seguito dalle voci indignate degli autisti.

«Vuoi altro succo?» mi chiese. «Ne ho un po' in frigo. Posso offrirti qualcosa da mangiare? Ho fatto una torta ieri, te ne do un pezzo?»

Annuii contenta, mostrandole un largo sorriso. Quando la vidi entrare in cucina smisi di fingere e presi velocemente il telefono.
Scattai al volo delle foto e inviai la mia posizione a Kitsune. Dovevamo appuntarci quell'indirizzo, sentivo che ci sarebbe tornato utile.

Iniziai a girovagare per il salotto, prestando attenzione ai movimenti che faceva la dottoressa in cucina. Stava tagliando una fetta di torta. Ora aveva strappato un pezzo di scottex.

Il mio sguardo si posò su una mensola piena di foto. C'erano immagini di lei da piccola con i suoi genitori, le foto scattate dopo le due lauree, alcuni scatti di lei a qualche matrimonio di un amico o di un parente e poi c'era una foto più nascosta.
Mi avvicinai per osservarla meglio e per poco non mi misi a gridare.

"Devo andarmene." mi dissi afferrando il telefono e nascondendomelo in tasca. "Devo andarmene da qui subito!" 

Sentii i passi della dottoressa e schizzai a sedermi sul divano. Dovevo far finta che tutto fosse esattamente come prima, anche se il battito accelerato del mio cuore diceva tutt'altro.

Usare i miei poteri per scappare sarebbe stato da stupida e da irresponsabile, non potevo rischiare che lei venisse a sapere cos'ero.

Sapeva dove vivevo, dove andavo a scuola, era conscia dei miei punti deboli e di sicuro non sarebbe stata facile da sconfiggere se me la fossi inimicata.

Che situazione terribile! Ma come facevo a cacciarmi nei guai sempre? Anche quando non li cercavo loro venivano da me!

«Ecco qua» La dottoressa mi porse un pezzo di torta e un bicchiere di succo.

Appoggiai il bicchiere sul tavolino di vetro davanti a me e iniziai a mangiare.

«Toglimi una curiosità» disse fissando il succo. «Ho sentito che per un periodo sei sparita dalla circolazione e tra i documenti della polizia c'era un mandato per le indagini sulla tua scomparsa. Dove sei stata?»

Spalancai gli occhi e la torta mi andò di traverso. La dottoressa mi avvicinò velocemente il bicchiere e ne trangugiai velocemente il liquido. Aveva assunto uno strano saporaccio. Era più amaro del succo che avevo bevuto alla Hunter Company, forse ne aveva preso uno di sottomarca. Alcuni erano veramente pessimi.

Mi asciugai la bocca e ripresi fiato. «Be'... preferirei non parlarne. Non è stato un bel periodo» ammisi iniziando a sentire la testa pesante.

«Immagino, stare all'Accademia non dev'essere stato facile»

Aggrottai la fronte. «Ma io non ho nominato l'Accademia» Mi si intorpidirono i muscoli delle gambe.

«No? Ah... peccato... immagino di aver commesso un piccolo errore. Ma sono umana, posso sbagliare. Tu invece? Cosa sei?»

Lottai contro la stanchezza. «Io? Una quattordicenne indaffarata»

«Sì, certo...» Si piazzò davanti a me, prendendomi la testa fra le sue morbide e delicate mani. «Una quattordicenne decisamente interessante. Penso che tu sia più speciale di quello che vuoi farmi credere, o vuoi negare l'evidenza?»

«Signora Hoover...» Iniziava a mancarmi il fiato. «Che diamine mi ha dato?»

«Roipnol» rispose con un largo sorriso. «Tranquilla, ho dosato la porzione del sonnifero, non potevo rischiare che tu andassi in overdose. La lavanda gastrica è fastidiosa, a quanto dicono alcuni pazienti»

«Ma tu... non sei un medico...» Tossii schiuma mista a sangue.

Sentii la sua lieve carezza sulla testa. «Infatti non lo sono. Ma non preoccuparti di questo, torniamo al nostro discorso. Sul serio non ti ricordi di me?»

Scossi lievemente la testa.

«Ero lì, con te, all'Accademia»

Quella rivelazione bastò a farmi guadagnare qualche altro secondo di lucidità.

«All'epoca non ero solo che una ragazza impacciata che stava finendo la sua tesi di laurea. Avevo sempre i capelli legati, gli occhiali erano diversi, ma è stato un bene che tu non ti sia ricordata di me. Mi hai concesso l'opportunità di portarti qui»

«Che cosa vuoi da me?» Facevo fatica a parlare. Mi sentivo la bocca gonfia e le guance fredde, come se mi avesse fatto un'anestesia.

«Risposte, Giulia. Nessuna Creatura della Notte sapeva fare quello che facevi tu. Impugnare una spada pesante quanto un macigno, esorcizzare un ragazzo durante un combattimento, folgorare delle cuffie durante una prova, tutto ciò non è normale e non è di certo stregoneria. No, è diversa dalla magia dei maghi e degli stregoni, è più... pura. Lidia ha provato a proteggere la verità su di te, con tentativi fin troppo patetici. Non si raggira la mente di uno scienziato che ha le prove visive dalla sua parte»

«Tu... lavori per Slave?»

«Lavoravo. La Hunter Company è stata una delle mie idee quando mi aveva preso sotto la sua ala per lavorare insieme durante il mio periodo all'università. L'ho fatto inizialmente per i crediti, poi è diventata la mia vita. Ora lavoro per un altro uomo, un vecchio amico di Slave con cui ho fondato la compagnia»

«Quello... della foto?»

La dottoressa ridacchiò. «Vedo che hai anche curiosato in giro. Sì, quello della foto, Robert Hunter»

«Non so quali risposte vuoi, ma non posso dartele perché nemmeno io ce le ho»

La vidi stringersi nelle spalle e continuare a sorridere. «Riusciremo comunque a tirarti fuori qualcosa»

«Tu e chi?»

«Lo scoprirai. Ora chiudi gli occhi, da brava...»

Avvicinò una mano, sfiorando le mie palpebre cadenti con le dita.

Improvvisamente le afferrai il braccio, facendo sussultare entrambe. Non l'avevo mosso io, o forse sì. Qualunque cosa mi aveva fatto prendere aveva già intaccato la mente.

«Ma che presa forte» sogghignò. Tirò fuori dalla tasca un oggetto simile a una Epipen contenente del liquido biancastro e me lo spinse nel ginocchio.

Imprecai tirandole un calcio, ma ormai il liquido era entrato, mandando in allarme il mio sistema immunitario.

Fu così che il marchio sull'avambraccio si attivò, confermando le teorie della dottoressa.

«Diamine» sussurrai.

La donna sembrava al settimo cielo. «Tu... Meravigliosa creatura...»

«Sì, poi? Sbava pure quanto vuoi, io ora me... ne... vad-» Piombai a terra, proprio tra le sue braccia.

Rimase ad accarezzarmi, lacrimando dalla gioia per la sua scoperta sensazionale. Riusciva già a vedersi a capo della Hunter Company. Altro che assistente, lei avrebbe diretto tutto insieme a Robert e io ero la sua carta vincente, il suo pass par tout, il suo tesssoro.

Tutto questo perché avevo ceduto ai suoi sorrisi gentili e alle sue finte passioni che doveva essersi creata per compiacermi e farmi guadagnare la sua fiducia. Aveva sfruttato ciò che più adoravo ritorcendomelo contro. Perché alla fine, il succo è la mia debolezza.

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