YANG CHE LEGGE RIMBAUD

By asuddeIconfine

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[HYUNIN] «Il sole intiepidisce le mie guance. Tra poco sarà mezzogiorno. Non avrò più diciassette anni come o... More

Yang che legge Rimbaud
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By asuddeIconfine

Se hai diciassette anni e vivi in una cittadina di appena diecimila anime non c'è molto che tu possa fare. Sbuffi un po'. Permetti che le giornate ti piovano addosso il più velocemente possibile. L'unica soluzione potrebbe essere rintanarsi nell'aula computer.

Il liceo quasi cade a pezzi. Delle chiazze di muffa conquistano sempre più territorio sulle mura scolastiche. Però qualcuno ha messo dei fondi per un'aula computer. Sono gli anni duemila, dicono. Evviva. Porto gli occhi al cielo.

Mi siedo sulla prima sedia che trovo libera. Mi ci metto comodo. Allungo le gambe sul banco, ma non troppo da urtare la tastiera del computer fisso. Sia mai. Incorrere in altri danni è l'ultima cosa che voglio. La scelta della lettura è indifferente. Ma oggi è il 14 maggio 2011 quindi so per certo che il libro che ho in mano è una copia nuova di zecca delle opere di Rimbaud. Apro il libricino e faccio in modo di aprirlo per bene nella metà, quasi spezzando il dorso, così da non avere scocciature mentre leggo.

Ho diciassette anni e un carattere di merda. Possiamo dire che sono furbo, però. O almeno abbastanza da essermi fatto amico di un prof che mi copra le spalle quando sparisco da lezione. Butto la testa all'indietro e mi copro il volto con il libro. Ho diciassette anni e una giornata di merda da affrontare.

Quindi leggo, o almeno ci provo. Faccio le orecchie agli angoli della pagina quando una poesia mi piace particolarmente. Ce n'è una che mi rimane impressa più delle altre e, oltre a piegare l'angolo della pagina, sottolineo alcuni versi con la matita rossa.

E sei innamorato. Fino al mese d'agosto.
Sei innamorato. I tuoi versi fanno ridere.
Tutti gli amici sono già andati, non sei più di loro gusto.
- Poi l'adorata, una sera, si degnò di scriverti!...

- Quel giorno... - Ritorni ai caffè luminosi
e ordini ancora birre e limonata...
Non si è mai molto seri a diciassette anni
e quando sono verdi i tigli lungo il viale

Il sole intiepidisce le mie guance. Tra poco sarà mezzogiorno. Non avrò più diciassette anni come ora, penso. Una tracolla cade su una sedia due posti più in là della mia. Ogni storia dovrebbe iniziare così. Forse lo dico perché è la nostra.

Ma sono le dodici meno un quarto, di conseguenza ho ancora diciassette anni e un carattere di merda. Non alzo lo sguardo. Faccio finta che il mondo attorno a me non esista. Qualcuno prova ad accendere il computer. Per tre, quattro, poi cinque minuti. Mi rendo conto del tempo che passa solo dai tasti che continuano ad essere premuti e varie imprecazioni sottovoce.

Solo allora abbandono Rimbaud. Ti presto attenzione. Sono scocciato. Il silenzio non c'è più. La mia concentrazione si è affievolita. Questa è la vita vera. "Prova un altro computer" ti dico.

Non ti muovi. Mi guardi stupido. Attonito. Mi domando persino se parliamo la stessa lingua. Poi non mi guardi più. Guardi il mio libro nuovo di zecca che già pare portarsi vari anni appresso. "Rimbaud?"

"Sì." rispondo. Dentro di me penso tu non capisca un cazzo. "Oppure chiama un tecnico. Che ne so."

"Preferiresti Verlaine." affermi. Senza battere ciglio cambi postazione. Ti metti accanto a me. Accendi il computer. Fissi lo schermo che si accende e io fisso te. Probabilmente pensi a qualcosa. Mi siedo composto. "Lui ha sparato."

Che fricchettone. Proprio con te dovevo passare gli ultimi minuti di minore età. "Se dobbiamo parlare di letteratura francese non parliamo proprio."

Non rispondi. Penso che Dio esista e che abbia deciso di graziarmi. Osservo i tuoi movimenti sul dispositivo. Entri su un sito di una pseudo-università. Torno a guardare immediatamente le scarpe, appena mi rendo conto che hai sentito il mio sguardo su di te.

Non ci siamo mai incontrati se non in quel momento. Questo a quasi diciott'anni non lo so.

Immetti le tue credenziali: Nome utente: Hwang Hyunjin
Numero matricola: xxxxxxxxx

Ti giri. Sento la pelle bruciare a causa tua come prima stava facendo il sole. Mi soffermo sui tuoi capelli e su come ti cadono sulle spalle. Neri, sottili. Sembrano perfino morbidi. Salgo al taglio degli occhi, alle tue sopracciglia. Il naso lo trovo buffo. Pare una protuberanza irregolare all'interno di un viso come il tuo. Voglio disegnare una mappa della tua persona senza neanche conoscerti.

Le labbra. Non faccio in tempo ad elaborare alcun pensiero.

"E tu?"

"Cosa?" domando, sovrappensiero.

Clicchi qualche punto indefinito sullo schermo. "Come ti chiami."

"Jeongin. Yang Jeongin."

"Yang." fai un broncio, quasi stessi valutando l'effettiva qualità del mio cognome, "Va bene. Yang che legge Rimbaud." ridi beffardo, "Leggeva, almeno."

"Hai rovinato la quiete."

"Gli studenti del liceo dovrebbero comunque essere a lezione ora."

"Non mi sembra neanche che questo posto sia adibito agli studenti universitari. Eppure sei qui."

"Ho un permesso."

"Anche io." mi alzo. Nella mia testa questa azione sta rincarando il significato del concetto appena espresso. Apro la porta, la sbatto, torno in classe. Abbandono Rimbaud tra le grinfie di un universitario al liceo.

Ancora oggi, ti immagino ridere a crepapelle con la porta chiusa. Prendi la mia copia del libro in mano. Scuoti la testa ricordando la conversazione con un liceale nevrotico. Pensi sia assurdo. Pensi che ti piaccia.
Nei miei sogni, sei un veggente che mi fa gli auguri senza sapere del mio compleanno.

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Siamo nel 2011. I social network esistono e hanno già fatto in tempo a rovinarmi la vita. Un punto a loro favore, tuttavia, è che sono divertenti. Qualche settimana dopo il nostro incontro ti cerco su Facebook.

Mentre sono sotto le coperte e circondato dal buio della mia stanza, mi convinco del fatto che sto inserendo il tuo nome in chissà quale algoritmo sconosciuto solo per noia. Il portatile rischia di bruciare le coperte surriscaldandosi solo perché mi annoio, quindi. Mi mordo nervosamente le pellicine sulle dita solo perché mi annoio.

Con mio grande rammarico, scopro che su Facebook esistono quindici diversi Hwang Hyunjin. Analizzo attentamente ogni tuo omonimo. Alcuni son troppo vecchi, altri troppo giovani ed altri ancora abitano troppo lontano. Dopo vari tentativi, trovo il tuo profilo.

Mi viene confermato che ti chiami Hwang Hyunjin e che sei uno studente universitario. Tuttavia scopro che: l'ateneo che frequenti dista un centinaio di chilometri dal buco in cui viviamo, studi una facoltà dal nome inutilmente difficile, ovvero Lingue e tecnologie per la comunicazione interculturale. Scopro, inoltre, che hai ventun anni e sei nato il 20 marzo 1990. Hai come foto profilo un tuo autoscatto con un filtro giallognolo che fa sembrare l'icona carta vecchia: ovviamente ci sei tu che mostri un sorriso e in braccio tieni precariamente un cagnolino. Non faccio fatica a credere che la povera bestia sia rovinosamente caduta a terra dopo aver scattato la foto.

Scorro la timeline del tuo profilo, un po' perché ho tempo da perdere ed un po' perché leggere le stronzate che scrive la gente mi diverte. Sei uno di quelli che sui social fa il moralista scrivendo 750 parole in un post? Sei uno di quelli che posta meme che fanno ridere solo lui? Oppure, aspetta, sei uno di quelli che tenta di essere enigmatico con citazioni letterarie?

Hwang Hyunjin
3 ore fa presso T., Quinta Contea
«E comprendevo l'impossibilità contro la quale urta l'amore. Noi ci figuriamo che esso abbia come oggetto un essere che può star coricato davanti a noi, chiuso in un corpo. Ahimè! L'amore è estensione di tale essere a tutti i punti dello spazio e del tempo che ha occupato e che occuperà.»
~ Marcel Proust ❤️❤️❤️

Terza categoria. Ricordando il commento sugli autori francesi, non mi stupisco granché. Un fricchettone. Avevo ragione.

Mi rigiro nel letto, accostandomi per bene su un lato. Fuori dalla mia stanza sento qualcuno camminare su e giù. Un sottofondo musicale da festa in lontananza. Sbadiglio. Apro la casella dei commenti del post.

Han Jisung: È così ke ci si prepara per letteratura francese???
Hwang Hyunjin: Scrivi bene e magari rispondo 😉
Han Jisu

La porta viene aperta bruscamente. Mia madre accende la luce e credo di accecarmi. Chiudo di riflesso il computer. Ha in mano una trousse con vari trucchi, e va a mettersi davanti al mio specchio per abbellirsi tutta. I suoi capelli sono più ricci e pompati del solito. Indossa una minigonna e dei tacchi inverosimilmente alti.

"Ma'!" mi lamento, "Sono le nove passate."

Dal riflesso dello specchio vedo che mette le labbra a beccuccio per applicare un rossetto rosso vivo, "E beh? Mica stavi dormendo. E poi sono in ritardo, il commercialista mi aspetta davanti al ristorante tra venti minuti."

Strizzo gli occhi, mettendomi seduto, "Ricordami chi è il commercialista."

"Quello pelato prossimo alla pensione. Socievole ma mette troppa lingua. Prestazioni non male per la sua età complessivamente."

