Come le Maschere di Pirandell...

By shin_eline

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Dove Christian non si rende conto di quanto Mattia gli somigli. More

La prima volta 1/2.
La prima volta 2/2.
Chiasso.
Aspetterò.
Sei mio 1/2.
Sei mio 2/2.
Non andare.
Staccare la spina.
Stupido ego maschile.
Sfortuna, o no?
Paranoie.
Come le Maschere di Pirandello.
Come il sole e le foglie.
In ogni modo.
Amici.
Simili.
Chiamata. 1/2
Chiamata. 2/2
Come il fumo di una sigaretta.
Un po' meno nero.
Rose rosse.
Colazione.
Tornare a casa.
Quando le bugie crollano.
Videochiamata.
Amore.
Ti importa ancora?
Il meglio di me. 1/2
Il meglio di me. 2/2
Un cuore in due.
This Side of Paradise.
La persona adatta.
Uno sporco profumo.
La cosa giusta.
make you mine.
Tra apatia, rabbia e amore.
Un palmo dal cielo.
Mettere in moto.
A pranzo da amici.
Lezioni di ballo.
Prepararsi insieme.
Presentazioni.
Non ci sarebbe stato Universo alcuno.
Mattina.
Non abbiamo età. 1/2
Non abbiamo età. 2/2
Ogni posto ti conosce.
L'aria di famiglia.
Povera mente.
Ogni secondo di più.
Promettimelo.
Nonni. 1/3
Nonni. 2/3
La banalità del male.
Il bello dell'amico.
Non so se stringerti o lasciarti andare.
Pasta e gelosia.
In a dream, I saw my mother...
Complici.
Complici. 2

Nonni. 3/3

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By shin_eline

«Marco è mio cugino.»

«E perché non me lo hai detto?»

Sussurrò debole.

Non sembrava nemmeno arrabbiato.

Sembrava solo ferito.

Christian si mise una mano fra i capelli: portarlo lì gli era sembrata la soluzione più sicura per non fargli ancora scoprire niente, ma a quanto pare non aveva funzionato.

«L'ho scoperto ieri.»

«Come?»

Il più alto si morse il labbro.

«Te lo spiego in macchina.»

Abbassò la voce per non farsi sentire, e Mattia, nonostante avesse tutto lo sguardo di chi non vuole ancora rimandare, annuì.

Forse anche lui riconosceva che in quel momento, davanti a tutti, non era il caso di parlare.

Così il diciannovenne prese un grosso respiro, e finalmente rivolse gli occhi anche ad altre persone oltre il suo fidanzato.

«Noi adesso andiamo.»

La nonna arcuò le sopracciglia verso l'alto, prima di annuire in un'espressione dispiaciuta.

Guardò il nonno come per scusarsi con lui di non esser riuscito nemmeno quella volta a spiegarsi ma il più grande scosse la testa come per dire che non era quello l'importante adesso, e poi di nuovo Mattia.

Mattia lo guardò aspettando che fosse lui a prendere iniziativa, così prese a camminare fino alla porta.

Guardò Tommaso negli occhi, poi semplicemente deviò la sua strada e lo sorpassò.

«E ora te ne vai?»

Chiese Marco, guardando i due.

«Uno cerca di chiarire e tu te ne vai?»

Ma niente.

Christian lo ignorava.

Il ragazzo dal codino fece una smorfia, fin quando non decise di afferrare per un braccio Mattia e bloccarlo quando gli stava passando davanti.

«Che cazzo gli hai detto, ne'?! È colpa tua se-.»

E nemmeno fu capace di finire la frase, che una mano gli fece lasciare la presa.

Christian si mise in mezzo ai due corpi, stringendo ancora il polso del cugino.

«Ma che cazzo vuoi?»
Strinse più forte la presa, per poi spingerla rudemente contro il suo petto.
«Ma come stracazzo te lo devo dire che lo devi lasciare in pace?»
Fece un passo in avanti, azzerando quasi completamente le distanze.
«Se non ti sta rispondendo non ti vuole rispondere, cosa non riesci a capire?»

Mattia guardò Christian da dietro.

Gli si era messo davanti.

Ebbe un brivido.

Nessuno lo aveva mai difeso da Marco.

«Sei diventato il suo bodyguard adesso?»

«Te l'ho già detto una volta che non lo devi toccare.»

Una volta?

