Painful melody

By Sofiacuofano

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ATTENZIONE: SONO PRESENTI SCENE DI SESSO ESPLICITO E DI VIOLENZA!!! Lei è nata nell'agio della famiglia più p... More

PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
CAPITOLO 39
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
CAPITOLO 42
CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 45
CAPITOLO 46
CAPITOLI 47
CAPITOLO 48

CAPITOLO 22

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By Sofiacuofano

KEIRA

Dodici anni prima...

Quel viaggio era diventato un sogno da cui non mi sarei mai voluta svegliare, era tutto così perfetto che a stento credevo che lo stessi vivendo sul serio. Non vi erano più barriere per me, in quei pochi giorni stavo conoscendo la vera me stessa e mi piaceva da impazzire ciò che potevo essere, libera, felice, spensierata, volevo vivere una vita così.

La sera prima fuggivamo da una discoteca per non farci vedere dalle guardie dei miei genitori, che erano venute a prendermi e il giorno dopo ero un mezzo alla meravigliosa New York con i miei amici senza dover pensare a nulla se non a cosa mettermi per il concerto che ci avrebbe atteso quella stessa sera. Vivere così era emozionante, adrenalinico, libero e spensierato, tutti i modi con i quali avrei voluto affrontare il destino senza farmi più alcun problema. Avevo sedici anni e c'era voluto un ragazzo dalla fama internazionale e un animo buono per mostrarmi cosa mi stavo perdendo, mi stava mostrando come vivere gli anni migliori della mia vita.

Giravamo tra gli altissimi palazzi di quella città pazzesca e in qualche modo mi sentivo a casa. Tutti quei negozi di alta moda, i grandi schermi pubblicitari che ricoprivano i grattacieli, le strade ricolme di gente e la gente che ogni tanto ci riconosceva e ci fermava per un autografo. Era pane per i miei denti, una parte della mia quotidianità che non avrei mai desiderato di abbandonare.

Ridevamo e scherzavamo guardandoci intorno con tranquillità, nell'aria si respirava una calma deliziosa che ovattava i pensieri cattivi per far risalire a galla solo quelli felici. Un'armonia onirica di cui stavo diventando dipendente.

La mia mano si nascondeva in quella del ragazzo alto dalla bellezza virile accentuata dai Rayban neri che indossava, si guardava intorno con quel sorriso brillante sul volto e il sole che splendeva su quelle sue ciocche bionde tenute sciolte e libere al venticello fresco che tirava. Era una bellezza per gli occhi altrui e un regalo per i miei. Quella maglia bianca spiccava come una spennellata su una tela nera, su quelle braccia prendevano vita tatuaggi che ricoprivano la sua pelle ambrata come ombre di inchiostro che si intrecciavano lungo quei bicipiti gonfi, scendendo poi sugli avambracci tonici per raggiungere le mani. La mia e la sua a confronto erano totalmente diverse, sia di grandezza che per il colore della nostra pelle, la mia era chiara come la neve, la sua più ambrata, poco più scura e ricoperta di scritte.

Ma per quanto potessimo sembrare diversi, l'uno accanto all'altra eravamo perfetti.

Ci intendevamo anche senza accorgercene.
Usciti dal meraviglioso Hotel che ci stava ospitando per il poco tempo che ci saremmo fermati a New York, ci siamo incamminati nel centro città per visitare un po' meglio, cosa che invece non avevamo avuto il tempo di fare a San Francisco, ma chi poteva saperlo, magari un giorno ci saremo tornati.

Mihai mi stava accanto, con la sua camminata decisa e spavalda, viverlo durante la sua quotidianità era qualcosa di meraviglioso, non viveva un secondo di sofferenza durante le sue giornate, le trascorreva con il sorriso sul volto, fregandosene di tutti i problemi che potevano esserci.

Svegliarmi con lui accanto era ancora meglio, dormiva stringendomi a sè e passavamo intere ore a parlare mentre ci preparavamo per la giornata, era un tipo che raccontava tutto di sè, non gli interessava del giudizio altrui e conoscerlo meglio mi stava piacendo. Lui mi piaceva, davvero.

<<Oh mio Dio! Voglio quelle scarpe.>> Stefany si appiccicò ad una vetrina come una ventosa e trascinò anche me con sè, rubandomi al ragazzo che mi stringeva la mano. Mi era mancato poter andare a fare shopping con lei, non passavamo del tempo tra ragazze da veramente tanto ed era triste come cosa, avrei voluto poter tornare a trascorrere più momenti in sua compagnia.

Le scarpe erano delle Versace con tacco a spillo laccate d'oro, non molto sobrie ma erano meravigliose per una serata di gala, o qualche sfilata sul red carpet. Uno spettacolo per gli occhi di una donna.

<<Ragazze, avete detto la stessa cosa delle ventotto che abbiamo visto poco fa.>> Si lamentò mio fratello, carico, come gli altri due, delle nostre buste piene di vestiti, lui ne portava più degli altri due ragazzi non dovendo stringere la mano di nessuna fanciulla, si poteva dire che lo stessimo schiavizzando ma era così comodo che non potevamo farne a meno. <<Perchè le scarpe sono tutte belle.>> Per una donna scegliere che scarpe indossare era sempre un dilemma esistenziale, soprattutto se la scelta era più vasta di quanto si credesse, ma non comprarle era impossibile. Ne avevamo bisogno.

