PRICELESS

By JennaG2408

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"Le cattive abitudini generano pessime dipendenze" 🌘Dark romance 🔞Forbidden love 💰Crime romance 📚 SCELTA... More

Avviso
C'era una volta una dedica
PARTE I
Prologo Lea
Prologo Trevor
1. FACCIA DA STRONZA
2. Finché qualcuno non ti compra
3. Fallo stabilire a me
4. Così poco di lei, così tanto di suo padre
5. Se l'orgasmo fosse un suono
6. Mi aspettavo di meglio
7. La sua degna erede
8. Un errore da 15 dollari
8.1 L'autrice si è dimenticata un pezzo di capitolo.
9. Tienila d'occhio
10. Non è Trevor
11. Non vali così tanto
12. L'anomalia emotiva
13. Il valore dell'innocenza
14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.
15 Stasera quello rosso
16 Il mese prossimo potremmo essere morti entrambi
17 Non puoi urlare
18 La Dea più capricciosa dell'Olimpo
19. Aspettami senza far danni (parte1)
20 (parte2)Sei tu, la mia sola cosa importante.
21 (parte 3) Seppelliscimi con le scarpe giuste
22 (ULTIMA parte) Voglio sapere se posso urlare.
23 Who needs a boyfriend when you have puppies?
24 Sei uno stronzo fortunato, Trevor Baker
25 Ogni regina ha il suo scettro
26 Non puoi toccarla
PARTE II
27 Stanco, ma non di lei
29 Un nome per il sesso e uno per l'amore
30 Dolce figlia di un figlio di puttana
31 Ah, Auguri.
32 Quello che sta intorno al cuore
33 L'inferno non va bene per Sebastian Baker.
34 Non sempre un uomo di successo è un uomo di valore
35 Fragola, cioccolato e una goccia di veleno: mortale tentazione
36 Non fare di lei la tua Harley Quinn
37 Due affamati nello stesso letto
38 Niente di male a sanguinare un po'
39 E comunque questo è un Valentino, stronza.
40 Cattive intenzioni e voglie pericolose
41 La mia bambina non si tocca
42 Scorre sangue immondo
43 La sua pelle e la mia fame (parte 1)
44 Groviglio di carne e abbandono (parte 2 )
45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)
46 Il sesso come strumento di guarigione
47 Facciamo finta di no
48 Tutti i per sempre portano il nostro nome
PARTE III
49 Quello che sono disposto a fare per te
50 Scelgo il profano e il blasfemo
51 Il sapore di una truce Apocalisse
52 Non abbastanza. Punto
53 Eppure Lea è viva
54 Effetto domino
55 Cinquanta sfumature di BlueDomino
56 Londra è la mia puttana
57 Questo non può essere peggio
58 Gli affetti veri muoiono, quelli falsi uccidono
59 Innalzare le mie depravate pulsioni
60 Non c'è differenza tra una danza e una guerra
61 Benvenuti a tutti quelli come noi
62 Dimmi cosa ti ha fatto
63 Fammi male
64 Io mi salvo da sola
65 Mister SeLaTocchiTiUccido
66 La differenza tra stimolare e godere
67 Il grillo che mette nel sacco il gorilla
68 Pietà e rispetto
69 Non ti darei mai meno di tutto
70 Incassare, elaborare, espellere (parte 1)
71 Stavolta puoi urlare (parte 2)
72 Non lasciarmi solo
73 Ci sarò sempre
74 Stai attenta, bambina
75 Più incazzato che lucido
76 Scolpiranno il mio nome sulla tua carne
77 Domani è già arrivato
78 Sembra un addio, signor Baker
79 Esisti per me
80 A fanculo un'ultima volta
81 Non morire senza di me
82 Soffrire ancora un po'
83 Mentre fuori il mondo cade a pezzi
84 Quella vita non è mai la tua
85 Ma tu non ci sei (parte 1)
86 Scopami nel modo sbagliato
87 UNLOCKED
PARTE IV
88 Morirò da re
89 Sono il vostro dio
90 Uno stronzo senza cuore
91 Tre baci sulla punta del naso
92 Un sollievo breve e inaspettato
93 Ciò che mi è dovuto
94 Ci sarò io, con te
95 Roba così
96 Nessuno di noi avrà conti in sospeso

