Painful melody

Por Sofiacuofano

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ATTENZIONE: SONO PRESENTI SCENE DI SESSO ESPLICITO E DI VIOLENZA!!! Lei è nata nell'agio della famiglia più p... Más

PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
CAPITOLO 39
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
CAPITOLO 42
CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 45
CAPITOLO 46
CAPITOLI 47
CAPITOLO 48

CAPITOLO 28

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Por Sofiacuofano


KEIRA


Dodici anni prima...

Lo odiavo.

Lo odiavo perchè mi aveva segretamente costretta a stare alle sue regole distruggendo l'unica cosa che mi avrebbe potuta tenere in contatto con la mia famiglia. Lo odiavo perchè riusciva sempre a mandarmi fuori di testa controbattendo a tutto ciò che gli dicevo, riuscendo persino nell'impossibile ovvero togliermi le parole di bocca, non era mai esistito nessuno nella mia vita in grado di farlo eppure dopo averlo conosciuto avevo imparato a mettere in dubbio parecchie mie certezze.

Lo odiavo non mi parlava più dopo il litigio di poco prima e io continuavo comunque a sentire il bisogno di rivolgergli la parola per chiarire, non riuscivo più a sopportare quel silenzio angosciante quando per giorni mi aveva abituata al calore dell'allegria. Lo odiavo perchè era riuscito a farmi sentire tremendamente in colpa e lo odiavo ancor di più per il semplice fatto che ero più che certa che non sarei potuta sottostare alla sua richiesta.

Dimenticarlo, dimenticare l'uomo che mi aveva aperto le porte del piacere, credeva nell'impossibile.

Lo odiavo perchè lo volevo, perchè mi faceva sentire così nervosa sapere di non rivederlo più, perchè era riuscito a infondere in me delle insicurezze che non riuscivo a gestire e più il tempo si faceva sempre meno più entravo nel panico. Non volevo che se ne andasse, non volevo che tutto finisse così.

Si era seduto in fondo al jet, con gli auricolari nelle orecchie, la nuca poggiata contro il poggiatesta e gli occhi chiusi, doveva star riascoltando le registrazioni del suo concerto, ipotizzai. In ogni caso non era mentalmente presente, aveva già iniziato ad evitarmi. Era così dannatamente odioso!

<<Tesoro se continui così, finirai per bucare i braccioli della poltrona con le unghie.>> Alle parole di Stef allentai la tenacia con la quale stavo stringendo il tessuto della poltrona tra le mani senza accorgermene, stavo perdendo la pazienza o forse l'avevo già persa e me la stavo prendendo con qualcosa per sfogarmi inutilmente.

Una cosa però era certa, se non fossi uscita al più presto da quel jet sarei impazzita.

<<Si può sapere come fa a stare così tranquillo, dopo un litigio è come se non fosse successo nulla per lui.>> Parlai sottovoce anche se ero certa che con le cuffie nelle orecchie non avrebbe sentito neanche se ci avessero bombardato, era completamente disperso nel suo mondo di musica e fama. Allungai il collo per guardarlo meglio voltando il capo all'indietro, era ancora così, occhi chiusi e corpo rilassato, per lui era come se nulla fosse successo. <<E' tutta apparenza Kei.>> Mi contraddisse il suo gemello. <<Ascolta la musica per chiudersi in se stesso e intanto dentro di sè, è in atto un monologo interiore, sta soltanto ragionando.>> Lo conosceva molto bene, probabilmente perchè in quanto gemelli in fondo in vari aspetti erano molto simili e forse entrambi quando avevano bisogno di ragionare, agivano alla stessa maniera. Non conoscerli bene come avrei voluto mi portava a sentirmi fuori posto lì in mezzo a loro, ma sapevo che con il tempo avrei imparato a capirli.

<<Beh se magari ragionasse con me, invece di farlo da solo, forse riusciremmo a rendere il tutto più facile.>> Non avevo mai avuto bisogno di chiarire con nessuno perchè ero abituata a vedere tutti darmi ragione in ogni momento, nessuno aveva mai il coraggio di contraddirmi o di voler inscenare un litigio con me, ma sapevo in ogni caso che per riconciliarsi bisognava trovare un punto di incontro, quel centro che lui stava evitando e forse non aveva poi tutti i torti. Lo avevo fatto penare fin troppo, era stanco di corrermi dietro e non potevo biasimarlo, mi sentivo uno schifo per questo ma non capiva che per me era tutto così nuovo da mandarmi nel pallone. Lo odiavo. <<Finireste con il litigare ancora.>> Incrociai le braccia al petto irritata dalla voce della verità di mio fratello che non sbagliava mai, era vero, avremmo finito con il tuffarci in un altro litigio ma non era quello il punto, io volevo chiarire ma se lui non mi parlava come potevo anche solo provarci?

<<Non voglio litigare, voglio chiarire.>> Erano due cose distinte e separate, volevo solo che la pace non cessasse di esistere così brutalmente. <<Se è vero allora prima non avresti dovuto attaccarlo così, piccoletta.>> I suoi richiami mi infastidivano sempre, mi faceva sentire una bambina soprattutto perchè aveva sempre e costantemente ragione. <<Mi ha rotto il cellulare, cosa dovevo dirgli? Bravo?!>> Sapevo forse di star sembrando infantile ma non me ne importava, quel ragazzo mi stava tirando all'esaurimento, non riuscivo più a ragionare con lui nei paraggi. <<Oh di' la verità tesoro, non te ne frega un cazzo del telefono in sè per sè.>> Ridacchiò Stefany poggiando il mento sul palmo della mano per guardarmi meglio, portando ad ammettere ciò che in fondo sapevo anch'io. <<Volevi che il litigio si concludesse con lui che ti chiedeva scusa per averlo fatto e tu gli avresti risposto "tranquillo Mihai, scopiamo e sarà acqua passata".>> Il modo con cui rese la voce più stridula e insopportabile mi irritò, sopratutto perchè era scontato che mi stesse tentando di imitare, ma non riuscii a non trattenere un sorrisetto sornione nel vedere gli altri due ragazzi ridacchiare. <<Non parlo così, stronza.>> Le tirai una sberla sul braccio. <<Beh il succo è in ogni caso che sei troppo abituata a vincere un litigio, ma non sempre si risolve tutto solo trovando un colpevole, un problema si supera insieme Kei.>> Mi spiegò. <<Ha tentato in tutti i modi di farsi vedere perfetto ai tuoi occhi, non ti sembra il caso ora di ripagarlo in qualche modo?>> Ripagarlo. Cedere per la prima volta, tentare di risolvere senza far scoppiare un'altra rivolta, non ero sicura di poterci riuscire ma potevo provarci. Ancora una volta, voltai lo sguardo indietro per guardarlo, non si era mosso di una virgola e il fatto che avesse gli occhi chiusi almeno mi permetteva di guardarlo senza farmi scoprire.