<<Sì, ma prosciugare la mia carta di credito lo è di meno.>> Alex si era offerto di pagare le cose di Stefany pensando che si trattasse dei due indumenti che le occorrevano per quella sera, ma alla fine, come al solito, la sua fidanzata si era fatta prendere un po' troppo la mano. <<Uffa, ma perchè non siete come Mihai? Lui non si lamenta mai.>> Era vero, da quando eravamo usciti aveva solo riso e scherzato con noi senza mai lamentarsi, sembrava felice, tranquillo, come se nulla avesse mai potuto rovinargli la mattinata, soprattutto perchè eravamo riusciti a dormire più del solito.

<<Ecco vedete ragazzi, dovete prendere spunto da me.>> Si pavoneggiò il galletto dalla cresta bionda sentendosi apprezzato, il suo ego adorava quel genere di cose e alla fine era scontato, per un cantante abituato a sentirsi adorare. <<Buona idea, avete qualche sorella da consigliarmi per scopare?>> L'ironia pungente di Henry ci fece scoppiare a ridere di gusto, si era impuntato ormai su quella faccenda, non perchè gli desse fastidio ma perchè si divertiva ad assillare il suo migliore amico.

<<Sei odioso.>> Gli tirai una pacca scherzosa sulla spalla che a stento sentì, ma fece finta che gli abbia fatto malissimo stringendo gli occhi in una morsa di dolore teatrale, era un bravo attore quando voleva.

<<Ora che hai Mihai, mi offendi e mi picchi, sorellina pensavo che mi amassi.>> Una tipica scena da Oscar che a lui riusciva particolarmente bene, era il re del melodramma ed era esilarante guardarlo fingere così bene mentre passeggiavamo in tutta tranquillità. <<Spesso ci si rende conto che c'è di meglio Henry, ed io sono cento volte meglio di te.>> Il loro ego era così smisurato che a malapena noi tre riuscivamo a stare sul marciapiede insieme a loro due. <<Forse, ma di sicuro io sono meglio di tutti e due messi insieme.>>

Erano come tre bambini che facevano a gara per chi dovesse avere l'etichetta del migliore, un po' come la storia della mela dorata di Eris e delle tre dee che se la contendevano, Henry, Mihai e Alexei erano un po' le versioni al maschile di Afrodite, Atena ed Era. Erano esilaranti.

<<Se avete finito io avrei voglia di un bel gelato, che ne dite?>> Proposi vedendo dall'altra parte della strada, una bancarella dei gelati con un ragazzo intento a vederli a due bambini. Non ne mangiavo una pallina da anni, mia madre non mi aveva mai permesso di mangiarne perchè troppo gelato secondo lei faceva ignrassare, ma una sola pallina dopo anni non avrebbe potuto uccidermi e poi, lei non era lì in quel momento per impedirmelo. <<Ci sto, devo addolcirmi un po' dopo aver speso cinquecento euro da Gucci.>> Stefany roteò gli occhi al cielo all'udire le parole del fidanzato, si era offerto lui di pagarle la sua nuova borsa, ma in effetti forse Stef si era un po' fatta prendere la mano. Ci avvicinammo alle strisce per attraversare, ma prima che potessi farlo sentii la mano di Mihai posarsi sul mio ventre per farmi attendere che una macchina passasse prima di attraversare. Era sempre molto protettivo ma lo faceva notare con gesti tanto minimi che a volte non me ne accorgevo, durante le passeggiate mi teneva per mano ma quando, senza accorgermene, camminavo dalla parte della strada lui mi spostava dolcemente e si metteva dal mio lato per farmi camminare sul lato interno lontana dalle macchine. Mi apriva la portiera e controllava che non stesse passando alcuna macchina prima che attraversassi. Fatti da altri quei gesti sembravano sempre forzati e utilizzati per far colpo, ma lui era semplicemente abituato a farli, probabilmente a volte nemmeno si accorgeva di farli.

<<Buongiorno ragazzi, cosa posso darvi?>> Il ragazzo dall'uniforme bianca come il latte ci sorrise pronto a servirci e così uno alla volta ci facemmo preparare un bel cono gelato, sotto i miei occhi intere vaschette di gelato si stagliavano come un arcobaleno di colori e zuccheri, avevo una scelta così vasta che non sapevo su quale ricadere. Non ero più abituata a fermarmi a bancarelle come quella, non avevo avuto da piccola dei genitori che mi portassero a fare una passeggiata e che mi comprassero un gelato, per loro erano tutte cose inutili che facevano perdere tempo. Solo nonno una volta, quando ancora riusciva a guidare, mi aveva portata a prendere un gelato con Henry per fare quattro passi, ma con l'età che avanzava anche quei brevi momenti erano sfumati via. <<Quale gusto vuoi?>> Sentii il suo mento poggiarsi sulla mia spalla mentre ammiravo assopita tutti i gusti su cui potevo scegliere, intanto che il ragazzo serviva prima i miei amici per darmi qualche istante in più per pensarci. <<Non lo so.>> Da piccola ricordavo che, quell'unica volta che avevo preso il gelato, avevo scelto una pallina di gelato all'amarena ma non era tra i gusti, quindi non avevo una scelta che mi assicurasse un ottima riuscita. <<Che ne dici se scelgo io per te?>> Voltai di poco il viso per incontrare il suo sguardo, il suo viso era a pochi centimetri da me, poggiato sulla mia spalla e quel sorriso brillava sotto la luce del sole come tante stelle del giorno. <<D'accordo, ma solo una pallina.>> Gli imposi vedendo come aggrottasse contrariato la fronte.

