Painful melody

By Sofiacuofano

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ATTENZIONE: SONO PRESENTI SCENE DI SESSO ESPLICITO E DI VIOLENZA!!! Lei è nata nell'agio della famiglia più p... More

PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
CAPITOLO 39
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
CAPITOLO 42
CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 45
CAPITOLO 46
CAPITOLI 47
CAPITOLO 48

CAPITOLO 23

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By Sofiacuofano

MIHAI

Dodici anni prima...

Vivevo momenti come quello da anni, le mie giornate non seguivano mai una diretta via che non si ramificasse mai in altre strade secondarie, tutt'altro, la mia vita si aggirava sempre ed esclusivamente intorno a scelte impulsive, eventi del destino e conseguenze a volte positive ed altre un po' meno. Nessun giorno assomigliava mai ad uno già passato, forse per qualche abitudine ma riuscivo sempre a rendere ogni giornata speciale con il semplice cambiare qualche dettaglio. La noia della routine non mi piaceva, io amavo il cambiamento.

E lei era stato il mio più grande cambiamento, ecco perchè mi piaceva così tanto, e me ne rendevo sempre più conto mentre la sentivo canticchiare sottovoce una mia canzone nel frattempo che infilava le sue nuove compere in valigia. Aveva comprato di tutto nei milioni di negozi in cui eravamo entrati, e la cosa assurda era che per tutte le ore che avevamo passato in giro io non mi ero mai stancato di seguirla, vederla sorridere così spensierata, priva di preoccupazioni era una liberazione che non aveva eguali.

Mi stringeva la mano ad ogni passo, mi mostrava ciò che le piaceva e attendeva che giudicassi se a parer mio fosse tutto veramente bello come diceva lei, come effettivamente era, quella ragazza aveva un gusto esperto soprattutto perchè quando poi se li provava nei camerini, gli indumenti diventavano ancora più belli si quanto non fossero una volta infilati su quel corpo sensazionale.

Rendeva dei pezzi di stoffa luminosi.

Ma la parte migliore era stata quando mi aveva concesso un sorriso meravigliato e incredulo nel momento in cui aveva assaggiato il gelato che le avevo preso, in quel mare blu nei suoi occhi avevo visto un bagliore infantile come quello di una bambina che assaggiava per la prima volta la fresca dolcezza del gelato.

Fior di latte e lampone.

Niente di troppo complicato eppure le era piaciuto da impazzire, in quell'esatto momento aveva accantonato le sue ansie nei confronti del cibo e si era goduta le sue due palline di gelato in pace, con gli occhi brillanti come il cielo azzurro che aveva torreggiato sulla città per tutto il giorno prima che il buio della notte calasse.

Poi però quando aveva finito di mangiare il gelato mi aveva allungato il cono con quel poco che rimaneva al suo interno, dicendomi semplicemente che non le andava più.

<<Perchè scegli il cono se poi non lo mangi?>> Era stato esilarante perchè si comportava esattamente come una bambina a volte, non aveva voluto la coppetta bensì il cono e poi quando era arrivato il momento di sgranocchiarlo me lo aveva dato. Lei semplicemente aveva alzato le spalle e mi aveva sorriso furbamente, consapevole che sarei stato capace di far qualunque cosa per lei se solo mi avesse sorriso sempre così.

E al concerto che c'era stato poco prima non aveva mai smesso di farlo.

Mi bastava voltare di poco lo sguardo indietro, mentre ero sul palco e la vedevo, nascosta insieme ai nostri amici che cantava le mie canzoni conoscendole a memoria. Saperlo era stato come uno schiaffo, ma non quelli che servivono a far male, quelli che ti svegliavano da una trance. Keira Martin conosceva i miei testi, non riuscivo a commisurare quanto valesse per me esserne consapevole.

Sapevo però che averla lì mi caricava di un'energia che non avevo mai avuto, era come se le avessi voluto mostrare di cosa ero capace perchè il mio unico tentativo era quello di apparire perfetto ai suoi occhi, impeccabile, all'apice delle mie potenzialità. Davanti a lei non avevo alcuna possibilità di errore, volevo che mi vedesse per come riuscivo ad essere quando c'era lei.