"Che schifo, ti prego." esalo esasperato.

Fa spallucce, "Almeno andiamo al Dollaro e non mi fa pagare."

"Ti accompagna papà?"

"Credo di sì. Aveva voglia di fare un giro. Che ne so."

"Oh. Splendido." dico.

Ripone i suoi trucchi nel beauty-case. Si sistema un'ultima volta i capelli. Si guarda attentamente allo specchio, ponderando se il suo look è adatto alla serata. Se mia madre non esistesse, ci sono buone possibilità che non saprebbero inventarla.

"Va bene, mi sa che devo iniziare ad andare. Fai sogni d'oro, cucciolo." mi dice con un tono eccessivamente mieloso per una persona che due minuti prima aveva intenzione di descrivere le prestazioni sessuali del suo partner.

Chiude la porta. Spegne la luce. Torno su Facebook. Torno sul tuo profilo. C'è la galleria con le foto e decido di curiosare. Vado indietro nel tempo, trovo una foto di due mesi fa. Scrivi: Gli unici che mi sopportano da 21 anni. Vi amo oggi e sempre ❤️🎉 #compleanno #grateful. Mi concentro sulla fotografia. Siete cinque persone riunite intorno ad un tavolo. C'è la tua torta di compleanno. Sei proprio al centro, lì davanti. I tuoi genitori sono alla tua sinistra, mentre alla tua destra vedo due bambinetti identici per aspetto e per vestiti. Rimango impalato davanti al post.

È che quel post mi dà la sensazione che tu non abbia mai visto tua madre e tuo padre vivere due vite separate sotto lo stesso tetto. Di certo tuo papà non si sarà mai offerto di accompagnare tua mamma ad un incontro con qualche amante transitorio. Né avrai sentito i dettagli sulla sua vita sessuale. Se sei abbastanza fortunato, non hai visto l'amore soffocato dal peso del tempo. Se sei abbastanza fortunato, non hai mai visto i tuoi pianificare la vita insieme come un piano aziendale. Da colleghi. Da soci d'affari.

Se sei un fricchettone romantico, forse è anche per questo.

Mi massaggio la faccia con le mani, nel tentativo di schiarirmi le idee. A diciott'anni ho la presunzione di saper tutto e di poter decifrare ogni cosa. Vivo con blanda sicurezza solo per ritardare il momento in cui dovrò fare i conti con me stesso. Non so cosa mi piace. Non so chi mi piace, né a chi vorrei piacessi io.

Torno indietro alla foto profilo con te ed il cane. Sembri l'ultimo degli sfigati e pure il tuo carattere non si è mostrato il più socievole. Se non mento a me stesso, tuttavia, mi rendo conto che inconsciamente già cerco la tua stima. Fin dal primo momento, volevo la tua approvazione. Dunque esito un attimo, ma poi ti mando la richiesta d'amicizia. Può considerarsi un buon punto di partenza.

Faccio log-out. Mi allungo verso il comodino per agguantare le cuffiette con il minimo sforzo; le inserisco e mi dirigo su YouTube. Inizio qualche video ma sono inquieto, per dei minuti infiniti la mia testa rimane focalizzata sulla richiesta d'amicizia. Mi domando se ti ricordi di me e rifletto che, anche tu ricordassi, proprio questo fatto potrebbe spingerti ad ignorarmi.

È il 2011. Siamo la prima generazione di ragazzi che cresce con Internet e le cui relazioni sociali sono strettamente influenzate da esso. E menomale. Fosse stata adolescente mia madre nell'era dei social sarebbe stata fatale.

Aspetto tre minuti e rientro su Facebook. Appare una notifica sullo schermo: Hwang Hyunjin ha accettato la tua richiesta.

𓆝 𓆟 𓆞

Fino agli inizi di giugno non riesco a scappare in aula computer. Il prof che mi copre è in malattia e non posso espormi ad eventuali rischi proprio alla fine dell'anno scolastico.

In più, mio padre mi ha murato in casa. Nel limite del possibile, ovviamente. Questo significa telefono, portatile e libri confiscati. Anche se alcuni libri sono riuscito a salvarli, accampando la scusa che erano materiale di studio.

Dunque al posto di leggere in silenzio a scuola o (ed era l'obiettivo di mio padre) studiare per l'esame finale, passo i miei pomeriggi davanti alla porta dello studio ormai in disuso dal mio caro papà cercando di aprire la serratura con una forcina di mia madre. Tanta fatica per niente, inutile che te lo dica.

Torno alla scrivania verso sera, affranto e deluso dalle mie scarse capacità. Aspetto con inerzia il giorno di scuola seguente. Chi l'avrebbe mai immaginato, no?

L'ultimo giorno, di mia iniziativa, tiro Seungmin per un braccio e lo porto con me in aula computer. L'impressione di aver chiuso la parentesi "scuola superiore" mi faceva sembrare capace di qualsiasi cosa.

"Non ho mai capito che appeal abbia per te quest'aula polverosa." dice, con quelle sue intermittenze inglesi che lo fanno sempre sembrare un po' frivolo.

"Assolutamente nessuno. Ma la scelta era tra questo e i bagni delle ragazze."

"E immagino non volessi passare per maniaco." aggiunge, "In quel caso nessuno ti avrebbe aiutato."

Siamo seduti a gambe incrociate, faccia a faccia. È l'ultimo giorno della nostra vita in cui indosseremo l'uniforme scolastica. Sembriamo dei bambini con quelle camicette bianche. Al di là del cortile, però, c'è il mondo intero.

"Avrei trovato un modo." dico.

"Ultimo desiderio da liceale?"

Sbuffo. Ci penso su un attimo. C'è una puzza di muffa tremenda. "Non mettere mai più piede qui e in questa città. Il tuo?"

"Uscire col massimo score."

Spero genuinamente che possa essere così. Lo penso ma non glielo dico.
Un brivido mi attraversa la schiena, quasi fosse l'emanazione di una scoperta improvvisa.

"Non cambieremo così tanto, no?" gli chiedo. So che i miei occhi gravano sui suoi dallo stupore che gli leggo in volto.

"No." si ferma, "No, Jeongin. Forse dovrai solo accompagnare tua madre ai suoi dates."

"Non lo dire neanche per scherzo."

"Beh, però potresti mettere su una storia un giorno. Con tutti i libri che divori."

Ho diciott'anni. Questo significa che non ho mai scritto una riga che non fosse un tema di scuola o la lista della spesa dettata da mia madre. Alcuni angoli della mia personalità mi sono estranei. Seungmin li abita. Solo un occhio come il suo può arrivarci.

(Non arriva a proprio tutto, però.)

"Seungmin, già tanto se distinguo i tempi verbali." farfuglio, "E non dicevi che per essere scrittore devi avere i... Dai, come si chiamavano?"

"Le vibes"

Mi correggo. Sputare qualche parola di inglese qua e là non lo fa sembrare frivolo: lo fa solo apparire un idiota.

Rido e la risata si espande per tutto il perimetro dell'aula. Quando cala il silenzio, sappiamo che abbiamo finito le cose da dirci. Forse prevediamo che la nostra amicizia abbia i giorni contati; che Seungmin è a due millimetri dal diventare Kim Seungmin, l'amico delle superiori di cui vedo i post su Facebook.

Per ora è il nove giugno. La nostra amicizia resiste. L'adolescenza termina in un secondo. Io cresco e penso se tu ti sia mai fatto vivo per connetterti al sito della tua stupida università. Penso che se avessi accesso ai miei dispositivi ti manderei uno stupido messaggio. Penso che non sarò mai più giovane come ora. 

Imprimo questo momento nella mia mente. Non ritornerà mai più indietro. Non vedrò una seconda volta Seungmin uscire dall'atrio scolastico facendo il dito medio a chiunque abbia sott'occhio.

𓆝 𓆟 𓆞

L'estate del 2011 è una delle più calde dal 2003. Col certificato di diploma abbandonato in un angolo dell'armadio, mi intrattengo fissandomi allo specchio. Sono seduto sulla moquette. Aspetto che il mio viso perda di consistenza.

Mi sento così. Con diciotto anni e nessun confine addosso. Parlo a me stesso. Mi leggo dei romanzi ad alta voce. Quando fa troppo caldo mi slaccio i jeans, mi sfilo la maglietta e tiro tutto sul letto. Rimango in mutande e ciabatte. Rido come un bambino.

Questo fatto fa riconciliare i miei, che da quindici anni non riescono a trovare un'opinione comune. Devi fare qualcosa, non puoi rincoglionirti così. Nel dirlo, mia madre ha sporcato di fard tutto il pavimento. Mio padre ha lasciato le cicche delle sue sigarette sul comodino. In più, un'ammonizione: vai in palestra, sei tutto ossa.

Non posso dire non abbia ragione, il punto è che non mi interessa. Ma è sempre estate e quarantadue gradi alle dieci del mattino non c'erano da quando ero in quarta elementare. Quindi, sono finito in palestra più per l'impianto di aria condizionata nuovo di zecca che per una repentina epifania sulla mia condizione fisica.

Creo una routine: vado lì alle due dopo una passeggiata infernale, e poi me ne sto seduto negli spogliatoi almeno un'ora prima di buttarmi nella mischia; infine, torno a casa verso le sette, dopo aver passato il pomeriggio a leggere sulla panca sotto l'aria condizionata. Va così il lunedì, il mercoledì, il venerdì e il sabato. Dio si riposava la domenica, chi sono io per non farlo?

Ad un certo punto, deve essere metà agosto, arrivi tu.

Ad esser sincero, stavo perdendo le speranze. Nei momenti di noia, controllavo fino a venticinque volte al giorno il tuo profilo. C'era qualcosa che non mi andava, nel fatto che avessi incontrato un soggetto del genere solo una volta nella mia vita. Non che mi sia impegnato a fare altri incontri mistici.