Perchè doveva essere così difficile riuscire a far andare bene le cose tra di noi? Mi domandai tra me e me.

Quando eravamo soli, stretti l'uno all'altra stavamo così bene, in armonia, poi bastava una virgola al posto sbagliato in una frase per far andare tutto all'altra.

La voce del pilota interruppe i miei pensieri, ci chiese di allacciare bene le cinture perchè eravamo prossimi all'atterraggio e così facemmo preparandoci al nostro ormai imminente rientro nella nostra enorme e colorata città del caos.

Una sensazione di disagio mi pervase il petto, tutto stava per concludersi, la mia monotona e ripetitiva vita stava tornando e non riuscivo ad accettarlo, non volevo che tutto tornasse come prima, ero stata talmente bene che sentivo un nodo alla gola al solo pensiero che quei momenti non sarebbero tornati.

Fuori dal finestrino si vedevano le case, i palazzi e le macchine farsi sempre più nitide, non vi era più San Francisco o New York ad attenderci, ma una tra le città più belle al mondo che in quel momento, ai miei occhi, parve soltanto come una casa che mi stava fin troppo stretta.

Il fracasso all'atterraggio ci scombussolò leggermente, poi la velocità con cui atterrammo sulla pista, si attenuò gradualmente, da che correvamo a che lentamente arrivammo a rallentare fino a fermarci completamente. Come era solito ad ogni atterraggio, anche se dovevo ammettere che avevano assunto un pilota che se la cavava veramente bene. <<Casa dolce casa, si ritorna alla nostra vita abituale ragazzi miei.>> Sospirò mio fratello ammirando la città fuori dal finestrino. Quando ci fu concesso, ci slacciammo le cinture e ci tirammo in piedi, sentii le gambe doloranti dopo un viaggio interminabile che nella mia mente, era durato anche fin troppo poco.

<<Le valigie le prenderanno i nostri uomini, possiamo scendere.>> Ci spiegò Alexei facendoci segno di raggiungere l'hostess che ci stava aprendo lo sportello per farci scendere. La storia era finita, la favola si era conclusa, la magia era terminata.

Feci un passo avanti per raggiungere l'uscita, ma prima che riuscissi a inserirmi nel corridoio tra i sedili, Mihai mi passò di fronte tagliandomi la strada per passare prima di me, con una camminata svelta e decisa. Se ne stava andando senza neanche salutare. Stava facendo finta che non esistessi e che quello fosse stato uno dei suoi tanti tour, senza badare troppo ai momenti vissuti insieme.

Il solo fatto che se ne stesse andando così, mi causò un bruciore insopportabile al petto, un senso di sofferenza e delusione mischiate insieme nel connubio più doloroso che esistesse. Sapevo che era ferito ma non volevo che tutto finisse così, tutto ciò che c'era stato, stava svanendo in un fresco venticello pungente.

No, non lo avrei permesso.

Feci un respiro profondo e lo seguii velocizzando il passo, quando gli fui dietro lui era ormai già alla fine delle scale che portavano giù dall'aereo, così presi a scenderle sveltamente decisa a fermarlo; se voleva concludere tutto così che lo facesse, ma almeno doveva degnarsi di farlo dicendomi addio una volta per tutte guardandomi negli occhi, pensai.

<<Mihai!>> E ancora, mi trovai ad inseguire lo stesso ragazzo, l'unico ragazzo che mi aveva completamente scombussolato l'esistenza. Non mi ero mai sprecata per inseguire qualcuno, ero dell'idea che se era arrivato il momento di dividersi, non poteva esserci nulla che cambiasse le cose. Ma in quel momento l'artefice di quel cambiamento, sarei stata io. Non lo avrei perso per un capriccio.

<<Sali sulla macchina di tuo fratello Keira.>> Mi ordinò, senza neanche guardarmi negli occhi. Camminava deciso e a passo concitato per raggiungere la macchina del suo gemello, dandomi la schiena mentre io lo seguivo tentando di stargli dietro. Per quanto mi fosse possibile, visto che più mi sfuggiva, più si creava una distanza incommensurabile tra di noi. <<Prima parliamo.>> Alzai la voce per farmi sentire. <<Non te ne andrai senza prima aver parlato con me, stavolta sul serio.>> Mi ero imposta sul suo volere anche a New York e mi aveva risposto che non ero nessuno per dirgli cosa fare, che non potevo comandare anche lui, ma in quel momento non volevo comandarlo. Volevo che mi guardasse.

<<Ci siamo già detti tutto.>> Non voleva saperne di fermarsi. <<Invece no!>> Tuonai sentendo la gola bruciare. <<Non ho finito con te, Mihai Kovacs.>> Sentivo gli occhi pungere a causa delle lacrime che mi ostinavo a trattenere, piangere era da deboli, con questa credenza mi aveva cresciuta mia madre, ma sentivo che perderlo mi avrebbe fatto più male di un taglio in pieno petto e le lacrime, non erano altro che uno sfogo della sofferenza che stava incombendo in me.

