PRICELESS

By JennaG2408

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"Le cattive abitudini generano pessime dipendenze" 🌘Dark romance 🔞Forbidden love 💰Crime romance 📚 SCELTA... More

Avviso
C'era una volta una dedica
PARTE I
Prologo Lea
Prologo Trevor
1. FACCIA DA STRONZA
2. Finché qualcuno non ti compra
3. Fallo stabilire a me
4. Così poco di lei, così tanto di suo padre
5. Se l'orgasmo fosse un suono
6. Mi aspettavo di meglio
7. La sua degna erede
8. Un errore da 15 dollari
8.1 L'autrice si è dimenticata un pezzo di capitolo.
9. Tienila d'occhio
10. Non è Trevor
11. Non vali così tanto
12. L'anomalia emotiva
13. Il valore dell'innocenza
14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.
15 Stasera quello rosso
16 Il mese prossimo potremmo essere morti entrambi
17 Non puoi urlare
18 La Dea più capricciosa dell'Olimpo
19. Aspettami senza far danni (parte1)
20 (parte2)Sei tu, la mia sola cosa importante.
21 (parte 3) Seppelliscimi con le scarpe giuste
22 (ULTIMA parte) Voglio sapere se posso urlare.
23 Who needs a boyfriend when you have puppies?
24 Sei uno stronzo fortunato, Trevor Baker
25 Ogni regina ha il suo scettro
26 Non puoi toccarla
PARTE II
27 Stanco, ma non di lei
28 La prossima volta ti farà male
29 Un nome per il sesso e uno per l'amore
30 Dolce figlia di un figlio di puttana
31 Ah, Auguri.
32 Quello che sta intorno al cuore
33 L'inferno non va bene per Sebastian Baker.
34 Non sempre un uomo di successo è un uomo di valore
35 Fragola, cioccolato e una goccia di veleno: mortale tentazione
36 Non fare di lei la tua Harley Quinn
38 Niente di male a sanguinare un po'
39 E comunque questo è un Valentino, stronza.
40 Cattive intenzioni e voglie pericolose
41 La mia bambina non si tocca
42 Scorre sangue immondo
43 La sua pelle e la mia fame (parte 1)
44 Groviglio di carne e abbandono (parte 2 )
45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)
46 Il sesso come strumento di guarigione
47 Facciamo finta di no
48 Tutti i per sempre portano il nostro nome
PARTE III
49 Quello che sono disposto a fare per te
50 Scelgo il profano e il blasfemo
51 Il sapore di una truce Apocalisse
52 Non abbastanza. Punto
53 Eppure Lea è viva
54 Effetto domino
55 Cinquanta sfumature di BlueDomino
56 Londra è la mia puttana
57 Questo non può essere peggio
58 Gli affetti veri muoiono, quelli falsi uccidono
59 Innalzare le mie depravate pulsioni
60 Non c'è differenza tra una danza e una guerra
61 Benvenuti a tutti quelli come noi
62 Dimmi cosa ti ha fatto
63 Fammi male
64 Io mi salvo da sola
65 Mister SeLaTocchiTiUccido
66 La differenza tra stimolare e godere
67 Il grillo che mette nel sacco il gorilla
68 Pietà e rispetto
69 Non ti darei mai meno di tutto
70 Incassare, elaborare, espellere (parte 1)
71 Stavolta puoi urlare (parte 2)
72 Non lasciarmi solo
73 Ci sarò sempre
74 Stai attenta, bambina
75 Più incazzato che lucido
76 Scolpiranno il mio nome sulla tua carne
77 Domani è già arrivato
78 Sembra un addio, signor Baker
79 Esisti per me
80 A fanculo un'ultima volta
81 Non morire senza di me
82 Soffrire ancora un po'
83 Mentre fuori il mondo cade a pezzi
84 Quella vita non è mai la tua
85 Ma tu non ci sei (parte 1)
86 Scopami nel modo sbagliato
87 UNLOCKED
PARTE IV
88 Morirò da re
90 Uno stronzo senza cuore
91 Tre baci sulla punta del naso
92 Un sollievo breve e inaspettato
89 Sono il vostro dio
93 Ciò che mi è dovuto
94 Ci sarò io, con te
95 Roba così
96 Nessuno di noi avrà conti in sospeso
97 Da uno a dieci
98 Millequattrocentosessantuno giorni
EPILOGO