Comunque, è metà agosto e sto mangiando una mela in spogliatoio. Muovo la testa a ritmo dell'acqua che esce dalle docce. C'è una puzza disumana di sudore e deodorante, ma sto arrivando al punto cruciale del romanzo e non mi potrebbe interessare meno del mondo circostante.

Esordisci con: "Ancora Rimbaud?" e sento di voler morire seduta stante.
Alzo lo sguardo, mordo un altro pezzo di mela. Sei davanti a me che ti cambi. Non ricevi una risposta.

"Pensavo fossi un lettore più celere, sai?" e marchi l'accento su celere, come se tale parola ti elevasse di spirito per qualche ragione.

"Infatti sto leggendo D'amore e ombra." dico con ancora il cibo in bocca. Non menziono il fatto di aver perso il libro di poesie.

Estrai dalla borsa una borraccia e un asciugamano che ti tiri sulla spalla, "Devo supporre che non verrai in sala pesi, vero?"

Ho diciott'anni ed è la seconda volta che ti vedo dal vivo. Non so ancora che usi quel tono di voce tra il dispiaciuto e il comprensivo quando qualcosa non ti va assolutamente a genio. Sei incapace di arrabbiarti. Non conosco il valore di questo tuo pregio.

"Non è comunque un'attività di gruppo fare esercizio."

"Va bene." dici senza alcuna emozione particolare, "Ciao, Jeongin."

Quando esci, lo spogliatoio torna ad essere un non-luogo più desolato del solito. Ma ho diciott'anni e non ho ancora un livello tale di introspezione per capire come mai posti del genere mi piacciano tanto.

Finisco la mela e metto il libro nello zaino. Esco dalla palestra. Mi siedo sui gradoni dell'entrata, mentre Irene e Francisco, i protagonisti del libro, scoprono l'ombra del titolo del romanzo.

Esci circa un'ora dopo e mi trovi tra i piedi. Addosso hai una canottiera bianca e dei bermuda. A tracolla porti una borsa più grande di te. Mi rendo conto in quel momento che per il braccio hai cosparso qua e là qualche piccolo tatuaggio.

"Aspetti qualcuno?"

Annuisco poco convinto. Un fricchettone romantico ed un testardo. Non si può certo definire l'accoppiata migliore.

"Quindi non puoi farmi compagnia, immagino."

"Perché?"

"Sono tornato a casa per qualche giorno. Anche i miei amici sono dalle loro famiglie, gli altri... Beh, fa niente. Avevo voglia di un gelato."

Alzo gli occhi al cielo, "Spero tu ti sia fatto una doccia, almeno."

Non mi rispondi e inizi ad incamminarti verso il centro città. Mi alzo e ti raggiungo. Il sole delle quattro batte su noi due come non mai. Conosco la città quanto te, eppure decido di lasciarmi guidare. Non abbiamo niente da dirci. Per la prima volta penso che, forse, tu sei solo quanto me. Certo, non avrai dei genitori che si comportano da colleghi di lavoro, ma non è neanche l'unica cosa che può andare storta a qualcuno nella vita.

Okay, lo dico.

È l'estate del 2011. Mi sono appena diplomato, e sono insieme ad un quasi sconosciuto a leccare un gelato mezzo sciolto al pistacchio. Ci sediamo su una panchina al sole. Grugnisco qualcosa sulla nocività dei raggi ultravioletti. Per fortuna non mi ascolti.

Mi chiedi qualcosa di circostanziale; dove starò a studiare il mese prossimo, per esempio.

Lecco il contorno del cono, "Penso che andrò a F., non conosco nessuno lì."

Non ricevo risposta. Guardi con bizzarra attenzione il gelato gocciolare. Mi ricordo della prima impressione che ho avuto di te: un imbranato. Però continuo a parlare, "Ma che ci facevi al liceo quel giorno?"

"Oh." le tue labbra si schiudono in un sorriso sordo, una felicità ingenua, "Non ho una linea Internet a casa dei miei. Dovevo assolutamente collegarmi al sito dell'Università, quindi ho chiesto un permesso a mia zia. Insegna Filosofia al tuo ex liceo."

Decido di non indagare oltre sulla zia filosofa, concentrandomi esclusivamente sulle nozioni più importanti. Non che lo fossero chissà quanto, comunque, era tanto per dire.

"Potevi scrivermi su Facebook per il libro, in ogni caso." mi dici su due piedi ad un certo punto, con un tono così sornione che ti prenderei a schiaffi.

È l'estate del 2011. Mi sono appena diplomato. Presto mi trasferirò ad F, dove studi anche tu. C'è un segreto viscido che mi si cuce addosso come una seconda pelle. Ho avuto il primo dubbio due anni fa, ma fino a quest'anno ho raggirato questa sensazione infima.

Nel 2009 io e Seungmin passavamo molto più tempo insieme rispetto ad ora. Quando faceva bello, in primavera, andavamo a fare lunghe passeggiate nel bosco. Era il suo periodo antecedente a quello degli intercalari in inglese: si era appassionato di insetti e piante boschive. Lo seguivo nelle sue ricerche pseudo-botaniche per onorevole spirito di compassione.

Un giorno, era maggio, faceva particolarmente caldo e ci fermammo al ruscello. Era un bel luogo, quello. Il sentiero portava ad una piccola radura e per la strada non passava mai nessuno, in più il ruscello era appena fresco a sufficienza per fare il bagno.
Seungmin non esitò a sbottonarsi la camicia a righe che aveva e a sfilarsi i pantaloncini di dosso prima di tuffarsi in acqua. Mi svestii incerto, ma alla fine entrai anche io.

Seungmin nuota da sempre. Da piccolo pensavo che avrebbe sviluppato le branchie talmente tanto era il tempo che passava in piscina. Ma solamente a sedici anni notavo il suo corpo mutare; le spalle definirsi e allargarsi. Rimasi seduto sulla roccia dove avevamo steso la nostra roba. Nuotava. Nuotava. Nuotava. Era così bello che avrei pianto.

Piansi lunghe, solitarie e calde lacrime quella volta. Piansi perché non avevo altro modo di tradurre quello che sentivo dentro. Avevo sedici anni e sapevo di essere gay. Contemporaneamente, capivo che sarebbe stato meglio non dirlo.

Ho diciott'anni e continuo questo voto di silenzio.

"Non sapevo ce l'avessi tu." dico con una dose apparentemente sufficiente di nonchalance.

Ridacchi, portando leggermente indietro la schiena. È una mossa infantile che crea tenerezza. "Avrai mica paura di me?"

In lontananza, le campane suonano le cinque del pomeriggio. Un piccione atterra sulla panchina in mezzo a noi. Fa caldo, ovviamente. I bambini gridano per la strada. Sento le orecchie arrossire, tutto perché mi guardi più a lungo del solito.

"Macché, Hyunjin." mormoro,  distogliendo lo sguardo.

Mi pizzichi una guancia, ma fortunatamente togli la mano dal mio viso prima che commetta un omicidio. "Sei proprio come Verlaine, fai il duro e poi arrossisci per nulla." osservi, con un'aria che contiene una sorta di soddisfazione.

"La smetti di parlare per riferimenti alla letteratura francese?"

Scuoti le spalle, "Je les aime."

Non un altro con le lingue straniere, penso insofferente: "Te ne prego."

"Hai proprio un caratterino."

"Sei libero di andartene."

"È quello che vuoi?" mi chiedi. Con una certa indifferenza. Come se fosse una domanda nata d'istinto, pensata sul momento. Come se non ti importasse. Penso non t'importi.

Ti guardo negli occhi. Dei ciuffi neri di capelli ti increspano il viso. Piccole gocce di sudore lo incorniciano. Sposto appena un attimo lo sguardo e vedo un minuscolo tatuaggio sulla clavicola. Una stella. Smetto di formulare pensieri.

Mi inumidisco le labbra, annaspo cercando le parole, "Credo."

"Va bene." dici, sempre con quel tono mezzo comprensivo e mezzo dispiaciuto che non so ancora interpretare. Sorridi forzatamente, "Grazie per il gelato."

Ti alzi, fai per andartene.

"Hyunjin?"

"Sì?"

"Abiti ad F.?" chiedo su due piedi, ricordandomi della tua biografia dettagliata su Facebook.

"Ancora per qualche tempo." rispondi. Abbozzi un sorriso. Genuino. Solare. Se ti toccassi con mano troverei la luce.

"Non conosco nessuno ad F e..."

Annuisci, "Ci vediamo lì."

È il mio turno di sorridere, "Sì. Ci vediamo lì."

La gente entra ed esce dalle case e dai negozi. Una donna ingrigita getta qualcosa nel cestino. Le auto sfrecciano sul cemento incandescente. Ho solo diciott'anni. Sulla via di casa non riesco a togliermi un sorriso ebete dalla faccia.

𓆝 𓆟 𓆞

Questa non te l'ho mai raccontata.

Non ho ancora finito le superiori. Mio padre mi ha proibito l'uso di qualsiasi mezzo di comunicazione, ma non mi ha tolto l'accesso alla paghetta mensile. Quindi chiudo il libro di Chimica e parto alla volta della libreria.

È una libreria che vende esclusivamente libri di seconda mano. All'esterno ci sono, apparentemente dimenticati sulla strada, due cassette di legno con offerte di romanzi a pochi spiccioli. Nomi d'autori e titoli sconosciuti, ma che ogni volta mi incuriosiscono. Eppure li sfoglio con disinteresse, senza prestare loro attenzione.

Sono uscito perché ha finito di piovere, di conseguenza la via è invasa da un odore di umidità che non mi dispiace. Entro quatto in negozio, sperando di trovare quello che cerco.

L'interno del locale è composto da una stanza murata da scaffali stracolmi di libri; al centro, sei o sette carrelli di romanzi rosa, saggi, fumettistica, gialli e horror. Però io so già di dovermi indirizzare verso la zona dove sono concentrate le raccolte poetiche.

Sblocco il telefono, digito sulla barra di ricerca di Google "Verlaine opere". Appare una lista:

Poemi saturnini (1866)

Feste galanti (1869)

Buona canzone (1870)

Romanze senza parole (1874)

Saggezza (1881)

I poeti maledetti (1884)

Allora e ora (1884)

Memorie di un vedovo (1886)

Amore (1888)

Eccetera eccetera...

