Painful melody

By Sofiacuofano

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ATTENZIONE: SONO PRESENTI SCENE DI SESSO ESPLICITO E DI VIOLENZA!!! Lei è nata nell'agio della famiglia più p... More

PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
CAPITOLO 39
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
CAPITOLO 42
CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 45
CAPITOLO 46
CAPITOLI 47
CAPITOLO 48

CAPITOLO 29

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By Sofiacuofano


MIHAI

Oggi...

C'erano alte probabilità che ciò che stavo, o meglio, stavamo facendo fosse l'ennesimo errore che ci avrebbe portati a pentirci di averlo anche solo pensato, ma in fondo quel momento sarebbe comunque arrivato presto o tardi quindi scappare era inutile. Anche perchè non era di certo nella mia indole.

Non riuscivo a non sentire comunque quel velo di nervoso che mi infastidiva i pensieri. La mia quiete da quel momento si sarebbe spezzata, il mio silenzio sarebbe stato inondato dal caos e io sarei tornato ad una vita che non mi apparteneva più. Non ero più in grado di gestirla, di controllarla, non la conoscevo più.

Tra quei alti palazzi, i fiumi di gente sui marciapiedi, le colonne di macchine lungo le strade, il chiacchiericcio di parole buttate al vento senza alcun peso da bocche che come ogni giorno respiravano un'aria impregnata di smog. Dopo aver conosciuto la pace della cittadina in cui risiedeva mio fratello con la sua famiglia, avevo ormai capito che quella città così piena e confusionaria non faceva più per me.

Non avevo più bisogno della bella vita, della fama, del successo. Mi erano bastati pochi mesi per comprendere che nella vita vi era molto altro oltre a quelle banalità. Un semplice lavoro da manovale, una casa in prateria, uno stipendio come gli altri e persone intorno a te che non ti guardavano come fossi chissà quale divinità, facendoti sentire costantemente al centro dell'attenzione. Era quello che desideravo e niente più.

Ma prima di buttarmi a capofitto in quella vita monotona e invisibile che tanto ammiravo, vi erano parecchie cose da dover sistemare. Un passato di segreti e bugie, una carriera lasciata in pausa e una fama da abbandonare.

Dentro di me ancora sopravviveva un tassello che si incastrava perfettamente con quella vita, il resto di ciò che ero diventato cozzava pienamente con ciò che i miei occhi stavano osservando dal finestrino della macchina di mio fratello.

Un tempo ero stato il re di quelle strade, di quella gente, di intere città persino al di fuori della California.

Mentre in quel momento, tornando a quella vita, sentivo di non appartenere neanche più a me stesso.

Un leggero peso si appoggiò contro la mia spalla distogliendo la mia attenzione dai ricordi e gliene fui grato, continuare a rivangare il passato avrebbe soltanto reso tutto più complicato.

Abbassai lo sguardo e la vidi.

Eravamo partiti presto quella mattina, prima saremmo arrivati nella nostra vecchia abitazione, prima saremmo riusciti a sistemarci senza farci notare troppo da qualche giornalista. Difatti erano si e no ancora le otto e lei sonnecchiava tranquilla e rilassata contro la mia spalla, con quel viso angelico leggermente corrucciato, quelle labbra rosee schiuse dai sospiri silenziosi e quegli occhioni miele chiusi e contornati dalle folte ciglia lunghe di un nero intenso. Era bella anche mentre dormiva.

L'avevo invitata a venire con noi e non me ne pentivo affatto. Lei era l'unica a ricordarmi la quiete di quel paesino lontano dalla città, riusciva a capirmi per quanto anche con lei avessi dovuto affrontare qualche scontro. Era la mia versione al femminile, o per lo meno la versione del "me stesso" che avevo abbandonato. Quel Mihai raggiante e sempre allegro, in pace con la vita e voglioso di avventura. Lei era così e probabilmente era il fatto che mi ricordasse un po' chi ero, a farmi avvicinare così tanto a lei anche se era la cosa più sbagliata che potessi fare. Non per me bensì per lei, ma lo faceva sembrare così facile e giusto che semplicementelasciavo che accadesse, che si avvicinasse cauta e con piedi di piombo lasciandomi conoscere chi fosse.