37 Due affamati nello stesso letto

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By JennaG2408


*** Vi ricordate dove eravamo arrivati? Stavolta è facile, eravamo qui:

 "Togliti i vestiti." E da qui ripartiamo. ***


La fame era una condizione che conoscevo bene. Il panico non ti assale subito, perché all'inizio è più un desiderio che un bisogno. Ti trema lo stomaco, richiama la tua attenzione, ma puoi zittirlo, distrarti, pensare ad altro. Le prime ventiquattro ore in compagnia della fame sono accettabili. Passate quelle, arriva un mal di testa che annebbia le percezioni, e concentrarsi è impossibile, quindi il bisogno diventa necessità e non puoi fare altro che accoglierlo, inerme, stanco e avvilito. L'idratazione va gestita, perché se bevi troppo, o troppo in fretta, arriva il vomito, e quello può trasformare la tua condizione difficile in una condizione critica, aggiungendo alla mancanza di nutrimento anche la disidratazione.

Dopo le quarantotto ore di digiuno, se hai gestito bene l'acqua a tua disposizione, ti sembra di stare quasi meglio, a volte. Il tuo organismo si è abituato, il tuo fegato sta bruciando una parte sostanziosa delle proprie proteine. La morte è ancora lontana, ma se hai meno di dieci anni potrebbero esserci effetti devastanti sul tuo corpo: è importante intervenire prima che i danni diventino irreversibili. Sebastian interveniva in tempo, sempre, perché tutti i suoi miliardi non sarebbero bastati a seppellirmi senza alzare intorno al mio cadavere di bambino uno scandalo, o quantomeno un polverone mediatico. E quindi mi accoglieva di nuovo al suo tavolo, con una bacchetta in mano. Potevo mangiare, ma alle sue condizioni. Dovevo masticare i bocconi dieci volte, prima di inghiottire, e contare fino a cinque prima di infilzare con la forchetta quello successivo. Un sorso d'acqua ogni due bocconi, ma potevo bere anche se tossivo o qualcosa mi andava di traverso. Quando lui diceva che avevo mangiato abbastanza, dovevo smettere.

«Non sei un animale, Trevor» mi diceva, pronto a frustarmi le mani con la bacchetta se mangiavo troppo in fretta, se esternavo la fame. Non ero un animale, eppure.

La mia carriera da criminale era iniziata alle scuole secondarie, quando iniziai a fare i primi soldi facendo entrare hashish e marijuana nei facoltosi corridoi del mio istituto privato. All'inizio ero solo un corriere, ma fu una scalata che mi venne naturale. Non ebbi mai più fame, papà se ne accorse, e non poté farci molto. Mi guardò crescere, nel corpo e nel crimine. Ma la fame imparai a riconoscerla, in tutte le sue forme, e ne ha molte. Tutte pericolose, tutte potenzialmente letali, tutte radici di dipendenze che ti divorano dentro, ti strappano via parti importanti di te.

Scusa. Mi ero persa per un attimo.

Così aveva detto Lea, nel mio bagno, prima di donarsi a me ancora una volta nonostante fosse sconsiderato farlo da parte di entrambi.

Ma parti di Lea erano già andate perse per sempre, in un oblio nel quale mi piaceva pensare avessero trovato le parti perse per sempre di me, in un luogo senza spazio e tempo, dove potevano scopare in santa pace, baciarsi senza vincoli, amarsi senza farsi ammazzare dai russi o da Sebastian.

E Lea aveva indossato la sua fame come fosse una maschera per tutta la vita: amami, stronzo. Puoi amarmi anche se mi lascio scopare dopo dieci minuti?

Lea non aveva mai smesso di essere affamata: nessuno l'aveva accolta al proprio tavolo, e lei sbocconcellava il suo nutrimento in qua e in là, come se Matteo Gessi fosse ancora vivo, pronto a frustarla non appena avesse soddisfatto in pieno la propria fame di affetto e amore.

