Come le Maschere di Pirandell...

By shin_eline

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Dove Christian non si rende conto di quanto Mattia gli somigli. More

La prima volta 1/2.
La prima volta 2/2.
Chiasso.
Aspetterò.
Sei mio 1/2.
Sei mio 2/2.
Non andare.
Staccare la spina.
Stupido ego maschile.
Sfortuna, o no?
Paranoie.
Come le Maschere di Pirandello.
Come il sole e le foglie.
In ogni modo.
Amici.
Simili.
Chiamata. 1/2
Chiamata. 2/2
Come il fumo di una sigaretta.
Un po' meno nero.
Rose rosse.
Colazione.
Tornare a casa.
Quando le bugie crollano.
Videochiamata.
Amore.
Ti importa ancora?
Il meglio di me. 1/2
Il meglio di me. 2/2
Un cuore in due.
This Side of Paradise.
La persona adatta.
Uno sporco profumo.
La cosa giusta.
make you mine.
Tra apatia, rabbia e amore.
Un palmo dal cielo.
Mettere in moto.
A pranzo da amici.
Lezioni di ballo.
Prepararsi insieme.
Presentazioni.
Non ci sarebbe stato Universo alcuno.
Mattina.
Non abbiamo età. 1/2
Non abbiamo età. 2/2
Ogni posto ti conosce.
L'aria di famiglia.
Povera mente.
Ogni secondo di più.
Promettimelo.
Nonni. 1/3
Nonni. 2/3
Nonni. 3/3
Il bello dell'amico.
Non so se stringerti o lasciarti andare.
Pasta e gelosia.
In a dream, I saw my mother...
Complici.
Complici. 2

La banalità del male.

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By shin_eline

«Andiamo a casa tua, Rosa?»

«Sì, stiamo un po' lì e vediamo se abbiamo voglia di uscire.»

Rispose sovrappensiero l'amica, mentre guardava i vari scaffali del supermercato.

Mattia e lei erano usciti insieme dopo scuola; era un sabato pomeriggio qualunque, e dato che faceva troppo caldo (persino troppo per essere a Maggio), avevano deciso di tornare a casa.

Non a mani vuote però.

Infatti adesso cercavano qualcosa di buono da sgranocchiare magari davanti ad un film o durante un gioco che si sarebbero inventati una volta tornati a casa.

«Ma possibile che hanno levato quelle patatine? Ti giuro, erano ad un gusto buonissimo Matti, solo che non me le ricordo.»
Sbuffò la ragazza, dandosi qualche colpetto a palmo aperto sulla fronte.

Il ragazzo, poco più alto di lei, la guardò alzando un sopracciglio.
«Tu hai una pessima memoria.»

«Grazie eh.»

«Ma non ti ricordi nemmeno la marca?»

«No, mi ricordo che la confezione era rossa.»
Mormorò.

«Le patatine con le confezioni rosse sono solo queste.»
Indicò esasperato lui.

Ormai erano nella stessa corsia da dieci minuti, con Rosa che cercava delle patatine che a detta sua erano "la fine del mondo."

«Aspe', vado a cercare negli altri scaffali.»

E detto questo, se ne andò.

Mattia sospirò, guardando le confezioni del cibo salato davanti a sè. Cercò qualcosa che potesse piacere a lui, magari i pop corn o le patatine bianche -che erano fra le sue preferite-, ma mentre le cercava si perse di nuovo nei suoi pensieri.

Avere quattordici anni iniziava ad essere difficile.

Aveva così tanti pensieri per la testa, e aveva così tanta vergogna che non riusciva a chiedere una mano a nessuno, per discutere.

La notizia che dopo sarebbero andati a casa di Rosa lo rendeva felice da un lato, certo, ma dall'altro non sapeva bene come etichettare quell'emozione.

Perché avrebbe rivisto Marco, il fratello di Rosa.

E lui- era così bello.

Mattia non aveva dubbi che gli piacesse.

Ormai superata la seconda media aveva fatto i conti con il suo orientamento sessuale ed era partito per l'esplorazione delle cose che gli piacevano davvero.

Non era stato difficile capirlo, forse un po' di più lo era stato accettarlo.

Forse sarebbe stato più normale accettarlo se la persona per cui fosse così perso non fosse un diciannovenne.

Dio, cinque anni di differenza.

Marco non l'avrebbe mai guardato e teoricamente nemmeno lui avrebbe dovuto farlo.

Eppure... a lui piaceva.

Era sempre così gentile quando si incrociavano, e pure se Mattia non era in compagnia di Rosa, quando si beccavano per strada, Marco lo salutava con un caldo sorriso e la voce dolce.

E poi gli chiedeva come stava, cosa faceva e se stesse tornando a casa.

E se la risposta era sì, talvolta, si proponeva di accompagnarlo dicendogli che "tanto, è la stessa strada che devo fare io."

Sospirò pesantemente, quando qualcuno attirò la sua attenzione.

Era un ragazzino, pensò che avesse la sua stessa età, che era entrato nel suo stesso reparto.

Aveva tutte le gambe e le braccia sporche, e nemmeno il viso faceva eccezione. I capelli scuri erano spettinati e gli ricadevano sulla fronte, e si guardava attorno mentre frugava le mani nei pantaloncini.