<<No no, non è un gelato se non si prendono almeno due palline.>> Mi contraddisse. <<Guarda Henry, lui ne ha prese tre.>> Voltai lo sguardo su mio fratello che intimava al gelataio di aggiungerne persino una quarta, rischiando di far cadere la torre di palline colorate che si tenevano in equilibrio senza una vera motivazione. <<Lui può, io no o ingrasso.>> Le sue braccia si avvolsero intorno ai miei fianchi e la mia schiena così facendo si scontrò contro il suo torace, mi stringeva e mi sentivo nel posto giusto ma non mi potevo aspettare che capisse, lui non aveva mai avuto una madre come la mia.

<<E a chi importa?>> Il suo respiro sul collo mi solleticava la pelle. <<A me, se mangio troppo mi sale l'ansia e non riesco a darmi pace, tipo adesso, sono nel panico solo perchè non so quale gelato scegliere senza che io metta su chili.>> Quando mi facevo prendere dall'agitazione iniziavo a parlare veloce e proprio in quel momento, la mia voce prese a suonare una sinfonia di parole frenetiche che uscivano dalla mia bocca senza che io me ne rendessi conto. <<Ma ora ci sono io, quindi non hai di che preoccuparti.>> Lo sapevo, era così protettivo con me che mi sentivo al sicuro al solo saperlo intorno, con lui nei dintorni ero consapevole che non mi sarebbe mai potuto accadere niente. L'ansia non mi sfiorava i pensieri, l'agitazione non mi tangeva, se lui era lì con me io ero tranquilla e voleva che lo fossi anche mentre mangiavo.

<<Tu non potrai esserci sempre Kovacs.>> Ridacchiai con ovvietà poggiando la nuca contro il suo petto, non ci sarebbe potuto essere sempre, lui viaggiava, non aveva mai una fissa dimora e non avrebbe potuto proteggermi per sempre. <<Mi sfidi Martin?>> Alla sua domanda annuii decisa, mi piacevano da morire le sfide, soprattutto se si trattavano di scommesse con lui, era divertente cercare di ammonire il suo ego spropositato. <<Allora facciamo che in futuro, quando avrai paura o entrerai nel panico, in qualsiasi momento in cui io non ci sarò, tu incrocia le dita e io arriverò a portarti via.>> Alzai gli occhi per incontrare i suoi, d'una bellezza rude ma sincera che mi tolse il fiato, non stava scherzando, era serio, la sua era una promessa ma sapevo bene che un domani se ne sarebbe dimenticato ed quelle parole sarebbero finite al vento. Ma gli ressi il gioco, saperlo disposto a raggiungermi solo per aiutarmi mi scaldava il petto.

<<In qualsiasi circostanza?>> Domandai dubbiosa trovandolo sicuro come non mai.

<<Qualsiasi.>> Ripetè.

<<Anche se dovessi odiarmi?>> I sentimenti avrebbero rovinato tutto, l'odio rendeva l'uomo codardo soprattutto di fronte a promesse passate, che mettevano a dura difficoltà l'orgoglio.

<<Credo difficile che io possa arrivare ad odiarti, ma sì.>> Rise ma le sue parole erano sincere.

<<Anche se dovessi odiarti io verrò a salvarti.>> Mi promise categorico.

E io gli credetti.

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Oggi...

Avevo voglia di sfogarmi come solo io sapevo fare, ne percepivo il bisogno fin sotto la pelle come un pizzicore che avevo placato per tutto il giorno con sigarette su sigarette che fumavo lontana dai bambini per non farmi vedere da loro. Non sapevano che fumavo, per lo meno non lo sapevano tutti a parte Jacob che qualche volta mi aveva vista, ma per lui era normale. Per i suoi compagni ero solo la loro maestra, per lui ero anche sua zia e i bambini tendevano a vedere la maestra come un personaggio che al di fuori delle mura scolastiche non aveva una vita, quindi una donna perfettina che non fumava e non beveva, io invece ne avevo anche fin troppe di vite e bisogni.
Proprio come in quel momento.

Desideravo di sfogare ogni mia voglia su qualcuno, o meglio, con qualcuno. Divertirmi un po' per una notte e perchè non farlo con il mio amato marito? Mi domandai mentalmente.

Era tanto tempo che non passavamo un po' di tempo da soli, a causa dei nostri lavori finivamo sempre con il vederci solo a tarda sera, se non la mattina dopo, fattore che aveva assopito il nostro matrimonio costringendo me a cercare il sesso altrove. In uomini che mi servivano come desideravo e per quanto mi allettasse ancor di più l'idea di avere tre bei signori nudi intorno a me, desideravo qualcosa di più di semplice sesso a pagamaneto. Mi servivano dei sentimenti che ne conciliassero l'atto, un'importanza.