<<Cos'altro vuoi da me!?>> Si girò di colpo furioso e stanco di quel continuo inseguimento che c'era tra di noi, era un susseguirsi di botta e risposta, inseguimenti continui e urla che non finivano mai. Eppure non volevo che tutto finisse. Al di fuori di quei momenti c'erano anche felicità, spensieratezza, passione e allegria. Con lui ero viva. <<Siamo a casa ormai Keira.>> A dividerci vi erano due metri buoni. <<Torna da lui.>> In viso stava diventando di un porpora vivo spinto dalla collera. <<Torna da colui che ti potrà dare ciò che da me non hai voluto e finiamola qui.>> Era amareggiato, ferito, deluso, riuscivo a sentire sulla pelle il rimprovero interiore che si stava facendo dall'inizio del viaggio, il pensiero che lo ammattiva, la consapevolezza di non essere riuscito in qualche modo a far andare le cose come desiderava.

<<No!>> Ribettei. <<Non finirà nulla così.>> I miei passi iniziarono a riempire la distanza che ci stava allontanando. <<Non sceglierai tu il finale della storia.>> Obbiettò deciso a voler rimanere fermo e indifferente di fronte alla distanza che aveva lasciato tra me e lui. Io invece no, non avrei permesso che l'unica cosa bella che mi era capitata mi sfuggisse dalle mani perchè qualcuno voleva così, i miei genitori non mi avrebbero mai potuto dare la felicità che lui mi aveva regalato in pochi attimi. Dopo anni, ancora neanche Cornelius era riuscito a farmi sentire come lui mi aveva fatta sentire in pochi giorni.

<<Non posso perchè lo hai già scelto tu, vero?>> Mi feci sempre più vicina.

<<Come si sarebbe dovuta concludere la nostra favola, secondo il tuo finale Mihai?>> Quando il suono armonioso del suo nome scivolò sulle mie labbra ormai a dividerci c'erano meno di dieci centimetri, una distanza tutto fuorchè ottimale per il mio corpo che sensibile, reagì alla sensazione del suo corpo torreggiante e impetuoso a pochi attimi da me. Mi guardava dominante, con quelle sue pietre blu ridotte a due fessure e la mascella contratta in una morsa di rabbia.

<<Non avrebbe avuto un finale.>> Lo sentii fremere sotto il tocco delicato della mia carezza sulla sua guancia ispida. <<L'ultima cosa che avrei voluto sarebbe stata porre fine ai miei attimi con te.>> Ringhiò infuriato lasciando che lo sfiorassi, così intoccabile e alcun tempo desideroso di essere amato, non aveva paura dei sentimenti semplicemente temeva di essere ferito. Questo lo spingeva ad allontanarsi da me.

<<Non parlare al passato.>> Le mie braccia cinsero il suo collo per avvicinarlo a me, il mio petto si adagiò piano contro il suo fino a che il mio seno non si appiattì contro i suoi pettorali marmorei. Per guardarlo negli occhi, fui persino costretta a mettermi sulle punte.

<<La mia scelta sei tu.>>

Sussurrai ad un soffio da quelle labbra morbide che si schiusero con un tacito stupore che percepii mozzagli il fiato. Quegli occhi zaffiro mi guardarono increduli e sentii come ogni suo muscoli si tese contro il mio corpo, bastarono quelle mie poche parole per togliere le sue alla sua mente. In quel preciso istante non seppe cosa controbattere e così gli tolsi anche solo la possibilità di farlo.

Le mie labbra si unirono alle sue, colmai la distanza tra le nostre bocche così come mi aveva detto lui, sarei dovuta essere io a baciarlo nel preciso istante in cui avrei capito che era lui la mia scelta e in quel momento, in quell'attimo fuorviante, di fronte alla possibilità di perderlo, mi resi conto di star per commettere la più grande cazzata della mia vita.

Concessi così a lui e solo a lui, ogni cosa di me. Tutto.

Le mie labbra si cucirono alle sue che inizialmente non si mossero, non mi ricambiarono e quasi mi sembrò che mi stesse rifiutando. Sarebbe bastato che mi avesse allontanata per farmi capire che ormai era troppo tardi, che non c'era nient'altro da fare perchè non sarebbe bastato quel gesto per far andare ogni cosa al proprio posto.

Poi, d'un tratto, in un impeto che mi mozzò il respiro, le sue mani mi incorniciarono il viso attirandomi a sè senza garbo o gentilezza. Uno scatto di una rude passione che mi infuocò la carne.

Le mie mani si persero tra i suoi boccoli biondi, mentre una delle sue, abbandonò il mio viso per stringermi più forte. Non gli occorse fiato, aria o ossigeno, si cibò di me come fossi stata la sua unica fonte di sopravvivenza.

Quelle labbra morbide si schiusero contro le mie e il tocco delicato della sua lingua mi accarezzò il labbro inferiore, incitandomi a fare la stessa cosa. Al cospetto della sua esperienza mi sentii ignorante, eppure mi bastò seguirlo per sentire le farfalle nello stomaco.

Quando schiusi le labbra, concedendogli il permesso di avermi completamente, la gentilezza in lui scomparve e la sua lingua ricercò la mia con bisogno, desiderio, avidità, una brama senza eguali. Si cibò di me come un corpo e un anima avrebbero fatto l'una con l'altra, come la luce faceva con l'oscurità, come stavo facendo io con la possibilità di vivere davvero. Stargli dietro divenne sempre più difficile, mi stava togliendo il respiro ma glielo permisi, in quell'istante non sentii il bisogno di altro che non fosse lui.

L'uomo che si era appropriato di ogni mia prima volta.

La mia prima uscita in una discoteca.

Il mio primo viaggio.

La mia prima vera cotta.

La mia prima volta a letto.

E in quel momento di appropriò anche del mio primo bacio.

Si stava prendendo ogni cosa di me e io non avrei mai potuto impedirglielo.

Quando mi scostai da lui, senza fiato, mi persi nel cielo racchiuso nei suoi occhi vedendo in lui tutto ciò che non sapevo che mi avrebbe aspettata dopo quel momento, la mia intera vita illuminata da una luce diversa, la sua luce che, ancora non lo sapevo, ma avrebbe reso ogni mio istante un attimo in paradiso.