Sarebbe stata a casa con noi, Jacob ormai la adorava e mio fratello sembrava averla accettata volentieri. L'unica a storcere il naso era Stefany, il chè non mi stupì per niente ma conoscendola meglio avrebbe imparato ad apprezzarla anche lei. Doveva solo scostarsi dalle sue sicurezze.

<<Allora, come ce le dividiamo le stanze?>> La voce di mio fratello si fece più calma e soffice, aveva notato dallo specchietto retrovisore interno che Paige si era addormentata e non voleva che disturbarla. <<Che intendi?>> Da ciò che mi avevano detto la casa non era mai stata toccata neanche minimamente, era rimasta quella casa che ricordavo dove eravamo cresciuti io e mio fratello dopo aver abbandonato la Moldavia e dopo la perdita dei nostri genitori. Non capivo cosa volesse dire.

<<In casa ci sono tre camere da letto Mihai, te lo ricordi no?>> Mi domandò. <<Una era la mia, una era la tua e una era... era quella di Henry.>> Il suo tono si fece più sofferente nel ritornare a ricordare ciò che avevamo entrambi accantonato. Perchè sì, per lo ricordavo bene. Quel ragazzo era diventato parte integrante della nostra famiglia, gli avevamo riservato una camera tutta sua in casa nostra, aveva un posto a tavola e un angolo nella dispensa. Era stato come un terzo fratello per noi.

Ma noi eravamo cinque e tre stanze erano troppo poche. Alexei e Stefany avrebbero ovviamente dormito insieme ma restava comunque il fatto che dovevamo dividerci due stanze in tre, e il pensiero che qualcuno toccasse gli spazi di Henry mi infastidiva. Non ci avrebbe dormito nessuno.

<<Vorrà dire che dormirò sul divano e Paige e Jacob dormiranno in camera mia.>> Era l'unica possibilità, non avrei lasciato che qualcuno toccasse la camera del mio migliore amico, quegli spazi erano suoi, quell'aria ero certo che sapesse ancora della sua risata. Quella camera non si sarebbe dovuta aprire e mio fratello lo aveva capito.

<<Sì! Dormirò con zia Paige.>> Esultò il piccolo bambino alla mia destra guardandomi con quegli occhioni blu, raggianti di felicità. <<No!>> Obbiettò la madre. <<Non se ne parla proprio.>> Fu categorica.

<<Punto primo di zia ne hai una non due, punto secondo non farò dormire mio figlio con una sconosciuta.>> Sul viso di suo figlio si disegnò un broncio che sarebbe potuto anche arrivare a terra tanto che era basso. Si era affezionato alla ragazza che dormiva profondamente contro la mia spalla, sua madre invece non tanto. <<Shh! Non urlare.>> Le bisbigliò suo marito ricevendo un'occhiataccia, a quella donna non importava che Paige si svegliasse, era inferocita e furente dall'inizio del viaggio. <<Shh un corno!>> Sancì. <<Visto che ti sta così bene questa bella situazione te la sistemo io in un secondo.>> Era furiosa. <<Mio figlio dorme con me e tu dormi con tuo fratello sul divano letto, ti è chiaro?!>> Alexei sembrò aver appena udito una bestemmia. <<Che cosa? Ma amore quel divano era scomodo già dodici anni fa, pensa ora, mi sveglierò tutto indolenzito.>> I loro bisbigli mi avevano già stufato, i litigi mi innervosivano. <<Oh povero piccolo, se non ti sta bene puoi sempre dormire sulla sedia a dondolo in veranda.>> Si fece beffa della sua desolazione.

<<Tesoro non fare così, a Jacob non dispiace dormire con Paige, hanno fatto amicizia.>> Stava cercando in tutti i modi di accaparrarsi il posto nel letto accanto a sua moglie, che invece però sembrava irremovibile.