Desideravo mio marito, l'uomo che amavo e nessun altro.

Mi sentivo eccitata e furiosa, ogni pensiero che mi passava per la testa poi non mi rendeva le cose per niente facili soprattutto perchè odiavo il nucleo dei miei veri desideri. Vederlo quella stessa mattina mi scosso qualcosa dentro, avevo passato l'intera giornata a godere al solo ripensare la sua faccia adirata, risalire su quella macchina e andarsene perchè non aveva avuto le palle di ammettere che mi amava ancora.
Mi aveva fatto quasi pena, un essere tanto insignificante ancora innamorato di ciò che non avrebbe mai potuto avere, un illuso era stato a vent'anni e un illuso era rimasto dopo dodici anni, ma alla fine doveva essersi annoiato tra quelle mura strette.

Ma odiarlo rendeva ancora più invitante quel corpo statuario, quei muscoli pulsanti, quel viso segnato dalla matura età, con quegli occhi blu che mi detestavano tanto da farmi eccitare, i tratti taglienti e quelle labbra di cui ancora ricordavo il sapore, un retrogusto che non avevo mai dimenticato.

Se ci fossi andata a letto, avrei fatto ritornare a galla in lui i sentimenti che continuava a soffocare per orgoglio e a quel punto, schiavo di un amore da cui non sarebbe mai stato capace di liberarsi, lo avrei ridotto in polvere. Perchè era così che facevo a chi mi amava, lo distruggevo, eccezion fatta per alcune circostanze, ossia quando quell'amore era corrisposto anche da me.

Ma non mi sarei buttata addosso a lui, per quanto sicura che non mi avrebbe rifiutata, avevo pur sempre una dignità in quanto donna. Lo avrei stuzzicato, lentamente e con astuzia, fino a farlo impazzire proprio come quella mattina, fino a quel momento però avrei concentrato le mie attenzioni su un uomo che meritava tutto ciò che con lui avevo sprecato. Ogni parte di me.

Salii le scale e raggiunsi il terzo piano della villa, lì vi era la sede lavorativa degli affari Martin a Los Angeles, interamente gestita da membri della famiglia e persone fidate, molto fidate come Cornelius o amici di mio padre. Il tutto era gestito lì per questioni di sicurezza, se gli affari venivano gestiti solo tra le mura di casa nessuno avrebbe portato file o documenti importanti in giro per la città, questo voleva dire che tutto rimaneva al sicuro e privato, lontano da occhi indiscreti. Persino dai miei, ma non me ne importava.

A quell'ora però oltre a mio marito non vi era più nessuno, era tardi, io ero appena tornata da scuola e tutti se ne andavano proprio quando io staccavo dal mio di lavoro, quindi su quel piano vi era solo silenzio e, apparte le luci del corridoio, la luce di un solo ufficio era accesa. Quella dell'ufficio di mio marito.

Mi avvicinai alla porta in mogano e vi picchiettai le nocche con delicatezza, il rumore fu un sottile rintocco, che però bastò a farmi notare. Cornelius mormorò un distratto "Avanti" e allora entrai abbassando la maniglia per aprire la porta e richiuderla subito alle spalle.

Lì dentro tutto era precisamente ordinato, un po' come lo era lui.

Un tappeto persiano ricopriva il pavimento di legno, ai lati della stanza vi erano due poltrone in pelle e quadri a ricoprire buona parte delle pareti celate sotto la carta da parati decorata da affreschi eleganti e raffinati. Alle sue spalle un'immensa libreria di libri polverosi che probabilmente non aveva mai letto per via del poco tempo, io invece, con il nonno, da piccola li avevo letti tutti. Una collezione di mille e duecento cinque romanzi storici che avevano fatto la storia della letteratura, non mentivo nel dire che i miei occhi avevano corso riga per riga tra le loro pagine ingiallite, leggendoli uno ad uno.

Ero cresciuta in quella stanza che era diventata il suo ufficio, quando invece un tempo vi erano solo le due poltrone, la libreria, un caminetto e il comodino su cui il nonno posava e prendeva le sue pipe o i suoi occhiali da lettura. Ancora tra quelle pareti si sentiva il profumo della carta che tanto adoravo.

In mezzo alla stanza vi era lui, seduto alla sua scrivania in legno massiccio ricoperta di fogli e faldoni a cui non prestai neppure importanza, non mi interessava di saperne qualcosa di come andassero gli affari di mio padre. Non era affar mio, non avevo mai provato a entrare nei giri di mio padre, anche se magari avrebbe contribuito nel affinare meglio il nostro rapporto che era completamente sfumato.