<<Allora Keira Martin, come sono andato stasera?>> Uscii dal bagno con indosso solo un pantalone della tuta per dormire, quando ero solo non indossavo nemmeno quello ma con lei non mi spingevo troppo oltre, non volevo che si sentisse in imbarazzo. Dopo ogni concerto una doccia era la mia metà primaria, si sudava da morire sotto i riflettori e l'ansia iniziale che tutti gli artisti provavano i primi minuti del concerto rendeva il tutto anche peggiore. Poi però quando i nervi si scioglievano e l'adrenalina saliva, cantare per la mia gente diventava tutta la mia vita. <<Beh, Mihai Kovacs, devo dire niente male.>> Si voltò verso di me con quel pigiama di seta dalle rifiniture in pizzo che toglieva il fiato, da struccata, con i capelli sciolti, un semplice pantaloncino e una camicetta era comunque una meraviglia. Non sapevo quanto fossi fortunato, sapevo solo che se qualcuno aveva scelto di far incrociare le nostre strade allora la mia vita non era stata completamente da buttare prima che diventassi qualcuno. <<Solo niente male?>> Mi avvicinai per prendere le sue mani e portarle sul mio petto, da lì lei le lasciò scivolare intorno al mio collo attirandomi a sè, lasciando combaciare il nostro calore e il profumo del mio bagnoschiuma che le impreziosiva la pelle morbida.

<<Dirti che sei stato pazzesco sarebbe ripetitivo, ma è la realtà.>> Sentivo ancora l'adrenalina scorrermi nelle vene, quella sera per evitare altri inconvenienti avevamo preferito tornare in hotel per non rovinare la contentezza generale, con incontri sbagliati. <<E sentirtelo dire conta più di quanto conti sentirlo dire a chiunque altro.>> Era la realtà, con lei non avevo sfumature e non nascondevo alcun pensiero, era la verità ed era giusto che la conoscesse perchè era così, quelle parole sulle sue labbra non mi sarebbero mai apparse come ripetitive, bensì come sensazionali. <<Beh potremmo festeggiare nell'idromassaggio sulla terrazza proprio fuori dalla porta finestra della nostra stanza.>> Fu lei a propormelo aizzando il desiderio che provavo di strapparle di dosso quel misero pigiamino per averla nuda, calda e ansimante sotto di me, un bagno caldo tra bolle e champagne non sarebbe stato però una cattiva idea. Alla fine, avevo scelto quella stanza per occasioni di quel genere. <<Perchè no.>> Tanto piccola quando pericolosa, mi stava proponendo un bagno con un secondo fine che non mi sarei lasciato scappare, avevo desiderato di averla già da quando l'avevo vista arrivare al concerto con addosso solo un vestitino che metteva in risalto quel seno tondo e le gambe lunghe. <<Allora tu avviati, io prendo lo champagne e arrivo.>> Mi aveva letto nel pensiero e sapere che stessimo ragionando allo stesso modo rendeva tutto più facile, mi capiva al volo ed era la sensazione migliore che potesse esserci. <<Mi stai viziando Martin.>> Avevo la figlia dell'uomo più potente dello stato che mi stava accudendo, era surreale. <<Questa notte è la tua notte Kovacs, sei libero di fare e chiedere ciò che vuoi.>> Era conscia che tutto ciò che volevo era racchiuso in lei quindi nessuno dei due ci avrebbe perso quella sera, ne io e ne tanto meno lei, per quanto mi stesse dando modo di scegliere come occupare il tempo in quella vasca idromassaggio. Mi tolse le braccia dal collo e si avviò verso il frigobar per scegliere quale champagne avrebbe accompagnato la nostra serata e così, la lasciai sola uscendo in balcone per raggiungere la vasca che trovai già accesa e pronta. L'aveva preparata mentre ero in doccia, ne ero certo.

A dividerci dai balconi delle altre persone non c'era nulla, chiunque sarebbe potuto uscire e vederci ma alcun tempo, la vista su una New York illuminata priva di muri che infastidissero la visuale era una cosa meravigliosa. La notte non calava mai su quella città, persino al buio tutto era puntinato di luci colorate che attiravano lo sguardo su di se, dalla nostra stanza poi sembrava di stringere in pugno quella bellezza sopraffina. Mi sfilai il pantalone della tuta e lo lasciai cadere su una poltrona lì fuori, rimanendo in boxer, l'unica cosa che avevo addosso anche quando entrai nell'acqua piacevolmente bollente.

Mi sedetti sul gradino al suo interno e mi immersi completamente sentendo l'acqua avvolgermi fino alle spalle, le bolle mi massaggiavano i muscoli distendendo ogni nervo e quell'idea del bagno, mi sembrò ancora migliore. Finalmente potevo rilassarmi, i concerti ormai erano andati e quando saremmo stati di ritorno a Los Angeles ci avrebbero attesi problemi a cui non volevo prestare attenzione. Non in quel frangente.

Le spalle si rilassarono, ogni muscolo si lasciò andare e mi sentii dannatamente bene, se non al meglio.

Poi però mi resi conto che potevo stare ancora meglio, non appena uscì lei dalla porta finestra con in mano due calici e una bottiglia di champagne.