Fece uscire un verso di frustrazione, prima di incrociare gli occhi di Mattia e avvicinarsi a lui.

«Scusa, per caso per terra hai trovato cinque euro?»

Domandò esasperato.

Mattia scosse la testa.
«No, mi dispiace.»

Quell'altro imprecò, quasi come se Mattia non fosse un estraneo e non potesse benissimo pensar male di lui, e si mise le mani nei capelli.

Il biondo fece una smorfia perché le sue dita erano letteralmente nere di terreno e lui se l'era infilate nelle ciocche.

«Ma io sono passato di qua, le avevo in tasca, ma com'è possibile che scompare tutto quando veramente serve?»

Continuò ad imprecare parolacce a bassa voce, riprendendo la sua ispezione della corsia.

E ora che quel ragazzino lo aveva superato, a Mattia venne da ridacchiare.

Che tipo.

«Vuoi una mano?»

Domandò, girandosi, perché ormai gli sembrava brutto abbandonarlo alla sua ricerca.

Il ragazzino si voltò.

«E poi mica te li rubi se li trovi?»

«Se li avevo visti e li avevo già rubati, tu che ne sai?»

Il moro ci riflettè qualche secondo.

«Quindi li hai presi?»

«...No, era per dire-.»
Si bloccò.
«Ti do una mano e basta.»

Concluse, iniziando a camminare per la corsia in cerca di quella banconota.

Chissá di dov'era quel ragazzo, non lo aveva mai visto prima.

«Ma tu dove sei passato oltre che per qui?»

Domandò, arrivandogli di fianco.

«Per questo reparto e per i surgelati.»
Sbuffò.
«Che palle però, succede sempre questo con questi pantaloni: hanno delle tasche impossibili, cade sempre di tutto e-.»

«E perché li metti ancora?»

«Perché sono l'unico paio di pantaloncini che non ho ancora rotto.»
Si toccò il tessuto.
«'Sti bastardi sono resistenti.»

Mattia lo guardò per qualche secondo, poi si mise a ridere.

L'altro accennò un sorriso, prima di strofinarsi le mani sulla faccia.
«Comunque mi chiamo Christian.»

«Piacere, Mattia.»
Il biondo lo guardò il gesto, e vedendo la macchia di sporcizia intensificarsi gli venne normale corrugare la fronte.
«...Lo vuoi un fazzoletto?»

«...Perché, sono sporco?»

Mattia tentò di non essere molto cattivo.
«...Un po'.»

«Nah, tanto il tempo che esco da qua vado a giocare di nuovo e mi sporco peggio di prima.»

«Ho capito, ma almeno la faccia-.»

Ma non lo fece finire che riprese a camminare.

Poi si inginocchiò, poggiando praticamente la guancia a terra per guardare sotto uno scaffale.

Mattia guardò la scena sbattendo un paio di volte le palpebre, e lo stesso fece un signore che era appena entrato in quel reparto.

E appena Christian lo notò, alzò la testa, e ancora per terra, chiamò il signore.

«Scusi, per caso ha trovato una cinque euro per terra?»

L'adulto, colto alla sprovvista, ci mise qualche secondo per rispondere di no.

E poi, Rosa tornò da Mattia.

«Matti! Matti!»

Lo chiamò più volte, tutta contenta.

«Ho trovato le mie patatine, e guarda qua!»
Gli mostrò una banconota da cinque.
«Ho trovato queste per terra! Possiamo prenderci pure il gelato adesso!»

Mattia la guardò sorpreso.

Ma guarda te che coincidenza.

«La cinque in verità sarebbe di un mio amico.»

«Cosa?»
Domandò, delusa.

Mattia annuì, voltandosi verso il ragazzino che si era alzato da terra.
«Christian, l'ho trovata.»

Il nominato corse immediatamente da lui.
«Cosa? L'hai trovata?»

«Sì, ce l'ha la mia amica.»

E Rosa la porse a Mattia, improvvisamente timida di passarla al ragazzo nuovo, e poi Mattia la passò a Christian.

Quello la guardò, facendo una faccia sorpresa.

«Quindi davvero non l'hai rubata.»

«Te l'avevo detto.»

Gli sorrise, e pian piano anche Christian sorrise.

Guardò entrambi, ma un po' di più Mattia.

«Grazie fra', sei un grande.»
Gli diede una pacca sulla spalla, poi, dopo aver guardato la ragazza da testa ai piedi, le fece un occhiolino.

E se ne andò.

Mattia si mise a ridere.

Che personaggio buffo.

Si voltò verso la sua amica.

...Cosa?

«Ma sei arrossita?»

La ragazza si mise a ridere imbarazzata, scuotendo la testa come per dirgli che non era nulla.

Oddio.

Zenzola alzò gli occhi al cielo, sorpassandola.

«Ohi- aspetta! Aspettami.»

Continuò a ridere lei, prima di affrettarsi a seguirlo.

________________________

«Da quando indossi le camicie alle feste?»

«Ma non mi ci far pensare che mi metto ad urlare dall'isteria.»

Mattia zittì il proprio migliore amico, mentre si guardava attorno.

Che serata del cazzo.

A quella festa c'erano solo persone che gli stavano antipatiche, non se ne salvava una.

E lui si era vestito non bene, ma benissimo, con la possibilità che una di quelle facce da culo gli venisse pure a parlare.