Rimetto l'aggeggio che si sta surriscaldando in tasca. Mi metto all'opera. Per mia sfortuna mi tocca inginocchiarmi fino all'ultimo scaffale, inclinando la testa di almeno novanta gradi per riuscire a leggere un solo titolo.

Vorrei piangere. Di Verlaine nemmeno una traccia. C'è qualsiasi autore, anche qualcuno che non ho mai sentito nominare: Michaux, Nolhac, Péguy, Pergaud, Prévert, Rollinat, Valéry, Vian... Niente.

Poi, eccolo lì. Un libricino talmente sottile che sembra un fascicolo. Intravedo il nome Verlaine. Lo estraggo con attenzione dallo scaffale. Leggo sulla copertina, a caratteri cubitali, SAGGEZZA. E che saggezza sia.

Soddisfatto del mio acquisto, la sera stessa mi metto davanti allo specchio in camera mia.

La finestra è aperta per far entrare dell'aria. Le foglie dell'albero in giardino sembrano sbattere quasi per sbaglio sugli infissi. Sono in un pigiama rimediato: dei pantaloncini sgualciti ed una vecchia maglietta del mio primo concerto. Tour del 2009 degli Arctic Monkeys. Ancora non so pronunciare il loro nome.

Apro il libricino. Leggo parecchie poesie ad alta voce finché non mi stanco. Provo anche a recitarle in francese, con una pronuncia che farebbe rabbrividire qualsiasi mangia-baguette. Mi diverte. Ho la sensazione che tu ti materializzi davanti a me. Ti ho visto qualche tempo fa e già i tratti del tuo viso si fanno meno definiti nella mia mente.

Faccio login su Facebook. Cerco il tuo profilo, apro la casella dei messaggi. Scrivo una bozza: Hey, sto leggendo Verlaine...... Non mi si addice, continuo a preferire Rimbaud 😬😬😬

Lo cancello quasi subito. Non ti scrivo quella notte. Ciononostante, mentre sono sul letto qualche ora dopo, spero che anche a te piaccia Vola, canzone, rapida.

Vola, canzone, rapida

davanti a Lei e dille

che, nel mio cuor fedele,

gioioso ha fatto luce

un raggio, dissipando,

santo lume, le tenebre

dell'amore: paura,

diffidenza e incertezza.

Ed ecco il grande giorno!

Rimasta a lungo muta

e pavida – la senti?

– l'allegria ha cantato

come una viva allodola

nel cielo rischiarato.

Vola, canzone ingenua,

e sia la benvenuta

senza rimpianti

vani colei che infine torna.

𓆝 𓆟 𓆞

A settembre 2011 mi trasferisco a F.

Come ogni diciottenne che vive a casa dei suoi, all'inizio pensavo che vivere senza la mia famiglia sarebbe stato una pacchia. Prima di traslocare, passavo i minuti prima di dormire a fantasticare sulla vita con i miei futuri coinquilini di cui neanche conoscevo ancora l'identità.

Sostanzialmente, sognavo una convivenza idilliaca ai limiti della realtà. Per forza di cose, la vera realtà si è rivelata molto più fastidiosa, spossante e noiosa della mia immaginazione. L'università non è neanche la parte più tragica di iniziare, appunto, l'università, bensì abitare per conto proprio a creare i problemi maggiori.

Al modico prezzo di un intero stipendio dei miei genitori, trovo alloggio in una stanza condivisa nella mansarda di un appartamento di quattro piani. Per me che vengo da un paese di provincia, mi sembra una rivoluzione culturale equivalente all'andare a vivere in Guatemala.

Condivido la stanza con un certo Lee Minho, di un anno più grande di me. Conosco questo Lee Minho durante il mio primissimo giorno ad F.

Suono il campanello (ancora non avevo le chiavi), e mi apre un ragazzo intento a gonfiare un bracciolo che si utilizza per far nuotare i bambini. Nel braccio sinistro ha già infilato l'altro. Ci mancava solo fosse in costume da bagno e avesse gli occhialini.

Che Dio me la mandi buona, ormai non posso più tirarmi indietro.

"Ah, oddio, ciao." mi dice, con un tono che mi fa pensare non si aspettasse l'arrivo di qualcuno. Tossisce prima di continuare, "Sei Jeongin, giusto?"

"In carne ed ossa." rispondo, mentre ho tra le braccia uno scatolone che mi copre il viso, ed uno zaino sulle spalle che mi fa vorticosamente avvicinare al pavimento. Per fortuna il trolley lo posso appoggiare per terra.

Mi introduce velocemente all'appartamento. Due camere da letto (la nostra, ed una stanza singola dove dorme un certo Changbin), la cucina, il bagno e la zona giorno.

Subito dopo, mentre io inizio a mettere a posto, Lee Minho si butta sul letto. Continua a gonfiare il suo bracciolo.

"Ma perché?" gli chiedo ad un certo punto, quando noto che è ancora occupato con quell'aggeggio del demonio giallo.

"Perché cosa?"  ribatte, come se fosse la cosa più normale del mondo.

"I braccioli, intendo."

"Oh" ride imbarazzato, mettendo in mostra gli incisivi, "Esercizi per la respirazione."

Due settimane dopo scopro che Lee Minho è malato di bronchiectasie da un anno e mezzo. Una malattia che da quel che ho capito è dovuta a delle lesioni delle pareti bronchiali. Brutta roba, comunque.

Oltre all'abitudine buffa di gonfiare braccioli, mi aveva frastornato il vizio di lasciare fazzoletti sporchi di muco in giro per casa e per la nostra stanza. La combinazione di queste due cose mi fa sembrare quasi insignificante il fatto che porti a dormire da noi la sua ragazza tutte le sere. Lee Minho è un tipo particolare. Parla poco, ma tossisce e limona molto.

Con Seo Changbin è più facile empatizzare. Non solo per il senso basico dell'igiene e dell'educazione, ma anche perché Changbin è fondamentalmente simpatico. Si introduce come un qualsiasi ragazzo di ventun anni; mi dice che studia Ingegneria gestionale e che viene da P. e che Lee Minho è strambo ma divertente. Bisogna imparare a capirlo. Non posso che concordare.

È con Seo Changbin che passo la maggior parte delle mie giornate, sia all'università che fuori dall'università. Nonostante io (praticamente decidendo ad occhi bendati) abbia optato per la facoltà di Lettere Moderne, riesco comunque a socializzare con lui.

I primi tempi andiamo a lezione insieme, pranziamo insieme, facciamo la spesa insieme, ceniamo insieme e il sabato sera ci ubriachiamo insieme.

E poi, scopro che anche Seo Changbin ha degli amici. Tutti suoi. Ergo, che ha una vita parallela di cui io non faccio parte.

La solitudine è l'aspetto che più odio di F. Al liceo non mi importava granché, delle amicizie. Mi dicevo che chi mi vuole mi vuole, chi non mi vuole può andare a farsi benedire. Pensato ciò, aprivo un romanzo e non me ne preoccupavo più.

All'università fare amicizia è praticamente impossibile. Ci sono vecchi compagni del liceo che già si conoscono, persone che vedo sporadicamente ad alcune lezioni ma non ad altre, gente che lascia e altra gente che semplicemente non frequenta proprio. Non so come attaccare bottone con quelli che si salvano.

Ripenso spesso a Seungmin. Ma Seungmin è ancora a T., e arrivo alla conclusione che tutto sommato non abbia sbagliato a rimanere nel nostro paese di merda.

In quel periodo inizio a scrivere. Scrivo distratto durante le ore più noiose di Filologia romanza, quando pranzo da solo, mentre sono in autobus, persino di sera quando Minho, che non ha mai abbastanza fiato, si scambia per ore effusioni romantiche con la sua fidanzata.

Riempio il vuoto della solitudine descrivendo le mie giornate. Prima come fosse un'analisi scientifica, e gradualmente ci aggiungo piccoli e grandi elementi di fantasia. Solo in un mese esaurisco metà quaderno. Scrivere non era scappare dalla realtà, bensì condurmi attraverso essa.

Una sera diventa tutto troppo insopportabile. Prendo taccuino, penna e telefono, esco dalla camera da letto sbattendo la porta, e mi rifugio in cucina. Fisso l'orologio da muro.

È quasi mezzanotte. Tra poco sarà il 5 novembre 2011. Entro su Facebook dopo tanto tempo. Cerco il tuo profilo. Come tante volte prima, apro la nostra chat ancora inspiegabilmente vuota.

Scrivo:
"Hey Hyunjin! Ancora ad F? :-)"

Mando il messaggio come fosse una bomba ad orologeria. Blocco il telefono. Apro il taccuino e torno alla descrizione dell'abbigliamento di una professoressa. Ma il mio sguardo vaga verso altre destinazioni. Non riesce a star fermo. Viaggia verso i fornelli, poi sulle piastrelle, e poi la dispensa, il frigo, la lavastoviglie, il pavimento, i fazzoletti che Minho ha lasciato sul tavolo, le squadre di Changbin sul piano cucina, i miei romanzi appoggiati in cima alla credenza, la lista della spesa appiccicata alla porta e... Notifica da Facebook.

"Yang che legge Rimbaud, quanto tempo 😉 Sì vivo ad F, tu aussi??"

Non il francese. Te ne prego. Decido di ignorare.

"Già.... Mi è tornato in mente che non ci siamo più visti. E non leggo Rimbaud."

"Va bene. E sentiamo, cosa studi?"

"Lettere moderne XXD"

"Lettere moderne???? Com'è possibile che non ci siamo incrociati???? Siamo nella stessa sede!"

Alzo gli occhi al cielo. Rido perché immagino come sarebbe la tua voce se me lo dicessi faccia a faccia.

"Capita credo. Cmq, quando hai lezione la prossima volta?"

"Martedì alle 9:00 sono in Uni."