Ma si può sapere di che cosa stavano parlando?

«Altrimenti? Mi tiri un altro pugno?»

«Vuoi vedere?»

«Christian.»
Lo riprese a bassa voce il biondo, sentendosi in dovere di intervenire.
Lo spinse indietro, verso di lui.
«Non è successo niente, basta...»

Mormorò, poi iniziò a guardare i componenti della stanza.

No, non Tommaso.

Ma Simone e i nonni.

Simone era spaventato a morte, aveva gli occhi rossi ma nemmeno riusciva a singhiozzare, mentre i suoi nonni sembravano così sinceramente dispiaciuti.

Si voltò di nuovo verso Christian, e delicato lo prese per le braccia.

«Andiamocene e basta adesso.»

Sussurrò, cercando di farlo ragionare.

Il moro prese un grosso respiro, non staccando gli occhi da Marco.

Aveva di nuovo una voglia matta di tirargliene altri cento di quei pugni.

«Ringrazialo perché io non ho idea di come faccia.»

«A fare cosa? A inventarsi stronzate?»

Christian lo prese per il colletto della maglia, pronto per non farsi ripetere quella cazzata ancora una volta, ma Mattia lo tirò velocemente indietro e Tommaso si mise in mezzo.

Simone stavolta scoppiò sul serio a piangere, e il nonno subito andò verso di lui prendendolo in braccio.

Mattia tirò lontano Christian da quella serpe di Marco.

«Christian vi prego andatevene.»

Si mise in mezzo la nonna.

Il nominato strinse i pugni.

Marco si mise a ridere, indicandoli.

«Ah, scusami se ho osato toccarlo.»
Sottolineò il verbo, alzando entrambe le sopracciglia per enfatizzare.
«Evidentemente da solo lui non può rispondermi.»

Mattia si voltò verso di lui.

Ma che stava facendo?

Gli stava rinfacciando quella volta?

Tommaso parlò.

«Basta Marco adesso.»

«No, no, lascialo continuare.»
Christian sorrise.
«Voglio vedere quante altre stronzate riesce a cacciare prima che lo prenda a pugni.»

«Io non ho mai raccontato palle, Chri.»
Rispose il cugino, alzando entrambe le sopracciglia.
«Non so cosa ti abbia detto, ma sappi che la cazzata la stai facendo tu adesso.»

Di nuovo.

Lo stava facendo di nuovo.

Stava cercando di mettere chiunque contro Mattia.

Allo stesso modo di come aveva cercato di mettere la famiglia contro Christian il giorno prima.

«E che cazzata mi avrebbe raccontato lui?»

«Io non lo so cosa ti ha detto.»

«E allora i messaggi che mi ha fatto leggere di chi sono?»
Corrugò appena la fronte.
«Le chat, le conversazioni, quella volta per strada se l'é inventata?»
Alzò il mento.
«Alex ti ha visto quel giorno. Ti aveva pure descritto, ma-.»
Fece una smorfia.
«Ma come uno stupido non ho pensato nemmeno per un istante a te.»

Dopo quella frase, tutti si guardarono tra loro.

E a quel punto fu chiaro a tutti che c'era qualcosa che nessuno sapeva.

E anche Tommaso lo capì, quando si voltò verso il fratello cercando di capire.

Ma Marco non rispondeva.

Guardava Christian senza distogliere lo sguardo da lui.

E Stefanelli altrettanto.

E Mattia guardava, per la prima volta, quello che era stato il suo ragazzo da fuori.

Guardava la sua crudeltà da fuori.

Sembrava esser stato messo con le spalle al muro ma no, Dio, Marco non rimaneva mai con le spalle al muro.

Che cosa aveva in mente?

«Avrei voluto esserci io quel giorno.»
Esordì ancora il diciannovenne.
«Al posto di Alex.»

Marco non lo interrompeva.

Tutti ascoltavano in silenzio.

Perché?

Perché Marco non parlava?

«Ti avrei ucciso con le mie mani.»
Continuò il riccio.
«Ti avrei rimasto là a terra.»

«Christian andiamocene.»
Sussurrò Mattia, tirandolo per il braccio.

Ma Stefanelli non lo sentì.

«Non parli?»
Lo provocò ancora il diciannovenne.
«Che c'è, improvvisamente ti sei reso conto dello schifo che hai fatto?»