Incrociò le braccia al petto.

«Ma allora stasera viene il tuo spasimante?»

Chiese Francesco con la cannuccia di un drink fra le labbra, mentre con un sorriso si appoggiava alla parete di casa sua.

«Ti ho già detto che sono io che sbavo dietro a lui, non il contrario.»
Sbuffò Zenzola.
«E poi sono sicuro non verrà nemmeno stasera.»

«"Non ti sbava dietro"?»
Chiese sconcertato.
«Me li ricordo i dettagli che mi hai detto della vostra scopata, sai che non si direbbe affatto che lui non ti vuole?»

«Ma era solo una scopata, Fra'.»
Sbuffò ancora il biondo.
«Lui non mi caga, è etero, è stato solo il momento.»

L'ormai diciottenne chiuse gli occhi, sbattendo la testa contro il muro.
«Se io sono etero non ho un'erezione davanti ad un uomo ancor prima che mi tocchi.»
Lo guardò.
«Soprattutto da sobrio.»

Mattia rimase in silenzio, non sapendo come ribattere.

L'argomento Christian ormai era diventato il loro argomento di discussione principale.

Mattia non riusciva a levarselo dalla testa.

Non ci riusciva proprio.

Si era detto più volte che dopo Marco col cavolo che ci avrebbe riprovato con qualcun altro, ma Christian- non lo sapeva, Christian era stato un fulmine al cielo sereno.

Lo pensava in continuazione, gli smuoveva qualcosa a livello dello stomaco, gli veniva tristezza al solo pensiero di saperlo con qualcun altro.

«Ma talmente che è bello 'sto Christian?»

Domandò d'improvviso Francesco, vedendo la faccia triste di Mattia che si perdeva a fissare il vuoto.

Il castano aveva conosciuto decisamente tempi migliori di Mattia.

Tempi in cui si era sempre dimostrato come uno che viene seguito e che non insegue; spesso aveva visto davvero dei bei ragazzi provarci con lui e Mattia magari accettava i complimenti -scroccando poi qualche drink offerto- per poi lasciarli completamente a bocca asciutta.

E a fine serata si riduceva sempre a ridere come un matto insieme a Francesco, ripetendo che "è questa la mia vita, basta starci male per amore."

E beh, meno male.

«È bellissimo, Fra'.»
Scosse la testa.
«Ma non è nemmeno quello, sono- sono proprio i suoi portamenti, il suo modo di fare, il suo modo di parlare e-.»
Si mise le mani sulle tempie.
«Mi ha preso e non riesco più a levarmelo dalla testa.»

«Hai provato a bere?»
Gli porse il drink.

«Al quinto drink continuo a pensare a lui.»
Si lamentò.
«Ci penso solo più forte, più vado avanti.»

«Ahia.»
Sussurrò Francesco.
«Non vorrei essere al tuo posto.»

«No, infatti.»

Il migliore amico si lasciò andare ad un sospiro, dispiaciuto per l'altro.

Poi Anna venne vicino a loro.

«Bellissimi, di che parlate di bello?»

«Sempre del solito argomento.»
Rispose il suo fidanzato, non potendo trattenere un sorriso alla sua vita.

«Ua, ancora quel Christian?»

«No, dico, ma continuate a farmi sentire una merda.»
Sbuffò Mattia.

«Eee, la vita va avanti Mattì.»
Gli diede una pacca sulla spalla.
«Se non ti vuole, lo sai che si fa?»
Iniziò a schioccare le dita, prendendo a cantare.
«Trovi un altro più beeeeellooo.»

Mattia e Francesco si guardarono negli occhi.

Francesco levò lentamente il drink dalle mani della fidanzata.

«Daiii.»
Si mise a ridere la mora, spintonando di nuovo Mattia.

«Oh mi stai slogando la spalla a furia di spingermi!»

Quella rise di nuovo.
«Devi. Smetterla. Di. Pensare. A. Un. Uomo.»
Lo indicò.
«Tu sei forte, sei indipendente, tu non hai bisogno di nessun biondo nella tua vita.»

«Il biondo sono io, lui è moro.»

«Ti prego Mattia.»
Lo riprese il migliore amico.
«Abbi pietà.»

Zenzola sospirò.
«Mi sa che l'unico modo qua è ridurmi come lei.»
Alzò le spalle.
«Vado a bere.»

«Non sboccarmi nel cesso.»
Lo avvertì il proprietario di casa, prima di prendersi cura della sua fidanzata.

E passò circa una mezz'ora, in cui Mattia si era scolato già un drink e mezzo.

Niente, non gli saliva.

«Oddio, è venuto Alex!»
Sentì dire da qualcuna di loro.
«Serena, hai sentito?»

Alex? E chi era Alex?

...E poi chi era Serena?

Dio, davvero quelle feste si erano ridotte al non conoscere nessuno.

Forse avrebbero dovuto smettere di organizzarle.

Non aveva senso, e poi comunque era impossibile che magicamente Christian sbucasse dalla porta solo perché portato da amici di amici.

Impossibile.

Non tutti sono sempre collegati.

Mattia sospirò, e stava per bere gli ultimi sorsi del suo secondo bicchiere, quando vide dei ragazzi entrare in casa.

E non contò nemmeno quanti ce ne fossero, ne vide solo uno.