Denis era il suo unico sostentamento, le dava tutto quello che poteva darle ma al tempo ero convinto che quel tutto non potesse bastarle, perché il destino era stato beffardo e l'amore di Denis non corrispondeva perfettamente a quello di Lea. Era un amore fraterno, inossidabile, inscalfibile, ma era una flebo che la teneva in vita, non un dannato hamburger unto che la rendeva felice.

E con Lea, io tornai ad avere fame.

In quel letto io glielo dissi, volevo avvertirla, volevo dirle di salvarsi.

«Sai cosa succederà quando avrò finalmente libero accesso alla tua bocca, bambina?»

E lei era nuda e calda e miracolosa, mi si avvinghiò addosso come se le avessi chiesto di sposarla. «Cosa? Cosa succederà?»

«Ti divorerò.»

E sorrise, dannazione, perché in fondo non voleva altro: qualcuno che la divorasse, come il ragno con la farfalla. Mi persi nella mia dipendenza, annebbiato dalla fame che stava divorando me, e lei era lì, invitante come una torta ricoperta di panna e piaceri, ripiena di fragole e consensi.

La volevo tutta per me, la volevo tutta prima di tornare a Londra, spezzando il suo e il mio cuore, perché il nostro era un amore impossibile, vietato, che prevedeva un finale tragico come quello di Romeo e Giulietta: una morte annunciata, un suicidio inevitabile.

E quindi vaffanculo, me la sarei presa, la mia bambina, l'avrei assaggiata, leccata, addentata, avrei sentito il suo sapore per sempre sulla lingua e con il rimpianto di quel sapore sarei salito su un aereo, e nessuna donna avrebbe mai più avuto quel sapore, e io forse nemmeno lo avrei più cercato.

La girai su un fianco, la sua schiena sottile che coccolava il mio torace, e chissà se tra le scapole sentiva il battito furioso del mio cuore, il suo grido disperato che cercava di avvertire lei e me del pericolo, della profondità della nostra fame, e delle conseguenze irreversibili che avremmo affrontato.

Ma eravamo due affamati nudi in un letto comodo, tra lenzuola fresche e profumate, o forse era lei a essere profumata, non lo so.

E cercai con le dita l'unico piccolo varco tra le sue natiche, scoprendo senza sorpresa che nessuno l'aveva mai presa da lì, stretto, quasi invalicabile, si contrasse subito non appena cercai di invaderlo, ma era una contrazione naturale e istintiva: Lea non sapeva come affrontare quella penetrazione.

«Hai paura?» Ecco. Non le chiesi se era sicura, se voleva farlo, non ne avevamo neanche parlato. Le chiesi se aveva paura, perché quando due creature hanno fame sono disposte a nutrirsi in qualunque modo.

«No.»

La saliva non basta, in questi casi. La saliva è lontana anni luce dall'essere un lubrificante efficace, per una penetrazione anale, e vale per la prima e per le successive volte. Ma io la usai lo stesso, perché volevo che dentro di lei entrasse quanta più materia possibile mia, e avrei voluto restarci, dentro Lea, dietro o davanti, non me ne fregava un cazzo.

Massaggiai la sua piccola e stretta entrata con le dita, a lungo, mentre la mia erezione diventava un'arma pronta a esplodere, di una durezza dolorosa: ero teso e pronto a spezzarmi mentre cercavo di rilassare lei, di renderle l'invasione meno dolorosa, più affrontabile, prima di darle la mia estasi e sentirla gemere con me dentro. Non mi avrebbe chiesto di farlo più forte, questo lo sapevo, forse mi avrebbe chiesto di fare più piano, ma non mi avrebbe chiesto di smettere perché ne avevamo entrambi un bisogno malato.

La sentii irrigidirsi, impreparata ma consapevole, quando la prima falange si fece strada, a fatica, aprendo quel varco ostinato con tutta la delicatezza possibile. E mi resi conto che ero una testa di cazzo, perché Lea era minuscola e vergine e io dovevo avere più riguardo.