<<Alexei Stelian Kovacs, vedi di smetterla.>> Lo ammonì perentoria tirando fuori anche il secondo nome di mio fratello, con uno sguardo che avrebbe fatto rabbrividire anche un gigante, il fatto che all'ultimo avessi fatto aggiungere anche Paige non le andava per niente giù ma prima o poi avrebbe accettato la cosa. Era una brava ragazza, si sarebbero capite dopo non molto.

<<Oh, guardate! Quella è la zia Keira.>> Il mio sguardo quasi istintivamente si voltò nella direzione in cui puntava la mano piccolina di mio nipote, proprio come fecero anche gli occhi di mia cognata e per qualche istante, scostandosi dalla strada, anche quelli del mio gemello.

I muscoli si tesero sotto la maglia e il fiato sembrò non servirmi più.

Se avessi potuto rappresentare la oscura attrazione che provava ogni dannato per l'inferno, l'avrei fatto così.

Con la regina degli inferi al centro del suo caos.

Alle porte di Los Angeles vi era lei, protagonista di una pubblicità di intimo femminile, che posava per la nuova linea di Victoria Secret's alle prese con il suo secondo lavoro, che le riusciva dannatamente bene come ogni cosa che faceva.

Indossava, o meglio, l'unica cosa che copriva il corpo del demoniaco era una lingerie di fili e pizzo, formata da un corsetto che le strizzava il seno modellandosi su quei fianchi stretti, legato poi con dei laccetti al tanga quasi inesistente che le scompariva tra le cosce, e al reggicalze in pizzo che si legava alla calzamaglia di un nero trasparente, che si prolungava lungo quelle gambe lunghe e slanciate finendo nelle scarpe con il tacco che portava ai piedi.

In quello scatto era in posa seduta con le gambe aperte, le mani tra i capelli scuri e scompigliati e il viso contratto in un'espressione di piacere con le labbra schiuse e quegli occhi blu, quei dannatissimi occhi zaffiro che ti guardavano grondanti di peccato introducendoti all'inferno. Era talmente bella da far male, proprio come il diavolo. Una sirena degli inferi. Posta in alto in un cartellone pubblicitario tra i più grandi che erano appesi sui palazzi di quella città, così che tutti potessero sempre ricordarsi chi era al comando da quelle parti.

La sola e una regina di Los Angeles.

<<La mia amica non perde mai un colpo cazzo.>> La fierezza con cui Stefany esclamò quelle parole destava il rapporto di stima reciproca che provavano quelle due nei confronti dell'altra, un'altra donna al suo posto forse non avrebbe guardato di buon occhio una cosa simile, ma lei era sempre molto orgogliosa di qualsiasi cosa facesse la sua migliore amica. Era sempre stato così. <<La naiba.>> "Accidenti" mormorò mio fratello ricevendo una sberla dietro alla nuca dalla sua compagna. <<Vedi di tenere gli occhi sulla strada, anche se parli in rumeno ti capisco.>> Dopo dieci anni di matrimonio qualche termine in rumeno lo aveva imparato e mio fratello non aveva più scampo ormai, ma le loro parole mi arrivarono lontane e ovattate, il loro chiacchiericcio fastidioso mi toccò ma quasi impercettibilmente visto che la mia attenzione era totalmente rivolta verso di lei.

Santo cielo, quanto la odiavo.

Odiavo non riuscire a non esserne dipendente come ogni uomo che l'avesse mai vista.

Odiavo sentire ancora quel desiderio irrefrenabile al solo pensiero di toccarla.

Odiavo sentire quel fastidio nel petto all'idea che tutto il mondo la potesse guardare su quel cartellone, vestita della sua carne.