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Oggi...

Conoscevo la verità, ne ero certa, eppure quel brutale fastidio che sentivo nel profondo non mi concedeva più neanche un secondo di sonno, non ero più degna di riposo, sentivo costantemente il bisogno di vederci meglio in tutta quella situazione. Quel bastardo non si sbagliava, in ogni caso anche senza avermi detto un nome, aveva instaurato in me quel dubbio insolente che mi stava facendo impazzire.

Per anni avevo solo ascoltato dagli altri com'erano andate le cose, ma dopo dodici anni ero decisa a voler trovare da sola la verità, provare che era lui a mentirmi, avere tra le mani la certezza che a sbagliarsi era lui e se solo avessi scoperto che mi aveva mentito ancora a quel punto avrei scatenato il putiferio. Ma se solo non fosse stato così, se avessi trovato chi aveva davvero ucciso mio fratello a quel punto mi sarei sporcata le mani di un sangue non mio. Tanto però ero certa che a mentire era ancora quel insignificante essere, perchè nessuno si sarebbe mai azzardato a mentirmi, ormai tutti sapevano di cosa ero capace, tutti mi temevano in fondo.

L'unico modo per sarne di più però era rimboccarmi le mani e trovare la verità, quella che mio fratello cercava in ogni mio incubo. Io però mi sarei mossa diversamente, mi sarei mossa cautamente rituffandomi in un passato che mi aveva ustionato l'anima riducendomi in ciò che ero, una versione lacerata e deformata dalle fiamme del dolore. Ripugnante e spaventosa, ma potente, dannatamente potente.

Mi ero soffermata allungo a ripensare agli istanti di vita di mio fratello poco tempo prima che morisse, lentamente stavo rimettendo ogni tassello in ordine cronologico trovandogli un senso, per quanto contorto mi sembrasse.

La sua prima mossa la ricordavo bene, soprattutto perchè mi aveva lasciata completamente scombussolata quando lo venni a sapere. Si era unito agli affari di nostro padre, cose che non gli erano mai interessate, giri che non gli appartenevano. Non ne avevo mai capito il motivo, non avevo mai concepito perchè si fosse spinto a tanto contraddicendo la sua filosofia che lo aveva spinto sempre lontano dalla nostra famiglia.

Ma se lui era arrivato a farlo doveva esserci stato un motivo e lo avrei scoperto, giocando con astuzia prendendo spunto dai suoi errori. Non temevo nulla, non avevo nulla da perdere.

<<Cornelius, amore posso entrare?>> Bussai alla porta del suo ufficio a cui avevano dovuto cambiare la serratura dopo che avevo buttato nel fuoco l'unica chiave in grado di aprirla, in seguito all'ultima punizione che gli avevo imposto. <<Entra pure.>> Aprii la porta e lo trovai seduto alla sua scrivania come al solito, quando entrai però questa volta si alzò e mi venne in contro con passo lento per raggiungermi e posarmi un bacio casto sulle labbra, svelto e affettuoso. Aveva imparato dai suoi errori, le mie punizioni servivano sempre.

<<Di che hai bisogno?>> Mi avvicinai alla finestra per far entrare un po' d'aria in quella stanza che rimaneva sempre chiusa, non sapevo come riuscisse a starci per intere ore senza soffocare, quell'aria viziata era a dir poco soffocante. <<Un piccolo favore tesoro, poi ti lascerò tornare al tuo lavoro.>> Poggiò le natiche sode avvolte in quei pantaloni di alta sartoria, dalla stoffa pregiata ed elegante, contro la sua scrivania guardandomi con le braccia incrociate sotto il petto atletico. Ancora aveva un certo effetto su di me in quelle vesti da ufficio, alimentava la mia perversione di fare sesso sulla sua scrivania con le mani legate dalla sua cravatta, ma non era quel genere di uomo rude e io non lo avrei spinto a tanto.

<<Parla pure, avevo bisogno di una pausa.>> Mi avvicinai a lui per sistemargli il colletto della camicia, aveva lavorato tutta la mattina senza fare neanche la pausa pranzo, certe volte mi chiedevo dove trovasse tutte quelle energie. Mi posò le mani sui fianchi, accarezzandomi il fondo della schiena con carezze morbide.

<<Mi servirebbe il numero di mio padre, sai ormai è reperibile solo se viene chiamato dal numero che ha dato ai suoi collaboratori, quello personale non lo usa più.>> Fui cauta e sensuale, gentile e dolce, usai quel tono caldo che sugli uomini aveva sempre un certo effetto, soprattutto su mio marito, lo conoscevo bene, sapevo come usarlo per raggiungere i miei intenti. <<Sei sua figlia amore, sono certo che se lo chiamassi tu risponderebbe anche dal numero personale.>> Feci la finta triste nell'udire quelle parole, come se ancora avessi creduto che mio padre mi amasse come si faceva con una figlia, ma io sapevo come ragionava mio padre, ero diventata la sua esatta copia. Cornelius non mi voleva dare il numero, Christian lo aveva dato solo ai suoi uomini più fidati per far sì che lo chiamassero solo coloro che davvero dovevano dirgli cose di un certo peso, di vera importanza.

<<Lo credo anch'io.>> Mentii. <<Ma è tanto che non lo sento e ho paura che se non mi rispondesse ci rimarrei male, ho bisogno di sentire qualcuno della mia famiglia che non sia mia madre per un attimo.>> Il suo sguardo lentamente si addolcì sotto ogni mia parola. <<Kei, dare quel numero a qualcuno che non collabori con tuo padre è proibito.>> Ne ero ben a conoscenza, mio padre era molto duro con le regole che imponeva ai suoi uomini, non accettava di venire contraddetto, un'altro dettaglio del mio carattere che avevo ereditato da lui.

<<Ma ne ho bisogno, cerca di capirmi.>> Resi la mia voce più incerta, quasi prossima al pianto.

