Painful melody

Por Sofiacuofano

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ATTENZIONE: SONO PRESENTI SCENE DI SESSO ESPLICITO E DI VIOLENZA!!! Lei è nata nell'agio della famiglia più p... Más

PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
CAPITOLO 39
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
CAPITOLO 42
CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 45
CAPITOLO 46
CAPITOLI 47
CAPITOLO 48

CAPITOLO 35

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Por Sofiacuofano


MIHAI


Oggi...

Era cambiata di nuovo nel giro di pochi minuti lasciandomi amareggiato, faceva finta che tutto ciò che avevamo vissuto non fosse mai esistito quando tutto ciò che c'era stato lo avevamo sentito, provato e vissuto entrambi sulla nostra pelle insieme. Ero certo che si ricordasse della mia proposta come anch'io ricordavo di averle posto quella domanda quando aveva appena sedici anni e una vita intera davanti. I mesi passavano e più tempo trascorreva più mi rendevo conto che era tutto ciò che volevo, che quel sogno non sarebbe mai dovuto finire perchè io non ero disposto ad abbandonarlo, così le avevo chiesto di sposarmi, di chiedere ad un giudice di divenire minore emancipato e scappare via con me finalmente libera dal peso dei suoi genitori. Non occorrevano i loro soldi, avevamo tutto e io avrei potuto provvedere ad entrambi con il mio lavoro, aiutandola a finire gli studi per poi iniziare a fare l'insegnante come aveva sempre desiderato. Avevo pensato ad ogni cosa, la casa che avremmo comprato insieme, la migliore università a cui l'avrei iscritta, i tour insieme, il futuro assurdamente idilliaco che ci attendeva. Poi però quel sogno era crollato e tutto era sfumato via.

Con ciò che credevo che lei fosse.

Ciò che avevo rivisto in lei per un secondo quasi impercettibile davanti alle parole di suo nonno, che sembrava una tra le poche persone che ancora credevano nella mia innocenza. Gli ero debitore, quell'uomo ci aveva sempre visto lungo e se uno come lui credeva ancora in quel buono che aveva visto in me, allora c'era ancora qualcosa a cui potevo credere. Iniziai a capire che non era andato tutto perduto, ancora vi era qualcuno che credeva in me. Una ragione per incominciare, almeno un po', a farlo anch'io.

La mano di quella donna dalla doppia faccia era posata sul mio avambraccio mentre camminavamo l'uno a fianco all'altra per raggiungere il centro della pista, dove altre tre coppie si preparavano a lasciarsi andare in un lento armonioso e simbolico. Che per loro sarebbe significato un semplice ballo, per noi, un momento fin troppo intimo dopo dodici anni di odio.

Intorno, disposte a cerchio, vi erano tutto il resto delle persone che, con i loro bicchieri di champagne ad un millimetro dalle labbra, bisbigliavano i loro giudizi negativi su di noi o meglio su di me, ma non mi importava, non mi erano mai interessati i pensieri di quella gente.

Raggiungemmo dunque il centro della sala e ci fermammo rivolgendoci l'uno all'altra. Quindi la mia mano destra afferrò con delicatezza la sua sinistra, mentre la sua destra si posò sulla mia spalla e la mia sinistra sul suo fianco per avvicinarla di più a me, così che a quel punto nessuno avrebbe potuto portarmela via. Per quei pochi minuti sarebbe tornata ad essere mia e sentii che era ciò che anche lei in fondo stava percependo.