"Anche io! Ci vediamo?"

"Certo. 👍"

Due secondi. Un altro messaggio da parte sua.

"Menomale che mi hai scritto ahahahah. Io non so se l'avrei più fatto...."

"Neanche io, Hyunjin. Neanche io."

Non invio mai il messaggio. Al contrario scrivo:
"Che cagasotto Hwang. Ciao ciao, a martedì :-)"

Rimango sveglio ancora per un po'. Finisco di scrivere la giornata di oggi. Quando sento di aver fatto il mio dovere, apro Facebook nuovamente. Spio la tua bacheca. C'è un nuovo post:

Hwang Hyunjin
27 minuti fa presso F., Settima Contea
« "Conservo in me una sensazione indefinibile, che le parole potrebbero dissolvere. C'è ancora tanta strada. Forse nel susseguirsi delle notti e dei risvegli che verranno, uno dopo l'altro, anche questo momento diventerà un sogno."  😍☁️✨
– Banana Yoshimoto, Kitchen»

Seo Bin '90: Ancora con questo libro 😫😫
Hwang Hyunjin: Problemi???? È un pezzo di letteratura!!!
Seo Bin '90: Andresti d'accordo col mio coinquilino ahahaha
Hwang Hyunjin: Presentamelo allora!!! XD
Seo Bin '90: No poi t'innamori 😂😂😅

Qualche secondo dopo, avverto qualcuno aprire la porta della cucina. Changbin entra facendomi semplicemente cenno con la testa, poi si dirige verso il rubinetto e si versa un bicchiere d'acqua. Nel silenzio della notte, sento solamente lui mandare giù l'acqua tutta in un sorso.

"Ancora sveglio, Innie?" rompe il silenzio. È appoggiato al piano cucina, io sono seduto davanti a lui. Una mosca vola attorno al lampadario acceso.

"Non riuscivo a dormire con Minho e con... cosa."

Ridacchia, "Manco io ricordo come si chiama. Son fortunati se arrivano a dicembre, quei due."

Sono per cose così che voglio bene a Changbin. Gli sorrido senza bisogno di dire nient'altro.

"E poi?"

"E poi cosa?" ribatto.

"Perché sei sveglio?"

"Stavo finendo di scrivere."

"Quindi voi letterati oltre a criticare scrivete anche. Interessante."

"Ah ah ah. Divertente."

Si ferma per un secondo. Appoggia il bicchiere nel lavandino. Sembra star riflettendo.

"All'università tutto bene? Mi sembri spento. So che il primo anno può essere pesante."

Scrollo le spalle. "Niente di importante... un po' solo. È okay."

"Puoi conoscere i miei amici, se ti va. Settimana prossima uno di loro dà una festa, che ne pensi?"

"No ti prego."

"Dai, ti divertirai. Sono sicuro che ti staranno simpatici. Alcuni di loro sono dei topi da biblioteca come te."

"Modo bizzarro per dire che sono selettivo nella socializzazione... Il destino di chi ha standard alti."

"Ma vai a cagare, poeta della notte."

"Vengo, comunque." mi affretto a dire.

"Davvero!? Grande!"

Dall'altra stanza, in lontananza si sente Minho consumare con la sua bella. Dal lavandino in cucina cade qualche goccia solitaria. Changbin cammina in punta dei piedi verso il suo letto (cercando di non svegliare non so chi). Quando non c'è più nessuno, resto appoggiato allo stipite della porta finestra. Guardo le stelle.

F. non mi è mai sembrata popolosa come in quel momento. Anche a novembre, sento un calore familiare intorpidire la mia pelle.

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Changbin conosce gente ricca, scopro. E non gente ricca da permettersi qualche viaggio all'anno, o gente ricca da permettersi di uscire a mangiare in ristoranti stellati, o gente ricca da essere stata sempre e solo curata con la sanità privata; beh, probabilmente tutte queste cose. Più una: vivere in un attico in cima ad un palazzo signorile di F., ed avere in aggiunta un mega terrazzo per gli usi più disparati.

Prima della "festicciola", alla quale alla fine è stato coinvolto anche Minho (ma questo lo saprai da solo), Changbin si è raccomandato di procurarsi assolutamente qualcosa per non andare da Chan a mani vuote.

Dunque ci siamo indirizzati verso il nostro discount di fiducia. Dal reparto alcolici estraggo lo spumante col secondo prezzo più basso, alla vista del quale entrambi i miei coinquilini annuiscono.

Inutile dire che a casa di Chan il nostro Vaqebeutel Halbtrocken è il prodotto più economico che la famiglia abbia mai bevuto. Mi è bastato solo entrare in casa per intuirlo.  Sono rimasto un po' spiazzato, in altre parole.

Non volendo far la figura del sempliciotto di provincia, mi trattengo. Quanto a Minho, che sembra già nel suo elemento, lo perdiamo dopo aver varcato l'entrata.

Strattono Changbin verso di me e gli sussurro, "Come diavolo la conosci questa gente?"

Ride compiaciuto, "Segreti del mestiere"

Non portiamo avanti la conversazione, perché vedo arrivare una scorribanda di circa quattro persone verso di noi. In cinque minuti netti conosco Chan (meno figlio di papà di quanto mi aspettassi), Felix (mai stretto delle mani così morbide in vita mia), Jisung (le lenti a contatto blu poteva evitarle) e... Eccoti.

Hyunjin.

"Vi conoscete?" chiede Chan confuso, quando mi rifiuto categoricamente di stringerti la mano per far conoscenza.

"Veniamo dalla stessa cittadina." rispondi tranquillamente, con calma. Sorseggi un po' di birra dal bicchiere che hai in mano. Sei l'unico che sembra ad una sagra di paese.

Hai indosso una camicia a fantasia floreale, sbottonata abbastanza affinché i tatuaggi che avevo intravisto quest'estate siano visibili. I capelli sono leggermente più lunghi di quel che ricordavo. Il tuo sguardo, buono ed innocente, è lo stesso.

Gli altri si scambiano convenevoli. Ti allontani insieme ai tuoi amici.

"Perché non mi hai detto che conosci Hyunie?" mi domanda Changbin, lasciando trasparire un velo di fastidio.

Scrollo le spalle, "Non sapevo lo conoscessi."

In sottofondo,  passa della musica elettronica. Fuori in terrazza varie persone sono raggruppate attorno al DJ. Come un idiota, mi sono dimenticato di dare a Chan la bottiglia di spumante. Ce l'ho ancora in mano.

"Quindi... che si fa?"

Changbin si guarda intorno, si dirige verso la terrazza, "Balliamo un po'?"

Non che potessi rifiutare.

𓆝 𓆟 𓆞

Passate le dieci, senza più lo spumante in mano, gironzolo per la casa.

Changbin è tramortito su uno dei divanetti in terrazzo, avendo bevuto più di quanto fosse necessario. Minho ancora non l'ho incontrato. Per il resto, non mi sto impegnando particolarmente a fare amicizia.

Entro in un bagno alla fine del lungo corridoio. Mi siedo sul sedile del water chiuso. Apro la finestra accanto a me. Appoggio la testa verso il muro (attento a non tirare lo sciacquone).

Martedì abbiamo pranzato insieme. Ci siamo visti al parco vicino l'Ateneo. Mi hai mostrato in tutta la sua gloria un cous cous condito con avocado, zucchine, pomodorini, melanzane e carote. Il solito fricchettone. Personalmente, ho trovato la via dell'Eden con un panino prosciutto crudo e formaggio.

Di per sé, è stato meno terribile di quel che mi aspettassi. Mi hai raccontato di F. e di come tu abbia imparato ad amarla. Speri di laurearti il prossimo anno. Ti sei innamorato del francese da quando hai fatto quel viaggio a Marsiglia quando avevi quindici anni. Un giorno dovrai mostrarmi le foto, dici. Mi parli anche dei tuoi fratelli minori, due gemelli di dieci anni. Sorrido, pensando tu non capisca la solitudine d'essere figlio unico.

Me ne sto in bagno per qualche altro minuto. Canticchio delle canzoni per passare il tempo. Gli eventi sociali hanno l'innata abilità di sottrarmi ogni energia.

Alzo lo sguardo. Noto sul soffitto quella che deduco potrebbe essere una scala incassata. Mi alzo e mi allungo fino a raggiungere il manico. E infatti, apro una scala che conduce al tetto. Poco sofisticato per un attico nella zona centrale di una metropoli. Mi piace.

Salgo sul tetto, che alla fine è come se fosse un altro terrazzo. Non vedo nessuno. Solo cemento grigio. Mi sdraio per terra. Inizia a far freddo, in cielo c'è una luna piena bianchissima. Le stelle quasi non si vedono.

Non ho idea di quanto tempo passi lassù. Ma è bello così. Sbadiglio diverse volte.

Sono rilassato, finalmente. Ed è proprio in quel momento, sul più bello, che ricevo una chiamata dal mio coinquilino preferito. Sospiro senza speranza.

"Che c'è?"

"Dove ti sei cacciato?" Mi chiede, la voce percettibilmente strascicata.

"Sopra il bagno."

"Eh?"

"C'era una scala per accedere al tetto. Abbastanza fuori moda come metodo per una casa del genere, però..."

"Perché non vieni qua?"

"È stancante." sbuffo, incrociando le braccia.

Ignora la frase precedente, "Ti aspetto qui, dai."

Alzo gli occhi al cielo. Forse davvero stare in compagnia era il minimo per ringraziare Changbin dell'invito, "Va bene. Arrivo."

Metto giù il telefono ed inizio a scendere. Sento dal bagno dei rumori sospetti, che mi ricordano le notti insonni in compagnia di Minho e delle pomiciate con la sua bella.

Nulla avrebbe potuto prepararmi allo spettacolo che, cinque o sei secondi dopo, si sarebbe presentato davanti ai miei occhi. Neanche a farlo apposta, la persona il cui fondoschiena vedo appoggiato al bordo del lavandino è proprio Minho. Le cui labbra sono impegnate a baciare appassionatamente qualcuno... A baciare te.