Mi costrinsi ad abbassare lo sguardo per ricordare a me stesso che oltre all'odio non vi era altro invece, per quanto fossi conscio di star illudendo ancora quel ragazzo di vent'anni innamorato di una donna che gli aveva fatto un brutto incantesimo. Scostai gli occhi da quella strega e fu allora che mi accorsi di due perle miele che mi osservavano deluse, forse ferite. Alla fine l'avevamo svegliata e aveva notato come il mio sguardo si fosse fissato su quella donna senza riuscire a darsi pace. Quasi però si rese conto che la stavo guardando, forzò un sorriso e fece finta di niente tornando a guardare la città che ci circondava con quella luce, un po' fioca ormai, di ammirazione verso qualcosa di così grande e nuovo per lei. Sembrava star vivendo un sogno.

Una bambina a cui veniva consegnato il suo pacco regalo il giorno di Natale, i suoi occhi si rispecchiavano in quell'immagine così genuina e pura che mi rilassai, era così felice da illuminare chiunque.

E rimase così, per tutto il resto del tragitto, con lo sguardo rivolto verso la città e in silenzio distratta nel suo disperso osservare tanto che sembrò non udire nemmeno le conversazioni degli altri tre che erano seduti in macchina con noi. Stefany aveva raccontato qualche aneddoto a suo figlio sulla nostra vecchia casa che stavamo per rivedere, gli raccontò le nostre avventure e mi parve di rivivere tutto da capo fino a quando non la rividi davvero e per un istante tornai indietro seriamente.

A quando avevamo comprato quella casa per iniziare una nuova vita. A quei tempi già conoscevamo Henry, lo avevamo incontrato ad uno dei miei concerti e a quel punto eravamo diventati inseparabili, tanto che ci aveva aiutato a trovare un posto dove stare nella sua città per farci stare più vicini a lui.

<<Cazzo è perfetto qui.>> Ricordavo le loro parole a meraviglia, sia quelle di mio fratello che le sue.

<<Starete bene e poi ho riservato una camera per il sottoscritto così da potervi infastidire quando voglio.>> Ci aveva avvolto le braccia intorno al collo mentre ammiravamo la nostra casa, fermi nello stesso punto in cui ero fermo io in quel momento. <<Se russi mentre dormi ritieniti già cacciato.>> Lo avevo minacciato sentendo la sua risata scaldare quell'atmosfera di pace e allegria.<<Vorrà dire che mi legherò alla casa così non potrete mandarmi via.>>

I ricordi erano tornati a farsi vivi nella mia testa facendomi partire un emicrania fastidiosa che mi pulsava contro le tempie, sapevo che tornare avrebbe voluto dire rivivere giorno per giorno l'atroce agonia della memoria, ma avevo nettamente sottovalutato la cosa. Quella ferita era ancora viva persino dopo dodici anni.

Il calore del mio gemello mi raggiunse e la sua mano si posò sulla mia spalla. Sapeva a cosa stessi pensando, conosceva il perchè del mio blocco ed era conscio di dove si era disperso il mio sguardo. Quei ricordi appartenevano anche a lui.

<<Încă îi aud vocea.>> "Riesco ancora a sentire la sua voce" sussurrai distratto.

<<Pentru că este încă aici, nu a plecat niciodată.>> " Perchè è ancora qui, non se n'è mai andato" per noi lui era ancora lì, ancorato al nostro passato, alla nostra memoria logorata.

<<Papà mi aiuti?>> Alexei si distrasse nel vedere suo figlio con uno dei nostri borsoni caricato in braccio, così si allontanò per aiutarlo prendendoglielo dalle braccia che non riuscivano a reggere un tale peso.

Dunque smisi anch'io di pensare e mi accomodai a loro per aiutarli a scaricare le nostre cose dalla macchina, le mie si racchiudevano nel mio borsone sporco e vecchio che usavo da tempo, quelle di Paige in una valigia non troppo grande, come anche quella di mio nipote e di Alexei, mentre il resto era totalmente occupato dalla roba di Stefany che si era portata dietro tutta la casa impaurita forse che stessimo andando in guerra.