I suoi occhi grigi come una giornata uggiosa si alzarono su di me e dubito mi sorrise, abbandonando quella sua espressione seria e concentrata che assumeva quando lavorava. I suoi occhi mi avevano sempre ricordato la pioggia, ma non per la tristezza di quei giorni, bensì per il rumore rilassante che mi allietava ogni volta che sentivo le gocce picchiettare sulle finestre. Cornelius mi calmava, in quel momento però desideravo qualcos'altro, come perdere la calma e alimentare i miei respiri fino a farli diventare corti, ansanti, affamati di aria. Con lui. <<Sei tornata.>> Si sfilò gli occhiali da vista dalla montatura elegante che lo facevano sembrare ancora più attraente nelle vesti di uomo d'affari, con la camicia e la cravatta che avvolgevano quel torace atletico. Non aveva una corporatura chissà quanto definita, ma le ore che a volte riusciva a ritagliarsi in palestra avevano dato i loro risultati. <<Già, ti sono mancata?>> Girai intorno alla scrivania, guardandolo chiudere il portatile per spostarlo di lato e lasciarmi lo spazio di sedermi davanti a lui, sulla scrivania mentre lui se ne stava seduto sulla sua poltrona nera. Sapeva che quando c'ero io doveva accantonare tutto il suo lavoro per prestare attenzione solo a me, o ero capace di scatenare il finimondo, quando c'ero io l'attenzione doveva essere puntata esclusivamente su di me. <<Tanto, come ogni giorno.>> Divaricai leggermente le gambe, seduta sulla sua scrivania, per dargli modo di avvicinarsi con la sedia e farsi spazio tra le mie gambe avvolte da dei jeans attillati che mi stavano soffocando. Le sue mani si posarono sulle mie ginocchia per risalire piano piano le mie cosce, mi accarezzò lentamente massaggiandomi la pelle coperta.

<<Ultimamente però passi più tempo con mia madre che con me.>> Avvicinai la mano al suo colletto per arpionare con le dita la cravatta nera che gli circondava il collo e tirarlo più vicino a me, i suoi occhi grigi mi accarezzavano di sguardi ammaliati il viso mentre gli slacciavo il nodo della cravatta per liberarlo da una seccatura. <<Lo sai com'è fatta, vuole che ogni giorno le venga fatto un resoconto di come vanno gli affari e io sono l'unica fonte più vicina e comoda da poter contattare.>>Vicina forse ma comoda di sicuro, quella donna riusciva a farsi dire tutto ciò che desiderava da lui e mio marito probabilmente parlava più con lei che con me, per quanto in effetti passavo anche più tempo fuori casa che con loro.

Lasciai cadere la sua cravatta costosa a terra e gli sbottonai i primi tre bottoni della camicia per farlo respirare, non voleve ore la stesse indossando. <<A te com'è andata a lavoro?>> Le sue mani raggiunsero i miei fianchi ma non mi strinsero, mi accarezzarono con una gentilezza che in quel momento mi era indifferente, volevo altro, molto altro. <<Bene, ogni tanto potresti fare un salto a conoscere i miei alunni.>> Far conoscere loro un pezzo importante della mia vita sarebbe stato meraviglioso, soprattutto perchè lui e Jacob non scambiavano qualche parola da tempo. Al mio invito però lo vidi già storcere il naso.

<<Lo sai che non amo i bambini.>> Sì, lo sapevo bene ma dovevo comunque provarci, ogni tanto glielo propongo sperando che la risposta sia diversa ma non cambia mai, prima o poi sarei arrivata a metterci una pietra sopra. Dunque sorvolai. <<Era solo un'idea, comunque se hai finito qui potremmo passare un po' di tempo insieme.>> Era da tanto che non riuscivamo a stare insieme e io desideravo ardentemente di sfogare il bisogno che mi bruciava tra le gambe, volevo che mi toccasse, necessitavo di risentire sulla pelle le mani di mio marito. <<Lo vorrei, ma ho delle questioni che non posso rimandare.>> I suoi continui rifiuti mi mandavano in escandescenza, ma non come avrei voluto. Aveva me, il sogno che aleggiava nelle menti di decine e decine di uomini, eppure cercava sempre un modo per non cedere a me. Era dolce, gentile ma così dannatamente fissato sul lavoro da irritarmi. Provai a farlo cedere.

Scesi dalla scrivania per sedermi a cavalcioni su di lui. Le mie mani si posarono sul suo petto per massaggiare quei pettorali e salire raggiungendo le spalle. Un altro al suo posto mi avrebbe stretto la vita con le mani, mi avrebbe ruggito all'orecchio il suo desiderio nei miei riguardi, lui invece teneva le mani sui braccioli della sua sedia senza toccarmi. <<Chiudi un occhio per una volta, parlerò io con mio padre.>> Sembrava quasi più figlio suo lui che io, anche se di carattere ero diventata tutto ciò che mio padre voleva che diventassi, un'arma letale capace di padroneggiare il potere senza la minima difficoltà. Non lo vedevo quasi mai, ma quelle rarissime volte, leggevo in quegli occhi una fierezza che quando ero più piccola non avevo mai conosciuto.

Da bambina non voleva nemmeno sapere come stessi.

A ventotto anni sembrava quasi orgoglioso di ciò che ero diventa e, forse, non era poi molto tenero che gli piacere l'essere vuoto e distruttivo che ero diventata, fatto stava che anche lui si controllava nel parlarmi quando si degnava di fare uno squillo. A volte passavano anche anni senza che lo sentissimo, l'unico era mio marito che ancora ogni tanto riusciva a rintracciarlo, ovunque lui sia.

Poggiai le labbra su quelle del mio sposo e lui mi ricambiò, lasciò che unissi le labbra alle sue ma per così poco che fu sembrò più un contentino che mi stesse dando, scesi a baciargli la guancia liscia e priva di barba, scalando sulla mascella per raggiungere il collo. Tentando di risvegliare in lui qualsiasi cosa.