Dietro a quella sua maschera imperscrutabile che mi sorrideva superbamente, nascondendomi ogni suo pensiero e rendendola la persona che più odiavo a questo mondo, tanto bugiarda quanto infida. Non riuscivo a sopportarla. <<Ricordi ancora come si fa Kovacs?>> La sua arroganza non tardò ad arrivare ma ci avevo fatto l'abitudine ormai, non mi toccava minimamente sentire come si atteggiasse, mi era ben chiaro che lo facesse semplicemente per rispettare il suo personaggio. La sua era una parte che aveva dovuto recitare per dodici anni e che non le si scollava più di dosso. <<E tu Martin, sai ancora farti condurre o hai dovuto fare tu l'uomo con tuo marito in questi anni?>> Mi aspettavo che si arrabbiasse, invece semplicemente rise facendosi beffa delle mie parole, era fin troppo sicura di sè per farsi tangere da frecciatine insulse, però la mia sembrò addirittura divertirla. <<Cornelius è l'uomo migliore che potesse capitarmi.>> Quella improperia fece ridere me. <<Prova a crederci prima di dirlo la prossima volta.>> Mentiva a se stessa e mentiva a tutti coloro che la circondavano, ma mentre gli altri ci cascavano io sapevo che quella non fosse altro che una bugia, soprattutto perchè non sapeva cose che le avrebbero fatto male. Molto male. <<Sei per caso geloso Mihai?>> La mano che aveva posato sulla mia spalla si avvicinò al colletto della mia camicia per sistemarlo un po'. <<Geloso dell'uomo che ti ha sposata, che ti dorme a fianco ogni notte e che in questo momento ti osserva come fossi sua?>> La mia mano si strinse al suo fianco con più forza facendo scontrare i nostri corpi. <<Non sai quanto.>> Non avevo mezze misure, sapeva che quando dovevo dire una cosa non mi appoggiavo mai all'orgoglio per nascondere ogni cosa, dalla mia bocca usciva solo la veridicità di ciò che pensavo. Proprio come in quel momento.

Nei suoi occhi lessi un desiderio profondo che mi attirò, le piaceva sapere che mi desse fastidio che un altro uomo potesse averla al posto mio, la eccitava l'idea di essere contesa e lo avevo visto da come sorrideva mentre quel francese e suo marito litigavano avanzando di qualche centinaio di migliaia di dollari all'asta di poco prima, eppure ero stato io a vincere, dimostrandole che io non contendevo nulla con nessuno, io prendevo ciò che volevo come avevo sempre fatto.
I violini incominciarono a suonare, accompagnati dalle soavi note del piano e dell'arpa che si unirono con leggiadria dando inizio alle danze. Addosso avevamo il peso di centinaia e centinaia di occhi puntati, eppure da come mi guardava non sembrava importarle come neanche a me pesava in quel momento, tutta quella attenzione. <<Mi stai dicendo che hai vinto questo ballo solo per gelosia?>> Si muoveva lenta e esperta tra le mie braccia lasciando che la conducessi, ricordando ancora i passi di quel ballo che mi aveva insegnato più di un decennio prima. <<Potrei aver mai speso quarantacinque milioni per dell'effimera gelosia?>> Mi dava fastidio che qualcun'altro l'avesse, ma il mio non era solo impudico possesso, non ero un animale e non reclamavo ciò che mi spettava con del denaro. <<Dunque devo credere che li hai spesi perchè semplicemente volevi ballare con me?>> Era così, se non fosse stata costretta non avrebbe mai accettato di ballare con me e io lo sapevo, così non appena si era presentata l'occasione avevo colto la palla al balzo, anche se l'idea di star facendo rodere quel sudicio di Wilson, stringendo tra le braccia sua moglie, era comunque appagante. <<Non mi importa ciò che credi.>> Non avrebbe mai creduto ad un simile gesto da parte mia e io non mi sarei mai sforzato per far in modo che ci arrivasse, non mi importava, io conoscevo le mie intenzioni e i motivi che mi spingevano a comportarmi in determinati modi e ciò mi bastava. <<Oh Mihai.>> Sospirò lasciandosi volteggiare in una piroetta per poi tornare stretta a me. <<Non capisco più se mi ami o mi odi.>> Lo disse per scherzare eppure io mi soffermai a pensarci per un secondo capendo che neanche io riuscivo più a distinguere le due cose, due sentimenti tanto diversi erano arrivati a diventare la stessa cosa lasciandomi interdetto.