28 La prossima volta ti farà male

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By JennaG2408

Questa è una storia in cui i padri hanno un ruolo importante, e io in quel momento credevo di saperlo, di aver individuato in che veste avessero contribuito a originare quel casino. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo su un sacco di cose.

Credevo anche di aver capito tutto di Lea, nei giorni che avevano preceduto il sequestro e seguito l'affare del Demons, ma il tassello fornito da quel passaggio di proprietà aveva gettato luce solo su una parte delle intenzioni della mia bambina.

Ma queste sono mancanze accettabili, comprensibili: avevo fatto un buon lavoro con le poche informazioni che avevo. Quello che era davvero imperdonabile, invece, era la mia ostinazione nell'ignorare un qualcosa che avevo avuto sotto il naso fin dal primo giorno e che aveva quasi tentato di rivendicare la sua funzione, seppur maldestramente. Ma ero cieco, in quel momento, concentrato su troppe cose contemporaneamente.

A mia discolpa, vorrei fosse messo agli atti che anche Andrey non aveva capito proprio tutto. Ma ormai non ha importanza e il ruolo dei padri avrebbe assunto la giusta dimensione di lì a poco, nonostante avessi fatto di tutto per tenere Lea ben lontana dall'uomo con cui, malauguratamente, condividevo una parte sostanziosa del mio corredo genetico.

Il presentimento che tutto ciò che fino a quel momento non era ancora andato a puttane fosse pronto per finire maciullato da un meteorite composto esclusivamente di merda mi colse già quel pomeriggio, quando una Lea completamente fuori di sé rifiutava di farsi visitare dal nostro doc di fiducia, di assumere gli antibiotici, di spalmarsi una pomata intima lenitiva, di nutrirsi e di idratarsi. Alla fine mi arresi alla sua crisi isterica e, dopo averla sedata con grande sollievo del mio esercito di uomini grandi grossi e spazientiti, chiamai Denis e gli chiesi un paio di favori. Incassai due vaffanculo, la promessa che sarebbe venuto appena possibile per calmare la iena rabbiosa in cui si era trasformata la sua migliore amica e il giuramento che mi avrebbe "fatto morire male" non appena ne avesse avuto occasione.

E nonostante avessi passato l'intero pomeriggio a cercare di farla ragionare, ottenendo insulti e minacce credibili quanto la candidatura di una pornostar al Parlamento (inglese, mica italiano, sia chiaro. Il Parlamento, intendo, non la pornostar), mi abbandonai sul letto insieme a Lea non appena la sua furia sbiadì per effetto del farmaco. Con l'odore del nostro sangue e della sua urina ancora addosso ci addormentammo e mi concessi di farlo al pensiero che in qualche modo avrei sistemato tutto.

E quel pensiero mi seguì anche al risveglio: potevo deviare il meteorite fatto di merda verso altre destinazioni. Non volevo investisse Lea, mi bastava quello. Tanto io a stare a galla nello sterco ci ero abituato.

Rimasi a guardarla per un po', mentre dormiva, poi feci una cosa irrispettosa di cui non mi pentii affatto: appoggiai le mie labbra sulle sue. Poi di nuovo. E di nuovo. Finchè smisi di contare i baci che le stavo rubando.

Chissà quanto ancora avrei proseguito, se lei non avesse iniziato ad agitarsi, ormai vicina a un risveglio definitivo. Aprì gli occhi e avrei voluto baciarla di nuovo, a lungo.

Mi inquadrò con i suoi occhioni verdi, e dalla bocca le uscì una risatina allegra che stonava parecchio con le condizioni dei nostri corpi. La adorai proprio per quel motivo.