Christian.

Si gelò.

Cosa- che- quando?

Rimase a bocca aperta.

Poi, lentamente, si girò, come un robot.

«Non ci credo.»

Sussurrò fra sè e sè, e corse verso il suo migliore amico.

Quello sembrava starsela spassando con Anna che rideva fra le sue braccia, ma sinceramente in quel momento non gliene poteva fregar di meno.

«Francesco.»

Lo chiamò per nome completo.

Il ragazzo si voltò, poi fissò le sue spalle rigide e gli occhi sgranati.

«...Fra', ti hanno impalato e non lo sapevo?»

«No no no no no Francesco è peggio.»

«Peggio dell'essere impalati?»

«Christian è qua.»

«Eh?»

Francesco sgranò gli occhi, prima di mettersi in piedi ed iniziare a cercarlo.

«Dov'è?»

«Quello all'ingresso, ha- ha la camicia, i capelli- i capelli scuri e- e ha il tatuaggio qua, tipo, due strisce del cazzo, sono bruttissime e- no non è vero sono bellissime.»

«Quello- aspetta, quello vicino ad Alex Rina?»

«Lo conosci?»

«Di nominata, comunque- cioè, se è quello che ho capito io, è carino.»

«E grazie, non lo sapevo, grazie Francesco, meno male che ti hanno donato la parola.»
Lo prese in giro, poi lo guardò supplichevole.
«Che devo fare?»

«Vagli vicino e bacialo.»
Suggerì Anna.
«Vai tigre.»

Mattia la ignorò, guardando Francesco.

Francesco alzò gli occhi al cielo.

«Okay, vero che Anna ormai è andata, ma io credo davvero tu debba fare qualcosa.»

«Perchè?»

L'amico non rispose, si limitò ad indicare con lo sguardo.

E quando Mattia si girò, sentì un vuoto allo stomaco.

Christian parlava, sorridente come con lui non era mai stato, con una ragazza.

Lei era più bassa di lui e- dio, quella ragazza si chiamava Laura, la conosceva pure, e lei era bellissima, la più bella, e di sicuro, di sicuro Christian lo pensava.

Si voltò verso l'amico.

«Che idea di merda, io me ne vado di sopra.»

«Ma cosa? Ma che stai dicendo?»

«Non mi caga Fra', quello è etero e io sono un idiota.»
Corrugò la fronte.
«Mi sta venendo da piangere solo perché l'ho visto che parlava con un'altra, non sto bene proprio.»
Abbassò lo sguardo, prendendosi il viso fra le mani.

Francesco corrugò la fronte.

Gli dispiaceva vedere il suo amico così.

Prese un grosso respiro, prendendo Anna per i fianchi e spostandosela di dosso.

«Amore, io vado un attimo a ballare con Mattia. Vero che fai la brava e rimani qui, senza vomitare, senza bere altri drink, senza ridere da sola?»

Anna si mise a ridere.
«Va bene però fai presto che non riesco a non ridere.»

Francesco si mise a ridere, facendola sedere su un divano.

Si avvicinò a Mattia.

«Okay, io ora sono tutto tuo, ma mettiamoci in modo che io possa vederla, okay?»
Indicò la ragazza.

Il biondo corrugò la fronte.

«Ma che stai dicendo?»

Francesco sospirò.
«Seguimi e basta.»

Lo prese per il polso, e lo portò in mezzo alla stanza, dove tutti stavano ballando.

Il riccio sgranò gli occhi.

«Ma sei pazzo? Così mi vede.»

«Sì, ma ti vedrà ballare con un altro.»
Si indicò.
«Con il più bel ragazzo che tu abbia mai incontrato in vita tua, per l'esattezza.»
Sorrise, iniziando a ballare.

Mattia rimase fermo.

«...Tu- vuoi farlo ingelosire?»

«Sì, esattamente come lui fa con te.»

«Fra', sono io che gli sto sotto, non lui che-.»

Francesco si avvicinò.
«Mattia, se non fossi completamente trasportato da una persona, non le avrei lasciato succhiotti ovunque, non le avrei detto le cose che ti ha detto durante il sesso, non mi sarebbe venuta una cazzo di erezione e stai sicuro che appena l'avrei vista sarei scappato, non mi ci sarei coccolato per tutto un pomeriggio.»

Ed era vero che quello era una sorta di discorso motivazionale, ma lo disse come se fosse un insulto per un Mattia che non capiva la situazione.

Il biondo abbassò la testa.

«Proviamoci.»
Gli prese le braccia il migliore amico.
«Se non ti caga lo mandiamo a fanculo e ce ne prendiamo un altro più bello.»

«Anche tu con questa storia?»
Si mise a ridere, leggermente motivato.

Francesco ridacchiò, prendendogli la mano e attirandolo a sè.
«Non vorrei dire Matti.»
Sussurrò ad un palmo dal suo viso, facendo scendere la mano lungo la sua schiena.
«Ma credo che ci stia guardando.»

«Cosa? Ma che dici? Dove?»

«Non ti girare.»
Sussurrò.
«Continua a ballare.»

_______

«Continua a ballare Mattia.»

Il ragazzo riprovò il passo.

«No, non va bene. Rifallo.»

Lo sgridò la donna davanti a lui, e il biondo corresse la sua posizione.