<<Keira no.>> Mi posò le mani sulle braccia, ma non per alzarmi e sbattermi sulla sua scrivania.

<<Ti ho detto che non mi va.>> Mi alzò da sè facendomi tornare in piedi. I miei occhi su di lui lo guardavano increduli cercando di riuscire a concepire che fosse serio, davvero mi stava rifiutando.

La collera prese a bruciarmi i pensieri con ancor più furia di poco prima, il fastidio si intrise di ira e davanti al celeste dei miei occhi vidi le fiamme, se fino a poco prima ero furiosa in quel momento stavo seriamente incominciando a vedere tutto rosso. <<Si può sapere che ti gira?>> Prima sfaceva tutto il buono e gentile, fingendo che gli interessasse di come fosse andata la mia giornata, poi tutto d'un tratto diventava gelido come il ghiaccio. Avevo come l'impressione che nominargli i bambini lo avesse fatto retrocedere di almeno dieci passi.

Quella consapevolezza mi accoltellò lo stomaco senza ritegno, ma non gli diedi modo di vederlo, nessuno più era capace di cogliere in me alcuna debolezza. Non conoscevo dolore, se non quello che facevo io agli altri.

<<Nulla, Kei ti prego...>> Sospirò esausto rendendosi conto di quanto fossi incollerita, si prese qualche istante infatti per dosare le parole da dirmi con il contagocce, tutti si davano un contegno nel parlarmi consapevoli che una sola parola sbagliata gli avrebbe potuto interrompere l'esistenza. Anche quella di mio marito, lo amavo ma iniziavo a mettere in dubbio che quel sentimento fosse ancora ricambiato.

<<No tranquillo, va bene così.>> Alzai le mani lasciandogli credere che mi stessi seriamente arrendendo alle sue volontà, quando invece in me sopravviveva uno spirito che ancora non aveva ben conosciuto, una sfumatura di me che non gli sarebbe piaciuta poi molto. <<Poi però non stupirti se per soddisfarmi mi diverto con uomini che non sono mio marito.>> Quella mia frecciatina gli arrivò colpendolo in pieno, sapeva che mi divertivo con altri uomini e io non facevo nulla per nasconderlo, tutt'altro, nessuno che vivesse in quella villa ne era all'oscuro. Fino a quel momento gli era sembrato star bene, amavo lui, se facevo sesso con altri non aveva di che preoccuparsi, ma in quel momento sembrò infastidirsi.

<<Ospiti i tuoi giochi personali in un'ala di casa nostra, non mi stupisce più niente ormai.>> Ospitavo ben tre uomini e due donne, scelti da me personalmente come miei divertimenti notturni, in un'ala dell'enorme castello in cui abitavo per averli sempre a disposizione. Non avevo chiesto il permesso a nessuno per farlo e nessuno aveva mai avuto le palle di impedirmelo, facevo quello che volevo e lui di certo non doveva mettere becco sulle mie volontà. Nessuno mi diceva cosa fare o meno. Se pensava di farmi sentire in colpa con quella risposta si sbagliava di grosso. <<Innanzitutto abbassa i toni con me Cornelius perchè tu qui sei ospite tanto quanto lo sono loro, questa è casa mia e stai attento a come ti rivolgi a me perchè non ci metto niente a farti trovare le tue cose fuori da Los Angeles.>> Non fuori dalla porta, avrei ordinato di fargliele portare anche fuori dalla Nazione se mi fosse girato di farlo.<<Ho bisogno di ricevere le attenzioni che mio marito non ha il tempo di prestarmi, e ho come l'impressione che stanotte me la prenderò con comodo.>> Avevo l'intenzione di divertirmi con i miei tre uomini fidati fino a sfogare tutto il nervoso che mi stava tendendo i nervi, senza impormi alcuna fretta, contrariamente al solito che li rimandavo nei loro appartamenti prima che lui arrivasse. Non per nascondergli qualcosa, giusto perchè non trovasse qualche intruso nel nostro letto quando aveva voglia di coricarsi per riposare.

<<Amore sai che cosa intendevo, sono solo stanco.>> Io però mi ero stancata di parlare, di parole ne avevo usate anche fin troppo per tutta la giornata. <<Non mi interessa, hai tutto il tempo per concentrarti sul tuo lavoro, non ti preoccupare.>> Mi voltai raggiungendo la porta lasciandomi alle spalle le sue scuse inutili che mi scivolavano addosso come acqua putrida, non erano sentite, doveva solo trovare un modo per pararsi il culo in qualche modo e io non sopportavo quel genere di comportamenti.

Andava punito e sapevo anche come.

Tirai fuori dalla serratura rivolta all'interno della stanza la chiave che vi era infilata in ogni momento, la usava quando doveva chiudersi nell'ufficio per godere di un attimo di privacy, ciò che io stessa gli avrei fornito. Per tutta la notte.

<<Non scomodarti ad alzarti da quella poltrona stasera, o ti avverto che troverai tre dei miei uomini migliori con il volto tra le mie cosce e non so quanto sia piacevole per te.>> Aprii la porta sentendolo borbottare imprecazioni su imprecazioni, quando ancora non aveva neanche ben capito cosa lo stava attendendo.