<<La voce di Henry era così simile alla sua, risentirlo mi donerebbe la pace che mi serve.>> Un'altra bugia. Mio padre e mio fratello non avevano nulla di simile se non qualche tratto estetico, il loro carattere era totalmente diverso e la loro voce era completamente differente. Henry aveva un tono delicato, vellutato, allegro e brillante, quello di mio padre era freddo, arido, roco, graffiante, una pugnalata ad ogni parola.

Vidi nei suoi occhi due desideri contrastanti:
Seguire le direttive del suo capo o rendere felice la sua amata moglie con piccolo ed insignificante regalo, o per lo meno era ciò che sembrava in quel momento ai suoi occhi, visto che non sapeva il vero motivo per la quale volevo sentire mio padre, dopo mesi e mesi di silenzio dall'ultima volta che era accaduto.

<<E va bene, aspetta.>> Mi allontanai da lui rivolgendogli un sorriso grato, aveva ceduto al mio volere, ancora come sempre e come facevano tutti. Lui a quel punto si allontanò, strappò un foglietto dal blocco di post-it gialli poggiati sulla sua scrivania e vi scrisse una fila di numeri che dedussi essere il numero di mio padre. Lo conosceva a memoria ma non mi stupì molto la cosa, era scontato come dettaglio.

<<Ecco a te piccola, ma che sia la prima e l'ultima volta, non voglio problemi con tuo padre.>> Me lo passò e io lo afferrai sorridente, ringraziandolo con un bacio che durò poco più di quello che mi aveva dato lui non appena ero entrata, doveva ancora capire, dopo anni di matrimonio quali erano i baci che mi piacevano, ma a letto riusciva a cibarmi come desideravo quindi non potevo lamentarmi. <<Grazie tesoro, sei il migliore.>> Lo adulai fintamente sorridendogli fino a quando non fui fuori dal suo ufficio, a quel punto, girato l'angolo, il mio sorriso di gratitudine tramutò in un ghignò vittorioso. Le mie doti di attrice, seduttrice e bugiarda non perdevano mai un colpo. Mi feci i complimenti da sola.

Mi allontanai dal suo ufficio per scendere al piano terra e raggiungere i vasti giardini che contornavano la villa, precisamente volevo arrivare al gazebo che vi era giusto accanto alla piscina interrata. Lì mia madre non ci arrivava mai, non avrebbe mai rischiato di sporcare le sue costosissime scarpe con del terriccio, mio nonno invece a quell'ora era chiuso in biblioteca. Nessuno mi avrebbe interrotta e così sarei riuscita ad avere la pace che mi serviva per poter avviare il mio piano. Fare il primo passo verso la verità.

<<Buon pomeriggio signorina Martin, ha bisogno di qualcosa?>> Incrociai una delle cameriere mentre spedita, marciavo per raggiungere il verde manto del mio prato e il piccolo angolo di pace che avevo fatto costruire giusto accanto alla piscina che usavo prettamente in estate. La stagione che era ormai alle porte.

<<Sì, voglio un calice di chardonnay, mi troverà sotto al gazebo in giardino.>> Le ordinai senza troppi giri di parole, non capitava mai che fossi incerta sulle mie volontà, conoscevo sempre ogni mia voglia o necessità ecco perchè era impossibile trovarmi impreparata. Eccezion fatta per una volta che ancora mi bruciava sulla pelle, ma che scacciai immediatamente dalla mente. <<Arriverà subito signorina.>> Si congedò immediatamente lasciandomi continuare verso il giardino, raggiunsi così a passo svelto la mia meta e mi accomodai su una delle poltrone poste intorno al grande tavolo rettangolare di vetro.

Sfilai dunque dalla tasca il cellulare e aprii il bigliettino che mi aveva dato mio marito, componendo il numero di mio padre e fermandomi ad osservare il tasto verde per qualche istante. Dopo quel momento non sarei più potuta tornare indietro, avrei combattuto fino alla fine per scoprire la verità, qualunque essa fosse, per quanto fossi certa che non vi fosse nulla che già non sapessi. Nessuno si sarebbe mai azzardato a nascondermi qualcosa.

Priva di esitazioni cliccai il tasto e feci partire la chiamata portandomi il telefono all'orecchio.

Il silenzio seguì quel mio gesto, intervallato dagli squilli che mi allontanavano dal mio intento, odiavo l'attesa ma con mio padre aspettare era sempre dovuto.

<<Dai cazzo.>> Presi dalla tasca anche il pacchetto di sigarette e me ne accesi una per attenuare i nervi e mantenere la calma, mio padre era la versione al maschile di me medesima, nessuno meglio di me conosceva cosa volesse dire parlargli. Fidarsi di lui era il primo errore che si poteva commettere, quando gli si parlava si doveva usare l'astuzia ma non troppa perchè se solo si fosse caduti nell'arroganza Christian Martin sarebbe diventato il tuo peggior nemico. Prenderlo in giro era la prima mossa per fottersi da soli.

Alcun tempo però sottostare al suo potere ti rendeva schiavo del suo volere e io non ero schiava neppure di me stessa, figurarsi del diavolo.

<<Martin.>> Si annunciò. Risentirlo dopo forse più di un anno fu come spogliarsi tra la neve, sentii freddo ma nel vuoto dell'anima quel gelo non ebbe effetto su di me. Era molto risoluto quando rispondeva al telefono, era costantemente impegnato e se qualcuno lo chiamava da quel numero voleva dire soltanto una cosa, c'era qualcosa di vitale importanza che gli andava detto, peccato che in quel momento non sapeva che dall'altro capo del telefono c'era la sua ormai unica figlia.

<<Padre, quanto tempo.>> Presi una boccata di fumo sentendo come la mia voce fu capace di seminare silenzio e stupore in lui, anche da lontano. Non avevo idea di dove fosse, ormai il suo potere si era esteso anche all'estero quindi poteva essere ovunque in giro per il mondo, non che mi importasse, in quel momento provavo interesse solo nei confronti dei miei fini. <<Keira.>> Sentii una punta di sorpresa sul suo tono di voce profondo e baritonale. <<Figlia mia, ma che piacere risentirti.>> Uno dei camerieri arrivò per poggiare sul tavolo proprio di rimpetto a dove ero seduta, il calice di vino che avevo richiesto, congedandosi senza fare il minimo rumore per non disturbare la mia chiamata. <<Pensavo ti fossi dimenticato di me ormai, non ti fai sentire da tempo.>> Mi finsi ferita quando invece, meno lo sentivo meglio era, avere la copia di me stessa davanti agli occhi o anche solo sentire la mia stessa freddezza e aridità nel tono di voce di un altro era fastidioso. Quando erano gli altri a sottostare a me era facile, ma gestire me stessa era snervante.

