I Temibili 10

By GiulSma

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•Terzo volume della serie Le cronache dei Prescelti Celestiali• «We are here...» Negli Stati Uniti si sta ve... More

Prologo
1|Proprio come Eleven
2|Kitsune
3|Strizzacervelli
4|Di nuovo coi guardiani
5|Il MMantello
6|Chi è L. Degare?
7|Terapia di coppia
8|Team Anti-Killer X
9|Un gelato a marzo
10|L'avventuriera
12|Killer X
13|Sebastian
14|Resisti
15|Una pessima babysitter
16|Fuggire dai problemi
17|Biscotto?
18|Necessario per vincere
19|Marta, sei un genio!
20|Petali blu
21|Pagina bianca
22|Segreti
23|Sta succedendo
24|Chiamata alle armi
25|Odi et amo - M&A
25|Odi et amo - R&D
25|Odi et amo - B&J
25|Odi et amo - E & A/S
25|Odi et amo - D & T
25|Odi et amo - G & T
25|Odi et amo - Loro...
26|Salvare i salvatori
27|Requiem
28|Sei il nostro piccolo Sole
29|Harron
30|Pace?
31|Regina dei mostri
32|In viaggio per Zurigo
33|Il succo è la mia debolezza
34|C'è un asino dietro di te! Ah no, è Nicholas
35|Basta bugie
36|Il tempo scorre
37|Impossibile tocco di due dita
38|Chiromante
39|Non si torna più indietro
40|Non dimenticare le calze
41|Che la missione abbia inizio
42|Φιλία
43|È finita
44|Duo mortale
45|Esprimi un desiderio...
Epilogo
⚜️ Curiosità ⚜️
Ringraziamenti

11|Un pomeriggio col principino viziato

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By GiulSma

Sebastian si appoggiò sul muretto del balcone, privo di qualsiasi pianta come invece lo erano tutti gli altri. Suo zio non amava le piante, diceva che portavano insetti schifosi come formiche, coccinelle, cimici, bruchi, ragni e quant'altro. La sua fobia per gli insetti aveva reso la loro penthouse priva di qualsiasi pianta eccetto quelle finte che teneva in salotto e faceva finta di annaffiare quando arrivavano gli ospiti.

"Finto" pensò Sebastian. Il suo respiro si condensò in una nuvoletta. "Questo mondo è finto. Vivono tutti di illusioni e nonostante si sappia che sono tutte menzogne alle persone piace lo stesso. Io non li capisco".

Guardò in fondo e vide il cielo tingersi di rosso. Era l'alba del 13 marzo 2021.

Tirò fuori dal taschino un orologio ereditato dal suo bisnonno. La catenella era d'argento, ma il resto era d'acciaio. Il suo bisnonno era un ricco apparente.
Dava grandi feste, faceva finta di essere qualcuno di potente e spendeva tutti i soldi guadagnati dalle sue scoperte scientifiche per finanziare feste o piccoli progetti destinati al fallimento.
Tutti lo ricordavano per la sua grande intelligenza, tanto grande da potersi accostare a Einstein, Newton o Leonardo Da Vinci, ma per Sebastian non era altro che un uomo che sapeva vendere bene le sue menzogne.

"Finto" continuò allontanandosi dal muretto. "È tutto finto".

Persino i suoi amici erano finti. Lo avevano abbindolato con frasi fatte come "Ti vogliamo bene", "Non stiamo con te solo per i tuoi soldi" o "Saremo migliori amici per sempre". Ma alla prima occasione gli avevano tutti voltato le spalle.

False promesse. Finto. Tutto finto.

E l'amore dei suoi genitori? Finto anche quello. Dicevano di volergli bene e poi non passavano mai del tempo con lui, e lo avevano spedito dallo zio a Milano nella speranza che potesse sviluppare il suo rapporto con lui o trovarsi nuovi amici.

Ma anche suo zio non era quasi mai presente e per quanto l'uomo cercasse di includerlo si vedeva che i suoi sorrisi e i suoi modi gentili erano forzati. Finto. Suo zio era finto.

Osservò il sole fare lentamente capolino all'orizzonte. Digrignò i denti frustrato e rientrò nella sua stanza.

Si guardò intorno. Era immacolata. Tutto era perfettamente pulito e spolverato e ogni cosa era al suo posto. Non sopportava il disordine e non sopportava nemmeno lo sporco.