Uscii piano, rassicurandola sulle mie intenzioni depositando baci e piccoli morsi sul suo collo spettacolare. Allungai la mano e aprii il cassetto, ma fu Lea a individuare il gel, e a mettermelo tra le dita.

E la mia erezione iniziava a diventare frustrante, indomabile, ed era una richiesta furiosa quella che veniva dal mio cazzo: scopala, Cristo!

E che fatica, invece, tornare a massaggiarla tra le natiche, tra gel e saliva, in una preparazione che richiedeva necessariamente tempo, pazienza, dedizione. Devozione.

E di nuovo, la sentii contrarsi, ma solo per un attimo, quando la invasi di nuovo con una falange, ma che dentro un corpo come quello di Lea pareva grande come una noce.

Gemette, piano, rilassandosi, piegandosi alla mia conquista, apprezzando i baci tra spalle e collo con cui avevo intenzione di adorarla per l'eternità.

«E adesso, bambina, hai paura?»

Il movimento circolare del dito era davvero lentissimo, minimale, per garantire a Lea tutto il tempo necessario ad abituarsi ad avermi anche lì.

«No.»

«Devi dirmelo se fa troppo male, hai capito?»

«Lo sai, lo sai che vivo il dolore in un altro modo...»

Lo sapevo, ma era importante che collaborasse. «Non importa, Lea. Me lo devi dire, se senti un dolore che ti accende ma che dovrebbe essere sbagliato. Io so che sei in grado di riconoscere il dolore dal danno.»

In realtà non ne ero sicuro, ma volevo che lo fosse lei, volevo che smettesse di sentirsi sbagliata, rotta.

«Va bene.»

E iniziai a lavorare anche con l'indice, desideroso di raggiungere il compagno dentro la mia cosina dai capelli rossi, anche se non quanto il mio uccello che minacciava di esplodere se qualcuno non gli avesse dato retta al più presto.

Ebbi meno perseveranza, lo ammetto, e infilai il secondo dito forse un po' prima del dovuto, spingendo con una forza appena maggiore, ma il gel sopperì alla mia mancanza di intelligenza facilitando la dilatazione.

Lea inspirò rumorosamente, mi si strinse addosso ed ebbi l'impressione che cercasse rassicurazioni su quello che stava succedendo.

«Sono qui, bambina. È tutto a posto. Hai paura?»

Rispose solo negando con la testolina. La baciai tra i capelli, ed ebbi conferma che non erano le lenzuola, ad essere profumate.

Lea era stretta, minuscola, dentro e fuori, rispetto a me. Persino rispetto alle mie dita. Lavorai a lungo, con enorme disappunto del mio cazzo, per allargare quel piccolo varco dispettoso. Attesi paziente che la respirazione di Lea diventasse regolare, prima di istruirla sul come gestire la muscolatura rettale.

«Rilassati, Lea. Abbiamo fatto passi avanti. Devi dirmi se ti fa male. Pensaci, prima di rispondere.»

«Non fa male.»

«Non ci hai pensato abbastanza.»

Sapevo che se anche Lea avesse avuto un uccello, probabilmente sarebbe stato duro come il mio in quel momento. Perché era eccitata, sentivo colare i suoi fluidi dalla vagina. Di conseguenza, non stava nemmeno cercando di riconoscere il dolore, e questo non andava bene, non era quello che volevo.

«Io devo fidarmi di te, Lea. Se non mi fido, smettiamo subito.»

Mugugnò, contrariata, o forse per la prima volta spaventata. Probabilmente la seconda.

Una manciata di secondi, e ribadì l'assenza di dolore. Ritenni di nuovo che non ci avesse pensato abbastanza, ma mi piegai alla nostra fame.

Sfilai le dita, usai le mani per aprirle le natiche, e direzionai il cazzo che finalmente veniva ascoltato. Mi bastò sfiorare la piccola entrata di Lea, per rendermi conto che ero un perfetto idiota.

Sospirai, distrutto, e cercai un modo delicato per informare Lea. 