<<Sempre se riuscirai ad uscire di qui.>> Mi rigirai tra le mani la chiave dorata voltandomi sulla soglia per ammirare quell'espressione perplessa. <<Che intendi?>> Sul mio volto sentii comparire un ghigno crudele, dolce come i pasticcini che non mi era consentito mangiare, sentivo addirittura la glassa alla soddisfazione colare dalle labbra. Senza dargli una risposta sbattei la porta davanti ai suoi occhi, infilai la chiave nella serratura e la girai chiudendolo a chiave nel suo amato ufficio.

<<Dormirai qui stanotte, azzardati a contraddirmi e te la faccio pagare.>> Alzai di poco la voce per farmi sentire da lui, i suoi passi frenetici rimbombarono nella stanza seguiti dai colpi che sbattè sulla porta per farsi aprire.

<<Vorrai scherzare spero, Keira apri questa cazzo di porta.>> Mi intimò facendomi ridere, risi a crepapelle sentendo il divertimento insaporire la mia collera, stava provando seriamente ad ordinarmi di fare qualcosa? Io non scherzavo mai, provocavo ma dicendo sempre ciò che pensavo.

<<Buonanotte amore, ci vediamo domani.>>

Io vendicativa? Oh sì, la peggiore.

Un sorriso vittorioso mi increspò le labbra mentre mi rigiravo la chiave tra le dita, attraversai con passo deciso il lungo corridoio per tornare sui miei passi e raggiungere il piano dove vi era la mia stanza, percependo già un fremito tra le cosce all'idea di aver tre uomini al prezzo di uno per una notte intera.

Scesi le scale che avevo salito e, grazie al tappeto rosso che ricopriva ogni gradino, i tacchi non fecero alcun rumore ad ogni mio passo. <<Bentornata signorina Martin.>> Una delle cameriere lì di passaggio, non appena mi vide si inchinò abbassando lo sguardo a terra, chiunque sorreggesse il mio sguardo in quella casa, che non fosse un membro della famiglia o un amico, veniva licenziato da me in persona.

<<Fai venire i miei passatempo nella mia camera, avvisali che voglio solo i tre uomini e che li desidero nella mia stanza al più presto possibile o verranno sostituiti.>> Non sopportavo chi ritardava a meno che non fossi io a ritardare, in quel caso ero libera anche di ritardare quanto volessi, non dovevo essere io ad aspettare ma gli altri ad aspettare me. L'attesa aumentava il desiderio.

<<Subito signorina Martin.>> Prima però che potesse dileguarsi mi ricordai della chiave che stringevo in mano. <<Ah quasi dimenticavo, buttala in uno dei camini.>> Si sarebbe fusa tra le fiamme e sarebbe diventata inutilizzabile, così quel bastardo di mio marito sarebbe stato costretto ad attendermi per venir aperto con la chiave di scorta che avevamo nel mio comodino. Questione di sicurezza.

La donna in uniforme, la prese e annuendo scomparve dietro l'angolo per fare ciò che volevo, finalmente le cose stavano tornando al loro posto, tutti facevano come dicevo io, la normalità per le mie orecchie abituate a sentire solo i miei ordini.

Raggiunta camera mia preparai un bagno caldo, lasciai che nell'idromassaggio nel mio bagno in camera si riempisse di acqua e bolle, poi mi sfilai i vestiti e mi infilai in quel caldo massaggio lasciandomi distendere i nervi. Dopo un bel bagno caldo e massaggiante il sesso era ancora più soddisfacente.

La schiuma mi accarezzava la pelle liscia, l'acqua calda mi distendeva i nervi ma le bolle tra le gambe erano un massaggio che mi soddisfava con piccole carezze. Amavo mio marito ma spesso i soldi, una vasca idromassaggio e il potere di comandare mi erano sufficienti per godermi la vita, soprattutto se al tutto ci aggiungevo una sigaretta e un calice di vino rosso delle nostre cantine.

Per fortuna in camera avevo entrambe le due e tre belle statue da modellare su di me.

Fin dal bagno sentivo i loro passi farsi spazio nella stanza, avevano fatto più veloce del previsto e mi venne da sorridere al solo pensarlo, le mie minacce erano sufficienti a smuovere mare e monti, tutto ciò che mi bastava fare era mettere in fila qualche parola minatoria e schioccare le dita. Il resto veniva da sè.

Dunque, sentendo già l'acquolina in bocca, mi alzai ed uscii dalla vasca per avvolgermi il corpo in un asciugamano morbido. Non mi importava di avere i capelli arruffati in una crocchia, mi sarebbe bastato fare ciò che feci e i loro occhi avrebbero divorato ciò che avevo offerto al mio uomo, ma che non aveva saputo apprezzato.

Uscii dal bagno trovandoli lì, in piedi, l'uno accanto all'altro con indosso solo un paio di jeans. Nient'altro, ne scarpe, ne maglie, non avevo mai voluto che del tessuto mi nascondesse quei toraci scolpiti, i tatuaggi tesi su quei muscoli contratti e quelle gambe atletiche avvolte nei jeans. Erano un piacere per gli occhi.

Me li stavo già gustando ma mi serviva qualcosa per mandare giù ogni boccone.