Riconosco la tua camicia a fiori rossa e gialla. Noto che hai tutti i capelli in faccia a coprirti la visuale, le gote rosse per il caldo o perché...

Fingo un colpo di tosse. Minho si gira di scatto.

"Interrompo qualcosa?" chiedo a quel punto.

Minho scosta il viso dall'altra parte, verso il water, tu ti allontani immediatamente da lui. Neanche mi guardi in faccia. Hai il fiato corto. Mi chiedo se tu abbia riconosciuto la mia voce.

Minho si passa il dorso della mano sulle labbra, come se si stesse togliendo uno strato di rossetto. Deglutisce. Picchietta le sue dita contro il lavandino nervosamente.

"Vado a prendere da bere" esordisce, alla fine. Scende giù dal mobile, si fa spazio fino alla porta, ed è subito nel corridoio affollato.

Rimbombano le voci degli invitati. La musica elettronica. Qualcuno urla, altri si versano per sbaglio le bevande addosso. Spero che il mio spumante non sia ancora finito su qualche tappeto costoso. Voglio provarlo.

"Non è come sembra." dici, riportandomi alla realtà. Riesci a guardarmi negli occhi, anche se torturi con le dire le pellicine al lato delle tue unghie.

Mi esce fuori una risata sarcastica, "Ah no? Era un nuovo esercizio di respirazione per la bronchiectasie?"

"Cosa?" chiedi, genuinamente confuso. Solo in quel momento mi viene in mente che puoi aver conosciuto Minho cinque minuti fa. Magari neanche sai il suo nome.

"Lascia perdere."

"No, intendevo... non è come se... volessi stare con lui." spieghi meglio, mentre io mi chiedo cosa ci sia da chiarire. Scrollo le spalle. Sono proprio un idiota.

"Lo spero." rispondo, "È fidanzato."

Mi guardi, ma il tuo sguardo è enigmatico. All'inizio sembri preoccupato, ti adombri di colpo; poi, qualcosa dentro di te si affievolisce, e ho l'impressione tu sia sollevato. Non riesco a spiegarmi il perché. Hai sempre saputo più cose di me.

Fai un passo verso di me, "Quindi per te è okay?"

"Che tu ti metta con qualcuno fidanzato? Datti dei limiti, Hwang."

"No, no" ti affretti a dire imbarazzato, intanto ti avvicini ancora di più e le nostre mani si sfiorano per un secondo, "Intendo... baciare un ragazzo."

Ti dò un pugnetto sulla spalla, nella mia testa doveva trasmettere sicurezza, "È il 2011, Hyunjin. Limona con chi ti pare. Basta siano single."

Scuoti la testa, ancora a disagio, "Sì sì... Avrei preferito che non ne venissi a conoscenza così."

"È okay." dico, ma qualcosa non è del tutto al suo posto. Non saprei dire cosa. Non avevo considerato ti potessero piacere davvero i ragazzi, forse, prima che ci trovassimo entrambi in quel bagno. "Ho letto Verlaine, alla fine."

"Ah sì? E che ne pensi?"

Inclino la testa, come se stessi cercando le parole giuste, "Non credo avessi ragione. La poesia di Verlaine è più tua. Sono... com'è che si chiamavano? Ne parlava in Art poétique, quella poesia lì..."

"Intendi le nuances?"

"Esatto. Quella roba è tutta tua." È delicatezza. È una carezza sul viso. La tua esistenza è sempre stata un bacio timido sulla mia.

"Beh, anche Rimbaud..."

"Rimbaud ha smesso di scrivere a ventinove anni. Ed è andato a vendere armi in Africa. Poi è morto di cancro qualche anno dopo. Non penserei alla purezza riferendomi a lui." avevo fatto delle ricerche, come puoi constatare.

Alzi le mani in segno di resa, "Come vuoi, Yang che legge Rimbaud. Vuoi... Ti va di andare a bere qualcosa? Minho mi ha detto che di là stanno servendo della vodka alla frutta."

"In realtà dovrei raggiungere Changbin ora."

"È fuori e ancora ubriaco."

"Vabbè, andiamo."

Ci sediamo vicino a Changbin su un divanetto all'esterno dove si è appisolato. Mi domando come, con tutto il baccano e le persone che ballano. Sei in mezzo a me e Changbin, e sorseggi da un flûte una vodka alla fragola.

"Non mi hai mai raccontato come ti trovi ad F."

"...Bene." tutto sommato, penso sia la parola che rappresenti meglio la situazione. Il tuo interesse per qualche ragione mi coglie di sorpresa.

"Com'è vivere con Changbin? Sai che siamo stati coinquilini al primo anno?"

"Siamo abbastanza coordinati, ad essere sincero. È ordinato e, al contrario di Minho, non porta i suoi interessi romantici ogni sera a casa per consumare. Comunque non sapevo aveste vissuto insieme."

"Minho è tuo coinquilino?!" scoppi a ridere e butti indietro la testa. Finisci perfino per sporcarti la camicia con la vodka. Prendi in mano la zona incriminata come a constatare la veridicità della tragedia, "Cazzo."

"Esattamente." confermo, gustandomi per bene la parola.

"Comunque Changbin dev'essere migliorato con gli anni. Quando eravamo matricole lavava i piatti forse una volta ogni tre giorni. Lo odiavo."

Dal mondo dei morti, mezzo sdraiato, Changbin ti mostra un dito medio. Evidentemente non sta dormendo.

"Tu vivi da solo?"

Annuisci. Giri la cannuccia per il perimetro del bicchiere, "Sì. Solo per quest'ultimo annetto. Poi... chissà."

"Cosa fai? Andrai in Francia sul serio?" chiedo, quasi scherzosamente.

Lasci il drink su un tavolino lì vicino. Appoggi la testa sui cuscini del divanetto. Sei girato completamente verso il mio lato. Mi guardi negli occhi, "Mi piacerebbe, non posso negarlo."

I tuoi occhi sono contornati da una riga di matita nera grossolana. Sono piccole caramelle e lenti d'ingrandimento sul mondo. Vedo il mio riflesso dentro le tue pupille.

Il pensiero di te in Francia mi provoca una stretta al cuore sconosciuta. Giustifico questa reazione perché qui ho pochi amici, e mio malgrado sei tra questi. E probabilmente saresti anche una di quelle persone che non mi giudicherebbe se dicessi loro che sono gay. Ora so che è impossibile. E che sei più coraggioso di me.

"Allora lo spero per te."

"Yang, da quando sei diventato così emotivo?" mi mostri un sorriso furbo. Ricambi il colpetto alla spalla che ti ho dato prima.

"Sarà novembre..."

"Non hai tutti i torti." dici, poi ti giri. Il tuo sguardo davanti a noi. Le persone che ci circondano. Un aereo squarcia, piano piano, il cielo. Uno strappo nel cielo di carta. Oreste diventa Amleto. "Son contento ti piaccia F. È una bella città per fare amicizia. Tutti i miei amici li ho qui. Torno saltuariamente a T."

"Come mai? È successo qualcosa?"

"Diciamo che i miei amici di lì quando hanno scoperto che mi piacciono i ragazzi quattro anni fa non l'hanno presa bene. Vado solo per vedere la mia famiglia e anche d'estate mi fa piacere passare molto tempo con loro. Per il resto me ne sto qui."

"Caspita. Mi dispiace." ti stringo la mano per un lunghissimo secondo. È un contatto elettrizzante.

I miei pensieri arrivano fino a Seungmin. Si riaffaccia la scena al torrente di quando avevo sedici anni. Penso alla reazione di Seungmin se l'ultimo giorno di scuola gli avessi detto la verità.

E oso pensare che forse mi ero sbagliato su di te. A conti fatti potresti non essere il fricchettone romantico superficiale che mi avevi dato l'impressione di essere. Potremmo essere più simili di quel che mi immaginavo il giorno del mio diciottesimo compleanno.

"Son cose che capitano. Poi, pensa che amici di merda avrei." ci bevi su e sorridi, però avverto una leggera nota malinconica. Magari stai pensando a cosa sarebbe successo se non avessi detto nulla. O se passassi il tempo ad ossessionarti sulle taglie di reggiseno delle ragazze. O qualsiasi cosa facciano i ragazzi etero.

"Ad ogni buon conto" dici alzandoti, "ora credo che me ne torno a ballare. Felix mi avrà dato per disperso. Vieni anche tu?"

Dò una pacca sulla coscia di Changbin, "Mi sa che noi ce ne torniamo a casa."

Sorridi per forse l'ennesima volta durante la serata, "Va bene. Ti sei divertito stasera?"

"Non utilizzerei la parola divertito, ma non è stato tremendo."

"C'è margine di miglioramento, allora."

"Già." schiudo le labbra in un sorriso.

Quella notte, una volta lasciato Changbin a dormire nel suo letto, accendo la luce in cucina e inizio a scrivere. Le parole escono fluidamente da sole, scrivo di fretta. È un'urgenza impellente. Sento che non potrei arrivare alla mattina senza aver registrato ogni dettaglio della sera. Ma la scrittura è una bastarda: i ricordi svaniscono mentre vengono tramutati in parole, e le sensazioni perdono i loro connotati.

Anni dopo, ora che faccio questo lungo riepilogo, ritrovo la stessa pagina:
12 novembre 2011
[...] La camicia era floreale e sporca di vodka. Hyunjin si è impiastrato mentre parlavamo sul divanetto. Gli ho detto che vivo con Minho. È stata una scena comica. Porto gli strascichi di una sensazione di pace. Una pace torbida. Tormentata. Un mare presto in tempesta. Guardo le onde dalla riva. Spiaggia dorata, malinconia... Hyunjin Hyunjin Hyunjin
È come me
Mi guarda allo specchio

𓆝 𓆟 𓆞

Mi rimetto sul treno per T. in una giornata piovosa di dicembre. Abbasso il tavolino offerto dal treno ad alta velocità, ci appoggio il mio astuccio e gli auricolari. Prendo il libro dallo zaino, lo apro ben bene. Continuo la lettura.