Non era possibile, non così, non subito. Che differenza ci sarebbe stata tra me e Matteo Gessi, se le avessi fatto qualcosa per cui ero pronto solo io, e non lei?

«Lea...»

«Non osare, Trevor.»

«Ascoltami, bambina...»

«Non fare lo stronzo, ti prego.»

La abbracciai stretta, e senza dubbio sentiva sui lombi la durezza febbrile del mio uccello che rifiutava di arrendersi all'idea.

«Sei troppo minuta. Non possiamo oggi.»

«Mi stai dicendo che ritieni di avere il cazzo troppo grosso per infilarmelo dentro?»

Sorrisi, perché adoravo anche il modo in cui diventava velenosa all'improvviso. Da micetta morbida a tigre assassina in un battito di ciglia.

«Sì, è più o meno quello che ho appena realizzato.»

«Hai un'autostima invidiabile, Baker. Ma forse dovresti rivedere le tue convinzioni. Ne esistono di più grossi, sai?»

La sentivo rigida, arrabbiata, tra le mie braccia. Non più capace di abbandonarsi a me, ma nemmeno in grado di alzarsi e abbandonarmi nel letto da solo.

«Non ho detto che non possiamo. Ho detto che non possiamo oggi. Il corpo va allenato, prima di raggiugere certi livelli di efficienza. Sei un'acrobata, e lo sai.»

Trovò la motivazione per girarsi, e guardarmi. Cercai di prenderla di nuovo tra le braccia ma lei rifiutò la mia stretta. Quindi riprovai, e lei mi negò ancora il contatto. «Smettila.»

«Perché?»

«Vuoi allenarti, Baker? Allenati a guardarmi senza toccarmi.»

Colpo basso, anzi bassissimo.

«Mi chiedi troppo.»

«Se mi tocchi ogni volta che vuoi o che puoi, diventerà un'abitudine.»

«E quindi?»

«Le cattive abitudini generano pessime dipendenze, Trevor.»

«È troppo tardi, bambina.»

Mise il broncio e si alzò così in fretta che l'agguantai quando era già quasi scesa dal letto. Quasi.

«Non lasciarmi prima del tempo.»

«I tuoi rifiuti mi fanno male, Trevor. Non le tue dita dentro di me. Non il tuo uccello che mi conquista. Non le tue spinte furiose prima di un amplesso. Non il sangue che mi esce dalla vagina. I tuoi rifiuti, Trevor. Quelli mi fanno male.»

La feci sdraiare di nuovo, sotto di me, anche se oppose una piccola, ma non trascurabile, resistenza.

«Io non ti rifiuto. Io ti desidero troppo, Lea. Sei il mio anello del Potere. La mia Gemma dell'Infinito. La mia coperta di Linus. Il mio Sacro Graal...»

Tentò di assassinare un sorriso mordendosi il labbro, ma il sorriso fuggì e brillò.

«Guardi troppa Tv, Baker.»

«E tu leggi troppi romance, te l'ho già detto.»

«Comunque la tua erezione è d'accordo con me. Dovresti trovare il modo di entrarmi dentro, in un modo o nell'altro, con un sapiente uso della tua verga.»

Fui sul punto di assecondarla, di girarla e di ricominciare. Valutai l'ipotesi di allenarla per tutta la notte, e penetrarla al mattino. La volevo davvero tutta, nell'immediato, in tutti i modi possibili. Ci sarei morto volentieri con il cazzo infilato dentro di lei, e di certo il cazzo sarebbe morto dopo di me, se infilato dentro Lea.

Ma su una cosa mio padre aveva ragione: non sono un animale.

«Sto faticosamente governando i miei istinti, Lea. Mi è rimasta una sola goccia di sangue nel cervello, perché tutte le altre si sono date appuntamento nelle vene che sostengono la mia erezione. Sono io che prego te: è già difficile, non rendermelo impossibile.»

E il suo sguardo si addolcì, mi regalò un bacio bruciante sull'angolo della bocca, dove indugiò un secondo di troppo, rischiando che mi voltassi e la divorassi davvero, artigliandola con la lingua e trascinandola in un vortice di denti e labbra e saliva e ossessione.