<<A fregarmi probabilmente è che neanche io riesco più a capirlo.>> Cosa mi stava facendo quella donna? Stavo ricadendo nella sua ragnatela per la seconda volta o ero abbastanza lucido da poter controllare ogni cosa? Quelle domande mi rimbombavano in testa senza darsi tregua. <<Con una come me il filo che divide le due cose Kovacs, è talmente sottile che amore e odio si conciliano in un terzo sentimento: il desiderio.>> Odiavo il fatto che avesse ragione e amavo a sua volta come quelle labbra dipinte di rosso, si muovessero lentamente sotto il peso di quelle parole. <<Sei incredibile, ogni cosa con te si racchiude alla sola attrazione carnale.>> Ci allontanammo entrambi lasciando che a legarci ci fossero soltanto le nostre mani intrecciate, poi con uno strattone delicato, le si rigirò finendo con il far scontrare la schiena contro il mio petto. <<Semplicemente perchè so quanto sia deleterio amarmi, così lasciò che tra me e gli uomini ci sia soltanto il sesso.>> Lo disse con una leggerezza che mi irritò, non le importava la gravità di ciò che stesse affermando, ne era talmente sicura da mancare a se stessa di rispetto senza porre alcuna importanza. <<Ma alla fine si innamorano lo stesso.>> Suo marito, tutti gli uomini che le giravano intorno, tutti pendevano dalle sue labbra pronti a fare qualsiasi cosa pur di averla, eppure a lei non importava. <<Alcuni sono masochisti.>> E si dava il caso che io fossi uno di quelli. Il modo superficiale con cui lo esclamò mi innervosì, non le importava nulla degli uomini e di cosa pensassero, a lei bastava avere ciò che voleva, escludendo qualsiasi sentimento. <<Io però voglio solo aiutarti.>> Lo sussurrai al suo orecchio sentendo il suo respiro farsi più profondo. Non volevo altro, non vi erano interessi comuni tra di noi, volevo solo che la situazione in cui si era incastrata si slegasse e che tutti i nodi venissero al pettine così che, una volta per tutte, la verità sarebbe finalmente venuta a galla.
Con un'altra piroetta si rigirò tra le mie braccia, tornando a guardarmi negli occhi, con quella luce nello sguardo calda come un tramonto di fine estate. <<Io non voglio il tuo aiuto.>> La sua testardaggine non accennò a lasciar il posto ad un briciolo di coscienziosità. Era completamente fuori di testa, non aveva un briciolo di attenzione e diligenza. <<Tu sei pazza.>> Strinse le spalle con noncuranza. <<Sarà, ma arriverò fino in fondo a questa storia da sola e senza l'aiuto di nessuno.>> Era così caparbia da farmi salire il nervoso, non vi era modo di farla schiodare dalla sua posizione, non la sopportavo, era talmente testarda da far male.

<<Accettare un aiuto è da persone mature.>> Ma lei non lo capiva. <<Dover dipendere da qualcuno è da deboli.>> La sua mentalità era così gelida da farmi venire i brividi, era diventata la copia sputata di suo padre, completamente priva di ogni sentimento e descritta da regole ben precise, impossibili da trascendere.

<<C'è una piccola differenza tra il doversi affidare agli altri e il doversi fidare degli altri.>> La rimbeccai. <<In entrambi i casi si rimane fottuti.>> Con una stretta più importante la attirai a me facendole scontrare il seno contro il mio torace. <<Questo linguaggio non si addice alla tua grazia, Piccola peste.>> Era elegante, raffinata, impudica, sensuale, peccatrice e femminile, le parolacce non si addicevano affatto alla sua persona anche se era dannatamente invogliante poterle tappare quella bocca sboccata. <<Non chiamarmi così.>> Divenne più severa e seria. Fu a quel punto che mi resi conto di cosa mi era sfuggito, quel nomignolo che le avevo affibbiato a vent'anni, ma che ancora mi macchiava la lingua. <<Prima non ti dispiaceva.>> In quel momento mi parve di avere io il controllo su di lei per un momento. <<Perchè era solo nostro, ora ci chiami anche lei così.>> Ci misi un po' per riuscire a capire dove volesse andare a parare, poi mi resi conto. Sapeva che chiamavo anche Paige così, dirle che non era vero sarebbe stato mentire spudoratamente e infatti non lo feci, anche perchè non avevo dilla di cui scusarmi o pentirmi, ma in fondo sentii di aver sbagliato. Avevo tolto all'unicità di quel piccolo pezzo passato di noi, una parte importante. Di fronte al mio silenzio una risata amara le inaridì la voce.