«Christian, basta, andiamo via.»
Sussurrò di nuovo il suo fidanzato.

Ma Marco a quel punto alzò le spalle, indifferente.

«Io so di non aver fatto nulla di male.»

Stefanelli fece un mezzo sorriso in uno sbuffo leggero, voltando il viso dall'altro lato.

«Ovviamente.»

«Ti ha raccontato stronzate.»

«Non ti credo.»

«Non l'hai mai fatto.»
Alzò le spalle.
«Non credi a tuo padre come puoi credere a tuo cugino?»

Stefanelli continuò a sorridere, riportando gli occhi su di lui.
«Tu non sai un cazzo.»

«Davvero?»

Si spostò da vicino suo fratello, facendo ancora un altro passo verso Christian.

«Io ti conosco Christian.»

Parlò tranquillo, infilandosi di nuovo le mani nelle tasche.

«Io ti conosco da quando eri un bambino. Ti conosciamo tutti da quando eri un bambino.»
Sorrise.
«E non ti dice nulla il fatto che nessuno è rimasto sorpreso da quello che hai fatto?»

Mattia fece scorrere lo sguardo da un ragazzo all'altro.

«Sei stato manipolato da un estraneo e non solo non te ne rendi conto, ma persino continui ad andare contro a me.»
Si indicò.
«Siamo cresciuti insieme e parli come fossi un mostro.»

«Lo sei.»

«Christian...»
Sussurrò Mattia, stavolta spaventato a morte.

Non riusciva più ad alzare lo sguardo.

«Abbiamo giocato a calcio insieme ieri pomeriggio, mi parlavi sorridendo fino a ieri, cosa può essere cambiato in una sera?»

«Che adesso ti ho riconosciuto.»

«No, tu hai cambiato la visione che hai di me.»
Continuò.
«Io sono diverso da questo e tu lo sai.»

«Forse sei tu che credi di conoscermi.»
Alzò le sopracciglia.
«Ma io non sono come pensi tu.»

«No, infatti.»
Annuì.
«Ti ho sopravvalutato.»

Christian sorrise.
«Ah sì?»

«Credevo fossi più lucido.»
Giocò con le mani nelle tasche.
«A quanto pare è bastato il primo che passava per stravolgerti totalmente.»

«Tu non sai niente.»

«No, non lo so, ma conosco lui.»
Indicò con il mento Mattia, senza nemmeno guardarlo.
«So cos'è capace di fare.»

«Che cosa sarei capace di fare?»
Intervenne stavolta in diretto interessato, anche se immediatamente dopo si pentì.

E allora Marco lo guardò, rivolgendogli lo sguardo più schifato che riuscisse a metter su.

Fece scorrere lo sguardo sul suo corpo, dalla testa alle scarpe e poi di nuovo al capo.

«Non metterti in mezzo, sono cose di famiglia.»

«Lui può parlare quanto vuole.»
Si intromise Christian.

«Io non sto parlando con lui.»

«A nessuno frega un cazzo.»

Marco lo guardò.

Stette qualche secondo in silenzio, poi accennò un sorriso guardando ancora il cugino.

Poi si voltò, bloccando i suoi occhi in quelli del biondo.

E stavolta, a Mattia si bloccarono le parole in gola.

«Vuoi sapere cosa penso di te?»

Domandò, già sapendo perfettamente che non avrebbe trovato alcuna risposta.

E poi gli sorrise.

Di nuovo.

Quel dannatissimo sorriso manipolatore.

Perché lo guardò quasi con pietà.

Quasi come se lui già sapeva che quel che stava succedendo sarebbe successo a causa di Mattia, come se fosse qualcosa tipico per lui, come se fosse roba sua quella.

«Penso che non fai altro che rovinarmi la vita.»

A Mattia mancò il respiro.

Cosa?

Lui- lui gli rovinava la vita?

«Non importa quanto io mi allontani da te, tu torni sempre, in un modo o nell'altro.»

Lui tornava sempre?

«Prima quando stavamo insieme, e là non ti è bastato. Non ti è bastato farmi male, no, hai voluto rovinare anche la mia famiglia.»
Gesticolò.
«Che c'è, continui a parlare male di me dopo tutto questo tempo? Ti sei portato addirittura mio cugino dalla tua parte, guarda che cazzo mi ha fatto per colpa tua!»
Alzò man mano la voce, indicandosi poi il viso dal lato gonfio per il pugno del giorno prima.