Si trovava nella scuola di ballo.

Accanto a lui c'erano i suoi compagni che continuavano a procedere cercando di ascoltare i consigli della maestra, mentre lui cercava solo di non farsi riprendere.

Erano passati due giorni da quel lunedì.

La vita era ripresa a scorrere come niente fosse accaduto; a scuola la campanella suonava sempre con un minuto di anticipo e le ore passavano sempre allo stesso modo.

In quei giorni Christian aveva chiesto al suo datore se potesse cambiargli i turni e lavorare giovedì e venerdì, anziché lunedì e mercoledì.

Immaginava volesse stare un po' per conto suo.

Non lo biasimava; nonostante avesse pregato il biondo di non sparire, l'altro aveva capito che a mente lucida, forse di una pausa era quello di cui anche lui aveva bisogno.

Perciò si erano scritti su whatsapp, ma da entrambe le parti le risposte e le domande erano fredde.

Trattenne il respiro quando sentì l'ennesima sgridata da parte della maestra.

«Mattia no, non va bene. Ma si può sapere dove hai la testa oggi?»

Il riccio fece cadere le spalle, e per un attimo sentì anche le ginocchia venirgli meno.

Ballare lo aiutava di solito, ma delle sgridate di qualcuno ne aveva la mente piena.

«Non mi sento molto bene.»
Confessò, senza nemmeno alzare lo sguardo.

La donna però, appena sentita quella frase, rilassò l'espressione severa del suo viso e si mise le mani sui fianchi.

«E allora perché sei venuto?»

«Pensavo passasse.»
Rispose sincero, mostrando tutta la sua delusione.
«Forse è meglio se torno a casa.»

L'altra fece una piccola smorfia con l'angolo della bocca, un po' dispiaciuta per quel tono, poi annuì.

«Sì, fai la cosa migliore. E mangia appena arrivi, che sembri debole.»

Il biondo fece un piccolo sorriso, poi, sussurrando un "con permesso", uscì dalla sala.

E appena la musica fu ovattata dalla porta chiusa, rilassò le spalle.

Lui amava stare nella confusione, in mezzo alle persone, ma- ogni tanto, di quel rumore ne aveva le orecchie stonate.

Perciò prese a camminare verso gli spogliatoi.

Si cambiò mettendosi una maglia più leggera e le scarpe da ginnastica; recuperò il borsone, se lo infilò sulla spalla, ed uscì.

Passò davanti ad una sala.

La sala in cui lui e Christian avevano fatto l'amore.

Sospirò.

Certo che lui e il suo fidanzato ci provavano gusto a rischiare in continuazione, vero?

Forse avrebbe dovuto tornare a casa, eppure non riuscì a trattenersi ed aprì la porta.

La stanza era al buio.

Era sera ormai.

Si sedette a terra, vicino alla porta.

Prese il telefono.

Lo sbloccò con l'impronta digitale e cliccò sull'unica chat che teneva fissata.

Nessun messaggio.

Cacciò un piccolo sospiro, che sembrava sollevargli per qualche la preoccupazione che sentiva sul petto.

Era preoccupato.

Voleva scrivergli, domandargli come stesse, chiedergli se avesse bisogno di una spalla.

Ma sapeva che era sbagliato.

Che non poteva perché tutto quel casino era colpa sua, era solo colpa sua.

Se solo- se solo non avesse mai detto nulla a Stefanelli, lui non avrebbe mai saputo di Marco e tutto sarebbe filato liscio almeno per un altro po'.

Perché stavano da appena un mese insieme e già si presentavano i primi casini.

E Mattia aveva paura che Christian si rendesse conto quanto fosse difficile stare con lui.

Quanto fosse difficile amarlo, quanto fosse difficile stargli vicino.

Prese il cellulare con entrambe le mani.

I pollici iniziarono a digitare.

Mattia Zenzola:
Come stai?

Non lo inviò, ma rimase a fissare quei caratteri neri sullo sfondo bianco.

Forse a Christian avrebbe dato fastidio un suo messaggio, forse per questo non gli scriveva.

Forse i suoi nonni chissà cosa gli avevano detto e lui adesso non era più sicuro della loro relazione.

Strinse forte le labbra, ma questo non bastò per fermare un singhiozzo.

E prima che se ne accorgesse, iniziò a piangere.

Che situazione di merda.

L'amore era una merda, amare era una merda, e sbagliare ancor di più.

Odiava Marco.

Lo odiavo così tanto e- perché non poteva lasciargli vivere la sua vita normalmente?

Perché uno sbaglio che aveva fatto a quindici anni si ripresentava sempre?

Perché?

Allora non era vero che quando si cade le risalite sono più belle.

Non era vero, perché dopo le prime cadute le salite serviranno solo a cadere di nuovo.

E più sarai in alto più farà male.

«Com'è andata questa settimana, Mattia?»

Chiese la donna davanti a lui.

Ma il ragazzo non rispose.

Ed era strano, perché di solito, pur mentendo, l'altro parlava.

Quella volta sembrava spento.

Sembrava vuoto.

Come se non avesse mai conosciuto energia, come se sul viso non avesse mai avuto una ruga d'espressione.

Immobile come una bambola dal grigio sotto gli occhi, Mattia si limitava a guardare un punto fisso.