<<Hai pensato a tutto.>> Mi passò la bottiglia per farmela stappare mentre sistemava i bicchieri sul tavoli proprio accanto alla vasca, io nel frattempo tolsi la carta che ricopriva il tappo, lo liberai dalla gabbietta e allentai con qualche giro il tappo in sughero per facilitarmi l'apertura. <<Sono soltanto le mie congratulazioni per come è andato il tour.>> Con una leggera pressione del pollice il tappo a fungo in sughero partì in un botto, ne avevo aperte così tante negli anni che ormai era un gioco da ragazzi farlo anche ad occhi chiusi, senza rischiare di rompere qualcosa con il tappo. <<Bene perchè me le godrò fino in fondo.>> Versai le bollicine nei due calici da champagne e la schiuma li riempì entrambi fino all'orlo, poi poggiai la bottiglia e mi immersi di nuovo nell'acqua attendendo che entrasse, invece di stare lì in piedi con quel velo di malizia negli occhi che mi stava incuriosendo sempre di più.

<<C'è ancora una cosa.>> I regali non erano finiti e quel sorrisetto furbo sul suo viso era ancor più stuzzicante. Avvicinò le mani ai bottoni della camicetta del suo pigiama e cominciò a sbottonarla piano, un bottone alla volta svelando a poco a poco la sua pelle candida che si celava sotto il rosa tenue di quel completo da notte. Quando la sfilò via del tutto, buttandola dove io avevo lasciato i pantaloni, i miei occhi abbandonarono i suoi per accarezzare quelle forme prosperose, celate in un reggiseno in pizzo bianco.

La stessa fine della camicetta, la fecero i pantaloncini e lei rimase in piedi, di fronte a me con indosso un completino intimo in pizzo, bianco praticamente trasparente.

Lo sentii duro al solo guardarla.

<<L'ho comprato oggi mentre tu e i ragazzi eravate distratti, ti piace?>> Me lo domandò consapevole che non sarebbe mai arrivata da me una risposta negativa a quella domanda, sopratutto perchè non riuscivo a dire nulla. Il reggiseno praticamente trasparente nascondeva i capezzoli turgidi dietro i disegni in pizzo che adornavano le coppe, il perizzoma invece le segnava i fianchi stretti nascondendosi poi tra quelle cosce.

La mia perla di paradiso si nascondeva sotto quel tessuto che alla fine non oscurava poi molto.

Mi prudevano le mani tanta era la voglia che provavo di toccarla.

Era un angelo.

Il mio angelo peccatore che mi avrebbe portato al patibolo.

<<Oh, hristoase.>> Fu tutto ciò che mi uscì dalla bocca nella mia lingua madre.

Oh cristo, sì Dio, perchè non potevi farmi regalo migliore cedendomi il tuo angelo più bello. Pensai.

Elegante come una piuma che si destreggiava nell'aria, infilò un piede nell'acqua e poi anche il secondo, raggiungendomi nell'idromassaggio, un gemito di piacevole goduria le vibrò in gola al contatto con l'acqua calda che le accarezzò la pelle candida. Un ansimo che percepii dritto dove più mi sentivo tirare.

I miei occhi la mangiavano viva e lei si compiaceva sapendo che fosse così.

<<Che c'è Riccioli d'oro?Hai perso la parola?>> Si sedette proprio di fronte a me, fin troppo lontana e quella distanza che era anche meno di mezzo metro, era fin troppo insostenibile per il bisogno smanioso che percepivo di averla. <<Mi sto godendo la vista.>> Ed era vero, non riuscivo a smettere di guardarla.

Brillava di pericolo come le stelle quella notte brillavano in cielo, in quella ragazzina di sedici anni c'era racchiusa una donna che aspettava soltanto di sbocciare e l'unica promessa che mi stavo facendo, era quella di essere al suo fianco quando avrebbe preso la sua vita in mano diventando ciò che desiderava.

Una vera donna.

<<Ma perchè non ti avvicini reginetta?>> Posai i gomiti sul bordo della vasca. <<Temi che ti divori?>> Se era così faceva bene ad aver paura perchè non desideravo altro, dopo la prima volta la mia lingua non riusciva a dimenticare il suo sapore dolciastro, desideravo riassaggiare il suo nettare e divorarla fino a farle perdere completamente la testa. Ma quella ragazza non aveva paura di niente.

<<Attendo che tu mi esponga ogni tuo desiderio.>> Non occorreva che mi concedesse di scegliere, forse tra i due ero stato io ad averla viziata a tal punto da farle credere che avesse il totale controllo, ma quando eravamo soli non aveva vie di scampo. <<D'accordo.>> Però, assecondai il suo gioco.

<<Ti voglio seduta a cavalcioni sulle mie gambe.>> Il mio oltre ad essere un desiderio, fu un ordine. In quel momento non ero più il galantuomo che la curava nei miglior modi, in quell'istante ero l'uomo che le avrebbe lasciato scoprire quanto fosse peccaminoso e sensazionale il sesso.

Senza fiatare, scivolò nell'acqua fino a raggiungermi, così le sue gambe le aprirono e le sue cosce mi cinsero i fianchi mentre si sedeva su di me come le avevo richiesto. Quando la sua intimità coperta però incontrò la mia erezione nel sedersi, nei suoi occhi vidi brillare uno stupore che mi soddisfò.