E a quel punto non sentì più niente.

Le orecchie di Mattia presero a fischiare.

Sentì Simone scoppiare a piangere nuovamente e poi delle successive urla; alzando lo sguardo, Marco aveva indietreggiato di qualche passo mentre si teneva con due mani il naso.

Christian era in piedi di fronte a lui, a stringere ancora i pugni come se la rabbia non fosse stata ancora scaricata, e poco ci volle prima che facesse ancora dei passi in avanti.

«Ma che cazzo!»
Gemette dal dolore Marco, mentre si teneva il punto dolorante.

«Merda.»
Si lasciò scappare Tommaso, mentre si avvicinava al fratello e lo teneva per le spalle.

«Christian, ma che fai?!»
Urlò suo nonno, lasciando immediatamente il bambino che ancora aveva fra le braccia e affrettandosi a mettersi vicino al nipote diciannovenne.

«Io ti uccido, te lo giuro che ti uccido.»

Sussurrò Christian, continuando a fissare il ragazzo dal codino.

«Ma con quale cazzo di coraggio vieni a dirgli queste cose? Ma con quale cazzo di coraggio le dici davanti a me, pure?!»
Urlò, facendosi più avanti.

Mattia si avvicinò al suo ragazzo, prendendolo di nuovo per il braccio.
«Chri non risolvi niente così, dobbiamo andarcene.»

«Ma che dici? Ma non hai sentito le stronzate che ha sparato?»
Si voltò verso di lui.

«Non serve a niente picchiarlo, così avrà solo più scuse per allontanarti.»

«Allontanarmi da chi?»

«Dalla tua famiglia.»

«A me sembra che lo stai allontando tu dalla sua famiglia.»
Intervenne una voce che fino a quel momento era stata zitta, e Mattia si voltò verso di lui.

Era Tommaso.

Tenne per le spalle il fratello, poi si rivolse di nuovo al cugino.

«Christian stai davvero facendo tutto questo per un ragazzo? Non lo conosci nemmeno, non sai nemmeno chi é!»

«Tommaso stanne fuori.»

«Io non sto fuori per un cazzo!»
Rispose, alterandosi.
«Ho cercato di non dire nulla fino ad adesso, ma ti rendi conto di cosa stai facendo?!»
Corrugò la fronte.
«É tuo cugino quello che stai picchiando, è tuo cugino! Siamo cresciuti insieme, siete cresciuti insieme, come puoi-.»

«Basta adesso!»
Alzò la voce il nonno.
«Christian vattene adesso.»

«Perché finisce sempre così?»
Il moro si rivolse al nonno.
«Perché sono sempre io quello che deve andarsene?»
Si indicò.
«Perché in questa famiglia non si distingue mai chi sbaglia davvero?!»

«Perché sei tu che stai fottutamente sbagliando!»
Lo guardò disperato Tommaso, scuotendo la testa.
«Marco ci è già passato, vuole darti dei consigli che-.»

«Marco ti ha raccontato delle stronzate.»

«Marco è mio fratello.»

«Ed è mio cugino.»

Tommaso si avvicinò a Christian, stavolta arrabbiato.

Perché cercava di far ragionare l'altro, ma quando era così testardo lo faceva imbestialire.

Era un ragazzo pacifico ma non ne poteva più di vedere suo fratello venir trattato in quel modo.

Non da Christian per di più.

Da un componente della sua stessa famiglia.

E finalmente, si avvicinò al moro, superandolo in altezza di appena qualche centimetro.

«Io lo so perchè stai facendo questo.»

«Se lo sapessi non mi staresti venendo contro.»

«Io so che sei sempre stato geloso di Marco.»

Cosa?

Stefanelli, davvero, non poteva sentire nulla di più esilarante.

Si mise a ridere.

«Io? Geloso di Marco?»
Si indicò, poi corrucciò appena la fronte con un sorriso.
«Cristo, ma lo hai visto?»

«Sì, bene. E ho visto anche te.»

«E allora non ci hai visti bene.»

«Vi ho sempre visti bene. Ma a te un po' di più.»
Scosse la testa.
«Sei sempre stato geloso di lui.»

Christian annuì, mettendosi le mani nelle tasche.
«E di cosa sarei geloso?»
Alzò le sopracciglia.
«Di un fratello che lo difende a spada tratta? Sì, mi farebbe comodo averlo.»