Così, la signora, si portò le mani al grembo.

«Quindi... non vuoi parlarne?»

Mattia non rispose.

La mora, sistemando meglio le gambe accavallate, parlò di nuovo.

«Oggi non volevi venire?»

L'altro scosse la testa.

«Perché non volevi?»

«Non sento di star migliorando.»

Rispose, schietto e sincero, con l'apatia di chi ormai ha smesso di credere a tutto da un po'.

L'altra, quasi abituata a quel tipo di frase, continuò.

«E perché non senti di star migliorando?»

Silenzio.

Mattia non avrebbe risposto, lo sapevano entrambi.

Non funziovano più quei giochetti per farlo parlare.

Perché ormai Mattia aveva compreso che meglio della confusione e della rabbia, c'era l'apatia.

Quella condizione in cui spegni le emozioni e diventi spettatore esterno delle tue situazioni.

Ed era meraviglioso.

Ti faceva sentire in pace.

Non ti faceva commettere errori.

Non sbagliavi.

Non potevi peggiorare.

Potevi solo migliorare.

«Mattia... so che a questo punto del percorso diventa difficile andare avanti. Ma è proprio qui che bisogna spingere di più, perché é qui che c'è il muro più grande. E se questo viene abbattuto, tutti gli altri sembreranno nulla in confronto.»

"Il muro più grande."

A Mattia sembrava averlo superato già da un po'.

Spostò lo sguardo sulla sua psicologa.

Quelle erano le solite frasi imparate a memoria.

Erano le solite cose che venivano dette a tutti.

Perciò non aveva senso affidarsi a qualcuno che lo avrebbe reso come tutti gli altri.

Gli altri erano infelici e Mattia lo sapeva.

E lui non sarebbe stato come loro.

«Ti hanno costretto i tuoi genitori a venire?»

Domandò poi.

Lui annuì.

«Ti ha dato fastidio quando l'hanno fatto?»

Ecco, ora avrebbe analizzato i rapporti con i suoi genitori.

Se Mattia avesse risposto sì lei lo avrebbe assecondato, e se avesse risposto di no lei avrebbe chiesto come mai, e avrebbero parlato per la centesima volta di come lui si sentiva un peso.

Un peso.

Era un peso.

E nessuna frase fatta gliel'avrebbe levato dalla testa.

Perciò nemmeno si sforzò a parlare.

Continuò a guardarla.

Continuò a guardare lo schermo del suo cellulare.

Era passato poco meno di un anno dalla ultima seduta dalla psicologa.

Mattia Zenzola:
Come stai?|
Come sta|
Com|
.|

Spense il display del telefono.

Mettergli ansia nel rispondergli era l'ultima cosa che voleva fare e forse- forse se avesse inviato quel messaggio l'altro avrebbe frainteso e avrebbe capito proprio quello.

Probabilmente se avesse avuto bisogno di lui già gli avrebbe scritto.

Peccato che in quel momento era Mattia ad aver bisogno di sentirlo.

Perché voleva sentirgli dire le sue preoccupazioni, le sue paure, tutto ciò che lo spaventava solo per sentirsi utile, per poterlo stringere poi, per potergli sussurrare che andava tutto bene e potergli stare accanto.

Stargli accanto.

Voleva così tanto stargli accanto.

«Che ci fai qui?»

Domandò qualcuno, e Mattia si voltò in direzione della voce.

E la ragazza, a vederlo con gli occhi rossi mentre fissava il telefono, proprio in quella stanza, non ci mise molto a sospirare.

Chiuse la porta alle sue spalle che faceva da fonte di luce.

«Ha fatto lo stesso con te?»

Mattia si voltò dall'altra parte, asciugandosi le lacrime.

«Non so che concezione hai di lui, ma non è come credi.»

«É un sì o un no?»

Domandò ancora, con il tono che, per quanto accusatorio, rimaneva dolce e disponibile.

Sì, se Mattia avesse dovuto descrivere Isabella con due aggettivi sarebbero stati proprio "dolce" e "disponibile."

Tanto che, nonostante fossero ormai settimane che non si guardavano, lei, al sentirlo piangere, si sedette al suo fianco, sul pavimento.

Il biondo rimase quella domanda in sospeso, troppo stanco per spiegarle tutta la situazione.

Ma a quanto pare a Isabella non serviva per poter dire quello che credeva.

Infatti, dopo qualche secondo di silenzio e di imbarazzo, si passò le mani sulle cosce magre fino alle ginocchia.

«Io-.»
Si interruppe subito dopo, poi continuò.
«Io non voglio che la nostra amicizia finisca per colpa di un ragazzo.»
Gesticolò.
«Indipendentemente se- se è stato uno stronzo o no.»

Mattia chiuse gli occhi.

Dannati sensi di colpa.

Isabella era sempre così dolce e matura che lo faceva sentire mediocre vicino a lei.

Gli venne di nuovo l'impulso di piangere, e la testa iniziò a girargli leggermente mentre capiva che era tutta colpa sua.

Era stato un amico di merda, non aveva giustificazioni.

«Nemmeno io lo voglio.»
Mormorò, con la voce che gli tremolava.
«Ma non posso fare a meno di Christian.»

Rispose, sincero.

Non poteva negare i suoi sentimenti, nonostante l'amicizia con lei fosse forte e sentita.