<<Non crederlo mai, mio tesoro.>> Il suo finto affetto mi disgustava. <<Gli impegni mi occupano il tempo, ma non mi perdo un solo secondo delle tue giornate Kei, non potrei mai.>> Ne ero consapevole, le mie guardie del corpo erano obbligate a raccontargli ogni dettaglio di ciò che arricchiva le ore di giorno che passavo sveglia, ma come lui era capace di manipolarli per avere da loro delle informazioni su di me, io sapevo come usarli per nascondergli i dettagli più importanti. Divertirmi con loro aveva reso più facile il mio intento.

Erano schiavi di mio padre ma anche del desiderio carnale che qualsiasi uomo nutriva per me, così quando gli chiedevo di nascondergli dove andavo dopo il lavoro, loro mi coprivano senza farsi il minimo problema, in fin dei conti gestire un uomo era fin troppo facile per me.

<<Sento la tua mancanza padre, sono mesi che ormai non vieni più qui a trovarci.>> Mentirgli era facile ma scaturire nel poco credibile era ancora più semplice, non bisognava mai esagerare con le idiozie che si sparavano e io sapevo dosarle bene. Con Cornelius era più facile, ma anche con lui non era poi tanto impossibile.

<<Sono molto occupato ultimamente Kei, ma troverò il tempo per te e tua madre, te lo assicuro.>> Lo disse come se di mia madre gli importasse seriamente, quando in verità era certa che la sera si trovasse fanciulle sempre diverse per divertirsi come più gli andava. Anche in quello eravamo uguali. Il corpo di una sola persona non ci bastava.

L'amore di un singolo, la totale condiscendenza di una persona nei tuoi confronti, a noi non bastava, noi avevamo bisogno che il nostro potere si estendesse su più menti, su più persone.

<<Lo spero, non parliamo seriamente da molto tempo.>> Non avevamo una conversazione da tempo immemore, non che ne avessi mai sentito la necessità ma a ripensarci seriamente non riuscivo a ricordare l'ultima volta che aveva davvero conversato. Posai per un secondo la sigaretta nel posacenere per abbeverarmi con un sorso di vino, un'annata meravigliosa. <<E deduco che se mi hai chiamato da questo numero, è il momento che accada di nuovo tesoro, non è così?>> Sul mio viso si disegnò un ghigno compiaciuto, mi conosceva bene e non sapevo se esserne soddisfatta o irritata. <<Non ti è mai sfuggito niente padre.>> Sogghignai sommessamente riprendendo tra le dita la sigaretta ridotta a metà. <<Non metto in dubbio che ti manco, ma Keira Martin agisce sempre e solo con un fine ben preciso.>> Ribattè sicuro di conoscermi come le sue tasche. <<Sei mia figlia piccola mia, sangue del mio sangue, so che se mi hai chiamato tu stessa invece di delegare i tuoi uomini, hai qualcosa da dirmi.>> Qualcosa che non poteva passare da orecchie sconosciute, qualcosa che doveva arrivargli direttamente da me con il rumore della mia voce, non con quella di qualcun altro. Presi l'ennesima boccata di fumo che sbuffai silenziosamente nell'aria poggiando i piedi avvolti nei tacchi sul bracciolo della poltrona.

<<Sapevo che non amassi i giri di parole, ma pensavo che arrivare subito dritta al punto mi avrebbe fatta sembrare una maleducata.>> Picchiettaii nel posacenere la sigaretta facendo cadere la cenere nell'apposito contenitore, che poi qualcuno si sarebbe occupato di svuotare al posto mio. <<Come se ti fosse mai importato di ciò che pensano gli altri di te.>> Sentii una punta di divertimento e orgoglio nel suo tono buio e sommesso, paradossalmente mi conosceva meglio lui di mia madre che viveva sotto il mio stesso tetto giorno e notte, in ogni momento al di fuori del lavoro. <<Fin quando mi temono padre, possono pensare di me ciò che più gli pare.>> Per un breve istante nel microfono rintoccò il suono della sua risata profonda e graffiante, un rumore che metteva i brividi a chiunque, tranne che a me. <<Questa è la mia bambina, sono così fiero di ciò che sei diventata mia preziosa creatura.>> Preziosa sicuramente, gli avevo garantito una ricchezza invidiabile con un solo matrimonio che aggiunta alla nostra ci aveva resi imbattibili, eravamo i re di quella città e di molte altre, nessuno poteva nulla contro di noi. <<Lo so padre.>> Ero la sua copia, non poteva che andarne più che fiero e forse era ciò che di più sincero passasse per quella sua mente ripugnante.

<<Ebbene, di cosa hai bisogno figlia mia?>> Tagliò la testa al toro arrivando a voler sapere cosa desideravo senza troppi giri di parole. Il fatto che ogni volta che mi presentassi al cospetto di qualcuno, tutti mi chiedessero di cosa avessi bisogno mi faceva alquanto ridere, tutti già mettevano in conto che volevo qualcosa e questo mi rendeva tutto molto più facile e sbrigativo. Soprattutto perchè nessuno poteva mai dirmi di no.

Peccato che in quel momento non ero al telefono con una persona qualunque, colui che mi stava parlando era Christian Martin. L'uomo considerato il degno re di Los Angeles, il proprietario delle più importanti aziende a livello mondiale, uno tra gli uomini più ricchi e influenti degli ultimi dieci anni, con lui un "No" era sempre dietro la porta. Per questo dovevo saper giocare bene le mie carte.