«No, di un fratello che gli crede.»
Lo guardò.
«Sei geloso del fatto che tutti noi gli crediamo, perché Marco, a differenza tua, non ha mai dato problemi.»

Lo sguardo del più piccolo si incupì.

Ma non di tristezza.

Diventò solo più serio.

«Sei geloso perché è sempre stato migliore di te, e appena hai trovato qualcuno che gli è andato contro hai colto la palla in balzo per sentirti meglio.»
Assottigliò gli occhi.
«Vuoi fare male a lui per sentirti meglio tu.»

Lo indicò, puntandogli l'indice sul petto.

«Ti fa male perché persino dopo essersi beccato un pugno in faccia dopo essersi aperto con te, si è mostrato di nuovo pacifico.»
Sussurrò.
«Di nuovo superiore.»

Lo spintonò appena.

«È questo che ti fa rabbia, non t'importa nemmeno di sapere se quello che ti stia dicendo questo qua-» indicò Mattia «-sia vero o meno. A te interessa solo di trovare un pretesto per fargli del male.»

E forse era vero.

Forse lui era veramente geloso.

Di Marco.

Forse allora non era nemmeno protezione nei confronti di Mattia, forse era solo geloso.

Era tutta invidia.

Invidia dell'amore che Marco continuava a ricevere e lui no.

Amore.

Gelosia.

Invidia.

Non ce la fece più, e si mise a ridere.

Davvero?

Lui, Christian Stefanelli, geloso di Marco Scherini?

Ma sul serio?

Ma le studiavano le battute per renderle così esilaranti?

Alzò entrambe le sopracciglia.

Che situazione esilarante.

Fece un passo in più verso Tommaso.

Si avvicinò al suo volto.

«"Un pretesto per fargli male"?»

Lo citò, poi si mise a ridere.

«Dio, ma quanto cazzo credi che m'importi di lui o della vostra approvazione?»

Scosse la testa, poi sorrise.

«Non siete mai stati i miei esempi da seguire, non siete mai stati i cugini da cui volevo consigli.»
Fece una smorfia.
«E ora addirittura sarei geloso? Di voi?»

Ridacchiò.

«Credi che m'importi qualcosa della famiglia che quando ho avuto problemi se n'è lavata le mani? Credi me ne importi qualcosa?»

«Ti siamo sempre stati vicino.»

«Certo, alle feste di Natale, a Pasqua, al mio compleanno. Quand'era facile certo che c'eravate.»

Tommaso abbassò lo sguardo.

«Sapevate dell'aria di merda che si respirava a casa mia, ma non siete mai venuti a prendermi. Non mi avete mai chiesto di uscire, non vi siete mai preoccupati delle mie compagnie, non vi siete mai preoccupati di niente.»

«E quindi questa cos'è? Una vendetta perché non ci siamo preoccupati per te?»

«No, il motivo per cui non sono geloso di voi.»
Sorrise.
«Non potrei mai essere geloso di chi è così merda dentro.»

Continuò.

«Credi io sia manipolabile, che ho creduto al primo che passava?»
Corrugò la fronte.
«Fidati che l'unica cosa che ho imparato da questa famiglia, è che le persone sono buone con te solo fin quando servi. E non sai quanti ne ho cercati di difetti nelle persone che mi volevano davvero bene, perché grazie a voi io non ho mai creduto in niente.»
Fece cenno con la testa a Mattia.
«Se gli credo, è perché é una delle poche persone di cui potrei essere geloso.»
Alzò le sopracciglia.
«Perchè è lui migliore di me. E sicuramente meglio di tuo fratello.»

E rimase lì, a fissare il cugino più grande impassibile.

Perché era tutto ciò che pensava, tutti i suoi pensieri che finalmente stavano uscendo fuori.

La sua famiglia non gli piaceva.

Non gli piacevano le persone che la componevano.

Invidiava solo l'ideale, l'immagine di qualcosa che lui non aveva mai conosciuto.

Ci furono attimi di silenzio.

Attimi in cui Christian non aveva staccato per un attimo gli occhi dal cugino più grande.

Attimi in cui il respiro di Mattia era rimasto sospeso.

E poi, finalmente, Tommaso sospirò pesantemente, e si voltò verso Marco.

«Marco andiamocene.»