Mi avvicinai al primo che non abbassò lo sguardo su di me fino a quando non gliene diedi il consenso, posai la mano su quel viso squadrato nutrendomi del desiderio che si stagliava in quelle iridi blu, identiche a quelle degli altri due. Li avevo scelti bene, biondi con gli occhi azzurri.

Una perversione che mi portavo dentro da anni.

<<Voglio che mi scopiate senza pudore, ma quando sarete vicini all'orgasmo dovrete tirarvi indietro e permettermi di venire con le mani, con la bocca...>> Avvicinai le labbra al secondo e assaggiai le sue, morbide come le ricordavo, dal sapore sopraffino che conoscevo meglio di quello di mio marito.

<<Solo io posso godere, ma voi potrete guardarmi.>> Mi appropinquai al terzo accarezzando quel petto nudo e contratto sotto le mie carezze. <<Leccare il piacere che sgorga tra le mie cosce quando verrò.>>

Quelle sei ridi blu furono fanali su di me che mi abbagliarono, l'idea già li stuzzicava, poter essere gli artefici di un'orgasmo di Keira Martin per loro era un onore, come lo sarebbe stato per chiunque io avessi assunto. Soprattutto poter assaggiarmi, addolcire quelle bocche serie e imbronciate con i miei umori.

<<Azzardatevi a venire...>> Passai l'unghia tracciando una linea orizzontale lungo la gola del secondo.

<<E perderete tutto.>> Il gioco era semplice, le regole del piacere erano più complesse.

Sapevo quanto fosse difficile rifiutare un orgasmo quando il piacere si faceva sempre più potente.

Mi allontanai di un passo e retrocedendo di almeno altri tre, mi sfilai l'asciugamano di dosso lasciandolo cadere a terra. Sotto ero completamente nuda, proprio come ero uscita dalla vasca, non avevo infilato nulla; non mi vergognavo della mia nudità, soprattutto davanti a tre uomini che avevano visto i miei seni più di quante fossero state le volte di mio marito. <<Prima però.>> Temporeggiai mentre aprivo il mio frigo bar per prendere una bottiglia di vino e stapparla, le gocce di Rosè colorarono il trasparente calice in cui ne riversai il liquido e il rosato contenuto mi pizzicò le narici con il suo profumo meraviglioso.

<<Come vi chiamate amori miei?>> Mi voltai di nuovo verso di loro poggiando le natiche sode contro il mobile in legno alle mie spalle, mi osservavano come tante tigri osservavano una bistecca, a loro discapito però non ero la bistecca ma il nucleo della loro prossima battaglia.

Si sarebbero scontrati per avermi, nulla di più ammaliante.

Portai il calice alle labbra e ne bevvi un lungo sorso, lasciando che si prendessero qualche secondo.

<<Oscar.>>
<<Raul.>>
<<Aton.>>

Si presentarono uno alla volta nello stesso ordine di poco prima, ma non riuscirono a soddisfare la mia domanda con l'unica risposta che mi sarebbe bastata, erano belli e svegli o non li avrei scelti, ma davanti ad un corpo come il mio sembravano aver dimenticato come si usassero i neuroni.

<<No, non ci siamo capiti.>> Scossi il capo sciogliendo del tutto la crocchia allentata che mi pendeva sul capo, i capelli mi ricaddero liberi e indomabili sulle spalle come un velo scuro, anche se tutto potevano dirmi, tranne che fossi una suora santarellina. Il solo pensarlo in quel momento mi fece sogghignare sommessamente. <<Allora, mettiamola così.>>

Mi sedetti sul letto e lentamente divaricai le gambe aprendo loro ciò che avrebbero vinto se solo avessero risposto la cosa giusta al momento giusto, i loro occhi, praticamente allo stesso momento caddero in quel punto che brillava di eccitazione come una perla di paradiso.

Desideravano me, ogni parte di me, avevo il completo controllo delle loro menti ma alcun tempo anche della mia, avevo bisogno di fregarmi io stessa e drogarmi con la rabbia che ancora portavo dentro con l'unico modo che avevo a disposizione.

<<Ora ditemi ragazzi: come vi chiamate?>> Domandai di nuovo con voce suave e sensuale accarezzando ogni parola come avrebbero fatto da lì a poco le loro lingue tra le mie cosce.

<<Mihai.>> Esclamarono tutti e tre concedendomi la droga per i miei pensieri, solo immaginando che ci fosse lui lì, a subire la mia punizione di piacere, avrei perso la testa fino in fondo.

<<Ora sì che ragioniamo.>>

SPAZIO AUTRICE:

allora, allora, allora, ragazze mie le cose qui si fanno più complicate del previsto nel meraviglioso matrimonio tra la nostra Keira e Cornelius. Lui spende più tempo sul lavoro di quanto dovrebbe e lei non sembra accettarlo, uno no per la nostra regina è come sfregiare il suo orgoglio. Ma come mai la perversione di Keira è diventata ormai da anni, quella di portarsi a letto uomini identici Mihai?

Cosa ne pensate?

In ogni caso se la storia vi è piaciuta, se vi va potete lasciare una stellina e scrivermi un bel commento, vi ringrazio per la lettura e al prossimo capitolo.

Ciauuuu <3

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