Si staccò appena in tempo, e iniziò a pulsarmi la vena sul collo: lei sorrise nel notarlo.

«Allora dovrò fare tutto io, Trevor Baker.»

E fui io ad aver paura, perché come avevo fallito sotto la doccia, avrei fallito tra quelle lenzuola: l'avrei lasciata dominare il mio corpo, e corrompere la mia volontà, e sarei annegato nella sua scelta indiscutibile di scopare a qualunque costo.

Ma fui fortunato: tra tutti i varchi invitanti, caldi e morbidi che potevano accogliermi, scelse la bocca.

Mi voltò piano, e la sua cascata di capelli rossi mi solleticò la pancia mentre scendeva in una scia di languidi baci dal petto all'inguine. Lo prese in mano con una decisione che bruciava di ardore come una conquista, ma se lo infilò tra le labbra con gli occhi chiusi, con una lentezza che invece aveva le morbide sembianze di un'estasi pigra.

La sua bocca era una meraviglia, una cavità perfetta, fatta apposta per contenere il mio uccello esausto e incazzato che per fortuna non aveva capacità di parlare, perché di certo avrebbe imprecato nel ricevere con estenuante ritardo l'attenzione di cui necessitava.

Io almeno potei mordermi la lingua e soffocare la mia bestemmia in un grugnito sfiancante. Avrei retto poco, pochissimo, sentivo già gorgogliare e ribollire i miei canali pieni di uno sperma che friggeva come lava. E la testolina rossa di Lea compiva il suo percorso di andata e ritorno intorno alla mia asta che stava esaurendo la volontà di resistere, e io invece no che non potevo resistere alla voglia di guardarla mentre si sforzava di scendere più che poteva, allargando la gola come le avevo chiesto di fare prima del sequestro, e si muoveva piano, cercando il suo ritmo, su e giù con la sua chioma di rame, come un'alba incerta sul da farsi tra le mie gambe.

E forse non sarei riuscito a contare nemmeno fino a dieci se non fossi intervenuto in qualche modo, perché avevo sopportato la mia durezza troppo a lungo e la pressione esercitata dal mio amplesso ormai alle porte andava sfogata o mitigata. Optai per la seconda.

«Lea, girati...»

La sua bocca abbandonò le attenzioni che stava impartendo al mio cazzo, alzò la testa per mostrarmi la sua incomprensione e i rivoli di saliva che collegavano le sue labbra al mio glande brillarono come ragnatele impreziosite dalla rugiada del mattino. E forse divenni un po' animale in quel momento, perché non ragionai più.

Le strappai un gridolino inaspettato nell'afferrarla e voltarla fino a trovarmi la sua entrata intima all'altezza della bocca. Benedii le piccole dimensioni di Lea, che mi consentivano di manipolarla senza nessuno sforzo, docile, leggera, morbida e spettacolare come le lunghe piume della coda di un pavone.

Affondai metà della mia faccia tra le sue cosce pallide, trovando il suo clitoride gonfio e pulsante, bisognoso di sfogo quanto lo era il mio cazzo.

Ma il piacere che davo a Lea la stava distraendo: il ritmo delle sue labbra intorno al mio uccello divenne discontinuo, scostante, quasi stonato.

«Concentrati bambina, ho bisogno di te...»

E sono certo ci stesse provando, stesse cercando di restare abbastanza lucida da gestire al meglio quello cui aveva dato inizio lei, ma stava fallendo: si bloccava per gemere, si bloccava per sospirare, si bloccava per esternare il suo godimento, incapace di canalizzare il piacere ricevuto nell'atto di donarne altrettanto.

«Usa la mano, Lea. Se non riesci con la bocca usa la mano. Per favore...»

E andò meglio, anche se lontana anni luce dall'andare bene. Accettai la situazione, arrivando poi ad esserne gratificato: mi stava bene darle così tanto piacere da impedirle di pensare a qualunque altra cosa, mi piaceva trascinarla via con me, rapire le sue capacità cognitive, impadronirmi di ogni sua facoltà, farla mia così tanto da far sì che niente le appartenesse più.