Amava Christian, lo amava davvero.

E sapeva che dall'altra parte sarebbe stato difficile accettarlo.

La ragazza infatti abbassò lo sguardo, sentendosi presa per qualche secondo contropiede, poi annuì.

«Lo immaginavo. Spero solo che quelle lacrime non siano per lui, allora.»

«Sono per quello che vorrei essere per lui.»

«È lo stesso per cui ho pianto io.»

Accennò un sorriso l'altra, e quel sorriso contrastava la delusione nella sua voce.

Isabella era una ragazza tanto bella.

Così bella che quella sera in cui sembrava star esponendo il proprio dolore e il proprio cuore spezzato, lo era ancor di più.

Mattia scosse la testa.

«No... no Iso, è diverso.»

«Anche se il tempo in cui vi conoscete è diverso, non cambia il fatto che il motivo è lo stesso.»
Cercò di farsi capire.
«Quel ragazzo ha dei problemi, e-.»

«Basta così Isabella, non è il momento.»

Sbuffò il biondo, prendendo la manica del borsone e tirandosi in piedi.

Veloce la ragazza fece lo stesso.

«Fammi finire.»

«Fammi passare.»

«No, devi ascoltarmi. Ho il diritto di essere ascoltata dopo quello che mi hai fatto.»
Gli puntò il dito contro.

Mattia la guardò.

Abbassò lentamente lo sguardo.

Resasi conto di quello che aveva detto, Isabella abbassò il tono di voce.

«Ho sentito che adesso vi siete fidanzati, ufficialmente. E io- io sono contenta, credo, per voi.»
Cercò di farsi comprendere, senza sembrare finta.
«Io ti voglio bene Matti, se tu sei felice io sono felice con te e mi manchi, ma proprio perché ti voglio bene voglio avvertirti riguardo quello che ti potrebbe aspettare.»
Gesticolò.
«Non dico che una persona perché fa un errore lo farà per sempre, ma- voglio solo dirti di stare attento.»

«Trovi difficile esternare i tuoi pensieri?»

«No. Non più.»

«E allora perché non mi parli di quello a cui stai pensando adesso?»

«Non sto pensando a niente.»
Rispose il biondo, guardando un angolo della stanza.

«Si dice sia impossibile non pensare a niente, magari non ti focalizzi bene sui pensieri che fai.»

Mattia sospirò dal naso, non distogliendo lo sguardo da dove lo aveva già.

Era stanco di persone che gli dicessero come dovesse comportarsi.

Era stanco di focalizzarsi, di impegnarsi, di applicarsi in qualcosa.

Lo aveva fatto per troppo tempo e i suoi sforzi erano stati vani.

Non aveva nemmeno più la forza di piangere.

Non voleva impegnarsi nemmeno più in quello.

Non voleva fare nulla.

Voleva tornare a casa, si sentiva stanco, voleva riposare.

«Va bene... se non vuoi parlare di questo non c'è problema, possiamo parlare di altro.»

No.

Non erano amici.

Non avrebbero parlato di altro.

Gira e rigira gli avrebbe cacciato fuori le informazioni che voleva sapere.

Perché é quello che fanno gli psicologi.

Gli amici cambiano per davvero i discorsi, non gli psicologi.

Pensò volesse un amico.

Pensò volesse ridere con un amico.

Ma ormai non ne aveva più.

Non aveva più nessuno attorno, aveva allontanato tutti.

«Hai continuato a scrivere in questo giorni?»

«No.»

«Come mai?»

«Non ne avevo voglia.»

«Perché non avevi ispirazione o per qualcos'altro?»

«Non avevo voglia e basta.»

Ripeté.

Di solito era sempre cordiale ed educato, cercava di non risultare scontroso ma- ma quel giorno non ce la faceva.

Voleva solo tornare a casa.

Voleva mettersi sotto le coperte e poggiare la testa sul cuscino.

«E invece stai leggendo?»

«No.»

«C'è qualche attività che stai facendo per distrarti un po'?»

«Non posso continuare a scappare da quello che mi spaventa.»
Sussurrò, come se fosse uno dei mille pensieri che già aveva fatto.
«Non posso distrarmi per sempre pur di non affrontare i miei problemi.»

La psicologa attese qualche attimo, poi ribatté.

«La vita non è un affrontare e basta. Sono le distrazioni che ci rendono vivi.»
Si sistemò i pantaloni sulle gambe.
«Se rimuginiamo sempre sullo stesso problema non lo affrontiamo, lo ingrandiamo e gli diamo possibilità di divorarci e non lasciare alcun granello di noi.»

Mattia la guardò, con gli occhi spenti.

A lui sembrava di essere già arrivato a quello stato.

«Iso...»
La richiamò Mattia.
«Se trovassi parole più dolci le userei, ma non riesco a dirti in un altro modo che ciò che ho con Christian é sincero.»
Alzò le sopracciglia.
«Mi dispiace se abbia fatto il coglione con te, questo nessuno lo mette in dubbio e- mi dispiace se io sono stato davvero un amico di merda nei tuoi confronti, ma-.»
Prese un respiro.
«Ma ti assicuro che se non avessi sentito qualcosa di così grande, non ti avrei mai fatto un torto del genere.»

La ragazza lo guardò, ferita anche se tentava di nasconderlo.