E si dava il caso che ero un mostro in qualsiasi cosa.

Degna figlia del re.

<<Per la prima volta di nulla, anzi ti chiamo proprio perchè credo che sia tu ad aver bisogno di me.>> In verità lo sapevo per certo ma essere arrogante e sfrontata con mio padre era come puntarsi una pistola alla tempia, non si poteva mai sapere se la paura ti avrebbe portata ad abbassare l'arma o se il dolore ti avrebbe spinta a premere il grilletto. L'incertezza ti avrebbe dilaniata.

<<Non credo di aver capito tesoro.>> La sua voce si fece più attenta.

<<Beh allora sarò felice di essere per te più concisa padre.>> Spensi la sigaretta finita nel posacenere e presi in mano il calice di vino, facendo rigirare il contenuto quasi trasparente per ammirare come ondulasse in totale armonia, elegante e delicato accarezzando le pareti del boccale.

<<Voglio prendere le redini della sede della C.M. Economy di Los Angeles.>>

Più chiaramente, la C.M. Economy, che non abbreviata si chiamava: "Christian Martin Economy", giusto per sottolineare la megalomania della nostra famiglia, era la holding di mio padre che ormai aveva una sede in ogni stato degli Stati Uniti e anche alcune sparse in giro per il mondo. Per la California ad esempio la sede centrale era appunto collocata a Los Angeles, lì dove tutto era nato.

Prendere il comando della sede centrale, voleva dire avere il potere su ogni cosa, su ogni segreto e su ogni verità.

A quella mia sfacciata richiesta mio padre tacque. Se esisteva qualcuno in grado di far tacere me quello era proprio lui e viceversa, io ero la sola in grado di far zittire il grande e temuto Christian Martin.

Non mi erano mai interessati i suoi affari e lui lo sapeva, avevo sempre lasciato che fosse Cornelius ad occuparsi di tutto, ma per raggiungere il mio intento, immischiarmi in quelle cose era doveroso.

Il fatto che le vacanze estive mi togliessero poi il compito di insegnare, per quanto amassi farlo, mi aiutava anche ad avere più tempo libero da poter riservare in ciò che gli stavo proponendo, facendogli credere con più facilità che seriamente mi importava di entrare in affari con lui. Più le bugie si accumulavano più mi stupivo di me stessa, inventarne così tante in un lasso di tempo così breve, era da maestri.

<<Posso dire che era molto tempo che qualcuno non mi stupiva come stai facendo tu ora, Keira.>> Dopo il suo silenzio queste furono le parole che la sua voce, resa più cruda e rigida, mi espose con una serietà che riconobbi molto facilmente, quando iniziava ad essere più austero voleva dire che ti eri guadagnata la sua totale attenzione.

<<Prendere le redini di una delle holding più importanti del mondo, non credo che tu ne abbia compreso la difficoltà, gestire la C.M. è un lavoro quasi impossibile.>> Diceva "quasi" perchè al vertice di ogni cosa vi era lui che ovviamente nella sua mente agiva sempre in maniera perfetta, ma di certo non mi aspettavo che si scomodasse per lasciarmi il posto, bensì che mi concedesse il comando della sede di Los Angeles, che poi fosse la più importante tra tutte quelli erano solo dettagli. Una donna come me non poteva accontentarsi di una sede qualunque, o mi dava la più importante o avrei scatenato il putiferio, lo sapeva bene. Ero viziata.

<<Hai concesso a mio marito di sedersi al tavolo dei tuoi collaboratori più fidati e non lo permetti a tua figlia, padre?>> Ogni mese mio padre decideva di incontrare tutti i capi delle sue sedi sparse per il mondo per fare il resoconto della situazione, in parole semplici, ad un solo tavolo si sedevano molti degli uomini più ricchi del mondo per fare a mio padre il riassunto mensile delle entrate e delle uscite della Holding, degli andamenti della borsa e cose simili. Ma il tutto era ancora più complicato di così.

Conoscevo il numero preciso delle sue sedi, prima di chiamarlo mi ero ben documentata, non parlavo di certo per partito preso. Erano 60, precise precise, contando poi che solo cinquanta erano quelle situate in ogni stato degli Stati Uniti, si poteva dedurre che le altre dieci erano quelle sparse in giro per il mondo.

Irlanda, Svizzera, Lussemburgo, Qatar, Norvegia, Singapore, erano solo alcuni dei paesi più ricchi al mondo e lui li aveva scelti appositamente, così da diventare sempre più ricco, sempre più potente, sempre più temuto.

Era come una droga, il denaro e il potere creavano dipendenza.

<<Cornelius lavora per me da oltre dieci anni figlia mia, si è guadagnato il mio rispetto.>> Non potevo metterlo in dubbio, mio marito aveva sempre fatto e detto tutto ciò che lui gli diceva di dire e fare, ecco come si era guadagnato il suo rispetto. <<Chiedermi di darti il potere della sede di Los Angeles vorrebbe dire spodestare lui, te ne rendi conto, vero tesoro?>> Presi un altro sorso dal mio calice assaporando l'aroma di quella squisitezza. Stavo parlando con uno degli uomini più importanti del mondo, un'altra persona al mio posto avrebbe trascorso ogni secondo tremando di paura, io invece sorseggiavo tranquilla del buon vino come se nulla fosse stato.

<<Non parlo mai senza sapere padre e il fatto che tu lo metta in dubbio mi delude.>> Come se me ne fosse fregato di cosa pensasse di me. <<Non metto in dubbio niente tesoro, ed è proprio per questo che voglio che tutto ti sia ben chiaro, questo non è un gioco Keira, se solo non fossi mia figlia alla tua richiesta ti avrei già chiuso il telefono in faccia.>> Ne ero ben consapevole. <<Non posso affidare in mani inesperte la mia sede più importante.>> Dichiarò conciso. <<Non credi nelle mie potenzialità?>> Feci la finta dispiaciuta. <<Oh, so per certo che tu ne abbia come so anche che non te ne intendi di affari.>> Il fatto che qualcuno mi dicesse che non ero in grado di fare qualcosa mi indisponeva e non poco, non esisteva cosa che io non fossi in grado di fare e non gli permettevo di parlarmi così, ma non c'era risposta migliore che quella composta dai fatti.