<<Lo senti?>> Le mie mani calarono nell'acqua per raggiungere quei glutei sodi e stringerli attirandola proprio contro il mio membro eretto. <<Senti cosa mi fai?>> Non era abituata a sentirsi così desiderata, sapeva di essere voluta, ma percepire tra le cosce quanto io la desiderassi l'aveva completamente messa a tacere dal compiaciuto stupore. Erano giorni che mi girava intorno, l'avevo vista arrabbiata, felice, eccitata, nuda, l'avevo toccata e in ogni secondo mi ero trattenuto per non era il momento giusto ma quella notte sentii di non farcela più.

Quando però mosse i fianchi contro di me per rubare da sola il piacere la bloccai, avevamo tutta la notte, correre avrebbe solo reso tutto più facile. E a me le cose facili non mi piacevano.

<<Calma Piccola peste.>> Le sorrisi malizioso vedendola impaziente di sentirsi riempire da me, dal piacere.

<<Prima brindiamo.>> Allungai le mani e raggiunsi i due calici, uno lo tenni e uno glielo passai, non avrei permesso che quella notte si ubriacasse, la volevo lucida in ogni istante che avrei passato a farla gridare, ma un bicchiere per festeggiare non poteva fare di certo male.

<<Alla libertà.>> Affermai guardandola sorridere consapevole che in quei pochi giorni aveva seriamente conosciuto cosa voleva dire non dover pensare a niente, era stata libera, completamente sciolta e priva di catene. Proprio come sarebbe stato per sempre se solo avesse scelto me. <<E al tuo talento.>> Aggiunse facendo tintinnare i nostri bicchieri per suggellare il brindisi. Poi, contrariamente a me che ne sorseggiai il contenuto, bevve ogni goccia in pochi sorsi, buttò giù lo champagne in un secondo come fosse stata acqua, sorridendo compiaciuta una volta fatto dal buon sapore di quelle bollicine costose.

<<Vacci piano reginetta, stasera ti voglio lucida.>> Le sfilai il bicchiere dalle mani per posarlo insieme al mio sul tavolino dove erano poco prima, non avrei permesso che si ubriacasse, doveva rimanere sobria se voleva che ogni mio desiderio si avverasse. <<Un bicchiere non ha mai ucciso nessuno.>> Poggiò i gomiti sulle mie spalle sospirando rilassata, vederla così calma e allegra era bello, rispetto alla tensione da cui tutto era partito poche settimane prima alla fine eravamo riusciti a trovare un equilibrio, una base solida su cui costruire ciò che volevamo. <<Certe volte fai sembrare me il sedicenne tra i due.>> E poi mi sembrava di essere tornato ad esserlo, lei mi faceva credere di essere un'adolescente alla prima cotta, con quei problemi stupidi che da ragazzini sembravano insormontabili. <<Sai mi sarebbe piaciuto conoscerti a quell'età.>> Quando avevo sedici anni ero ancora all'inizio di tutto ma fondamentalmente non ero niente, di me non se ne parlava, facevo da numero nella gran parte della popolazione che semplicemente era ciò che era, appunto semplicemente "gente". Comune e invisibile. Ma quella trasparenza, non essere niente in mezzo al tutto mi aveva sempre dato fastidio. <<Non sarebbe mai potuto accadere.>> Un sorriso malinconico mi increspò le labbra e lei se ne accorse, ai suoi occhi ero rimasto trasparente, ma non perchè fossi invisibile, bensì perchè lei con un solo sguardo coglieva tutto ciò che nascondevo. <<E perchè?>> La ragione era semplice basata sulle regole di un destino ostile. Quando si nasceva, automaticamente si veniva classificati per genere, non femminile o maschile, con genere intendevo: quelli ricchi e gli invisibili. Il resto della popolazione che sorreggeva tutto ma che non veniva mai guardata. <<Perchè tu fin dalla nascita sei stata destinata ad essere qualcuno, io invece lo sono diventato e questo comporta che se mi avessi conosciuto prima che accadesse, una come te non mi avrebbe mai guardato.>> Era sempre stata circondata da ricchi uomini anche molto più grandi di lei che desideravano semplicemente il potere che lei conferiva, sulle copertine dei giornali non si parlava di altro. Aveva uomini tanto belli quanto carismatici intorno a sè fin dalla nascita, neppure per sbaglio in mezzo a tutta quella vasta scelta di signori, mi avrebbe mai concesso un'occhiata.

<<Non posso dire che non hai ragione.>> I suoi polpastrelli mi sfioravano il petto ricalcando con lievi carezze ogni tratto dei miei tatuaggi. <<Ma io ora non sto parlando alla celebrità che sei, come non l'ho fatto nemmeno quando ci siamo conosciuti.>> Le scostai una ciocca scura dai viso incastrandola dietro al suo orecchio, quei capelli erano morbidi come la sera tra le dita e mossi come onde incontrollabili.