<<Io non ho tempo da perdere dietro al tuo ricordo Mihai, voglio scoprire ciò che mi nascondete tutti per riuscire una volta per tutte a ricominciare la mia vita senza bugiardi intorno.>> Fu seria e per la prima volta, sincera come non lo era da tempo. <<Dopodichè ti cancellerò completamente da ogni mio pensiero.>> Una volta scoperta la verità avrebbe potuto dare un senso alla morte del fratello, togliendomi di mezzo, per riprendere a vivere senza che nulla fosse mai accaduto. Ma non lo avrei mai potuto accettare, anch'io avevo piani differenti dai suoi. <<Accadrà tutto più velocemente se lasci che ti aiuti.>> L'avrei aiutata, le avrei mostrato la verità e avremmo cercato insieme ciò che serviva per far salire a galla ciò che per dodici anni, suo padre e i suoi collaboratori si erano sforzati di nascondere. A quel punto avrebbe potuto ricominciare una vita nuova, ma ero sicuro che non avrebbe accettato di farlo senza di me e sarebbe stato in quel momento che le avrei fatto più male, perchè in fondo la mia vendetta era ancora lì.

<<Perchè vuoi aiutarmi?>> Le sue mani abbandonarono i punti di partenza per cingermi il collo avvicinandosi ancor di più, stava tentando di sedurmi per avere ciò che voleva, passava dall'essere seria, all'essere offesa e al prendere di nuovo il comando in mano nel giro di pochi secondi. Era così che riusciva a stordire chi la circondava. 

<<Cosa vuoi sapere Keira?>> Sapevo che dietro a quella domanda si nascondesse ciò che non voleva chiedermi per aspettare che fossi io, di mia spontanea volontà, a dirglielo. Ma quella partita era giocata a carte scoperte, entrambi conoscevamo i punti deboli dell'altro e sapevamo dove colpire, ma serviva il momento e la mossa giusta per riuscire a vincere. 

<<Lo sai.>> Sì, lo so, pensai. <<No, non lo so.>> Dissi invece, ma prendere in giro Keira Martin era impossibile, sapeva che stavo mentendo, che stavo giocando al suo stesso gioco ma sembrò divertirsi invece che irritarsi. Le piaceva che la affrontassi.

<<Sei ancora innamorato di me Mihai?>> Mi domandò tenendo quelle gemme blu fisse nelle mie, in un secondo in cui tutto sembrò scomparire, le luci parvero abbassarsi e la musica divenire un lontano brusio. Mentre stringevo tra le braccia la donna più bella del mondo.

Cosa avrei dovuto risponderle?
La verità, rischiando che il diavolo mi togliesse quel briciolo di vita che ancora mi permetteva di respirare, tagliando il filo di Arianna nel labirinto del Minotauro, spingendomi ad una morte sicura tra quelle mura in cui la mia anima si era dispersa camminando sempre più vicina alla sua condanna.

O una menzogna, portando dentro di me il peso di quel sentimento che non aveva accennato a sfumare nemmeno dopo anni, passati dietro a delle sbarre, in una cella dove il freddo non era stato deleterio, bensì aveva congelato i miei ricordi per poi farli sciogliere al cospetto di quella donna.

In ogni caso però ne avrei sofferto solo io, quindi che differenza vi era? Mentire o dire la verità, in entrambi i casi mi sarei fatto male. Proprio ciò che volevo.