<<Questo perchè i numeri mi hanno sempre annoiato padre, ma mi è bastata una piccola controllata per scoprire che è da ormai qualche anno che si stanno verificando dei cali nelle entrate, perciò credo che una mente sveglia come la mia potrebbe solo giovare ai tuoi affari.>> Presi un altro sorso di vino inumidendomi la lingua di astuzia. Prima di chiamarlo mi ero documentata trovando il punto giusto da toccare per portarlo a cedere e guarda caso, trovai esattamente ciò di cui avevo bisogno senza il minimo sforzo. Mi erano bastate un paio di chiamate alle persone giuste. <<Dei cali?>> La sua voce si fece ancora più dura, perentoria, tagliente, non ne sapeva nulla ed ecco che subito la cosa si fece ancora più interessante. Lo avevo in pugno.

<<Oh sì, dei cali importanti del venticinque percento padre, Cornelius non te lo ha riferito?>> Feci la finta dispiaciuta e scioccata mentre lontana dal suo sguardo, sorridevo conscia di aver già vinto senza fare il minimo sforzo, con il piccolo dettaglio che stavo mandando nei casini mio marito, ma nulla che fosse chissà quanto importante per me. In quel momento l'unica cosa su cui avevo focalizzato la mia attenzione era la verità.

Sentii il rumore di fogli che venivano spostati e della sua poltrona che scricchiolava sotto il suo peso, si era alzato e subito lo immaginai a camminare irrequieto per uno di quei suoi uffici enormi. Era di famiglia avere manie di grandezza e lui tra tutti era il più ossessionato. <<Quanto ha influito sull'andamento della borsa?>> La recita del padre amorevole terminò ancor prima di quanto pensassi ed ecco che subito, tornò nei panni dell'uomo d'affari pronto a parlare di cifre e licenziamenti. <<Aspetta che controllo.>> Feci un segno ad un cameriere che senza che gli dicessi nulla, subito mi portò la mia cartelletta di fogli in cui avevo racchiuso tutto ciò che mi serviva per vincere quella battaglia. La guerra era ancora lontana ma vincerla sarebbe stato un gioco da ragazzi, ne ero più che certa. Sfogliai uno ad uno i fogli fino ad arrivare alla griglia degli andamenti.

<<Non ha gravato molto, ma ha conseguito una diminuzione consistente sul numero di clienti delle nostre società.>> Il solo pensiero che il suo patrimonio fosse in pericolo lo mandava in ebollizione. Sentii un grugnito profondo e provenire dalla sua gola dove si stavano annodando le parole che avrebbe urlato da lì a poco, nell'orecchio di mio marito e dei suoi dipendenti. Nulla che dovesse interessarmi in ogni caso.

<<Come puoi vedere padre, una mano in più non può che esservi utile e poi per anni hai affidato tutto a uomini arrivando a queste conclusioni.>> Guardai la graduatoria rimanendo schifata dai pessimi risultati che stavano portando a casa. <<Non credi che sarebbe il caso di dare una possibilità a tua figlia, in fondo sai che nelle mie mani tutto tornerebbe come prima se non anche a vette più importanti.>> Conosceva il mio potenziale, sapeva che ero sveglia, in fondo era pur sempre sua figlia come aveva detto lui stesso, avevo nelle vene il sangue dell'imprenditore che scorreva. <<Dovrò parlare al più presto con Cornelius.>> Sapevo che mi aveva sentita ma la sua collera era più rumorosa di qualsiasi altra parola.

<<Quindi?>> Lo incitai desiderosa di un responso.

<<Sono già in Francia, dunque domani terrò la riunione di questo mese a Marsiglia e voglio che sia presente anche Cornelius.>> Mi spiegò molto sommariamente.

<<Tu potrai venire con lui e unirti a noi.>> Sentii la vittoria scaldarmi il petto come avrebbe fatto un bel croissant caldo la mattina successiva.

<<A fine riunione deciderò il da farsi e ti darò una risposta riguardante la tua proposta.>> Che nel mio gergo voleva già dire: "Farò una bella strigliata a tuo marito e lo punirò con rango di grado inferiore per darti ciò che desideri figlia mia, ogni tuo desiderio è un ordine." Un po' mi dispiaceva per Cornelius che di certo non l'avrebbe presa bene ma quando si trattava di potere, non guardavo in faccia a nessuno.

<<Dunque a domani padre, è stato un piacere risentirti.>> Era stato davvero un piacere averla di nuovo vinta.

<<Di' a tuo marito che se fa un altro passo falso, può considerarsi morto.>> In altre circostanze quella frase sarebbe suonata ironica, la sua serietà invece era tutt'altro che scherzosa. Lui non scherzava mai, ogni cosa che diceva era spinta da una sincera schiettezza che metteva i brividi. Ma su di me non aveva alcun effetto.

Avevo preso quella crudeltà da lui.

<<Sarà fatto.>>  Detto ciò chiuse la chiamata, lasciandomi assaporare quell'ultimo sorso di Chardonnay che sapeva di vittoria, denaro, un potere senza eguali e soprattutto di un passo in più verso la verità.




SPAZIO AUTRICE:


Ragazze mie il primo bacio tra i nostri Mihai e Keira del passato è finalmente scocca, ormai la loro storia sarà un susseguirsi di momenti meravigliosi, un amore travolgente e passionale che si concluderà come tutte noi sappiamo purtroppo. Un finale che sta portando la Keira del presente a volerci vederemeglio in tutta questa situazione, arrivando a volersi infilare nei panni dell'imprenditrice per raggiungere lei stessa la verità. Come andrà? Non ci resta che scoprirlo ;)

Cosa ne pensate?

In ogni caso se la storia vi è piaciuta, se vi va potete lasciare una stellina e scrivermi un bel commento, vi ringrazio per la lettura e al prossimo capitolo.

Ciauuuu <3

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