È il turno de La signora Dalloway. A occhio e croce sarà la terza volta che lo leggo. È una rilettura invernale obbligatoria per me, da qualche anno a questa parte.

Guardo fuori dal finestrino la campagna arida. Nuvole grigie si espandono nel cielo. Sempre più gocce si abbattono sul finestrino e fanno a gara a chi corre giù più velocemente.

Il treno è praticamente pieno. Ed è anche comprensibile, essendo quasi Natale. Davanti a me è seduta una coppia di anziani sulla settantina: lui, dalla parte del finestrino, dorme profondamente e lei, accanto, tiene ben stretta a sé la sua borsetta. Mira e rimira i viaggiatori intorno a lei.
Io leggo e rileggo La signora Dalloway. Ogni tanto, contraggo e rilasso i muscoli della mano, come si fa quando si scrive per talmente tanto tempo da atrofizzare la mano e far comparire i calli. Il mio callo dello scrittore si forma sempre sulla punta del medio, finisce per apparire quasi appiattito. Ma nel viaggio verso T. la scrittura non c'entra niente col movimento della mia mano. Sono agitato.

E mentre mi avvicino al nostro piccolo paese, mi diverto ad immaginare che la campagna desolata che continua a mostrarsi dal finestrino del treno sia la campagna inglese che circonda Bourton.

Sottolineo, prima in matita e poi con la penna rossa più e più volte (mi infilo in bocca il tappo della penna):
Portami con te, Clarissa pensò d'impulso, come se egli fosse sul punto di partire per un lungo viaggio; e poi, subito dopo, fu come se i cinque atti di un dramma che era stato tutto eccitante e commovente fossero giunti alla fine e lei avesse già vissuto una vita intera e fosse fuggita con Peter, avesse vissuto con lui, ed ora era tutto finito.

Quando arrivo al portone di casa dei miei ancora pioviggina. In una mano ho il trolley dove ho riposto le mie cose per la settimana che mi si prospetta davanti, in spalla ho uno zaino con i libri che dovrei studiare.

Mi accoglie mia mamma, struccata ed in pigiama. Sono quasi le sei del pomeriggio e sta scaldando un pollo al microonde. Papà è al lavoro, mi dice. Lei non lavora più. Mi dice anche questo. Seduta sul divano, una soap opera in tv, mangiando un'ala di pollo. Ha smesso con gli uomini e con il capitalismo. Vendeva porta a porta aspirapolveri e bigodini. Si truccava la sera per tradire le promesse di nozze settimanalmente. Papà gliel'ha sempre concesso.

Mi siedo accanto a lei. Gli attori in tv stanno girando per un supermercato.

"Cosa facciamo a Natale?"

Morde un pezzo di carne, "Papà andrà dai suoi genitori. Io ho smesso."

La guardo... E sono emozioni nuove. Forse paura. Esitazione. Disdegno. Misericordia. Ci son tante parole che non uso mai. "Con cosa?"

"Con gli uomini, con tuo padre, col lavoro... Con tutto il resto."

Immediatamente mi viene alla mente l'ultimo mese di liceo, durante il quale quasi mi costringeva a studiare. L'idea di sequestrare i miei averi era di papà, ma lei l'aveva accolta di buon grado. Intanto, nel presente, continuo a non capire.

Lascia le ossa che rimangono nel piatto, "Chiedi a lui se vuoi andare anche tu. Dai parenti a Natale, dico."

Annuisco e basta.  Apro Facebook. Ai vestiti e ai libri e a La signora Dalloway avrei pensato dopo. Trovo varie notifiche. Due dalla casella messaggi. Non ho voglia. Scorro la home e basta.

Hwang Hyunjin
18 ore fa presso T., Quinta Contea
La famiglia migliore che potessi desiderare!!! Ora e sempre VI AMO ❤️❤️❤️  Quando tutto va male, so che posso contare su di voi!!! ❤️😍

Hai allegato due foto: la prima solo coi tuoi genitori, una donna dal sorriso come il tuo che avrà sui quarant'anni ed un uomo magro, alto quanto te, dai capelli brizzolati; la seconda foto coi tuoi due fratelli minori. Li stai abbracciando. Ti arrivano appena sopra i fianchi. È quasi sufficiente a farmi commuovere.

Mamma mi scompiglia i capelli mentre continua a guardare la sua soap opera. "Mi sei mancato, lo sai?"

Mi rifugio nella sua spalla, accovacciandomi nel piccolo spazio del sofà. Non ci sono parole per addolcire la pillola. Per non dire a mia mamma che non so se mi è mancata.

In tv, appare una donna anziana che indossa un tailleur leopardato, abbinato a degli occhiali da vista di un improbabile fucsia. Mi metto a ridere, "Potrebbe essere la mia prof di Letterature comparate."

Anche mamma ride. E parliamo di stupidaggini fino a sera. Ma lei col resto ha finito. In qualche modo, mi sento grato del fatto che non abbia finito con l'essere genitore. Ci prova. Forse Seungmin si sbagliava: non l'avrei accompagnata ai suoi dates.

Riapro la schermata di Facebook, questa volta guardando il box dei messaggi. Uno è da parte tua:
Hwang Hyunjin
Yang che legge Rimbaud! Torni a casa per le vacanze?? Buona fortuna con gli esa..

L'altro, e mi stupisco, è da parte di Seungmin:
Kim Seungmin
Jeongin, hai da fare il 25?

Digito una risposta: "No, non credo"

"Allora sei invitato dalla mia famiglia a Natale!!! Mia mamma ha detto che le manca averti in casa"

"Perché non sono schizzinoso come te?"

"L'importante è che tu venga  :-)"

"Porto dell'alcol?"

"Sul ponte quando vuoi. Non presentarti a Natale con la vodka"

"Per il 25 dubito cmq. Però sul ponte va bene anche domani"

Verso le otto, papà torna a casa. Mangia il pollo che mamma ha lasciato nel microonde. Cena, col telegiornale acceso, sotto la luce solitaria della cucina.

Lo osservo dalle scale. Diario aperto, descrivo anche questa giornata di dicembre. Con paura in quell'immagine di mio padre rivedo me stesso ad F. Ringrazio il cielo, o chi bisogna ringraziare, di avere Changbin e anche Minho. Di cenare solo poche sere, sporadicamente.

Prima di andare a dormire, papà ed io ci incontriamo sul pianerottolo. Non mi ha ancora parlato da quando ha rincasato. La luce del bagno, lasciato aperto, illumina freddamente il corridoio. Accentua le sue rughe sugli zigomi, ai lati degli occhi, sulla fronte. Sta invecchiando ed io ho solo diciotto anni. Ha le lacrime agli occhi. Mi abbraccia.

"Torna quando vuoi." sussurra, attaccato alla mia spalla. Mi stupisce rendermi conto di essere più alto di lui. Di circondarlo in un abbraccio. Chiudi di nuovo le mie cose nella tua camera da letto, vorrei dirgli. Era solo sei mesi fa ma fallo, vorrei dirgli.

"Grazie."

Quando l'abbraccio finisce e lui scompare nella sua stanza, sento una pressione non nuova, ma più lucida al petto. Sono il cemento che tiene uniti due mattoni che stanno cadendo.

Dicono che ogni persona è il risultato dell'amore di tanti innamorati venuti prima di loro, ma non è così. Al buio di casa dei miei, nell'anno dei miei diciotto anni, in una notte che ancora non ferma la pioggia... Realizzo che i miei non si sono mai amati.

𓆝 𓆟 𓆞

Il ponte è un luogo solo mio e di Seungmin.

Lo attraversavamo da bambini in estate per andare a fare il bagno al torrente a pochi chilometri da T. Con il passare degli anni e l'arrivo dell'adolescenza, il ponte è diventato il nostro più caro punto d'incontro. Si tratta di un ponticello in piena campagna, che collega due coste di anonimi campi di grano e che si raggiunge pedalando.

La mattina di Santo Stefano mi dirigo verso il ponte. A Natale (passato comodamente in salotto a finire La signora Dalloway dopo un pranzo coi parenti di papà) ha nevicato tutto il giorno, e un manto bianco gentile ancora copre e coccola questa terra burbera. Pedalo, pedalo, pedalo. Tra le ascelle, tengo strette due lattine di birra perché di meglio non ho trovato.

Seungmin è già lì che guarda l'orizzonte quando arrivo. È sempre stato una persona mattiniera, durante ogni sua fase di fisse pazze. Chissà quale sarà quella di questo periodo, mi domando. Appena mi vede mi saluta con la mano. Sento di non essere tornato a T. se non in quel momento.

Ci sediamo sul parapetto del ponte. Gli passo una lattina di Kulmbacher.

"Cosa si dice in questi casi?" chiede Seungmin, con aria divertita.

"In questi casi, ossia...?"

"Quando non vedi il tuo amico d'infanzia da più di quattro mesi."

"Bevi della birra tedesca, suppongo." dico, e ne bevo un goccio dalla mia lattina.

"Niente vodka, però?"

"Trova tu della vodka dal discount in piazza, ti sfido." osservo le nostre gambe che penzolano giù. L'acqua scorre, "Quindi, sei stato soddisfatto del tuo voto agli esami?"

"Sì." inclina la testa, "Ma ho realizzato non me ne importasse più di tanto."

"Di cosa ti importa?"

"Non lo so. A te?"

Sbuffo, "Le solite cose. La famiglia, gli amici, te, la felicità..."

Seungmin si lascia scappare una risata, "Da quando ti importa di queste cose? A maggio mi avresti detto che la tua priorità era leggere Norwegian wood in aula computer senza che qualcuno rompesse il cazzo."

"Ho cambiato idea."

"Nah" beve della birra, "Prima semplicemente non riuscivi a dirlo. Almeno hai qualcosa di cui ti importa. Io..."

"Tu?"

"Lascia stare." e lascio veramente stare, in questo freddo Santo Stefano.