Feci strada a Paige verso il piano di sopra mentre le grida sprizzanti di allegri di mio nipote, riempivano quella casa vuota e fredda che odorava di momenti dolorosamente felici del passato, ogni parte, ogni angolo, ogni centimetro di quell'abitazione sapeva di cose che non sarebbero più tornate.

Aprii la porta di quella che per un lungo lasso di tempo era stata la mia camera, lasciando entrare con me anche la ragazza alle mie spalle. <<Ti piace?>> Domandai alla moretta che mi passò a fianco trascinando il suo trolley con lo sguardo che vagava in giro, con una velata curiosità che non voleva apparire inopportuna. Non era cambiato veramente niente con gli anni, ogni cosa era rimasta come l'avevo lasciata. Sulle pareti erano appese le riproduzioni dei miei dischi di platino, quelli veri dovevano essere ancora nel nostro vecchio studio di registrazioni di mio fratello che ancora portava avanti facendo da manager alle star del momento.

<<Me la immaginavo proprio così.>> Poggiai il borsone a terra per avvicinarmi alla finestra e aprirla per far entrare la luce in quella stanza, dove era sopravvissuto il buio per oltre un decennio. Mio fratello aveva chiesto a una donna delle pulizie di tirarla a lucido prima del nostro arrivo, infatti tutto era pulito e sistemato, lasciato così come l'avevo lasciato io, ma comunque quella stanza sapeva di vecchio. <<Così come?>> Mi sedetti sul letto sistemato con le lenzuola pulite che la donna delle pulizie aveva messo il giorno prima, cosciente che saremmo arrivati. Paige si guardava intorno facendo passi lenti e distratti sfiorando appena gli oggetti che vedeva.

<<Così da te, minimale ma con tutto ciò che più ti interessa.>> In effetti non si sbagliava, in quella stanza vi era tutto ciò che ero stato e niente di più. La musica, i miei obbiettivi raggiunti, i traguardi che avevo superato insieme a mio fratello. Tra quelle mura c'era tutto ciò che ero stato, i testi delle mie canzoni scritte su dei fogli vecchi erano appesi alla mia bacheca posta sulla scrivania, gli scatti che mi venivano fatti durante i concerti erano appesi alle pareti e lì si poteva vedere ciò che non ero più. Non ero più quel ragazzo di vent'anni pieno di vita e innamorato di ciò che si era guadagnato. Ormai ne avevo trentadue e di me rimaneva soltanto l'ombra di ciò che ero stato. <<Sei cambiato tanto.>> Avvicinò quelle dita piccole ad uno dei quadri sfiorando la mia immagine come a voler sentire l'adrenalina di quei momenti. <<Ero più giovane lì.>> Dodici anni pesavano su ogni centimetro di me. <<Non intendo questo.>> Mi contraddisse per quanto avessi ragione. <<Qui brillavi.>> Non serviva che mi avvicinassi per controllare che fosse così, sapevo che a quell'età, in quei momenti ero tutto ciò che avevo sempre sognato di diventare fin da piccolo. In quel periodo vivevo la vita senza pensare al domani, perchè il presente era così assurdamente perfetto da strapparmi al futuro. Con il tempo però capivi che era tutto sbagliato, nulla era perfetto.

<<Lì ero ancora vivo.>> Brillavo di vita.

<<Lo sei ancora Mihai, devi solo ricordare com'era.>> Com'era sentirsi così bene con se stessi, riuscire a dimenticare i dolori per vivere solo e soltanto di vittorie e traguardi che mi portavo a casa grazie al mio talento e all'aiuto del mio gemello, tutto era così dannatamente perfetto che mi sentivo un'idiota al solo pensare che al tempo seriamente credevo che tutto potesse essere così fantastico.

Si mosse ancora avvicinandosi alla cassettiera su cui erano poggiate alcune foto vecchie, in una c'erano i miei genitori, in un altra c'eravamo mio fratello ed io al mare e nella terza al centro c'eravamo io, lui e Henry.