«Cosa?»
Domandò spiazzato.
«Ma è stato lui che-.»

«Basta così adesso.»
Continuò il più grande.
«É evidente che non vuole ragionare.»

Marco lo guardò stranito, ma poi si alzò da terra.

Il più grande fra i quattro cugini guardò lo zio, scusandosi per il casino che avevano creato, poi, sussurrando un "ce ne andiamo", si voltò e andò verso la porta.

Uscirono.

E dopo che la casa tornò in un silenzio tombale, Christian cacciò un piccolo sospiro dal naso.

Non si sarebbe mai fatto cacciare da casa sua.

Marco aveva potere ovunque ma non a casa dei suoi nonni.

Guardò la porta per un po', poi si voltò verso la sua sinistra.

Verso Mattia.

E Mattia alzò lo sguardo verso di lui.

E poi, lentamente, un piccolo sorriso.

E a Christian mancò un battito.

Mattia non era arrabbiato.

Anzi, sembrava... sembrava addirittura- addirittura felice, orgoglioso.

Sembrava orgoglioso.

Pur nell'espressione di chi si era preso un bello spavento, sembrava orgoglioso.

Stefanelli fece cadere lo sguardo sulle sue labbra.

Voleva baciarlo.

Voleva le sue labbra, la sua presenza, la sua stretta.

Ma poi, Mattia abbassò lo sguardo.

«Mi dispiace.»
Sussurrò con sorriso amaro.
«É tutta colpa mia.»

Sussurrò, vergognandosi addirittura di stare in quella casa.

Perché se c'era stato quel litigio in famiglia era colpa sua e ora stava insieme alla sua famiglia.

Si sentiva così in difetto, così fuoriluogo.

Doveva dare una buona impressione e invece ora era stata tutta colpa sua tutto quello che era successo.

«Matti, ma quale colpa tua...?»
Sussurrò.

«Sono un estraneo, non dovrei stare qua.»

Sussurrò di rimando, cercando di farsi capire.

«Tu non sei un estraneo. Tu lo sai cosa sei.»
Mormorò, non potendo definirlo ad alta voce "il suo fidanzato."

Mattia alzò la testa.
«Ti ho fatto fare un casino.»

«Ho deciso io di farlo, è stata scelta mia, lo volevo io e-.»

«Ma fino a che punto, Chri...?»
Sussurrò, poi scosse la testa.
«Devo tornare a casa, è meglio se vado a casa e- prenderò un treno o-.»
Fece per andare vicino alla porta, ma il suo ragazzo lo bloccò.

«Ma dove vuoi andare? Non esiste che ti faccia andare con il treno.»

«Non dovrei stare qui.»
Continuò a ripetere, sentendo le guance scaldarsi dall'imbarazzo.

Si sentiva così a disagio, così sbagliato.

Christian stava per dire qualcosa, quando venne interrotto da una voce.

«Christian, possiamo sapere che sta succedendo?»

Entrambi i ragazzi si voltarono verso il proprietario di quella voce, suo nonno.

Aveva uno sguardo comprensivo ma severo sul viso, ancora provato dalla discussione che i nipoti avevano avuto poco prima, e ormai Stefanelli capì che non c'era più nulla da fare.

Fece lentamente cadere le mani dalle braccia di Mattia, per poi guardarlo dispiaciuto.

Non voleva metterlo in quella situazione.

Solo ora si accorgeva di quanto fosse complicato dal suo punto di vista.

«Chri, qualunque cosa, noi-.»
Parlò la donna di casa, facendo un passo avanti per farsi ascoltare.
«Qualunque cosa, noi ti vogliamo bene. Ti vorremo sempre bene, non importa nulla.»
Continuò a rassicurarlo, e a Christian sembrava quasi che volesse spingerlo a dire qualcosa.

Ma no, non come il nonno che pure voleva fare lo stesso, ma come chi sa qualcosa in più degli altri.

E poi, fece due più due.

Chiuse gli occhi.

«É così evidente?»

Domandò solo.

Mattia lo guardò confuso, poi guardò la nonna che sembrava esser stata appena beccata con le mani nel sacco.

Ma poi subito si riprese, con la foga di chi era disposta a dare qualunque spiegazione pur di riceverne altrettanta.