<<Quando nasci nel mio mondo impari a dividere il personaggio che uno è davanti alle telecamere e la persona che è veramente durante la quotidianità.>> Le mie mani si posarono sulle sue cosce nude accarezzandole le gambe lisce con dolcezza. <<A me piace Mihai, non Kovacs la star.>> Sentirglielo ripetere, sentirle dire di nuovo che le piaccio, era come liberarmi di un peso dal petto che mi spronava a intestardirmi su di lei. Ma per quanto le piacessi sapevo che c'era qualcosa che la bloccava comunque, ed era snervante.

<<Non ti piaccio però abbastanza da baciarmi.>> Da ubriaca voleva che lo facessi io, ma non lo avrei mai fatto e non perchè non lo volessi, diavolo se lo volevo, ma se lo avessi fatto io avrei solo sottolineato la mia voglia di averla, se invece lo avesse fatto lei mi avrebbe dimostrato che ormai era già mia.

Quei pozzi blu si alzarono per guardarmi, si sentiva in colpa ma non doveva, era giusto che fosse libera di scegliere il ragazzo più degno ad un suo primo bacio, anzi mi faceva ancora più impazzire sapere che esistessero ancora donne capaci di dar importanza a quelle piccolezze enormi. Per quanto però pesasse comunque ogni suo rifiuto. <<Forse è perchè mi piaci anche fin troppo che non lo faccio.>> La sua sincerità fu come una ventata di vento che mi portò a respirare di nuovo, sapevo quanto per lei fosse importante il bacio che avrebbe dato ad un ragazzo, ma sapevo anche che sotto sotto c'era qualcos'altro a bloccarla.

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Oggi...

Forse era la scelta sbagliata o magari no, in ogni caso avevo ancora due settimane per poterci pensare su, anche se conoscendomi non sarebbe mai accaduto che avrei cambiato idea. Sarei tornato a Los Angeles e avrei chiuso una volta per tutte questa storia prima che tutto degenerasse, sia le questioni pubbliche con i media e che quelle che riguardavano la situazione con Keira. Doveva scomparire dalla mia vita, lasciarmi in pace, ero stanco di lei e di tutto ciò che la comprendeva.

Ne avevo parlato con mio fratello e con Stefany la sera prima, non per vedere come la pensassero bensì per renderli partecipi che me ne sarei andato, mi sarei stabilito per qualche giorno nella casa che avevamo a Los Angeles e poi una volta che tutto si sarebbe sistemato sarei tornato da loro, per quanto mi destabilizzasse non sapere cosa mi stesse attendendo. Cosa sarebbe successo? Avrei retto il peso di tornare sotto i riflettori?

Milioni di domande mi fluttuavano in testa dall'esatto istante in cui avevo preso quella decisione, tutto mi spingeva a non farlo ma prima o poi sarebbe dovuto accadere e scappare non faceva per me, come non mi piaceva nemmeno dovermi continuare a nascondere o costringere mio fratello a tacere davanti alle domande dei giornalisti quando tornava per lavoro in città.

Parlandone con lui e sua moglie avevamo deciso che non sarei tornato da solo, sarebbero venuti con me anche loro e Jacob ma mi avevano chiesto di aspettare fino a che non sarebbero iniziate le vacanze estive di Jack, almeno non avrebbe saltato la scuola, Stef avrebbe affidato il negozio alla collega che la sostituiva ogni anno nel periodo delle vacanze e mio fratello avrebbe potuto lavorare a Los Angeles senza doversi sempre spostare. Avrei solo dovuto aspettare due settimane, quattordici giorni per godere ancora di qualche istante di silenzio prima di rovinare ogni cosa.

Per passare altro tempo in quella cittadina tacita con una ragazzina che sembrava non volermi lasciare in pace, per quanto avessi imparato a sopportare la sua presenza capendo che non era poi male averla intorno durante il giorno. Parlarle mi tranquillizzava.

<<Ti giuro, ho riso così tanto che mi è uscito il latte dal naso.>> Rideva da sola al solo ricordare i nuosi aneddoti passati che mi stava raccontando, erano ormai giorni che chiacchieravamo in assoluta calma, non ci scontravamo mai, era come se litigare con lei fosse impossibile. Sentivo le labbra prudere nell'accennare un sorriso quasi invisibile, sentire i suoi racconti su quando era bambina mi distraeva su tutto ciò che mi girava per la testa e poi sentirla ridere mi distendeva i nervi. Era da togliere il fiato quando ridere a quel modo.