Per non far vedere gli occhi lucidi, li puntò altrove, sul pavimento.

A lei mancava Mattia, ma quando lo guardava negli occhi non vedeva altro se non quell'amico di cui si fidava ciecamente che- che la aveva tradita come niente fosse.

Le aveva rubato il ragazzo e- sapeva, lo sapeva, che i sentimenti non si comandavano, ma la sua parte razionale veniva sempre meno davanti ai suoi sentimenti.

E i suoi sentimenti erano così confusi.

A lei mancava.

Mancava il suo compagno di ballo.

Le mancavano le battute, le risate, gli spintoni, i baci sulla fronte e gli incoraggiamenti, i complimenti, le scompigliate di capelli e le ore passate a provare insieme, nonostante appartenessero a due generi diversi.

Si strinse le spalle al petto.

«A me Christian piaceva tanto.»
Sussurrò, cercando di cacciare tutto fuori.
«M-Mi piaceva perché- cioè... lo sai già perché mi piaceva.»
Mormorò imbarazzata.
«Ma non mi ha fatto male per lui, perché bene o male ormai l'avevo capito che io non sarei mai stata una sua scelta. Forse-» fece uscire una risata imbarazzata. «Forse non ero nemmeno un'opzione.»

Mattia abbassò la testa.

«A me ha fatto male vedere un mio amico che- che mi tradiva in questo modo. In un modo così- così meschino.»
Provò a trattenere le lacrime.
«Non hai aspettato nemmeno un mese per prendertelo, non c'è stato nemmeno il minimo pensiero per me che-.»

«Io ero già innamorato di lui.»

«M-Ma lui stava scrivendo a me.»
Si indicò, e non ce la fece a trattenere una lacrima.
«Ma- ma va bene, è andata com'è andata e- e non importa.»
Scosse la testa.
«Ma peggio di tutto questo, c'è stato il fatto che tu non mi abbia contattato nemmeno una volta.»

«Pensavo volessi tempo-.»

«E avevi ragione ma- ma almeno un messaggio, Mattì, un messaggio.»
Singhiozzò.
«Tu- tu mi sei mancato così tanto e invece tu nemmeno mi hai cercato una volta, una sola!»

Il riccio deglutì un grappolo alla gola.
«Sono state-.»

Ed era lì, pronto a giustificarsi, per dirle che erano state settimane particolari e- merda sì se erano state particolari.

Ma mentre lei gli urlava contro, mentre lei piangeva, si accorse che non voleva spiegazioni.

Isabella lì non era per sentirsi dare delle motivazioni.

Ma solo delle scuse.

Voleva delle scuse.

E voleva che le dicesse che le voleva bene.

E Mattia- Mattia sì che le voleva bene.

E quando lo pensò, quando nella sua testa arrivò alla conclusione che l'aveva fatto di nuovo, che non essendo in grado di risolvere il problema l'aveva ignorato per non essere ferito ulteriormente, gli venne da piangere.

Lui voleva bene a Isabella, perché si era comportato in quel modo?

Ma che aveva nella testa?

Che gli era passato per la testa quando aveva baciato Christian, quando lo aveva portato a letto?

Ora lo capiva il dolore della sua amica.

E si odiava così tanto per non esser stato in grado di prevenirlo.

«M-Mi dispiace così tanto.»

Sussurrò, prima di asciugarsi distrattamente una lacrima perché aveva vergogna pure di piangere.

Si sentiva un idiota.

Un idiota.

«Io- io non avrei mai voluto farti del male, non so cosa mi sia passato per la testa, non- non so perché mi sono comportato così, mi dispiace così tanto.»

Singhiozzò.

«Mi dispiace da morire, t-te lo giuro.»

Sussurrò, ed era sincero.

La banalità del male.

Isabella, per un attimo, ricordò quel libro.

A volte il male si compie e nemmeno ce ne si accorge.

La banalità del male.

Perché Isabella non era lì per litigare, perché in cuor suo, a Mattia, l'aveva già perdonato.

E voleva tornare come prima.

Come prima di tutta quella storia.

«Non fa niente...»
La ragazza dalle ciocche rosa si avvicinò a lui, e con un po' di titubanza gli poggiò una mano sul viso.
«Ti voglio bene Matti.»
Singhiozzò.
«T-Torniamo a com'eravamo, ti prego.»

Il biondo annuì velocemente, spingendosi fra le sue braccia per stringerla.

«T-Ti voglio bene anch'io.»








«Mattia?»

Lo richiamò ancora la voce di quella donna.

Lui si era già alzato, ormai allo scadere dell'orario destinato all'incontro.

Era vicino alla porta, con la mano sulla maniglia.

Si voltò verso di lei.

«Trova il coraggio di perdonare te stesso.»

Il ragazzino la guardò, confuso.

«Come?»

«Smettere di vivere è la punizione che ti stai dando per aver fatto un errore. Ma non è staccando la spina che un oggetto riprende a funzionare.»
Lo avvertì.
«Volersi bene è molto più difficile dell'odiarsi, ma questo non significa che è un'abilità che non ci appartiene.»
Parlò dolcemente.
«Sono sicura che farai grandi cose se crederai in te stesso.»

Gli sorrise.

«Corri Matti, che la felicitá va conquistata.»

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