«Ho visto la foto.»
Mormorò, abbassando lo sguardo.
«Quando ieri te ne eri andato e ti ero venuta vicino, avevo visto il telefono di Marco sul divano. E avevo visto la fotografia di Mattia.»
Alzò le spalle.
«Quando l'ho visto ho fatto due più due.»

Cosa?

Mattia la guardò sconcertato.

Il telefono di Marco? Una sua foto?

Christian abbassò la testa.

«Ma di che cosa state parlando?»
Domandò il nonno, completamente estraneo alla vicenda.

«Bruno, Christian è gay.»

Il nominato allargò gli occhi, voltandosi verso il nipote.

«Cosa? È vero?»

Il moro deglutì appena.

Avrebbe preferito dirlo in un altro modo.

Prese un respiro.

«Sì... io e Mattia stiamo insieme.»

«Cosa...?»
Domandò, prima di accennare un sorriso nervoso.
«Quindi tutto questo è successo per un ragazzo? Per uno stupido gioco di chi deve avere chi? Ma vi rendete conto di quello che state facendo?»
Chiese veloce, alzando man mano la voce.

«Non è come sembra.»
Chiarì, guardando i due nonni.
«Non m'importa se Marco e Mattia sono stati insieme, il punto é che Marco é-.»

«Strano?»

«Ossessionato.»
Corresse.
«È ossessionato da Mattia e-.»

Non fece nemmeno in tempo a finire la frase, che il nonno si sedette pesantemente sul divano, con le mani sul viso.

Mattia abbassò la testa, capendo che a quel punto fosse ormai assurdo credergli.

Non sarebbe mai stato creduto.

«Chri... io credo che tu debba parlare da solo con i tuoi nonni.»
Sussurrò Mattia.
«Io qui non c'entro niente.»

E stavolta, suo malgrado, Christian non poteva contraddirlo.

«Aspetta, ti do un passaggio...»

«No, no, vado in treno.»

Sussurrò, prima di allontanarsi.

«Mi dispiace davvero tanto per- per tutto, non avrei-.»
Si interruppe mentre parlava con i suoi nonni, capendo che ormai la sua sola presenza iniziava a dar fastidio.
Chiuse gli occhi.
«Mi dispiace.»
Sussurrò ancora, poi rivolse un ultimo sguardo al suo fidanzato, e si voltò.

E quando vide quella chioma bionda allontanarsi da lui, sparire dietro la porta, Christian si rese ufficialmente conto della cazzata che aveva combinato.

Aveva creato un casino, l'ennesimo casino, aveva combinato un guaio gigantesco.

«Cioé, quindi tu hai portato a casa nostra il motivo per cui c'è stato tutto questo casino?»
Alzò la testa dalle sue mani il nonno.
«Ma ti rendi conto di quello che stai facendo, o no?»

Il suo tono era arrabbiato e severo, ma Christian non lo stava nemmeno ascoltando.

Perché non aveva avuto paura di dire alla sua famiglia che non si fidava di loro, non aveva avuto paura a dire che loro non c'erano mai stati per lui e non aveva nemmeno avuto paura di una reazione sbagliata, una conseguente litigata, una possibile rissa.

No, non ne aveva avuto paura.

Perché forse in cuor suo sapeva che prima o poi qualcosa del genere sarebbe successa.

Ma con Mattia no.

Con Mattia no.

E ora che sarebbe successo?

E se lo avesse ignorato?

E se fosse sparito di nuovo?

Se lo avesse allontanato per la seconda volta?

No, no, non poteva succedere.

Mattia non poteva abbandonarlo.

Non poteva.

Non poteva lasciarlo solo, non così, non in quel momento.

Gli venne un nodo alla gola.

Si sentiva già abbandonato e Mattia se ne era appena andato.

Erano di nuovo le sue paranoie che prendevano vita, e lui lo sapeva, lo capiva, ma non riusciva a controllarle.

Lui e Mattia stavano insieme, erano fidanzati, c'era più stabilità della prima volta, è solo- è solo che il rumore della porta che si chiudeva era stato così sordo che gli aveva scosso il battito.

E lui ora aveva paura.

«Christian, mi stai ascoltando?»

No.

No, no, e no.

Non voleva nemmeno ascoltarlo, non voleva ascoltare nessuno.

«Oh- oh, ma stai piangendo?»

Domandò poi il signore, una volta che si era alzato per poterlo guardare in faccia.