La sua curiosità si soffermò sulla terza, che prese tra le mani per guardarla meglio. Un senso di fastidio allora mi prese a pungere le mani tanto che mi sentii d'un tratto irrequieto, c'erano molte cose che non sapeva e molte altre che non doveva conoscere. <<Lui chi è?>> Lo indicò chiedendomi con ingenuità chi fosse il ragazzo seduto sulle mie spalle in quella foto, in quella foto dove sorridevamo tutti e tre insieme come non accadeva da anni e come non sarebbe più accaduto.
Mi alzai e con poche falcate la raggiunsi togliendogli la cornice dalle mani, avrei dovuto togliere le foto in cui c'era anche lui, facevano male, dannatamente male. <<Qualcuno che non c'è più.>> Il sorriso sul suo volto svanì gradualmente fino a che la sua allegria non lasciò il posto a un dispiacere che non sopportavo, la pena altrui era un sentimento che disprezzavo. Nessuno doveva provare pena per me.

<<E' il fratello di Keira?>> Le era bastato guardarlo bene per arrivarci e in fondo non ci voleva poi molto. Lui e Keira erano molto simili in alcuni tratti del viso, avevano gli stessi occhi e capelli della stessa tonalità di castano scuro. Quelle parole mi infuocarono i pensieri.

"Il fratello di Keira"

No, non era solo quello pensai.

Era stato la mia spalla, il mio complice e il mio migliore amico, quella donna non era stata l'unica ad aver perso qualcuno di importante per sè, anch'io avevo perso una parte di me con la sua morte.

Non mi stupì però che lo sapesse, alla fine la notizia era apparsa su tutti i giornali, tutti sapevano cosa era successo o per lo meno le menzogne che erano state raccontate a tutti mentre ero in carcere, idiozie continue, interminabili.

Le tolsi la foto dalle mani e la ripoggiai al suo posto togliendole la possibilità di guardarla ancora allungo.

<<Il limite Paige, non te lo dimenticare.>> Le avevo imposto un limite da non oltrepassare sugli argomenti della mia vita che la incuriosivano così tanto, cose che non volevo che sapesse perchè il passato in quanto tale non sarebbe tornato. Coloro che lo conoscevano erano già fin troppi. <<Hai ragione, però vorrei sapere qualcosa di più su di te, non so nient'altro oltre all'omicidio e alla tua fama.>> Voleva addentrarsi nel mio buio inconsapevole che non vi era spazio per lei, non c'era spazio per nessuno, nessun altro in più di quei pochi che già ne avevano preso parte. <<Ed è giusto così, non serve che tu sappia di più.>> Fui austero e gelido nel risponderle e questo la portò a tacere e accettare le barriere che avevo costruito tra me e lei. Il fatto che avessi scelto di portarla con me non doveva influenzare il nostro rapporto, non voleva dire nulla di più di quanto non avessi già deciso, non doveva illudersi di poter avere di più. <<Ora svuota le valige, tu dormirai qui.>> Mi avvicinai alla cassettiera per farle spazio tra i miei vestiti vecchi per far sì che avesse modo di mettere la sua roba in ordine, nel terzo e nel secondo vi erano le mie cose, così aprii il primo per concederle di avere il più in alto nonchè il più comodo.

Ma quando lo aprii mi paralizzai.

Non era cambiato nulla quando invece forse qualcosa sarebbe dovuto cambiare.

La mia mano sfiorò quei tessuti, le mie dita tremavano nell'afferrare una di quelle maglie da cui ancora proveniva il suo profumo, dopo dodici anni ancora riuscivo a sentirne la fragranza, come poteva essere possibile? Mi domandai tra me e me iracondo con le sensazioni che ancora mi causavano.

La sua roba era lì, le cose che le avevo concesso di portare da me per essere più comoda nelle notti che passava da me, i suoi vestiti erano ancora nel cassetto che avevo svuotato per lei. Quanti errori che avevo commesso nella mia vita.
Con ripudio ributtai quell'indumento nel cassetto aperto e mi avvicinai all'armadio aprendo le ante con un impeto furibondo, anche lì, persino lì c'erano ancora alcune delle sue cose appese insieme alle mie. In quella casa era viva ancora persino la ragazza di cui mi ero innamorato, no, non poteva essere possibile.