A volte non volevamo guarire, perchè il dolore era l'ultimo filo che ci univa a ciò che avevamo perso, ed io ero legato a lei da un sentimento tanto sofferente quanto meraviglioso, che mi aveva creato una dipendenza dolorosa ma eterna. E non ero disposto a lasciare andare tutto così. Finche vi sarebbe stato spazio sulla mia pelle per dei tagli, avrei continuato ad amare quella donna, soffrendo ogni pena che mi avrebbe imposto.

<<Non ho mai smesso di amarti Keira.>> Io non avevo paura di soffrire, bensì di non sentire più il dolore, così continuavo a farmi male e me ne feci anche in quel momento, con il risultato che non fu doloroso, semplicemente liberatorio.

In quel momento mi aspettavo che scoppiasse a ridermi in faccia, che si facesse beffa di nuovo delle mie parole e che mi lasciasse lì a coltivare rancore su rancore, come avevo fatto per dodici lunghi anni.
Eppure mi stupì.

La sua mano delicata e vellutata si posò sulla mia guancia ruvida, quelle dita affusolate decorate da costosi anelli dorati, mi sfiorarono la pelle pungente con una dolcezza che mi riportò indietro. A quelle sere che passavamo sdraiati nel mio letto. lei se ne stava appoggiata sul mio petto ad accarezzarmi e io la guardavo, nutrendomi di ogni secondo come fosse stato l'ultimo. Ma dopo così tanto tempo mi resi conto che non ne avevo conservati abbastanza di quei secondi, che non mi erano bastati. Che lei non mi sarebbe mai bastata. A quel punto mi domandai seriamente se fosse tutto veramente finito e se ci stessimo ancora aspettando.

<<Rimarrai il mio più grande "chissà come sarebbe stato", Mihai Kovacs.>> Quella sua ammissioni mandò nel caos il mio mare interiore come un terremoto nelle profondità di quelle acque, oppure come una tempesta che ne scandagliava le acque crudelmente.

Noi eravamo diventati un "sè solo" destinato ad essere per sempre.

Se solo fossimo riusciti a scappare.

Se solo ci fossimo sposati e tutto fosse andato come volevamo.

Se solo Henry fossi stato ancora lì.

Tutti quei dubbi mi nuocevano le carni.

<<Facciamo così.>> Sembrò bastarle un sospiro per tornare in sè.

<<Io accetto il tuo aiuto, ma ad una condizione.>> Non sarebbe stata lei se non avesse provato a patteggiare, ma a me bastava che fosse disposta a lasciarsi aiutare, voleva dire che in fondo anche in lei vi era ancora qualcosa di salvabile.

<<Dica, Mia regina.>> Quando aveva sedici anni la chiamavo "Reginetta" , ma oramai era cresciuta, era diventata una donna potente, amata e odiata, meravigliosamente bella e impeccabile. Aveva tutto ciò che aveva sempre sognato e stava raggiungendo ciò che voleva con caparbia e decisione prendendo le sue decisioni da sola, per quanto a volte affrettate. Come una regina, la mia regina.

<<Una notte.>> Esclamò. <<Voglio una notte con te.>> Bastarono cinque parole per lasciarmi pietrificato.

Una notte con lei sarebbe stato come dare il fatidico morso alla mela proibita del diavolo, quel frutto squisito che ti avrebbe portato a volerne ancora e ancora, fino a che non sarebbe finito e tu saresti rimasto affamato e insoddisfatto. Lei era quel frutto e io quell'affamato ingordo che avrebbe bevuto il suo succo divino rimanendo dipendente a vita. Ero disposto a farlo per scovare la verità che mi aveva tolto più di dieci anni di vita?

<<Non sai cosa stai dicendo Keira.>> Non aveva idea di cosa sarebbe potuto significare ciò che aveva in mente, tornare indietro ci avrebbe travolti entrambi e anche lei, per quanto sicura si sentisse, ne sarebbe rimasta inevitabilmente segnata.

<<Ti sbagli, ma ti lascio un giorno per pensarci.>> La sua mano si scostò dal mio volto per tornare a cingere il mio collo. 

<<Incontriamoci domani sera, alle otto al ristorante dell'hotel "La vue".>> Aveva già deciso ogni cosa e le era bastato qualche secondo, quella mente peccatrice non smetteva mai di produrre pene per i suoi peccato, era sempre pronta.