La nonna a quella domanda si allarmò immediatamente, avvicinandosi a lui.

Ma Christian non rispose.

Aveva solo gli occhi rossi, e nella testa un unico pensiero.

«Christian, ehi... non fare così...»

Cercò di consolarlo sua nonna, non sapendo nemmeno che dire in quella situazione.

Poggiò una mano sulla sua schiena, accarezzandola con movimenti verticali.

«Vedrai che si risolve tutto.»

No.

Non si sarebbe risolto nulla.

Lui lo sapeva, lui già lo sapeva, lo sapeva e lo sapeva.

Perciò si allontanò le mani che gli erano state messe addosso, e si distanziò da loro.

Corse svelto fino alla porta finestra, poi l'aprì e si affacciò al balcone.

«Mattia!»

E il ragazzo che stava attraversando il cortile per andarsene, alzò lo sguardo verso l'alto.

E quando vide il proprietario di quella voce con gli occhi rossi e gli occhi da disperato, lui si bloccò.

E debole, sentendo la precarietà del momento, a Christian tremarono le mani.

«Ti amo.»

Sussurrò, quasi senza voce, ma Mattia la percepì forte quella dichiarazione.

E quella gli spezzò il cuore, e gli riempì gli occhi di lacrime.

Christian aveva paura?

Corrugò la fronte, sentendo il nodo alla gola stringersi un po' di più.

«Anche io.»

Lo rassicurò, a bassa voce proprio come l'altro aveva fatto, proprio sussurrandoselo come se fossero vicini, labbra contro labbra, e quella distanza non esistesse.

Christian a quella frase sentì il proprio cuore fare un balzo, e un leggero sollievo gli fece rilassare le spalle, ma non la presa che aveva sulla ringhiera del balcone.

Si sporse un po' di più.

«Non sparire.»

Mattia accennò un piccolo sorriso.

«Non sparisco.»

Lo rassicurò, e a Christian sembrò quasi come se glielo avesse promesso.

E lui alle promesse di Mattia non riusciva a non crederci.

Perciò, un po' titubante, e un po' spaventato, trovò la forza per annuire.

Ti credo.

E allora il ragazzo al piano terra gli rivolse un ultimo sorriso.

«Pensa ai tuoi nonni.»

Lo raccomandò, e poi fece un passo indietro.

Poi si girò, e prese a camminare di nuovo via.

E Christian- Christian sapeva che Mattia gli avesse appena ricambiato il "ti amo", e sapeva pure che gli aveva promesso che non lo avrebbe abbandonato, eppure ad ogni passo che faceva in più, il moro sentiva aumentare la voglia di piangere.

Perché- Perché lo stava lasciando solo se gli aveva promesso che non sarebbe scomparso?

Perché se ne stava andando se gli aveva detto che gli sarebbe stato vicino?

La parte razionale di Christian gli ripeteva di stare calmo, ma lui non ci riusciva.

Fissava il suo ragazzo mentre quello arrivava davanti al cancello.

E mentre pensava che vederlo sparire lo avrebbe definitivamente ucciso, Mattia si voltò di nuovo.

E si guardarono.

Christian strinse la presa delle mani sulla ringhiera.

Perché non scendeva?

Perché non correva giú per quelle scale e si riprendeva il ragazzo che amava?

Perché non lo teneva stretto a sè se era quello che voleva?

Mattia lo guardò ancora per qualche secondo, poi gli fece gesto di entrare dentro, con un leggero sorriso.

E Christian accennò un sorriso pure lui, non sapendo nemmeno perché stava sorridendo.

E poi, la mano di Mattia sulla maniglia del cancello si mosse.

E alla fine si chiuse.

Mattia se n'era andato.

Lui era solo adesso.

Abbassò la testa, e nemmeno tutta la forza che aveva in corpo riuscì a farlo trattenere.

Iniziò a piangere.

Si sentiva un coglione.

E tra un singhiozzo e l'altro, finì per chinarsi fino a far cadere la fronte in mezzo alle braccia sul balcone.

Aveva fatto un casino.

Aveva fatto un casino.

Aveva fatto un casino.

Sentì qualcuno poggiargli una mano sulla spalla.

Era sua nonna.

Si era appoggiata sul balcone con la schiena, e semplicemente, fissava davanti a sè senza dire una parola.

E sinceramente, del silenzio, Christian ne aveva proprio bisogno.

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