Forse la sua era una fissa, ma non lo avrebbe mai ammesso. Per lui pulire era terapeutico, lo aiutava a distrarsi dai suoi pensieri articolati e complessi che spesso prendevano una piega pessimista.

Ripose su un appendino il suo cappotto e prese il telefono che aveva riposto sulla scrivania.
Sulla schermata di blocco apparve un fastidioso promemoria:

RIPASSO DI MATEMATICA CON LA NANETTA ORE 12

Sbuffò infastidito e cancellò il promemoria. Non aveva la minima voglia di vedermi quel giorno, aveva altro di cui preoccuparsi. Ma ormai aveva promesso alla dottoressa che avrebbe fatto un tentativo.

"Anche lei è finta" pensò. "Mente alla sua amica. Che sia un atto di eroismo in nome dell'amicizia o meno, lei è proprio come tutti gli altri. Nauseante, fastidiosa, irriverente falsa".

(Mi sento offesa)

Ripose con cura il telefono sulla scrivania, raddrizzandolo in modo che fosse parallelo con il bordo. Spense la luce della sua stanza, rimanendo immerso nella quiete dell'oscurità per qualche secondo. Poi la sua pancia brontolò.

"Ciò che lo stomaco comanda, lo stomaco avrà" pensò con tono ironico.

Uscì dalla stanza chiudendola a chiave in modo che suo zio non ficcanasasse tra le sue cose com'era già successo qualche giorno prima.
Aveva trovato alcuni dei suoi quadernetti dove teneva le sue idee e i suoi pensieri più importanti. Erano come dei piccoli diari e si era sentito violato nel sapere che erano stati letti. Dopo quella volta si era assicurato di nasconderli in un posto difficile da guardare: il suo materasso.
Sì, era pazzo, ma almeno era previdente.

La sua pancia brontolò ancora.

"Va bene, va bene... come sei noioso" disse al suo stomaco. E andò in cucina.
Uno yogurt al pistacchio gli avrebbe risollevato il morale.

༺ 𓆩♱𓆪 ༻

Riaprii lentamente gli occhi ritrovandomi svaccata sul mio letto. Le coperte erano tutte spostate su un lato lasciandomi esposta al freddo del mattino e i pantaloni del mio pigiama si erano arrotolati durante la mia dormita.
Il falò, la festa con i prescelti, era stato tutto un sogno? No, non credo.

Mi alzai con la testa dolorante dalla stanchezza e accesi il telefono per controllare chi fossero le nuove vittime di Killer X.

Aprii la chat di Kitsune. Di solito la mattina mi mandava una ventina di messaggi monosillabici, spesso senza senso, condividendo i link dei siti delle notizie del killer, ma quel giorno non fece nulla di tutto ciò.

C'era un solo messaggio in chat, uno che mi fece rabbrividire: "Dobbiamo parlare".

Scrollai di dosso la stanchezza e mi alzai sentendomi come se avessi un laccio stretto sulla testa.
Barcollai fino ad arrivare in cucina e notai che le tapparelle erano alzate.
O i miei genitori si erano dimenticati di abbassarle o erano andati da qualche parte senza dirmi nulla.
Controllai per sicurezza nella loro stanza. Niente. Non c'erano.

Ricordavo che avessero accennato vagamente ad un corso di yoga che volevano fare nel weekend, ma non pensavo che avessero già iniziato a farlo.

Diedi un'occhiata all'orologio e per poco non mi presi un infarto. Erano le nove di mattina ed ero ancora in pigiama. La scuola era già iniziata da un'ora.

Imprecai in silenzio e pensai sul da farsi. Mi era capitato spesso di assentarmi a causa di sgraditi interventi paranormali, ma mai per aver dormito troppo.

Cos'era successo la sera prima?

"Qualunque cosa ti possa dire, qualunque proposta ti possa avanzare, con qualsiasi cosa ti possa minacciare... stai... lontana... da lui".

L'Avventuriera. Avevo bisogno di parlarle ancora, mi servivano risposte. Guardai il telefono. Ma dovevano aspettare, Kit aveva la precedenza.
La chiamai. Lei rispose subito, come se stesse aspettando ansiosamente vicino al telefono, sperando che suonasse.

«Vediamoci a casa mia appena puoi» disse senza neanche salutare.

«Aspetta, non sei andata a scuola?»

«No, ho passato la notte in bianco»

«Kit...»

«Era importante! Ho scoperto la verità, devi ve-»

La chiamata si interruppe. Guardai il telefono confusa, poi il terrore prese il sopravvento. E se le fosse successo qualcosa?