Pochi metri più in là, sulla riva sassosa ad ovest del ruscello, a sedici anni ho visto la pelle di Seungmin incresparsi di una doratura rinnovata, ai confini della realtà. Una bellezza che così tanto mi attirava a sé che avrei voluto piangere. Non sono mai stato innamorato di Seungmin, ma quel giorno avrei voluto avvertire col tatto il tepore della sua pelle, esplorare le sue labbra come esploravamo da bambini i campi di grano d'estate...

Ora Seungmin è accanto a me. A scaldarlo c'è un buffo piumino verde fluorescente che non ha chiuso con la zip, quindi riesco a intravedere ulteriormente un maglione natalizio con dei Babbo Natale e vari musi di renne.

"Conosci Hwang Hyunjin?" gli chiedo, quando il silenzio tra di noi diventa insopportabile.

Scuote la testa, "Solo di nome, in realtà. Perché?"

"Studia anche lui ad F." limito così la mia spiegazione, "L'ho conosciuto per questo."

"Conoscevo dei suoi amici." aggiunge, mentre gioca con la lattina che ha tra le mani, "Non che lui abbia più degli amici qui, ad essere onesto."

"Già. Mi ha detto cos'è successo, quando insomma..." maledico me stesso. Neanche riesco a dire quella parola ad alta voce.

"Sì, quando hanno scoperto che è gay. Dio, Jeongin, ma hai vissuto sotto una roccia negli ultimi quattro anni? A scuola non si parlava d'altro in quel periodo."

Anche portando la mente a ritroso nel tempo, non riesco a ricordare una singola parola sull'evento. A diciassette anni stavi morendo dentro, e io cosa facevo?

"Non sono mai stato molto socievole. Figurati al tempo... Mi è dispiaciuto quando me l'ha raccontato. Non me l'aspettavo."

"Gli hanno reso la vita un inferno." sospira, "Ognuno ha i suoi percorsi nella vita, suppongo."

Une saison en enfer.

Ti immaginavo vicino a me. Con quell'aria calma, sicura, quella leggerezza d'animo che hai sempre sfoggiato sul volto.  Non riuscivo a concepire il perdere tutte le amicizie come percorso di vita. Ma non riuscivo neanche a comprenderti senza la versione che ho conosciuto di te, quella che diceva che ero Verlaine e che baciava il mio coinquilino in un bagno ad una festa e che sognava una vita in Francia. Quella della piccola stella sulla clavicola.

"Tu... Tu che avresti fatto? Se fossi stato amico di Hyunjin?"

"Quanti anni avevamo, all'epoca?"

"Quattordici."

"Allora... Lo avrei invitato per una partita a Risiko." giusto, l'era dei giochi da tavolo, "A volte non puoi fare più di così, no?"

Sorrido, "Hai ragione." in un sorso butto giù la birra che è rimasta, "Cosa vuoi ora?"

"Non lo so. Veramente." scende dal parapetto, per poi appoggiarsi su di esso a braccia incrociate, "Una casa. Una famiglia, credo. Un lavoro che mi permetta di vivere ed andare in vacanza d'estate. Non lo so. Ora non lo so."

La confusione è forse l'unica passione ardente a diciotto anni. Persino Seungmin, che per tutta la sua vita ha collezionato interessi e passioni intense, d'un tratto è vuoto di ogni cosa. Penso che sia la vertigine dell'età adulta: diventare più grandi, più indipendenti. Più persi. Lontani da qualsiasi forma di futuro ci immaginiamo a dieci, quindici anni di distanza.

Mentre percorro in bici la strada per tornare a casa, riesco a pensare solo a Seungmin. Al fatto che gli voglio bene. Al fatto che nonostante gli voglia bene non mi sono sentito me stesso. Non potevo raccontargli tutto. Non come prima. So che la nostra amicizia non è destinata a sparire. Eppure non so più che scopo abbia.

Pedalo per la campagna che conosciamo da tutta la vita. Dovrei chiamarti. Vorrei sentirti. Ascoltare lo sviluppo della tua tesi di laurea. O ascoltarti parlare di letteratura francese. Tutto quello che vuoi. Mangiare con te: un cous cous e un panino al prosciutto.

Dividere la terra di mezzo con Changbin, mia mamma, Seungmin. Trovare uno spazio libero per scrivere una storia. Niente giornate. Un'eterna vita inesistente.

𓆝 𓆟 𓆞

"Non è così male come credi. Alla fine ti piacerà."

"Hyunjin, sinceramente prevedo solo una prossima rottura di coglioni."

È l'ultimo giorno del 2011. Siamo seduti sulla tua Opel corsa 2002 sgangherata. Stai guidando ad una velocità sotto la media perché "meglio prevenire che curare" e mi stai portando verso la discoteca più vicina, che è a quaranta minuti da T. Mi chiedo se tornerò vivo a casa. In radio passa We found love di Rihanna e Calvin Harris.

"Ti piacerà talmente tanto che quando torneremo ad F. mi implorerai di andarci tutti i sabati."

"Oh, scegli un altro modo di torturarmi."

"Non ti fa piacere stare con me, Jeongin?" sogghigni, mentre alzi il volume della radio.

"Tu" lo indico col dito, "rigiri la frittata."

Ad una rotonda, metti la freccia per svoltare a sinistra. Stiamo attraversando un altro paese che potrebbe essere scambiato per il nostro. L'insegna luminosa rossa di un supermercato ci trafigge per un brevissimo istante.

"Io" fai una pausa, per imitarmi, "ti sto facendo fare tipiche esperienze adolescenziali."

Rimango senza parole, per almeno due o tre secondi. Di riflesso, anche il mio sguardo si abbassa. Cambi marcia mentre torniamo in aperta campagna. Quando sono sicuro i tuoi occhi siano fissi sulla strada, mi permetto di guardare il tuo viso. È sereno.

"Quanto manca?" chiedo per cambiare discorso.

"Cinque minuti."

Effettivamente, cinque minuti dopo parcheggi nelle vicinanze della discoteca Il porto, nome decisamente interessante per un locale che si trova nel bel mezzo di una pianura senza alcuno sbocco sul mare. Non mi lamento, però, perché almeno dall'esterno non pare così malfamato.

Tu ti senti visibilmente più a tuo agio di me. Ancora siamo in fila, quando inizi a fare strani balletti in completa assenza di una base musicale o d'una parvenza di ritmo. Assumo un'espressione tutt'altro che accondiscendente verso tali spettacoli in luogo pubblico. Ma tu ridi, ridi a crepapelle e probabilmente è anche la tua parte preferita della serata.

"Bisogna scaldarsi, Yang che legge Rimbaud." mi dici scherzosamente. Mi volgi gli occhi e sembra tu penda dalle mie labbra, così... Ho la tua espressione indelebilmente impressa nella mente. Son passati anni. Non riesco ancora a decifrarla.

Entriamo dentro (sono già passate le undici) e Il porto è stracolmo di gente. Il dj passa dei remix di dubbio gusto delle hit del momento ad un volume che, se non fossimo in mezzo alla campagna, sarebbe da denuncia. Lo giuro.

Ti avvicini al mio orecchio, "Vuoi da bere?"

"Alcol?"

"Beh, è Capodanno!"

"Un gin tonic andrà bene."

Annuisci, mi fai ok col pollice. Ed ecco che sparisci nella folla. Torni una decina di minuti dopo con un bicchiere di gin tonic e una lattina di Fanta. Mi passi il mio bicchiere e subito ricominci a ballare. E sei libero. E canti a squarciagola. E non te ne frega proprio niente. Le tue adidas scivolano leggere sul pavimento da ballo. E io sento di non poter far altro che guardarti.

Avrei passato tutta la serata così, sorseggiando un gin tonic e guardandoti ballare al mio fianco, se ad un certo punto non mi avessi preso per le mani per coinvolgermi nella tua danza. Il goccio di drink che rimaneva mi sporca i pantaloni, il mio bicchiere e la tua lattina cadono a terra. Va bene così.

"Che ne pensi di questa?" urli, riferendoti alla canzone che sta passando.

Riconosco vagamente Alors on dance grazie al suo leitmotiv molto specifico, "Ė francese."

"Eresia!" fingi drammaticamente un tono oltraggiato, "Stromae è belga."

Alzo gli occhi al cielo. Nota per il futuro: mai parlare di francofonia con te. Ma ormai sono in questa situazione, dunque rispondo, "Sempre in francese canta."

"Touché." rispondi, "Mi sa che non sei proprio tipo da discoteca. Non hai quasi ballato. Mi dispiace perché è Capodanno  e dovresti divertirti e ti ho messo in testa di venire qui e..."

"Hyunjin, è solo una serata."

In lontananza, ma il resto mondo è così distante da sembrare in un'altra galassia, gridano con gioia la fine di un conto alla rovescia. Qualcuno spara dei coriandoli. Qualcuno di essi ci finisce addosso.

"Ed è il 2012." aggiungi. E dicendo ciò cingi le tue braccia intorno alle mie spalle. Intorno a noi la gente salta e si abbraccia. Noi continuiamo a dondolare adagio, siamo una barchetta allo stretto di un fiume.

Ci sorridiamo. Il mio cuore si scontra contro la mia gabbia toracica, perché ad ogni secondo ti ho sempre più vicino e, senza che io possa prevederlo, il mio respiro si confonde col tuo. E mi chiedo che ne sai. Mi domando se è così evidente.

Però le nostre labbra non si sfiorano mai, neanche quando accarezzi con le dita la mia mascella. Mi scosto leggermente, mormoro scusa. Scuoti la testa imbarazzato. Il 2012 continua come un qualsiasi altro anno. Ma di quel piccolo frammento di tempo non ne parleremo per mesi interi.

A volte dubito sia esistito. Un sogno febbrile. Ma la sua presenza è firme tra le pagine del mio quaderno, che inevitabilmente raccontano la storia di quella e tante piccole cose che ho sbagliato e sbaglio a comprendere.

Un bacio mancato, rimasto in una discoteca gremita di gente il primo gennaio del 2012.

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