<<Mi troverai lì.>> Quell'hotel era uno tra i più costosi hotel della città, se non il più costoso ma per lei era come prenotare in un B&B di seconda lega. <<E se non venissi?>> La musica stava per arrivare al suo termine e il ballo stava per concludersi, come anche la nostra conversazione.

<<Troverò la mia verità da sola.>> Agli ultimi istanti di quel lento, ci fu un assolo di violini che velocizzò l'andamento di tutte le coppie che come noi, volteggiavano su quel pavimento cristallino seguendo il ritmo di quelle note. Le afferrai la mano per stringerla alla mia e farla volteggiare in un'ultima piroetta.

Quel vestito nero come la pece si alzò leggermente in aria a causa della velocità, fermandosi di scattò quando la ritrassi a me per farla scendere in un aggraziato casqhè che la portò a doversi completamente affidare e fidare a me e di me. Le mie mani la reggevano in bilico nell'aria ad un soffio dal cadere a terra, una stretta alla sua coscia nuda, l'altra dietro alla sua schiena impedendole di incontrare il pavimento.

Se non si fosse fidata, le sue mani si sarebbero aggrappate alle mie braccia per non rischiare di cadere, invece lasciò cadere le braccia morbidamente all'indietro in una posa elegante e armoniosa, che la lasciò completamente nelle mie mani. Sapeva che non l'avrei mai fatta cadere, non avrei mai permesso che neppure un centimetro della sua pelle candida si macchiasse. La sua chioma ricadde all'indietro insieme alle sue braccia e il suo corpo si lasciò andare permettendomi di aver di lei il solo possesso, per pochi secondi.

Al termine del ballo poi la ritirai in piedi, incontrando quel sorriso arrogante con cui erano iniziate le danze.

<<Quarantacinque milioni ben spesi signor Kovacs, glielo concedo.>> Si avvicinò un ultima volta poggiandomi le mani sul petto e avvicinando quelle labbra proibite al mio collo, lì dove ci si soffermò più a lungo del dovuto. La sentii ispirare e il desiderio di afferrarla fu grande, ma mi trattenni. Così salì fino a raggiungere il mio orecchio. 

<<Non deludermi Riccioli d'oro.>> Sussurrò soave e sensuale prima di poggiare le labbra sul mio collo per lasciarvi un bacio, un contatto che mi fece stringere i denti e contrarre la mascella, portandomi a odiarmi per il desiderio profondo che sentivo di averla. Di scendere a patti con il diavolo.

E così se ne andò lasciando la pista da ballo, me e un patto in sospeso che mi iniziò a soffocare.

Mi aveva fottuto, un'altra volta ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.

Dunque mi diedi un contengo e lasciai anch'io il centro di quella sala con falcate decise e veloci, bisognoso di sentire il calore che mi pendeva sulla pelle, andarsene con una folata di vento di quella nottata fin troppo lunga per i miei gusti. Avevo bisogno di silenzio, aria e solitudine per riflettere.

Mi feci così spazio tra la gente per riuscire ad adocchiare mio fratello con la sua famiglia, ma non mi ci volle molto. Erano di nuovo seduti al tavolo che avevamo occupato per l'asta, che chiacchieravano tranquilli con un calice di champagne in mano e Jacob che saltellava intorno alla madre dicendo qualcosa che, a causa della distanza, non riuscivo a sentire. Mi avvicinai allora sempre di più per raggiungerli, avevo bisogno di andarmene da lì e tornare a casa, per quanto anche quelle quattro mura facesse male, forse anche più di quelle.

<<Ma eccolo qui, ti sei divertito?>> La voce di mio fratello mi accolse con gioia, mentre i miei occhi raggiungevano la figura gracile di quella ragazzina dal vestito rosa che le avevo regalato, con gli occhi bassi sul suo bicchiere ancora pieno. Era strana, diversa da com'era quando l'avevo lasciata poco prima.