Smisi di pregarla di gestire l'indomita erezione che svettava furiosa tra le mie gambe, e usai quella furia per leccarle il clitoride, sempre più gonfio, pulsante come un cuore terrorizzato, schiavo della mia bocca. Lo accolsi tra i denti in un morso morbidissimo risucchiandolo dentro la mia bocca e dalle labbra di Lea esplose un miracolo fatto di abbandono e perdizione, un po' voce e un po' grido, metà preghiera e metà imposizione, una ricetta composta da profanazione e rispetto, blasfemia e venerazione. Sentii il suo amplesso scuoterle la carne, bagnarmi la bocca, sfuggirle dalla lingua, avvolgerci entrambi con i suoni gorgoglianti della sua eiaculazione abbondante, con il calore sprigionato dalla sua pelle tremante.

Non avevo voglia di smettere, anche se sapevo che continuare a stimolare il clitoride dopo un orgasmo poteva essere doloroso. Ma il sapore di Lea era meglio del Macallan da seimila sterline, e continuai a leccarla adorante, mentre lei, finalmente, s'impossessava di nuovo della mia erezione, prendendosene cura.

E quello pigramente abbandonato al piacere divenni io, che di Lea mi limitavo ad abbeverarmi con la lingua, mentre lei riprendeva il suo pompino interrotto.

Perdeva ancora il ritmo, e la penetrazione non sempre raggiungeva la gola come mi aspettavo facesse, quando la punta della mia lingua stuzzicava qualche centro nervoso tra le sue piccole labbra accoglienti, ma mi stava bene lo stesso, perché stavo imparando a fare mio il suo piacere, a goderne con la stessa partecipazione.

Era qualcosa di molto celebrale e poco fisico, ma non per questo meno soddisfacente.

Ad ogni buon conto, anche il mio orgasmo esplose dentro la bocca della mia dea capricciosa: infiniti e rabbiosi spruzzi che ingoiò con fatica e qualche colpo di tosse, uno zampillare cocciuto che parve decisamente prolungato a me, e forse infinito a lei.

La sentii sospirare, quando le contrazioni smisero di produrre liquido seminale, annunciando una resa che sapeva di vittoria da parte del mio sfinito uccello.

E Lea mi scivolò via, elegante e atletica. Si sdraiò accanto a me e me la strinsi di nuovo addosso, e cosa avrei dato per potermela tenere dentro, al sicuro, accanto al cuore, dove poteva bisbigliare segreti e incantesimi al mio battito che ormai esisteva solo per lei.

Si addormentò, ne fui certo, perché il suo respiro divenne leggero, regolare. Ma così come si era addormentata in fretta, altrettanto in fretta si svegliò. Forse aveva freddo, perché sentivo il calore abbandonare il suo corpo. O forse, semplicemente, fu a causa di quello che mi rivelò.

«Trevor?»

«Mmh?»

«Ho fame.»

E pensai fosse una notizia meravigliosa: quella era la fame che speravo Lea tornasse a sentire.    


SPAZIO AUTRICE

Cari lettori, la giornata di Lea e Trevor è iniziata con l'addestramento di lei, è proseguita con una crisi emotiva, poi a casa hanno litigato un po' e adesso...hanno fatto robe.

Però la giornata dei protagonisti è ancora lunga, almeno altre 5000 parole. Dato che lunedì parto di nuovo in trasferta a Roma per lavoro e probabilmente non pubblicherò più fino a sabato prossimo, oggi escono due capitoli. Questo e un altro, così da portare a compimento il lunedì di Lea e Trevor, ok?

Come sempre, le storie di wattpad sopravvivono esclusivamente a suon di stelline, commenti, pubblicità e letture. Se la storia vi piace, vi chiedo la grande cortesia di lascare la stellina, ok?

Se poi siete super generose e vi va di consigliarla attraverso i social, tanto meglio. Ve ne sarò grata, perché con il vostro gesto alimentate il mio sogno. 

Ok...pronte per il capitolo 38? La notte non è ancora finita su Priceless.

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