«Cosa ridi, ragazzina?»

Si morse il labbro, sorridendo, prima di rispondere. Presi atto del fatto che forse nemmeno ricordava di aver avuto una crisi isterica un paio d'ore prima.

«Hai la faccia viola, Trevor Baker.»

Sorrisi anche io: non mi ero ancora guardato allo specchio da quando eravamo tornati.

«Ho avuto uno scontro frontale con un carro armato russo.»

Mi accarezzò con delicatezza, e io mi voltai appena per baciarle la punta delle dita.

«Hai avuto la peggio...»

«No, solo danni alla carrozzeria. Al russo abbiamo danneggiato il motore, Lea. Quello è alimentato a orgoglio.»

Si rabbuiò un po', sospirando.

«Si vendicherà. Mi sembra uno che se le lega al dito, queste scaramucce.»

Le ripetei quello la stessa frase che le avevo detto in auto, ore prima. «Non ti devi preoccupare di niente.»

«Ti farà male, la prossima volta, Trevor Baker. E se Andrey non arrivasse in tempo?»

Cercai di abortire il piacevole tepore che la sua preoccupazione generava dentro di me: dov'ero io arrivava mio padre, e dove arrivava mio padre non volevo fosse presente Lea. Dovevamo prepararci entrambi a un addio, possibilmente condito da orgasmi multipli. Di lì a poco sarei tornato a Londra, dove sarei rimasto, magari controllandola per un po', giusto per accertarmi che non facesse altri danni in giro per il web. Entro sera avrei affrontato con lei anche quel discorso. Mi sentivo esausto solo all'idea di convincerla che l'avevo scoperta, che non poteva nascondermi nulla e che doveva smettere di incasinare i flussi finanziari di mezzo mondo.

«Sono consapevole di aver fatto indossare a Viktor la mia condanna a morte, Lea. Ora tu devi essere consapevole che quella non era la prima, e che probabilmente non sarà l'ultima che porta il mio nome. Funziona così, sai?»

Fece una piccola smorfia, poi abbassò lo sguardo in cerca della mia mano ferita, ancora fasciata.

«Ti fa male?»

«No.» Le sollevai la maglietta, che in realtà era mia e che le avevo indossare a forza una volta giunti nell'attico affittato. Aveva il ventre dello stesso colore della mia faccia, con qualche sfumatura di giallo. «E a te fa male?»

Abbassò la testolina rossa per guardarsi, avvicinando la nuca alle mie narici. Sotto il puzzo di urina, resisteva ancora quello naturale dei suoi capelli. Era bello stare sdraiato accanto a lei, nonostante fossimo davvero in pessime condizioni. «Un po'.»

Le passai le dita sui fianchi. «Mi dispiace.»

«Che hai combinato con i russi, Trevor?»

Sollevò di nuovo la testa, mettendosi faticosamente su un fianco, come me. Occupavamo lo spazio di un solo corpo, pur distesi in un letto king size.

«Non è una cosa di cui devi preoccuparti tu.»

Mise il broncio e Cristo, che fatica resistere alla tentazione di leccarglielo via dalla faccia.

«Lo sai, vero, che il fatto che tu abbia deciso di chiamarmi bambina non fa di me una povera deficiente?»

Sorrisi, perché mi aveva parlato con un cipiglio pungente che nessuno si permetteva di usare con me da anni.

«Non ho mai pensato che tu lo fossi, ma la faida tra i Baker e i Volkov non riguarda né te né El Diablo. Sei stata coinvolta perché eri nel posto sbagliato nel momento sbagliato.» Le abbassai la maglietta che era ancora arricciata sotto il seno. La vista dei lividi sul corpo della mia bambina mi obbligò a sputare un altro boccone di amara verità. «E anche perché Alan ce l'ha molto corto e deve compensare la sua frustrazione in altri modi.»

Le sfuggì una risatina, che si affrettò a inghiottire. Le rimase l'ombra di un sorriso sulla piega delle labbra. «Anche i segreti di mio padre non ti riguardano, ma sei venuto a frugare nella mia vita lo stesso. Dimmi che hai combinato con i russi e inizia a pareggiare il tuo povero kharma.»

Ebbi la tentazione di farlo, di parlarle solo per il bisogno di farlo, per la voglia di raccontare anziché confessare. Ebbi la tentazione di uscire dai miei panni più di quanto lo avessi già fatto con Lea, e dirle tutto per il semplice fatto che me lo aveva chiesto.

Ma fu solo un attimo, un lampo di debolezza soffocato sul nascere, prima di decidere che quella sua richiesta poteva diventare merce di scambio.

«Te lo dico in cambio di una risposta e una promessa.»

«Perché dovrei? Non sono così curiosa.»

«Ah no?»

La vidi pensarci un po'. «Quale risposta e quale promessa?» volle poi sapere.

«Promettimi che ti lascerai aiutare, Lea.»

«Sei troppo vago.»

«Prendere o lasciare.»

«Se lascio, cambierai i tuoi piani?»

«No. Ma sprecheremo entrambi un sacco di energie. Tu a fare capricci, io a sopportarli senza chiuderti in una gabbia dorata di cui conserverei l'unica chiave.»

Arricciò la bocca, pensierosa.

«E la risposta? Quale risposta ti serve?»

«Mi racconti di quello prima di me.»

«No.» Aveva sputato la sua risposta come veleno, talmente in fretta che non le era rimasto nemmeno il sapore della negazione sulla lingua. Ma le era rimasto il tormento negli occhi, e avrei preferito strapparglieli via piuttosto che vederli di nuovo così. Fece per alzarsi ma non glielo consentii.

«Non farlo» le dissi. «Non andare via da me prima del tempo.»

Si abbandonò di nuovo sul materasso, ma supina, negandomi il suo sguardo. Le dissi qualcosa che pensavo già da tempo. «Vivi già chiusa in una gabbia, Lea. La gabbia è di tuo padre. Ma ora hai tu la chiave, lui è morto e sei libera: la sua eredità può solo contaminare un'esistenza come la tua. Lo ha già fatto. Lo sta facendo ancora.»

Non si mosse, non parlò. Sperai mi stesse almeno ascoltando.

«Ma sei prigioniera anche di qualcun altro. Lasciati liberare.»

Tacque a lungo, ma attesi lo stesso, ben oltre il tempo che ritenni ragionevole. La mia pazienza fu premiata.

«Magari dopo una doccia.»

Sono sporca, Trevor. Più del solito.

Il ricordo di quella frase affiorò con violenza nel cervello e con la stessa violenza mi fece contorcere le viscere. Compresi il suo bisogno di lavare via il lavabile, per sentirsi pulita almeno in superficie.

«Va bene. Magari dopo una doccia.»

Tornò a sdraiarsi su un fianco al solo scopo di concedermi un sorriso. Avrei voluto dirle che non era sudiciume quello che lei avvertiva dentro e fuori: erano ombre e non appartenevano a lei.

SPAZIO AUTRICE

SORPRESA AHAHAHAH
No va beh, era necessario un doppio aggiornamento. Forse aveva senso farne un capitolo unico con il precedente ma veniva troppo lungo. Dividerlo in due però mi spezza un po' la narrazione.
Quindi ho fatto una via di mezzo: l'ho diviso in due ma li pubblico vicini.
Il prossimo però è lunghissimo, e non c'è proprio modo di dividerlo.
Lettrici e sognatrici, ci rivediamo qua la prossima settimana. SOTTO LA DOCCIA.
E questo è quanto
(Va beh solita roba...se avete voglia di fatmi dono di una stellina o commento e consigliare la storia ad altri sarebbe cosa grande per un'autrice piccola.)

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