<<Pagherei oro pur di tornare a quegli anni.>> Sospirò nostalgica con il sorriso sulle labbra mentre si portava alla bocca la sua birra, eravamo in pausa, l'ennesima. Quando passava a vedermi finivamo per smettere di lavorare per chiacchierare intere ore, o meglio lei parlava e ogni tanto io le rivolgevo qualche parola. Il tempo passava e nemmeno ce ne accorgevamo, quella ragazzina mi faceva bene.

<<Sono sicuro che un tempo avresti detto invece che non vedevi l'ora di crescere.>> Le ricordai guardandola sdraiata sulla spanca di uno dei tavoli della mensa vuota, non era l'ora del pranzo e nemmeno quella della cena quindi non c'era praticamente nessuno, se non noi. Io me ne stavo seduto di fronte a lei rigirandomi tra le mani la bottiglia mezza vuota di birra. <<Forse.>> I capelli scuri ricadevano liberi sul legno della panca su cui era sdraiata. <<In effetti non faccio nulla di diverso da ciò che facevo un tempo, fin da piccola mi aggiravo da queste parti per aiutare mio padre, sono cresciuta tra la legna.>> Era rimasta piccola dentro e dal modo che avevamo di parlare si sentiva sempre di più il divario di età che c'era tra di noi, aveva ancora una mentalità genuina e spensierata, ancora i problemi del mondo non l'avevano minimamente sfiorata.

<<Ricordo che da piccola mi divertivo a intagliare piccoli pezzi di legno senza pensare a cosa volessi creare, fino a quando poi non usciva qualcosa che magari non aveva senso ma a me piaceva sapere che lo avevo fatto io.>> Era cresciuta con suo padre in una casa dove i soldi erano contati ma aveva sempre saputo come divertirsi, lo avevo capito dai mille racconti che mi aveva già fatto in precedenza, lei sì che era cresciuta di pura immaginazione. <<Tu come ti divertivi da piccolo?>> A malapena mi ricordavo come si guardava il mondo dagli occhi di un bambino, spesso mi sembrava di essere nato già grande visto che dopo la morte dei miei io e mio fratello avevamo dovuto crescerci a vicenda. <<Suonavo con la chitarra che mi avevano regalato i miei prima di morire.>> L'unica cosa che ancora mi brillava nella mente era il ricordo degli interminabili pomeriggi che passavo con la chitarra sulle gambe, seduto in un boschetto sempre diverso lontano da casa per non pensare a niente. <<Quella che usavi ai concerti?>> La chitarra che mi portavo sempre dietro, l'accompagnamento di ogni mia canzone e l'unico oggetto da cui non mi sarei mai separato, poi tutto era cambiato, la realtà si era ribaltata e quella chitarra ormai non sapevo nemmeno più dove fosse. Anche se di certo non l'avrei più toccata. <<Sì, non l'ho mai cambiata.>> Ricordavo che ad ogni concerto mi bastava impugnarla per sentirmi potente, pizzicando quelle corde mi sembrava di avere il mondo in mano, tutti rimanevano senza parole. <<Lo ricordo, le tue canzoni migliori erano quelle in cui suonavi tu stesso.>> Mi aveva fatto sentire importante, dopo tanto tempo, sapere che lei conoscesse ogni mio vecchio testo a memoria, li sapeva tutti, ogni tanto la sentivo canticchiare ma quando arrivavo smetteva, era consapevole che non volevo più saperne niente di quella vita a cui non appartenevo più.

<<Suonavo in tutte.>> Le feci notare. <<Esattamente.>> Mi fece l'occhiolino con quella sua espressione furba e fanciullesca tanto da strapparmi un sogghigno quasi inudibile. Mi aveva fatto un complimento a suo modo e lo apprezzai. <<Comunque, tornerai di nuovo a impugnare quella chitarra?>> Quel cumulo di legno levigato che prevedevo già essere pieno di polvere, Alexei doveva averla riposta da qualche parte nella sua apposita custodia ma erano secoli che rimaneva ferma e inutilizzata. <<No.>> Fui schietto, deciso e sicuro, sapevo che non avrei mai potuto cambiare idea a riguardo, la vita del cantante non era più la mia, la strada che avevo intrapreso era più facile e calma, non l'avrei abbandonata.

<<Nemmeno per suonarmi qualcosa?>> Tentò di incentivarmi a cambiare idea, a chiudere un occhio per lei ma non avrei mai potuto concedermelo e permetterle una tale confidenza, suonare voleva dire rimettermi in gioco completamente, anche solo farlo per una sola persona. Non avrei suonato nemmeno per me stesso, non mi fidavo nemmeno di me. <<Anche se volessi non so dove sia finita.>> Era vero ma sapevo che avesse capito che oltre a quella motivazioni ve ne erano altre mille, racchiuse nel mio silenzio che parlava e sapeva di ragioni che pesavano troppo sulla lingua per essere dette.