<<Dio mio, eravate meravigliosi Mihai, la chimica tra voi due non è svanita.>> Stefany sembrava ancor più felice del marito, ma nessuno batteva il piccolo Jacob che, non appena mi vide, mi corse incontro a braccia aperte saltandomi in braccio e obbligandomi ad avere i riflessi pronti per non farlo cadere.

<<Zio stanotte dormo qui dalla zia! La mamma ha detto che posso e zia Keira ha detto che ha fatto già preparare una stanza per me.>> Quella donna aveva sempre tutto sotto controllo, non mi stupì che avesse già sistemato tutto per l'arrivo di suo nipote. Annuii forzandogli quell'accenno di sorriso che ancora ero capace di fare, era bello vederlo così contento, ma in quel momento non ero in me, avevo bisogno di chiudermi nel mio guscio e aspettare che quel mare si acquietasse. <<Ne sono contento, io ora però è meglio se torno a casa, sono stanco.>> Lo rimisi piano con i piedi e lui annuì comprensivo ma senza accennare a rattristarsi, era così felice che nulla avrebbe mai potuto guastargli l'umore. <<Sì, è meglio se anche noi torniamo a casa, si è fatto tardi.>> Alexei si alzò concordando con me, perchè in effetti era così, si era fatto veramente tardi e neanche me ne ero accorto, stare in quella casa mi aveva prosciugato completamente. Lei mi aveva prosciugato.

<<Voi andate, io porto Jack da Keira e vi raggiungo fuori.>> Il piccolo diede di corsa la mano alla mamma che si guardò intorno per raggiungere la donna che suo figlio tanto adorava, consapevole che lui fosse l'unica vera persona che quella donna avrebbe mai amato con tutta se stessa.

Anche Paige si alzò in piedi, ma al posto di fermarsi al mio fianco, mi superò senza neanche guardarmi per avviarsi verso l'uscita senza aspettarci, lasciandomi interdetto. Quando l'avevo lasciata, prima di andare a cercare Keira era diversa ma comunque rilassata e chiacchierava con mio nipote in tutta tranquillità godendosi la musica. Poi di punto in bianco era cambiata, io le donne non le capivo più.

<<Si può sapere che ha?>> Mi domandai tra me e me ma piuttosto ad altavoce, visto che mio fratello potette facilmente udire ogni parola.

<<Che ha lei non lo so, ma ciò che hai tu è ben visibile.>> Lo sentii ridacchiare sotto i baffi facendomi corrugare la fronte, sarà stata la stanchezza, pensai, ma iniziavo a non capire più nessuno.

<<Che intendi?>> Lo guardai confuso mentre si sfilava dalla tasca del completo, il cellulare aprendo la fotocamera per inquadrarmi e mostrarmi ciò a cui si riferiva, e che probabilmente, dovevano aver visto tutti mentre li raggiungevo.

Il disegno delle labbra di quella donna, sul mio collo, lasciato da quel suo rossetto color ciliegia.

Mi aveva segnato, aveva marchiato ancora il territorio.

Consapevole che mi avesse in pugno, ma le avrei tolto quella certezza perchè a quel punto, ero pronto a giocare ogni mia carta pur di vincere quella partita.  



SPAZIO AUTRICE:


OH non avete la minima idea di cosa ho in serbo per voi ragazze mie, ma vi sarà presto svelato visto che non credo che tarderà ad arrivare il prossimo capito, nel giro di qualche giorno avrete il prossimo, devo solo riuscire a gestire gli impegni ma vi assicuro che ce la farò.

Ad ogni modo, questo ballo è stato alquanto intenso, ormai i sentimenti di Mihai sono chiari anche alla diretta interessata, che sembra avere le idee ben chiare. Lo ha invitato ad una cena in un HOTEL cinque stelle, per parlare del loro piano, sempre che lui si presenti.

Cosa ne pensate?

In ogni caso se la storia vi è piaciuta, se vi va potete lasciare una stellina e scrivermi un bel commento, vi ringrazio per la lettura e al prossimo capitolo.

Ciauuuu <3

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