Le sue cose erano ovunque, sparse nei miei cassetti e nel mio armadio.

<<Sono ciò che penso vero?>> Mi guardò ancora come mi aveva guardato in macchina ma feci di tutto per non incontrare il suo sguardo, non le dovevo alcuna spiegazione, soprattutto perchè non c'era nulla da spiegare visto che era piuttosto palese. Li strappai dalle grucce buttandoli sul letto e aggiungendo anche quelli che erano nel cassetto creando così un montone di suoi vestiti, li afferrai a due mani e uscii dalla stanza con passo spedito scendendo le scale alla svelta.
Attraversai il salotto e uscii dalla porta della veranda per raggiungere il giardino sul retro buttando i suoi vestiti a terra come fossero stati stracci, per quanto invece valessero economicamente molto visto ciò che si poteva permettere. <<Ehy, ma che fai?>> La voce di mio fratello sopraggiunse alle mie spalle mentre aprivo una delle taniche di benzina poggiate a terra per fare ciò che desideravo, ciò che mi avrebbe aiutato a eliminare tutto senza più darmi la possibilità di tornare indietro. <<C'erano ancora i suoi vestiti in camera mia Alexei, il suo profumo è ancora lì dentro.>> E sarei impazzito se non avessi bruciato ogni cosa, non avrei sopportato una cosa simile, non le avrei concesso ancora dello spazio nella mia vita. <<E lì vuoi bruciare?>> La sua domanda fu retorica visto che ero già intento a versare sulla montagna di abiti litri e litri di benzina senza il minimo contegno. Non doveva rimanere altro che cenere, come ciò che sarebbe rimasto di lei alla fine dei miei giorni in quella città.

<<Hai un accendino?>> Buttai la tanica vuota a terra con noncuranza e allungai una mano verso di lui che mi guardò tentennante, stavo per fare un falò con tutto ciò che mi rimaneva di lei, per quanto ancora non avevo neanche controllato se ci fosse stato altro in giro. Forse in fondo non volevo saperlo. Forse volevo che un giorno, aprendo un altro dei miei cassetti, avrei trovato altre cose sue, altri piccoli pezzi di lei che aveva lasciato a me.

E a quel punto non sapevo cosa avrei fatto, se avrei buttato via tutto ancora bruciando ogni cosa o se mi sarei seduto con quel pezzo di lei ricordando i momenti passati insieme in camera mia. Lì dove eravamo liberi di essere noi stessi, lontani da tutti. <<Ne sei sicuro?>> Infilò una mano in tasca guardandomi con esitazione, voleva che ci ragionassi meglio ma più perdevo tempo a pensarci più sentivo quella decisione abbandonarmi, dovevo muovermi in fretta prima che il mio subconscio mi avesse fatto cambiare idea. <<Dammelo.>> Quindi mi porse l'accendino che feci scattare facendo partire la fiamma prima di buttarlo sulla montagna di vestiti impregnati di benzina.

In un attimo ogni cosa prese fuoco.

Di fronte ai nostri occhi presero vita le fiamme.

Lentamente ogni cosa che avevo di lei stava diventando cenere alzandosi in cielo in una striscia di fumo scuro che raggiungeva il cielo, facendo ciò che solo lei era capace di fare, ossia macchiare di oscuro peccato persino la cosa più pura e viva che esisteva.


SPAZIO AUTRICE:

Il ritorno in città è avvenuto e da qui in poi posso assicurarvi ragazze mie che non vi farò stare poi tanto tranquille. Mihai ha concesso alla piccola Paige di invadere i suoi spazi, spazi però che erano già in possesso della nostra Keira del passato.

Cosa ne pensate?

In ogni caso se la storia vi è piaciuta, se vi va potete lasciare una stellina e scrivermi un bel commento, vi ringrazio per la lettura e al prossimo capitolo.

Ciauuuu <3

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