<<Quando arriverò a comprenderti Kovacs, forse sarà tutto più facile.>> Si tirò a sedere in un sospiro che odorava di malinconia, voleva comprendermi inconsapevole che mi stava capendo più di quanto riuscissero a fare gli altri in quel periodo di buio. In ogni caso non serviva che si sforzasse di cogliere quel dettaglio, prima o poi ci saremmo persi di vista e nessuno avrebbe potuto far niente per impedirlo.

<<Non abbiamo più molto tempo però.>> Non avevamo una possibilità, lei era troppo piccola per me e poi io avrei dovuto abbandonare la mia vita tra quelle quattro case per immergermi tra palazzi lucenti e strade ricolme di gente che a stento ti guardava in faccia. Anche se fossi tornato da lei in quella cittadina, non le avrei mai chiesto di aspettarmi. Avrebbe perso solo tempo. <<Che intendi?>> Aggrottò lo sguardo con perplessità e quel sorriso sembro gradualmente svanire, non mi serviva nulla per rovinare ogni cosa, con sei parole ero riuscito a farla confondere e rattristare senza la minima fatica.

<<Partirò per Los Angeles tra due settimane.>> Dirglielo era giusto, darle false speranze era un errore che non avrei commesso. Non aveva possibilità con me, lo avevo messo in chiaro fin da subito. Non perchè non fosse bella, ai miei occhi era una creatura così pura e innocente che sè il me di dodici anni prima l'avesse incontrata, probabilmente avrebbe perso intere giornate pur di averla. Ma gli anni pesavano, il divario di età si sentiva e pendeva sulle mie spalle come un macigno. Se solo fosse stata più grande, rovinarle la vita con la mia presenza sarebbe stato più facile?

Sul suo viso l'allegria di poco prima svanì totalmente, sembrò rimanere senza parole come se in tutte le volte che ci vedevamo non avesse mai pensato prima che potesse arrivare una fine, un giorno in cui quelle volte sarebbero diventate zero. La sua delusione mi attanagliò lo stomaco, come poteva rattristarsi una come lei alla sola idea di non rivedermi più?

<<Non sei serio, Mihai vuoi seriamente tornare in quella città?>> Ne parlava con un disprezzo che non mi sfiorò neppure, tra quei palazzi si nascondevano ricordi che non avrei desiderato di rivedere nella mia testa, ma sapevo che una volta rimesso piede su quell'asfalto tutto sarebbe crollato. Io per primo.

<<Devo.>> Dovevo dire al mondo che non esisteva più la loro stella, il cantante che tutti avevano amato non c'era più, io non esistevo più. Dovevo diventare come gli invisibili, la gente che viveva e nessuno contava i respiri che rubava agli altri di ossigeno, dovevo scomparire nella foschia di chi non valeva niente e morire nel solo silenzio che mi serviva. Lei però non sembrò per niente d'accordo, tanto che infatti scosse il capo incredula. <<Non devi nulla Kovacs, non devi nulla a nessuno.>> Mi redarguì. <<A forza di pensare la passato rischierai di rimanere indietro.>> Quasi mi fece la ramanzina e mi irritò che mi trattasse in tale maniera, non avevo bisogno di qualcuno che giudicasse le mie scelte, la mia coscienza lo faceva già abbastanza per me facendomi male, tanto che mi costringeva a usare il dolore stesso per metterla a tacere.

Il giudizio disprezzante nei suoi occhi mi innervosiva. <<Non vado lì per ripensare al passato, ma per dargli una fine.>> Non aveva nemmeno senso che io mi giustificassi con lei eppure lo feci, per quanto mi infastidisse sentirmi così giudicato da lei che a quel punto mi smentì, forse non mi capiva come credevo, forse aveva ragione lei a dire che ancora non si era neppure avvicinata al comprendermi.

<<Certo, quindi non torni per lei, giusto?>> La lei che intendeva era talmente diversa dalle altre donne che chiamarla solo così, "la lei" del mio passato, era fin troppo misero. Se credeva che stessi tornando per Keira non aveva proprio capito niente di me, dei momenti passati a confidarmi con lei, che a quel punto mi sembrarono tutti istanti buttati al vento. <<Paige.>> La richiamai austero. Si stava infilando in questioni che le avevo vietato fin dall'inizio. Mi domandai però, perchè glielo avessi vietato, se Keira per me era un capitolo chiuso perchè vietavo a tutti di non toccare ciò che avevo vissuto con quella donna?

<<Ti credevo migliore di così Mihai, quella donna ti sta solo fottendo un'altra volta il cervello, persino quando c'ero io al tuo fianco ha espressamente marchiato il territorio.>> La sua collera mi infastidì, e non poco. Non sapeva nulla delle cose di cui stava parlando. <<Lei ti crede ancora suo, andando a Los Angeles le stai solo semplificando il tentativo di distruggerti ancora la vita, te ne rendi conto?>> Avevo sentito troppo, troppo scempiaggini, troppe insensate conclusioni fatte da una ragazzina che ancora doveva capirne molto di come funzionasse la vita al di fuori di quel suo mondo striminzito.

