In ogni modo.

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Christian guardò attento le strade illuminate dai fari della propria macchina: ormai il sole era calato e i lampioni non sembravano voler fare il proprio lavoro.
O meglio, i lampioni c'erano, il problema era la distanza che c'era fra loro: era tale che alla fine dei tratti finivano per essere più bui, e forse era anche per quel motivo che in quelle vie, di sera, nessuno ci passava a piedi.

Rivolse uno sguardo al ragazzo di fianco a lui che si era accucciato nel proprio posto dopo aver messo la busta in mezzo alle proprie scarpe e non aveva parlato più.

Era preoccupato, ma sapeva anche che partire in quarta, fare mille domande, far trapelare il panico che provava, avrebbe solo messo più in difficoltá l'altro.

Doveva essere un appoggio in quel momento, una parte sicura, rigido quasi quanto era stata la presa che aveva avuto sul corpo dell'altro qualche minuto prima.

Svoltò in un vicolo dove sapeva nessuno passasse mai: si erano allontanati un po' dalla strada della via Zenzola, e non sapendo dove andare e consapevole che casa sua fosse troppo lontana, aveva deciso di parcheggiare in un posto isolato per poter parlare in tranquillità.

E così fece: si avvicinò ad un marciapiede, rallentando, e dopo aver cambiato le marce e messo il freno a mano, spense la macchina.

Si voltó verso il ragazzino intento a guardare le proprie mani sulle ginocchia, e cacciò piano l'aria dal naso.

Avvicinò una mano, quella destra, al suo viso, intrappolando il suo mento fra il pollice e l'indice, e lo fece voltare verso di lui.

Mattia non ricambiò lo sguardo, continuava a tenere gli occhi fissi a terra, e la fioca luce del lampione che filtrava del vetro, gli illuminava le guance bagnate.

Stava piangendo, di nuovo.

Christian aggrottò appena la fronte mentre la mano ancora ferma sul volante stringeva la propria presa: voleva sapere il perché il più piccolo stesse così tanto male, e la paura di c'entrare qualcosa in quella storia lo faceva sentire pure peggio.

«Piccolo.»
Sussurrò, cercando di attirare la sua attenzione.
«Ti va se ci mettiamo dietro? Stiamo più comodi.»

L'altro annuì distrattamente mentre si allontanava dalla sua presa, ma Christian fu più veloce. Gli afferrò la mascella con quella stessa mano, avvicinandolo a sè: non ci mise tanta forza, anche perché Mattia era così tanto debole che si lasciava toccare senza oppore nemmeno un minimo di istintiva resistenza.

Non sapeva perché lo avesse fermato, non sapeva che voleva dirgli, e forse in realtà voleva solo unire le loro labbra.

Ma era uno dei suoi soliti stupidi pensieri egoistici, che avevano ancora una volta superato la volontá dell'altro: forse non gli andava ancora di essere toccato, perciò ritrasse la mano.

Ma come puoi dimostrare affetto a qualcuno quando sei un'incapace con le parole e non puoi nemmeno sfiorarlo?

«Scusa.»
Mormorò, cercando di dirgli che lui non era un esperto, che non sapeva come ci si muoveva in quel genere di situazioni, che non aveva idea di come comportarsi, ma che ci stava provando.

Poggiò la testa sullo schienale dietro di lui, mentre fissava il suo viso.

Voleva fare qualcosa per lui.

Si sentiva impotente, si sentiva sbagliato, si sentiva come se dovesse fare qualcosa ma lui non sapeva che fare.

Voleva trovare le parole giuste, voleva fargli un bel discorso per dirgli che andava tutto bene e magari farlo sentire a suo agio per poter parlare, ma quello bravo a parlare dei due era Mattia.

Come le Maschere di Pirandello. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora