Painful melody

By Sofiacuofano

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ATTENZIONE: SONO PRESENTI SCENE DI SESSO ESPLICITO E DI VIOLENZA!!! Lei è nata nell'agio della famiglia più p... More

PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
CAPITOLO 39
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
CAPITOLO 42
CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 45
CAPITOLO 46
CAPITOLI 47
CAPITOLO 48

CAPITOLO 16

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By Sofiacuofano


KEIRA

Dodici anni prima...

Non mi pentivo di ciò che avevo fatto ma non riuscivo ad ignorare il senso di ripudio che mi attanagliava lo stomaco, il ribrezzo al solo pensiero che avessi concesso di toccarmi ad un uomo che non meritava un briciolo di ciò che ero. Prima si mostrava tanto gentile e buono e poi puntava a colpire nei miei punti deboli senza alcuna dignità, mi faceva schifo, era esattamente come tutti gli uomini che respiravano al nostro mondo, eccezion fatta per qualche individuo. Voleva controllarmi, avere da me ciò che desiderava, scarrozzarmi dove più gli andava e fare il finto gentiluomo quando più gli conveniva, ma non aveva capito che io ero capace di distruggerlo, mi bastava uno schiocco di dita.

Sentivo i suoi occhi addosso come sanguisughe sulla pelle che mi prosciugavano ogni goccia di pazienza, aveva il brutto vizio di parlare troppo quel ragazzo e di pentirsene un istante dopo, peccato che negli istanti che gli occorrevano per capire di aver sbagliato, io lo avevo già rovinato.

Desideravo che si pentisse di avermi portata con sè in quel breve viaggio e sapevo bene come giocare le mie carte. Sapevo sempre come muovermi.

Lo scorrere gradualmente più lento del suo jet sulla pista di atterraggio cessò di esistere e finalmente ci fermammo. Fuori dal finestrino intravidi già un bel fiume di paparazzi tenuti distanti da delle guardie in nero dalla passerella che portava dalla scala dell'aereo ai due van corvino a qualche metro di distanza da quest'ultimo. Fotocamere e giornalisti, il mio pane quotidiano, era tutto tremendamente perfetto.

Se mi avessero visto con lui i media sarebbero esplosi, l'emergente Star pluripremiata e la figlia del re di Los Angeles, eravamo per la gente due mondi completamente differenti per il nostro passato, io cresciuta nell'agio, lui in una famiglia comune in Moldavia. Insieme eravamo diversi come il bianco e il nero.

Ed era proprio ciò che mi serviva. Il mondo doveva vedermi con lui, tutti dovevano impazzire così Mihai avrebbe avuto alle calcagna la pressione dei giornalisti, ma soprattutto dei miei genitori. Per loro qualunque uomo si avvicinasse a me che non fosse Cornelius era da eliminare, quindi in poco Mihai Kovacs sarebbe scomparso dalla mia vita.

Chi toccava la mia famiglia era da eliminare.

Mi sganciai la cintura e mi alzai sistemandomi meglio il pantaloncino leggermente troppo risalito, l'aria era alquanto tesa, un po' per lo scontro verbale di poco prima e un po' dedussi che provenisse dalla presenza dei giornalisti. I fratelli Kovacs sembravano particolarmente infastiditi dalla loro presenza. Alexei più del suo gemello, d'altro canto era il suo manager, era lui che si prendeva a carico queste cose.

<<Non passeremo di certo inosservati con quelli lì ad aspettarci.>> Volevano nascondersi o forse nascondermi, se i miei genitori avessero scoperto che ero con loro a San francisco avrebbero mandato i loro uomini a riprendermi in un batter d'occhio, in poche parole non c'era niente che non convenisse a me in quella situazione. <<E che importanza ha? Il concerto di stasera si limiterà allo stadio di San Francisco ma quello a New York sarà mandato in diretta visione su tutte le televisioni dello Stato, il mondo vedrà Keira in ogni caso quindi perchè temporeggiare?>> Stefany aveva ragione, era inutile che provassero anche solo a pensare un modo per svignarsela. Dal volto di mio fratello, corrucciato dalla concentrazione, dedussi che il piano fosse di dire ai miei che ero da tutt'altra parte solo con lui, non avevano pensato che portarmi con loro avrebbe scaldato nettamente di più gli animi. Mentre loro discutevano io rimanevo poggiata alla parete del jet guardandomi intorno, non ero l'unica però a tacere. Il biondino se ne stava seduto, con la cintura slacciata e i gomiti sulle ginocchia. Teneva il capo chino, quando però alzò lo sguardo distolsi il mio da lui. Non meritava neppure i miei occhi, nulla di me sarebbe mai potuto appartenere ad uno zotico simile.

<<Concordo, fottiamocene dei giornalisti.>> La sostenne Henry, avevano tutti opinioni contrastanti solitamente ma sembrava che in quel momento ci fosse solo Alexei in dubbio sul da farsi. <<La fate facile, ma sinceramente trovarmi le guardie dei Martin ad irrompere nel bel mezzo del concerto per riprendersi la loro principessa dopo tutta la fatica che ho fatto per organizzare il tour, è fuori discussione.>> Lui non mi voleva lì, aveva fatto parte del loro piano della notte prima per rapirmi, ma a quanto pareva non era del tutto contento che io ci fossi, non gli andavo a genio per qualche motivo, eppure all'inizio anche lui sembrava così accomodante e genuino. Era nel carattere dei Kovacs fingersi qualcun altro.

 <<Che vengano, non possono fare niente davanti a migliaia di persone presenti e milioni di gente a guardarci da casa, che figura ci farebbero se no?>> Mio fratello non si sbagliava, non aveva tutti i torti dopo tutto, i Martin agivano silenziosamente, una plateale entrata nel bel mezzo del concerto non sarebbe di certo stata nei loro piani, erano più astuti di quanto pensavano. Tutta quella tensione però iniziò a stancarmi, non fumavo da troppo e avevo bisogno di uscire da quello spazio striminzito.

E a quanto pareva non ero l'unica a necessitare di ciò.

D'un tratto una mano si strinse alla mia con una tenacia poderosa, Mihai si alzò di scatto spazientito e sembrò bastare per mettere a tacere i battibecchi degli altri presenti, il suo sguardo era serio, convinto, aveva qualcosa in mente e quasi quasi la sua sicurezza mi irritò tanto quanto la sua mano intorno alla mia. Tentai di sfilarla ma strinse più forte e abbassò gli occhi nei miei. <<Lasciami.>> Strattonai ancora ma non potevo niente contro di lui, quelle sue gemme blu alternavano lentamente dalle nostre mani ai miei occhi, non capivo cosa avesse in mente ma se c'entrava qualcosa che includeva me al suo fianco allora di certo non era un buon piano. <<Ho detto lasciami cazzo!>> Ma non mi ascoltava. Un sorriso prese ad increspare quelle labbra peccatrici e quella dentatura perfetta e brillante spuntò rivolta ai nostri amici, da serio passò a divertito, per lui era sempre tutto un gioco. <<Facciamo che si fa come dico io allora.>> Sentenziò convinto. <<Tutti lo scopriranno comunque no?>> Domandò retorico. <<Quindi perchè non dargli qualcosa di cui parlare davvero invece che supposizioni.>> Quelle parole mi confusero, i miei occhi cercarono i suoi insistentemente cercando risposte tra i suoi pensieri, ma in quei pozzi blu si celava un labirinto intricato che mi impediva di scoprire cosa stesse intendendo. <<Ho quasi paura di scoprire se stai pensando ciò che ho dedotto fratello.>> Alexei si massaggiò le tempie già arrivato al limite di fronte a quella situazione tesa e complicata, se non ci fossi stata io probabilmente in quel momento sarebbero già stati seduti nei loro van diretti agli Hotel che ci avrebbero ospitati per quel giorno. Invece in quel momento, eravamo ancora immersi, in una situazione di puro stallo. <<Se non diamo ai giornalisti sicurezze, si creerà soltanto ulteriore casino.>> Mihai se ne fregò del nervoso del gemello. <<Invece se ci vedono insieme, affiatati, appariremo sui giornali come la nuova coppia felice del momento.>> Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Non ci potevo credere. Voleva fingere che stessimo insieme, che una come me fosse innamorata di un uomo tanto becero come lui, era a dir poco scandalosa come cosa per me. <<Geniale, i Martin non possono permettersi di apparire come la pressante famiglia che distrugge un amore appena sbocciato, davanti alla novità non potranno che tacere.>> Lo sostenne la mia amica che sembrò più dalla loro parte che dalla mia, tutti mi volevano al fianco di quello scorbutico, io contrariamente a loro mi sentivo soffocare con lui al mio fianco, desideravo allontanarmi da quel ragazzo. <<No, no e no!>> Obbiettai riuscendo a togliere la mano dalla sua, non avrei sporcato in quel modo la mia reputazione, non me ne fregava niente della fama di Mihai di tutto il resto, quel ragazzo mi aveva ferita nel profondo e non avrei finto di essermi perdutamente innamorata di qualcuno che non volevo. Ero cresciuta in quel modo. <<Non reciterò la parte della damigella innamorata, ve lo potete scordare.>> Sentii uno sbuffo infastidito da parte di Alexei che non fece altro che tendermi i nervi come corde di violino, se non mi voleva lì potevano benissimo scendere da quel jet, rimanere a San Francisco e ordinare al loro conducente di riportarmi a Los Angeles.

 <<Non devi recitare per tutto il giorno, ti basta stringermi la mano in pubblico e tentare di sorridere, non rilasceremo alcuna esclusiva ai giornalisti, ci basta che stiano buoni per un po'.>> Fingere, anche lui mi stava chiedendo semplicemente di fingere, alla fine tra lui e i miei genitori la differenza era poca, ero nata dovendo fingere in ogni momento che tutto andasse bene e che la mia vita fosse perfetta. Perchè avrei dovuto interrompere in quel momento il corso della mia normalità no? <<Non trovo più un motivo per avermi qui a questo punto, vi sto solo rendendo le cose più difficili.>> Doveva recitare anche lui e da quando eravamo partiti non avevamo fatto altro che litigare, la mia presenza tra loro non creava altro che scompiglio e mi sentivo di troppo tra di loro, erano un gruppo assestante che si era già creato senza di me e io non volevo farne parte.

<<Esattamente, che senso ha che lei sia qui?>> Sostenne il mio parlato il suo gemello che sembrò pensarla come me su qualcosa, non mi voleva lì, era ormai chiaro a chiunque. Stefany gli mandò un'occhiataccia che lo portò a roteare gli occhi stufo, ma alla fine tra tutti era lui quello che aveva ragione in quel momento di tensione. <<Alex, calmati.>> Lo redarguì suo fratello, eravamo tutti nervosi ma lui sembrava l'unico a non riuscire a rimanere calmo, oltre a me, che sentivo la pazienza diminuire ad ogni respiro che facevo cercando di pensare lucidamente. <<Ad ogni modo ragazzi è tardi, tra meno di un'ora Mihai deve essere allo stadio per le prove e ancora dobbiamo raggiungere l'hotel per posare le valige, dobbiamo darci una mossa.>> Ci spronò Henry lanciando un'occhiata all'orologio che aveva al polso, l'ultimo regalo che gli aveva fatto nostro padre prima che si rifiutasse di entrare a far parte degli affari di famiglia.
Era arrivato il momento di fare una scelta anche se non avevo opzioni a cui appoggiarmi, dovevo fare come volevano senza contraddirli ed io ero stanca di litigare, avevo la possibilità di vivere qualche giorno lontana dai miei genitori, in mezzo a tutto quel casino dovevo almeno cercare di aggrapparmi ai lati positivi della cosa senza lamentarmi. 

<<D'accordo, si fa come dite voi.>> Sospirai afflitta sentendomi già stanca e appesantita da tutta quella situazione. <<Keira.>> Mihai colse il mio disappunto richiamandomi afflitto ma non avevo più voglia di litigare, per non parlare di quanto poco tempo avesse prima delle prove che lo attendevano quindi era arrivato il momento di darci una mossa. <<Muoviamoci.>> Ci avrebbero pensato i suoi uomini a scaricare tutto, noi avevamo un problema più importante a cui pensare, un problema che comprendeva decine e decine di persone. Giornalisti su giornalisti.

Presi così a camminare lungo il corridoio dell'aereo per raggiungere lo sportellone d'uscita che l'hostess si era già premurata di aprire, mi sorrise augurandomi una buona giornata e mi sentii pessima nel non porre attenzione a quelle parole, ma avevo la testa da un'altra parte. Non sarei riuscita ad essere accomodante e gentile come lei, anche se non mi aveva fatto nulla.

Il sole caldo di quella giornata immerso nell'azzurro intenso di quel cielo candido illuminavò i miei occhi quando misi il primo piede fuori da quel jet imponente, sogliai gli occhi per abituare lo sguardo alla potente luce del sole. Una giornata così meravigliosa fu tanto in contrasto con il mio umore.

Scendere la lunga gradinata di scale che conduceva a terra non mi fu difficile, ero abituata a muovermi su quei trampoli, soprattutto a scendere le scale in gran stile davanti a centinaia di telecamere, alla fine ero cresciuta imparando come prima cosa a sfilare invece che camminare.

Ma al terzo gradino sentii di nuovo il suo calore addosso.

La stretta di poco prima intorno alla mia mano tramutò in una presa dolce, gentile, quasi a volermi sussurrare che lui era lì con me, che in quella situazione c'eravamo dentro in due. Mi bastò alzare lo sguardo per vedere nei suoi occhi i sensi di colpa, il rammarico che bruciava in quell'oceano blu.

Ero ferita ma persino la mia rabbia di fronte alla sincerità che leggevo nei suoi occhi per un secondo traballò.

Un istante quasi insignificante, ma che mi mozzò il respiro.

Le mie dita istintivamente si intrecciarono alle sue e, mano nella mano, finimmo di scendere gli ultimi gradini con una sicurezza che mi si aggrappò al petto senza farmene rendere conto, la sua presenza faceva male e bene alcun tempo. E lo odiavo, odiavo come mi facesse sentire.

<<Keira Martin? E' lei?>> Le guardie del corpo del ragazzo al mio fianco allontanarono dalla passerella che conduceva ai van le decine di persone affollate intorno a noi, a caccia di una foto, uno scoop da pubblicare sui propri giornali. Ed io sorrisi. Sorrisi sentendo come non mai quanto quel sorriso pesasse di bugie.

<<Kovacs come mai ha portato con sè la signorina Martin in tour?>> I giornalisti giravano da ogni direzione. <<E' la sua nuova fiamma?>> Intorno a noi una pioggia incessante di domande ci soffocava. <<Signorina Martin ci sta dicendo che il fidanzamento con Cornelius Wilson è concluso?>> Sentirli mi opprimeva i pensieri. Una delle guardie, vestite di tutto punto in nero ci aprì la portiera del van e Mihai mi aiutò a salirvi, per poi farlo subito dopo di me dando subito dopo l'ordine di richiuderla. Alexei, Stefany e Henry dedussi che sarebbero saliti sull'altro van. Voleva che rimanessimo soli o forse che ci sbrigassimo.

I vetri oscurati di quella vettura ci nascosero dalle telecamere e dai flash che ci erano piovuti addosso in quei pochi passi sotto il sole, avvolgendoci in un silenzio a dir poco soffocante. Ma che mi piacque.

Non avevo cosa dirgli, in quel momento avevo bisogno di quiete intorno a me per riuscire a ripristinarla anche tra i miei pensieri.

Il van si mosse ed io poggiai il gomito alla portiera con lo sguardo rivolto all'esterno , sullo sfondo nuovo che mi scombussolò, non essere a Los Angeles, non riconoscere dove fossi, essere in un posto tanto sconosciuto mi fece sentire fuori posto. <<Kei.>> La sua voce mi richiamava, se ne stava seduto di fronte a me alla distanza di forse mezzo metro, le nostre ginocchia ad ogni minimo movimento si sfioravano ma io non avevo voglia di discutere, tanto meno di guardarlo. Quella giornata era iniziata nel peggiore dei modi.

<<Guardami Kei.>> Sentì che si mosse e poi la sua mano grande e calda posarsi sul mio ginocchio nudo, il suo tocco mi accendeva, come una fiamma a contatto con lo stoppino della candela, gli bastava che mi sfiorasse per accarezzarmi di brividi. <<Tutto questo è sbagliato.>> Parlai, con lo sguardo distratto altrove e la mente lontana, forse parlai più a me stessa che con lui ma alla fine non vi era altro modo per definire quella situazione. Ci tenevo a Cornelius e a non deludere la mia famiglia, ma ero certa che ormai avessi già fatto entrambe le cose. <<Cosa è sbagliato?>> Il suo tono si fece quasi irritato. <<Che in fondo questo viaggio è l'occasione che volevi per un minimo di libertà? Che ti sei lasciata toccare da me? Che ti è piaciuto?>> Elencò con rabbia corrodendo ogni briciolo della mia pazienza. <<Cosa è sbagliato Keira?>> Tuonò incollerito e forse ferito dalla mia indifferenza ma con le persone che conoscevo non ero capace di mentire, o ero brutalmente sincera o brutale sarebbero state le ripercussioni sulla mia coscienza.

<<Tutto!>> Ribattei furente dandogli ciò che voleva, i miei occhi. Lo guardai, portai lo sguardo su di lui incontrando quei pozzi blu che mi guardavano cercando di farmi capire qualcosa che non avevo voglia di intendere, ero stanca dei suoi giochetti. <<Tra me e te non può esserci niente.>> Fui chiara e non me ne pentii perchè era così, eravamo troppo diversi per poter provare a far nascere qualcosa e in ogni caso a rimanere scottato sarebbe stato lui. Lo sapevo già.

Volevo un bene dell'anima alla mia famiglia, forse aveva avuto ragione sul jet per quanto crudele fosse stata la sua azzardata esclamazione, ai miei genitori di me non gliene importava niente ma io li amavo lo stesso e avrei fatto di tutto pur di metterli al primo posto. Ancora speravo di vedere in loro un briciolo di amore e sapevo che prima o poi sarebbe accaduto. Erano loro a scegliere il corso della mia vita, loro avevano già scelto con chi sarei dovuta stare e lui non era tra i programmi, quindi in ogni caso non saremmo durati.

<<Perchè?>> Non dermodè, anzi si ribellò con ferocia.

<<Perchè non sei ciò che mi renderà felice.>> Sapevo già cosa mi serviva per essere felice, tutto era già stato programmato e lui non rientrava nei piani, quindi non mi serviva, lui non mi avrebbe potuto regalare il futuro a cui ambivo, lo sapevo già. Eppure anche in quell'istante non riuscì a capirmi.

Da quelle labbra sfumò una risata amara che lo portò a scuotere il capo quasi inorridito, non capiva che non c'era strada per noi due in un futuro prossimo. <<Sei una codarda.>> Sputò tale accusa con sicurezza aizzando la mia collera, non mi conosceva, eppure avvalendosi del diritto di giudicarmi senza neppure sapere di me qualcosa parlava.

<<Non ti azzardare Mihai.>> Ringhiai furente sentendo il corpo fremere di collera, non doveva azzardarsi a parlare di me in quel modo tirando conclusioni insensate.

<<Hai solo paura.>> Continuò invece. <<Ti hanno abituata a vivere una vita già organizzata, così quando ti ritrovi davanti qualcosa di nuovo scappi.>> Sentenziò convinto come se conoscesse tutto della mia vita, come se sapesse ogni dettaglio di me quando a malapena conosceva come fossi fatta. E non lo sopportavo. Io non avevo paura di niente. 

<<Tu non sai niente di me, io non ho paura.>> Ma portarlo a cambiare idea era un'impresa impossibile, credeva così tanto in ciò che stava dicendo da irritarmi ancor di più, parlava a spiovere. 

<<So abbastanza da sapere che è così invece.>> Affermò. <<Ti ho toccata, hai provato il tuo primo orgasmo tra le mie braccia ma quando ho tentato di baciarti ti sei voltata.>> Più parlava più mi innervosiva, ma quando feci per ribattere mi accorsi che dalla mia bocca non riuscivano ad uscire parole, perchè era così che erano andate le cose, per una volta non potevo ribattere. <<Sapevi che se mi avessi baciato sarebbe diventato tutto vero, che la voglia che provi di me è reale.>> Per una volta aveva ragione e mi resi conto che forse non si sbagliava, io avevo paura di uscire fuori dalla strada che mi avevano indicato i miei genitori, ero così convinta che sarebbe stato lui alla fine quello che avrebbe sofferto tra i due, che non mi rendevo conto di aver i stessa paura di essere invece la vittima di ciò. 

<<Perchè ti accanisci così tanto su questa cosa Mihai? Io porto solo complicazioni.>> Sbraitai stanca, distrutta da tutta quella situazione. Ne avevamo già avuto la prova. Se c'era una cosa su cui non avrei cambiato idea era che in ogni caso tra di noi non sarebbe andata a finire bene, non avevamo futuro ma a lui non sembrava entrare in testa il concetto.

<<Doamne.>> Sbuffò furente nella sua lingua tacendo per qualche secondo, si passò le mani tra quei capelli di un biondo luminoso con frustrazione, stanco quanto me di dover continuare a discutere.

<<Non sono come i ragazzi a cui sei abituata Keira.>> Puntualizzò ancora, come se non me ne fossi accorta già da sola che quel ragazzo che se ne stava seduto di fronte a me, dall'aria libera e priva di regole fosse completamente l'opposto delle persone con cui ero abituata a rapportarmi. <<Non sono un tipo orgoglioso, ti dico ciò che penso e agisco di conseguenza.>> Si sporse in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia, mi sarebbe bastato fare la stessa cosa per sentirlo a pochi centimetri da me, ma rimasi composta per mantenere quella poca distanza di cui potevo godere. La sicurezza che lessi in quegli occhi però mi intrigò, per un secondo misi da parte tutta la mia rabbia per provare a capirlo, non mi andava di litigare soprattutto perchè ormai avremmo dovuto convivere per qualche giorno.

<<Mi piaci e l'unico modo che avevo per poterti conoscere era strapparti dalla tua quotidianità.>> Ammise senza troppi giri di parole e senza farsi troppi problemi, riuscendo per la prima volta a farmi tacere. Rimasi attonita percependo un calore propagarsi nel petto, gli piacevo e non aveva paura di ammetterlo, se ne fregava di qualunque mia possibile reazione. diceva semplicemente ciò che pensava.

<<Quindi se ti stai chiedendo perchè sei qui la risposta è alquanto ovvia.>> E contrariamente a poco prima quei centimetri che ci dividevano mi sembrarono un abisso, allora mi avvicinai curiosa come una bambina ma accesa da una fiamma impura. 

<<E sarebbe?>> Lo sfidai sfrontata vedendo come in quel blu oceano si specchiasse la stessa lucentezza che brillava nelle mie, una fiamma aizzata dalla malizia e da una tensione paradossalmente piacevole e differente da quella di qualche istante addietro.

<<Sei qui perchè io ti voglio qui reginetta.>> Mi posò due dita sotto al mento per avvicinare il mio viso al suo, quei due zaffiri mi ammiravano desiderosi, ero certa che in quella mente si stesse tornando a far vivo il buongiorno di cui entrambi avevamo goduto quella stessa mattina e lo sapevo perchè fu così anche per me. Il suo tocco prese ad incendiarmi i pensieri.

<<Stai andando incontro a qualcosa di pericolo con me Kovacs.>> Sussurrai suadente scostando da quel viso dai tratti taglienti una goccia dorata che gli pendeva sulla fronte. Un sogghignò roco e profondo gli vibrò sulle labbra e non solo, lo percepii lungo la schiena e lo sentii scendere fino ad arrivare tra le gambe come un pizzico dannatamente piacevole.

<<Oh, ne sono certo, peccato però che io non sappia tirarmi indietro.>>

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Oggi...

Obblighi, doveri, impegni. La mia vita era come una medaglia, brillava dorata alla luce ma aveva due facce, una meravigliosa e una che a difficoltà riuscivo a guardare, la portavo al collo come un trofeo ma pesava, ad ogni passo ne sentivo il carico.

Tutto ciò che possedevo non me lo ero guadagnata da sola, mi era stato regalato e non me ne vergognavo, in questo mondo c'era chi nasceva fortunato e chi no, per questa seconda categoria però c'erano altre due vie che seguivano. Chi si creava la propria fortuna da sè e chi si arrendeva alla scelta che il destino gli aveva imposto. Probabilmente entrambe le tipologie di persone che sceglievano una delle due strade, in ogni caso provava un senso di odio nei confronti della gente come me che, senza versare neppure una goccia di sudore, si ritrovava circondata dei migliori legali della vita. Fermandosi così all'apparenza.

Tutti mi vedevano come la principessina perfetta a cui non mancava nulla e in parte era così, avevo un marito, tanti amici, ricchezze a volontà, un castello in cui vivere e tutto ciò che desideravo arrivava ad un mio solo schiocco di dita. Tutti della mia vita riuscivano a vedere solo il lato meraviglioso di quella dannata medaglia, io però conoscevo ciò che si celava dietro all'altra faccia.

La mia famiglia cadeva a pezzi, mio padre non sapevo dove fosse, mia madre mi odiava perchè mi ostinavo a seguire una passione lavorativa che andava completamente contro ad ogni suo interesse, mio fratello non c'era più e l'unica persona su cui potevo contare era mio nonno. L'ultimo pezzetto di cuore che mi era rimasto in petto.

Dentro ero vuota, uno splendido e attraente vaso di pandora che al suo interno non conteneva nulla, se non ragnatele di dolori e granelli della cenere di ricordi mandati in fumo, tutti vedevano di me solo l'esterno, mentre io quando mi vedevo allo specchio vedevo soltanto una nullità.

Ma non mostrarlo, nascondere tutto, recitare la mia parte, erano cose che ormai mi risultavano naturali.

Io comandavo me stessa e chiunque mi circondasse, io ero padrona nel giudizio altrui e sempre e solo io decidevo cosa di me dovessero vedere le persone.

Ero perfetta, invidiata e temuta.

Possedevo il potere ed era estremamente soddisfacente.

Ero la regina di un mondo che mi odiava e saperlo mi rendeva mortalmente viva.

Non me ne fregava nulla del giudizio altrui, io parlavo dicendo al mondo tutto ciò che di più sincero pensavo perchè semplicemente potevo, non avevo più nulla da perdere e anche se sbagliavo i miei errori ricadevano su altri. Per quanto crudele ed egoista fosse come pensieri, di pochi nella mia mi importava seriamente. Quelle poche persone che mi regalavano qualcosa di vero. I miei alunni, la mia migliore amica, mio marito e mio nonno. Gli altri contavano poco se non nulla.

Ma in quanto personaggio pubblico ero obbligata a fare abitudinariamente delle interviste, rilasciare notizie e farmi guardare dal mondo, nulla che non potessi reggere.

La settimana che sarebbe iniziata dopo quella Domenica sarebbe stata ricca di impegni, oltre alla scuola si sarebbero aggiunte le lezioni private a mio nipote durante il pomeriggio, ma non mi pesava per niente aiutarlo, amavo quel bambino. L'unica crepa che vi era ancora nella lastra gelida della mia indifferenza totale.

Quel giorno invece ero costretta a dover presenziare ad un'intervista per il programma televisivo più famoso della città, celebrità di ogni genere venivano chiamate per quella che vedevano come una chiacchierata amichevole, che alla fine di amichevole non aveva niente. Dietro alle telecamere che ti riprendevano mandandoti in diretta visione su tutte le tv e in diretto ascolto su tutte le radio dello Stato, vi erano giornalisti che non attendevano altro di vederti crollare pubblicamente con le loro domande infide. La conduttrice d'altro canto non voleva altro, mettere in difficoltà una celebrità portava solo più audience e notizie nuove di cui parlare.

E io adoravo illuderli di potermi mettere in difficoltà o in imbarazzo di fronte a tutti, vincerli era una soddisfazione alquanto appagante.

<<Tra dieci minuti siamo in diretta visione signori.>> Ci avvisarono dalla regia. Una ragazza poco più giovane di me nel frattempo si occupava di sistemare gli ultimi dettagli del mio trucco, la gente in quello studio televisivo correva a destra e a manca per controllare ogni cosa e accertarsi che tutto funzionasse alla perfezione. Microfoni, telecamere, abiti, trucchi, tutto doveva apparire impeccabile e funzionare allo stesso modo. I giornalisti nel mentre si accomodavano dietro alle telecamere su file di sedie con le loro cartellette piene di domande tra le mani, ai miei occhi erano come tanti cani rabbiosi pronti ad azzannarmi e il tutto rendeva ancora più eccitante la cosa. Mi divertivano.

Li osservavo con una sigaretta tra le labbra seduta su una sedia comodissima di un bianco freddo, con quella povera ragazzina di fronte a me che tentava di truccarmi facendo finta che il fumo non le desse fastidio, altri due ragazzi mi acconciavano i capelli che mi ricadevano boccolosi lungo le spalle nude.

Mi piaceva quando la gente si prendeva cura di me, adoravo le attenzioni, soprattutto venir truccata e sistemata senza che io dovessi dire o fare niente, amavo venir servita e riverita.

<<Signorina Martin le sta squillando il telefono.>> Una ragazza mi portò quasi di corsa il cellulare per porgermelo e quando lo presi un sorriso tranquillo mi increspò le labbra, era Stefany, tra tutti gli impegni che avevamo in quel periodo sentirci era diventato più difficile. Ma almeno la Domenica, sia lei che Alex erano liberi quindi riusciva ad avere un po' di tempo libero. <<Pronto?>> Risposi togliendomi la sigaretta dalla bocca per far cadere la cenere creatasi sulla punta nel posacenere sul tavolino lì a fianco.

<<Kei tutta questa pubblicità inizia a stancarmi, quando inizia la tua intervista?>> Ridacchiai sentendo come si innervosiva nel dover aspettare, non si perdevano mai neppure una delle mie apparizioni in tv, Jacob costringeva persino suo padre a sedersi con loro sul divano per guardare la sua zia in televisione e per me era meraviglioso sapere che mio nipote mi vedesse. <<A momenti tesoro, Jack già salta impaziente?>> Quel bambino era la mia più grande gioia, se non una delle poche che possedevo, un orgoglio per la mente e una carezza calda per il cuore. <<Magari saltasse solo, gli abbiamo preparato i pop-corn per farlo star buono ma continua a domandare quando vedrà la zia, se non vi date una mossa Alex sbatterà la testa contro il muro.>>

Li stava tirando allo sfinimento, quel bimbo era degno nipote di sua zia, con me al suo fianco quel bambino sarebbe cresciuto forte e scaltro. <<Chiedi scusa a mio cognato da parte mia.>> Sogghignai facendo l'ennesimo tiro dalla sigaretta, il rossetto porpora che la mia truccatrice mi aveva accuratamente messo sulle labbra ne sporcava il filtro e lei costantemente era obbligata a mettermene un'altra passata, ma per quanto potesse dispiacermi vederla dannare non avrei rinunciato alla mia sigaretta pre-intervista.

<<A parte gli scherzi, come va da quelle parti?>> Non la vedevo da un paio di giorni, per il lavoro lei e Alexei facevano a turno per portare e venire a prendere Jacob a scuola, quindi a volte vedevo lui e a volte vedevo lei mentre altre arrivavano insieme. <<Molto meglio, Jacob non vede l'ora di iniziare le lezioni pomeridiane, il mio lavoro va a gonfie vele, Alex riesce ad essere un po' più presente ultimamente e Mihai...>> Temporeggiò, non sapeva ancora, né lei né suo marito, come trattare l'argomento per quanto riguardava me o lui, ma a me non faceva ne caldo ne freddo. <<Beh lui sembra più tranquillo, il lavoro lo scarica e quando è a casa è più calmo, adesso è in camera sua.>> Avevo avuto modo di vedere in cosa era impegnato ultimamente, una fabbrica di legnami, mi sarei aspettata un ritorno in grande stile alla Mihai Kovacs, la grande stella della musica, ma a quanto pareva dopo il carcere non voleva più saperne niente. Aveva abbandonato la fama, anche se la fama non aveva abbandonato lui, tutti lo cercavano. <<Sono felice che stiate bene.>> Se mio nipote e la sua famiglia stavano bene allora stavo bene anch'io, lui, la mia amica e suo marito erano tra le poche persone per la quale avrei fatto di tutto. <<Mamma, stai parlando con zia?>> Sentii in sottofondo poco distante da lei e bastarono quelle poche parole per far apparire un sorriso brillante sul mio viso, la voce genuina di quel bimbo era la mia sinfonia preferita. <<Sì, è lei piccolo, ha detto che tra poco inizia l'intervista.>> Lo sentii gridare felice strappandomi una risata felice, sapere che lui mi avrebbe guardata rendeva tutto più semplice, era il mio piccolo portafortuna. <<Passamelo Stef.>> Sentirlo mi tranquillizzava e anche se non ne avevo bisogno visto che ormai apparire in televisione per me era una passeggiata quotidiana, adoravo parlargli. <<Perfetto almeno lo tieni occupato fino a quando non inizia tutto, Jack la zia ti vuole parlare!>> Squittì al settimo cielo felice di essere riuscita a trovare un modo per placare la voglia del figlio, quel bambino era un peperino, di un energia infinita, completamente instancabile fino a quando poi arrivata sera crollava nel sonno senza neppure accorgersene. <<Ciao zia Keira!>> Gridò entusiasta rischiando quasi di perforarmi il timpano. <<Ciao amore, come te la passi?>> Dal microfono si udiva il suo masticare frenetico, probabilmente avrebbe finito quei pop-corn ancora prima dell'inizio del programma, ne andava ghiotto. <<Bene! Ho già fatto tutti i compiti per domani, mi ha aiutato papà.>> Si impegnava molto e studiava con ancor più passione, ma faceva molta fatica a leggere o a ragionare ed era per questo che lo avrei aiutato, non avrei mai tralasciato le sue insicurezze anzi, avrei fatto di tutto in modo tale che trasformasse delle difficoltà in gradini da salire, superare senza alcuna fatica. <<Sei il migliore tesoro, ora però riposati un po', sarai stanco.>> Non davo mai troppi compiti ai miei alunni ma con il fatto che ci metteva di più a capire le cose, si sforzava il doppio degli altri bambini, era stressante, lo vedevo in classe quanto si impegnava per leggere bene o per risolvere qualche problema di matematica più alla svelta per far vedere la sua bravura a tutti. Ma doveva capire che non importava quanto ci mettesse, quanto tempo gli occorresse per capire le cose, l'importante era che ci riuscisse. <<Io non sono mai stanco, sono carico, il più carico.>> In quel preciso istante me lo immaginai a saltellare a dimostrazione della sua infinita energia, spesso mi sarebbe piaciuto tornare a quell'età, quegli anni di pura energia ma ripensandoci io non avevo mai potuto godere quegli anni, di quella spensieratezza infantile che avevano i bambini di oggi. <<Lo so piccolo.>> Vederlo però mi restituiva la gioia di cui io non avevo potuto godere e mi bastava, vederlo crescere era un regalo inestimabile per me.

<<Un minuto all'inizio, tutti ai propri posti signori.>> Annunciarono dalla regia. La truccatrice e gli altri membro dello staff mi abbandonarono per rimettere tutto apposto, l'intervista stava per cominciare e tutto era pronto per una nuova puntata del programma di gossip più conosciuto della città. <<Ora però ti devo lasciare tesoro, l'intervista sta per cominciare.>> Vidi la conduttrice prendere posto dietro alla sua postazione sedendosi alla sua scrivania proprio accanto al divanetto su cui mi sarei dovuta sedere io da lì a poco, spensi così la sigaretta pronta all'inizio dei giochi. <<Finalmente! Siamo tutti qui a guardarti, ti voglio tanto bene zia.>> Percepii il cuore scaldarsi di quel sentimento che era capace di riaccedere in me con poco, lui era quella fiammella che infuocava il mio cuore avvolgendomi di un calore di cui ero dipendente, lui era la mia la mia più grande dipendenza. <<Anch'io amore, non sai quanto.>> E sotto la sua risatina consapevole chiusi la chiamata sapendo che mi avrebbe guardata, per tutto il tempo quei suoi occhioni mi avrebbero osservata senza un istante di tregua. Ed io gli ero grata di esistere, di far parte della mia vita.

<<Dieci secondi e siamo in onda.>> Partì il conto alla rovescia, tutti si posizionarono ai propri posti, i cameran dietro alle telecamere, i giornalisti con le domande pronte e la conduttrice sistemava qualche foglio sulla sua scrivania. Il microfono attaccato alla mia guancia le prime volte durante le prime interviste non l'avevo mai sopportato, ma alla fine ci si faceva l'abitudine, quasi non lo sentivo neppure addosso.

Attraversai lo studio e mi misi a sedere sul divanetto in pelle di quel bianco elegante, mi misi composta, proprio come mia madre mi aveva insegnato a fare, seduta con la schiena dritta ma accavallai le gambe con menefreghismo. Non aveva mai sopportato che lo facessi, una donna posata e elegante avvicinava ginocchia e caviglie piegando leggermente di lato le gambe per apparire composta, lo sapevo bene, ma non me ne importava. Ero cresciuta come una principessa, ma non lo ero.

Non indossavo abiti raffinati e non avevo di certo modi eleganti, in quel preciso istante per esempio indossavo una minigonna rossa, dei tacchi neri e un blazer del medesimo colore da cui si intravideva il reggiseno in pizzo che indossavo sotto. Io mi vestivo come volevo, indossando di tutto senza mai apparire volgare. <<Tre, due...>> Il regista mimò l'uno con le dita prima di fare cenno a tutti che finalmente eravamo veramente in onda, le telecamere si puntarono tutte sulla conduttrice che con un sorriso a trentadue denti si tirò dritta pronta a dare inizio a tutto.

<<Benvenuti e bentornati in questa nuova puntata di Gossip News signore e signori, qui è Callie Hamilton che vi parla e come ogni Domenica sono qui per tenervi compagnia e strapparvi un caloroso sorriso, con novità ed esclusive inaspettate.>> La intro di inizio era sempre la stessa, Jacob ormai l'aveva imparata a memoria tante erano state le volte che avevamo passato davanti alla televisione per chiacchierare e farci gli affari degli altri, alla fine io e sua madre amavamo i gossip, ogni donna adorava chiacchierare e poi, era sempre un onore poter rispondere alle domande di mio nipote riguardanti le varie celebrità che invitavano ad andare in quel programma e che io avevo già avuto la fortuna di conoscere in passato dal vivo.

<<Quest'oggi qui con noi abbiamo la fortuna di ospitare un'icona importantissima per tutti i cittadini di Los Angeles.>> Ovviamente i finti complimenti non tardarono ad arrivare. <<Volto protagonista di famose riviste di moda, innumerevoli premi vinti per la propria bellezza, figlia del re della nostra città e talentuosa studentessa laureata alla scuola più importante dello stato.>> Quasi mi annoiava sentirmi ripetere sempre le stesse cose ad ogni intervista, non avevano mai un minimo di fantasia, tutti mi adulavano alla stessa maniera, era a dir poco snervante. Ma i complimenti non si rifiutavano mai in ogni caso.

<<E' qui con noi oggi Keira Martin, un applauso!>> L'inquadratura delle telecamere si allargò e insieme a Callie apparvi anch'io sui grandi schermi di tutta la città, dietro alle telecamere si innalzò un'ondata di applausi scaturita dai giornalisti che si alzarono in piedi per applaudirmi e io sorrisi. Sorrisi com'era abituata a fare ringraziando tutto, come se non fossi stata consapevole che nessuno di loro probabilmente stava applaudendo veramente di cuore. Finti e penosi, non se ne salvava uno. L'invidia era proprio una brutta bestia. <<Sei meravigliosa questa mattina Keira, ma come sempre alla fine no?>> Ridacchiai al complimento che seguì ancora da parte della donna al mio fianco a cui diedi una possibilità, sapevo che stesse fingendo tanto quanto me e tutti i restanti presenti ma perchè non essere gentile ogni tanto, pensai. Non mi costava nulla. <<Mai quanto te Callie, è un onore poter essere qui per me oggi.>> La solita tiritera amorevole mi sfumò sulle labbra tirate in un sorriso splendente, che se ne dicesse tutti dicevano sempre le stesse cose alle interviste per fare bella figura, era alquanto scontato ormai. <<Sei sempre la benvenuta qui, lo sai.>> Io ero ben voluta ovunque, non solo lì, il popolo di Los Angeles si divideva in un'alta percentuale di gente che mi amava e una minima percentuale che non mi sopportava, ma funzionavano sempre così le cose.

Tutto aveva due facce, come una medaglia. <<Ma, anche se la vedo dura che qualcuno non ti conosca, perchè non fare una breve presentazione per farti conoscere meglio dalle persone a casa.>> Chi non mi conosceva non conosceva i Martin e si poteva ritenere in un bel guaio, mio padre controllava gran parte della città e anche di altre all'estero, non conoscere i Martin era quasi impossibile. <<Perchè no?>> Parlare di me mi riusciva particolarmente bene. <<Che dire, ho vent'otto anni, sono felicemente sposata da ormai dieci anni con l'uomo della mia vita, Cornelius Wilson che ci sta guardando da casa.>> Mandai un bacio verso le telecamere immaginando che gli arrivasse, per via degli impegni assistere ad ogni mia uscita pubblica gli risultava difficile, ma sapevo che si sarebbe visto le repliche. <<Nella vita faccio la modella e l'insegnante in una scuola elementare.>> Le due cose non combaciavano per niente, essere il volto di riviste internazionali, apparire in costume o in intimo sui cartelloni pubblicitari enormi in mezzo alla città o sui giornali, tutto questo probabilmente mi faceva apparire meno seria e credibile davanti agli occhi dei genitori dei miei alunni, ma nessuno fino a quel momento si era mai lamentato. <<Oh, come sempre la tua vita mi incuriosisce molto Kei, se fossi al posto tuo non saprei come gestire tutto ciò che fai, è ammirevole e mi insinua parecchie domande nella testa.>> Ero lì apposta, per dare alla gente dettagli della mia vita che ritenevano privati mentre neppure potevano immaginare cosa si celasse nel mio privato reale, il totale opposto. <<Chiedi pure, sono qui per questo.>> Fui accomodante, ero rilassata e tranquilla come ogni intervista a cui mi avevano sottoposta, i risvolti negativi ancora dovevano arrivare ma si sarebbero presentati, ne ero certa. <<Allora dimmi, com'è doversi giostrare tra fare l'insegnante e i numerosi impegni inclusi nell'essere figlia del grande Christian Martin.>> Il nome di mio padre si faceva vivo spesso in quelle interviste, contrariamente alla frequenza scarsa che aveva lui stesso di presentarsi a casa fin da quando ero piccola, paradossalmente lo vedevano di più gli estranei che la sua famiglia. <<Difficile.>> Non mentii perchè era così. <<Non nascondo che non è stata una passeggiata per me come si può pensare, all'inizio mi vedevano come una ragazzina viziata che come passatempo si era cimentata in qualcosa di nuovo come l'insegnamento, ma poi la gente ha imparato a fidarsi e a distinguere la me "insegnante" e la me "personaggio pubblico".>> Due persone totalmente differenti, distinte e separate, era come se la mattina dopo essermi alzata indossassi una maschera differente a seconda dei miei impegni giornalieri, ma era proprio così la mia vita. <<In pratica vivi più vite in una, i tuoi alunni ti hanno mai fatto pesare la tua fama?>> Parlare con lei si rivelò quasi rilassante, mi piaceva molto parlare del mio lavoro anche se mia madre la vedeva come una macchia sudicia sulla fedina penale della ricca famiglia dei Martin. <<Inizialmente pensavo che mi avrebbero riempita di domande, sai la curiosità dei bimbi è sempre viva sulle novità, invece mi hanno accolta come una persona normale come è giusto che sia, per loro sono semplicemente la maestra Keira, niente di più e adoro questa cosa.>> Loro mi regalavano quelle ore di normalità che mi facevano sentire una persona ordinaria, priva di carichi asfissianti da parte della propria famiglia, ogni volta che mettevo piede in casse era come se sentissi un peso angosciante sparire dalle spalle. <<E' bellissimo vedere come una donna del tuo calibro sappia dare così tanto amore, sono sicura che tutti i tuoi alunni ti adorano alla follia.>> Sorrisi ringraziandola di quelle parole. Era ciò che mi dimostravano ogni giorno e io ricambiavo il sentimento a pieno, adoravo quelle piccole pesti che coloravano di mille colori le mie giornate come un arcobaleno.

<<Ma non sono l'unica ad avere delle curiosità e delle domande da porti quest'oggi Kei.>> Ecco che la quiete si interruppe, da quel momento in poi iniziava la parte che più mi divertiva, domare le fiamme di quell'inferno di paparazzi e giornalisti. <<Qui con noi sono presenti diversi giornalisti di riviste importanti della città che non aspettano altro se non di ricevere tue risposte.>> Si alzò dalla sua sedia e girò intorno alla sua scrivania per camminare verso le molteplici file di giornalisti che vennero inquadrati da una delle decine di telecamere che ci circondavano. <<Ti senti pronta a rispondere a qualche domanda?>> Io ero nata pronta, nulla in questo mondo riusciva a spaventarmi, figuriamoci dei giornalisti insignificanti che credevano sul serio di farmi sfigurare davanti alle telecamere. Forse la gente non mi conosceva davvero bene come si pensava. <<Più che pronta Callie, adoro questo genere di cose.>> Accavallai meglio le gambe e poggiai un gomito all'appoggia braccio del divanetto, nutrivo una curiosità immensa nei confronti di quello che mi aspettava, speravo vivamente che le domande che mi avrebbero posto non fossero sempre le stesse, che almeno loro avessero un minimo di fantasia. <<Allora partiamo con la prima domanda.>> La conduttrice si voltò verso le innumerevoli mani alzate e scelse un'uomo che si alzò con la sua cartelletta di domande, pronto a pormi il primo di una lunga serie di quesiti che mi attendevano da lì a poco.

<<Signorina Martin.>> Mi salutò formale. <<Sono Harry Cleveland, parlo a nome della rivista "Grey Magazine".>> Si presentò con professionalità, conoscevo quel giornale come non mi erano nuove neppure le altre riviste per la quale si erano presentati i suoi colleghi. <<Abbiamo lasciato che fosse la gente a proporci delle domande per lei e la più gettonata è stata una.>> Lanciò un'occhiata ai suoi fogli come se non ne conoscesse già ogni parola. 

<<Come mai una ragazza a soli diciotto anni ha scelto di contrarre matrimonio? Negli ultimi tempi è più facile che ci si sposi a venticinque o trent'anni se non più in là, ma lei si è sposata in gran stile con suo marito quando era ancora un'adolescente.>> La risposta era alquanto ovvia, nella mia posizione si avevano degli obblighi familiari importanti che ti imponevano delle clausole, obblighi che mi avevano imposto le prime regole già fin da piccola ma che dopo un po' avevo accettato senza troppe lamentele inutili.

 <<Io e Cornelius ci siamo incontrati al liceo, ci conosciamo fin da quando eravamo ragazzini, tra di noi è nato tutto per caso.>> Incomincia a mentire. <<Ci siamo innamorati tra i banchi di scuola, lui è più grande di me ed io lo vedevo un po' come il ragazzo popolare della scuola nonchè protagonista della prima cotta adolescenziale.>> Quella non fu una bugie vera e propria, lui era un bell'uomo e lo era stato anche al liceo, stare con lui era sempre stato facile proprio come prendermi la mia prima cotta per lui. <<Le nostre famiglie accettarono ben volentieri la nostra relazione così decidemmo di sposarci, nulla di più.>> L'uomo mi ringrazio con un cenno del capo e tornò a sedersi senza fiatare nuovamente, così Callie chiamò un'altra persona tra tutte quelle con le mani alzate che si tirò in piedi. In quel caso fu una donna. 

<<Chanel Marcuson, parlo per la "Life scoop".>> Da lì in poi fu quasi noioso sentire ogni volta tutte le presentazioni, ma non smisi neppure per un secondo di sorridere, alla fine ero lì per le loro domande quindi non potevo lamentarmi. <<Una donna in carriera come lei, con le sue possibilità economiche e un matrimonio che ormai dura da dieci anni come mai ancora non ha deciso di avere un figlio?>> Quel capitolo era una coltellata al petto, parlare di un possibile figlio tra me e Cornelius era sempre stato per me un argomento tabù, un tasto da non premere e che in famiglia ormai tutti avevano dimenticato visto che Corn non aveva neppure mai tentato di aprire il discorso.

Inconsapevolmente mi toccai il ventre e quasi tremai per un secondo che mi scosse, era come se ancora riuscii a percepire la sensazione che si provava a sapere di essere incinte, ancora bruciava su di me, sulla mia pelle, sul mio cuore la ferita che mi portavo dentro da dodici lunghi anni.

Una crepa che non si sarebbe mai risanata con nulla.

Un vuoto a dir poco incolmabile.

E inevitabilmente mi richiusi in me stessa.

<<Semplicemente perchè è un passo importante, per non parlare poi del fatto che un figlio richiede tempo e attenzioni, io e mio marito dobbiamo sottostare ad impegni lavorativi non indifferenti e non avremmo modo di dare ad un nostro ipotetico bimbo tutte le attenzioni che meriterebbe.>> Erano tutte scuse, il sorriso sul mio volto si era gradualmente spento ormai da tempo e io mi ero rinchiusa nel mio castello lasciando fuori tutti, quella maschera di indifferenza era tornata a farsi viva sul mio volto e dell'accomodante ragazza che ero stata all'inizio non se ne vide più neppure l'ombra. Certi tasti non dovevano essere neppure sfiorati, mentre loro li stavano premendo senza ritegno. 

<<Parla di un ipotetico figlio come si può parlare di una bestia.>> Ribattè tagliente il giornalista accendendo tutto il mio fastidio, ma ero diventata brava a gestire ogni mia emozione, ad affrontare tutto a muso duro senza far trapelare alcun malessere interiore a nessuno, perchè nessuno si meritava di vedermi crollare. 

<<Secondo quale criterio azzarda tali parole mi perdoni?>> Notarono tutti il mio cambio di umore ma non gli permisi di capire cosa stessi provando, gli avrei concesso di sentire come si sarebbero sentiti loro se solo avessi voluto distruggerli con la sola arma delle parole. Una dialettica forbita e tagliente. 

<<Vede un figlio solo come un essere che richiede tempo e attenzioni, mentre se si vuole veramente un bambino si è capaci di andare contro tutto e tutti perché un figlio è amore, devozione, dolcezza.>> Mi aggredì sperando di potermi intimorire. <<Ci sono donne che pagherebbero per avere l'opportunità di avere un figlio e lei la pensa come se fosse solo un progetto, è qualcosa di totalmente sbagliato.>> Una risata amara mi graffiò le labbra tanto fu il mio stupore di fronte a tale assurdità, certa gente a volte riusciva a sparare delle assurdità tali da sconvolgermi, ma la calma con cui affrontavo quel momento non faceva altro che far innervosire quella donna e far apparire più sicura me.

<<Io non penso che un figlio sia un progetto, ma che meriti un carico di attenzioni che momentaneamente non riuscirei a dargli, ogni coppia è libera di aspettare il momento che più crede giusto per mettere su famiglia.>> Mi tirai più dritta a sedere. 

<<E poi sta insinuando che ogni donna che decida di non avere figli per potersi focalizzare sulla propria carriera, fa un torto alla percentuale di donne purtroppo sterili che ovviamente come tutte meriterebbero di poter avere un figlio proprio?>> Mi venne quasi da ridere per il ragionamento insensato che stava facendo in pubblica visione, ma a stupirmi di più fu pensare che proprio una donna facesse un ragionamento simile. 

<<Mi perdoni ma trovo che stia mancando di rispetto ad entrambe le parti parlando in questo modo.>> Eppure la giornalista non si diede per vinta, credeva così tanto in ciò che pensava che quasi la sua caparbia mi sconvolse, non voleva saperne di allentare la presa anche se a quel punto si ritrovava all'angolo di un vicolo cieco. <<Quindi ammette di non voler figli.>> Affermò come se io le avessi dato modo di pensare una cosa simile, era alquanto penosa come giornalista mentre io ero curiosa di scoprire cosa avrebbe scritto sul suo giornale da quattro soldi. <<Lei deduce cose errate, io non l'ho mai detto, penso solo che questo non sia il momento giusto.>> Era molto semplice come concetto ma sembrò comunque non capirlo, Callie volendo passare avanti con altre domande per mettere a tacere la discussione le chiese con il suo garbo di mettersi a sedere e cedere la parola ad altri, parole che la giornalista seguì tornando a sedersi per dar modo ad un suo collega di farsi avanti.

<<Jeremiah Brooke, parlo per il "Network's magazine">> Un uomo in giacca e cravatta si presentò ricevendo da parte mia un cenno accomodante di saluto, che però non venne ricambiato, quando andavi contro ad uno di loro si rivoltavano tutti quanti. Al minimo accenno di debolezza quella gente era come un branco di lupi affamati. 

<<Signorina Martin io ho come l'impressione che lei ci stia nascondendo qualcosa invece.>> La situazione prese una piega interessante. <<Esponga i suoi dubbi signor Brooke, mi incuriosisce.>> Il sorriso beffardo che mi apparve in volto lo irritò ma me ne fregai, le loro giocavano tutto sulla carta delle debolezze io sapevo bene invece quale mi sarebbe convenuta di più, la mia arma a doppio taglio, l'arroganza. 

<<Io non credo che lei non voglia figli, bensì che non li voglia con il suo attuale marito.>>

Mi venne quasi da ridere. <<Ah sì? E posso chiedere come ci è arrivato a questa conclusione?>> Ero certa che Corn sarebbe stato un padre perfetto, ma il mio non volere dei bambini al momento era scosso da diversi fattori, tra cui vi era anche quello che avevo già ribadito a quelle carogne. Un altra motivazione era smossa dalla ferita profonda che mi divideva in due il petto ancora dopo anni.

<<Io penso che lei per tutto questo tempo non abbia fatto altro che procrastinare fino all'arrivo del vero uomo che lei desidera.>> Sapevo che prima o poi l'argomento che tutti attendevano di partire avrebbe fatto la sua entrata in grande stile, lo stavo solo attendendo a braccia aperte, pronta a rispondere a qualsiasi cosa con la mia indifferenza. 

<<Mi verrebbe da consigliarle di smettere di pensare se queste sono le idiozie che le girano in testa.>> Delle risate sommesse si udirono alle sue spalle e lui non fece che innervosirsi ancora di più aizzando il mio divertimento, era esilarante vedere come si arrabbiassero senza che io facessi nulla, un gioco che adoravo da morire. Erano le mie pedine sulla mia scacchiera che si muovevano sotto il mio unico controllo. 

<<Aggira le mie parole per non rispondere, trovo sia un comportamento infantile.>> Azzardò pungendo il mio atteggiamento, stava dando alla figlia del re di Los Angeles dell'infantile davanti a tutto il mondo, si stava scavando la fossa da solo. <<Sono qui per rispondere a domande, ma non mi sembra che lei me ne abbia esposta ancora una.>> Mi stava solo rendendo partecipe di giudizi insulsi di cui mi importava poco e niente, io volevo domande, quesiti a cui rispondere, di ciò che pensasse lui me ne facevo beffa bellamente. 

<<Allora mi dica.>> Fece finta di leggere dai suoi appunti su quel suo quadernino.

<<Come ha preso il ritorno di Mihai Kovacs? Poco fa ha detto che Cornelius Wilson è stato l'uomo che ha amato fin dai tempi del liceo, quando invece tutti sappiamo che aveva appena sedici anni quando è apparsa su tutte le copertine della città al fianco del famoso cantante Kovacs.>> Mi portai la mia folta chioma scura su una spalla per prendere tempo e non rispondere precipitosamente, non potevo nascondere che fossero state menzogne le mie, che il matrimonio con Corn era stato programmato fin dalla mia nascita e che Mihai non avesse fatto parte del mio passato. Ma nulla di ciò che aveva arricchito quegli anni mi tangeva più, io non ero più quella ragazzina insignificante che si era lasciata abbindolare dall'errore più grande della sua intera esistenza. 

<<Il ritorno in libertà di quell'uomo non mi ha fatto ne caldo ne freddo, io ho amato sempre e solo mio marito, per Kovacs ad oggi non provo neppure più odio.>> Solo un senso di vendetta che avrei nutrito con il tempo, temporeggiando mi sarei ripresa la mia vendetta e a quel punto sarebbe stato lui a soffrire, terribilmente. 

<<Non odia l'assassino che ha ucciso suo fratello?>> Me lo domandò a dir poco sconcertato, quelle parole in qualche modo per un secondo riportarono la mia mente a quel momento, quell'istante in cui udii le sirene della polizia incrinare il silenzio di una notte gelida, il silenzio che ha seguito quando l'ambulanza ha portato via il suo corpo privo di vita e le grida, le mie grida, le sue urla e fiumi di lacrime buttate. 

<<Trovo che l'odio sia un sentimento che a suo modo merita rispetto, odiare quell'essere gli conferirebbe ancora un'importanza che per me non ha mai posseduto.>> Non è mai contato niente per me, al solo suono del suo nome nella mia mente rimbombava un silenzio angosciante, il nulla più totale, un vuoto incolmabile talmente buio da spaventare chiunque tranne che me. L'uomo si risedette ma dopo di lui, senza neppure attendere il proprio turno si alzò un altro giornalista che neppure ci fece la cortesia di presentarsi.

<<Afferma così di non aver mai amato Mihai Kovacs? Che tutto ciò in cui la città di Los Angeles ha creduto in quei mesi che avete passato insieme, è stata tutta una messa in scena?>> Finzione, ero cresciuta con l'obbligo di recitare in ogni momento, ormai non riuscivo neppure più a distinguere quando ero veramente io e quando ero ciò che volevo far credere che fossi agli altri. Quella non era altro che una delle controindicazioni scritte sul retro della mia vita. Non riconoscersi più.

<<Che fosse tutto finto o meno non so dirvelo, ma so per certo che io non ho mai amato quell'uomo, poche persone a questo mondo sono degne del mio amore.>> Dopo di lui si alzò una donna, l'ordine iniziale andò in fumo, tutti avevano domande da farmi che reclamavano risposte e io iniziavo a stancarmi, non sopportavo che si insinuassero in fatti che non gli riguardavano. Ma alla fine ero andata lì anche per lasciar loro la possibilità di farlo. 

<<Vuole far conoscere al mondo una versione di lei crudelmente prosciugata dai sentimenti? Dov'è finita la ragazza dal cuore d'oro di un tempo?>> Quella ragazzina amata da tutti che ogni cittadino di Los Angeles aveva conosciuto non esisteva più da tempo, io non ero più l'angioletto docile e ingenuo che tutti avevano visto. Io ero diventata dolore, rabbia, cicatrici e cattiveria intrecciate dall'indifferenza in un connubio letale, per gli altri e forse persino per me.

<<Sono cresciuta in mezzo a decine di persone che dicevano di volermi bene e che poi nel momento di massima sofferenza che ha occupato la mia vita, mi hanno voltato le spalle.>> La crudeltà con cui quelle parole uscirono dalla mia bocca mise a tacere tutti, non vi era dolore nella mia voce, solo un ripudio mortale per i miei errori e per la me di un tempo. 

<<Ho sofferto per lunghi anni, poi mi sono resa conto che piangermi addosso avrebbe fatto del male solo a me e non a coloro che mi avevano inflitto tale dolore, ho capito che versare lacrime amare per persone inutili non mi avrebbe dato la soddisfazione di avere la mia rivincita.>> La mia possibilità di far patire loro il triplo del dolore fino a vederli corrodere in un lago di sofferenza. 

<<Quindi ho cancellato la ragazza che tutti voi avevate conosciuto e sono diventata la versione peggiore di me, ma indovinate un po'?>> Sorrisi infida e beffarda davanti a quei volti increduli.

<<Ho finito con l'innamorarmi di questa versione.>> 

Amavo me stessa, amavo la mia incapacità di provare sentimenti, adoravo non sentire più niente, ero ossessionata dallo star bene perchè solo così nessun tipo di dolore mi avrebbe uccisa. 

<<Sta dicendo al popolo di Los Angeles che lei non ama più? Che per star bene bisogna eliminare i sentimenti?>> Una risata velenosa mi punzecchiò le labbra con la stessa acidità di uno spillo nel petto, i sentimenti erano qualcosa di inutile, l'ennesima debolezza che ti portava a dar modo alle persone di accoltellarti nel punto giusto per farti crollare. Per questo avevo imparato un'importantissima lezione.

 <<No, voglio dire alla mia gente di scegliere accuratamente le persone a cui dare tutto il proprio amore, un sentimento simile lo possono meritare solo coloro che ti danno la certezza che mai e poi mai faranno qualcosa per farti star male.>> Scegliere qualcuno che mai sarebbe stato capace di pugnalarti alle spalle come molti avevano fatto con me.

<<Io ad oggi amo mio marito, la mia migliore amica, il mio caro nonno e il mio adorato nipotino Jacob.>>

Poche persone ma essenziali, perchè alla fine non serviva voler bene a tutti o voler essere apprezzata da chiunque, a me bastavano quattro persone per continuare a respirare.

<<Quindi signori, io non ho smesso di amare.>> Non sarei mai stata capace di farlo.

<<Ho dedicato tutta me stessa a poche ed essenziali persone.>>



SPAZIO AUTRICE:

Lo so che mi starete odiando per l'infinita attesa che c'è stata in framezzo al capitolo precedente e questo, ma è un periodo pieno di impegni per me e gli unici momenti liberi che sono riuscita a ritagliarmi sono questi giorni delle vacanze di pasqua. E a proposito: Tanti auguri mie care!

Cosa ne pensate di questo nuovo capitolo?

In ogni caso se la storia vi è piaciuta, se vi va potete lasciare una stellina e scrivermi un bel commento, vi ringrazio per la lettura e al prossimo capitolo.

Ciauuuu <3

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