Così mi alzai bruscamente, pronto ad andarmene perchè se solo fossi rimasto lì ancora per molto avrei finito per rovinare tutto anche con lei, farla soffrire e non volevo, lei non volevo rovinarla.

<<E ora scappi, non è da me che dovresti fuggire.>> A quelle parole mi bloccai, fermai la mia marcia decisa e iraconda. <<Io non scappo da nulla Paige.>> L'unica cosa a farmi paura era la mia mente, l'unica arma che mi avrebbe annientato e sarebbe successo prima o poi, ma di certo non sarebbe successo per mano di altri, mi facevo male già da solo. <<Allora dimmi che non è come ha detto lei quella sera.>> Mi impose, prevaricando con un potere che non aveva su di me, che nessuno aveva su di me. Eppure le sue categoriche richieste non cessarono. <<Dimmi che si sbagliava nel dire che per te nessuna sarà mai ciò che è stata lei.>> Non ne compresi il senso, non capii a cosa le servisse che io le dessi una tale sicurezza, non aveva alcun senso e lei lo sapeva. Ma voleva sapere altro che io non capivo o forse che credevo inutile.

<<Non sai di cosa stai parlando ragazzina, ma tenterò di spiegartelo più brevemente che posso.>> Ringhiai furioso, sentendo la collera bruciare nelle ossa. <<Cosa ne sarebbe di un mare senza acqua Paige?>> Ribattei alla sua richiesta con una domanda che sembrò mettere in pausa la sua collera per accendere la sua confusione, non mi comprese ma ci ragionò su comunque. <<Nulla.>>Anche se perplessa sostenne il mio gioco. Esattamente, nulla.

<<Keira Martin quando avevo vent'anni è stata quell'acqua Paige, mi ha riempito completamente di tutto ciò che di bello potesse esistere al mondo e con la stessa facilità di uno schiocco di dita mi ha svuotato.>> Dirlo fu come svuotarmi il petto. <<Con gli anni ciò che è prosciugato non ha più vita, la situazione non cambia a meno che ciò che ti aveva dato vita, non torna.>> Quella vita non sarebbe più tornata perchè io in primis non la volevo più, un'esistenza composta da illusioni e falsità non era una vita che desideravo vivere, lei era stata solo una menzogna per me.

Ma in fondo la verità era un'altra e ne ero ben conscio.

Solo che mi sentivo così stupido a non riuscire a zittire la voce che nella mia testa mi sussurrava ben altro.

Mi ostinavo a credere che il mare racchiuso dentro di me in una valle di silenzi altro non fosse che la mia totale indifferenza nei suoi confronti. Poi però, un giorno, avevo preso la mia barca di solitudine e avevo remato fino al suo centro, mi fermai e fu a quel punto che mi resi conto che quel mare altro non era invece che ogni ricordo che ancora custodivo di lei. Il delicato sciabordio delle onde che accarezzavano la chiglia della mia piccola imbarcazione di legno stantio, erano i suoi sospiri sussurrarti alle mie orecchie per ricordarmi la quiete che solo lei mi infondeva. Il venticello armonioso tra i capelli rappresentava il suo amore per essi, ogni sua carezza sul viso e il frescore mattutino che percepivo a svegliarmi al suo fianco. Il lieve cullare della barchetta sull'acqua invece, era la sensazione infantile che avevo conosciuto stando al suo fianco. Lei era stata la mia giovinezza, la mia infanzia e quel lato bambino che avevo smesso di sentire fin troppo presto.

Tutto ciò che ero diventato dopo il carcere era in verità la rappresentante della mia realtà senza di lei.

Prenderne consapevolezza mi fece sentire il bisogno di farmi male, punirmi per non essere riuscito a dimenticarla, per non essere in grado di smentire le parole di una ragazzina che presupponeva di sapere già tutto quando in verità non conosceva nemmeno la punta dell'iceberg che mi aveva fatto sprofondare.

Dunque abbandonai quegli occhi di un miele brillante per andarmene e odiarmi dove il mondo non poteva giudicarmi.

SPAZIO AUTRICE:

Tesori miei, le cose si fanno più complicate di quanto pensavate probabilmente ma ora come ora, vi posso dire che la notte nella vasca idromassaggio dei nostri personaggi del passato non è ancora finita. Nel prossimo capitolo ci saranno ulteriori risvolti interessanti che cambieranno parecchie cose, e quelli a venire saranno daranno finalmente un dunque alla situazione.

Cosa ne pensate intanto di tutto ciò?

In ogni caso se la storia vi è piaciuta, se vi va potete lasciare una stellina e scrivermi un bel commento, vi ringrazio per la lettura e al prossimo capitolo.

Ciauuuu <3

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