Corsi in camera, afferrai i primi vestiti che riuscii a trovare e mi cambiai a velocità lampo.
Kitsune era troppo lontana, ma andare coi mezzi era fuori discussione. Ci avrei messo troppo.

"Non ho nemmeno una pietra del portale. Dannato Athariel! E dannata me che le ho perse!" imprecai mentre mi infilavo le scarpe. "Dovrò trovare un altro modo".

Ma appena misi la mano sul pomello della porta, venni sbalzata all'indietro da una forza sconosciuta. Era come se qualcosa o qualcuno mi avesse spinta per non permettermi di uscire.
Ma Kitsune era in pericolo!
Il telefono squillò di nuovo.

«Pronto?» risposi col fiatone.

«Ciao. Scusa mi era saltata la linea. Vediamoci appena puoi, mi raccomando» era ancora la voce di Kit. Tirai un sospiro di sollievo e mi accasciai a terra sorridendo. Era salva, ma non del tutto al sicuro.

«Sono subito da te»

«Nemmeno tu sei a scuola?»

Scossi la testa come se potesse vedermi. «No, mi sono svegliata tardi»

«Anche tu ore piccole?»

«Più o meno» Mi rialzai sentendomi le gambe di gelatina. Dovevo ancora riprendermi dallo spavento. «Arrivo. Preparati un discorso Kit, voglio sapere tutto»

༺ 𓆩♱𓆪 ༻

La stanza di Kitsune era in totale disordine. Cerano fogli sparsi per tutto il pavimento, alcuni scarabocchiati altri accartocciati.
Sulla parete dove teneva la sua lavagna di sughero aveva messo un drappo rosso, un vecchio mantello di un costume da Superman appartenente a suo padre.

«Ieri notte sono riuscita a unire i puntini» raccontò. «Letteralmente. Ho unito dei punti, i luoghi degli omicidi di Killer X. Ogni giorno componeva una lettera. È un codice, Killer X voleva mandare un messaggio»

Accarezzai il tessuto del drappo restando in ascolto. Non ero totalmente lucida, colpa del risveglio brusco.
Kitsune mi allontanò con la mano e lo tirò giù rivelando il lavoro di un'intera notte.

WE ARE HERE

Urlai.
Fu stupido, totalmente insensato e incauto da parte mia, ma lo feci comunque.

Killer X era proprio chi temevo che fosse: qualcuno legato ai Temibili 10, se non tutto il gruppo riunito. Loro erano arrivati. La nostra prima battaglia era vicina.

«So che è sconvolgente ma non c'è bisogno di urlare così» mi rimproverò Kitsune. «C'è qualcosa che ti turba? Sai qualcosa in più?»

«No» mentii. Guardai i fogli e poi la mia amica. Con la sua mente testarda e geniale sarebbe stata capace anche di avvicinarsi all'identità stessa di Killer X e dovevo impedirglielo. I Temibili 10 erano spietati di natura, dei mostri in cerca di guai. Se venivano a sapere che Kit aveva scoperto qualcosa le avrebbero fatto del male. Dovevo impedirglielo.

«Posso finalmente vendicare la morte di mio zio. Il mondo ha bisogno di sapere che cosa ha in mente questo mostro» continuò Kitsune prendendo il telefono per postare la foto delle sue scoperte.
Glielo presi di mano prima che potesse fare altro.

«Ridammelo!» protestò.

«No. Non posso lasciartelo fare» mi opposi.

Kitsune mi spinse contro il muro e il telefono cadde per terra. I nostri sguardi si incontrarono per un attimo. Ci fu una conversazione durata un millisecondo, piena di "Non farlo" e "Sì che lo farò".

Poi la ragazza si abbassò per prenderlo.
Presa dal panico pestai un piede per terra generando una corrente d'aria da sotto il telefono, facendolo volare in aria. Lo presi al volo e corsi dall'altra parte della stanza sotto lo sguardo stupito di Kitsune.

Le sue occhiaie erano evidenti. Non dormiva da troppo tempo. Potevo sfruttare la sua condizione a mio favore, anche se era scorretto nei suoi confronti. Ma avrei fatto di tutto per proteggerla, persino mentirle spudoratamente.

«Cos'era quella cosa?» chiese con gli occhi spalancati.

«Aria» risposi.

«Non era solo aria. Tu... sei stata tu a... Giulia cosa sta succedendo?»

«Stai sognando» mentii spostandomi verso la porta aperta.

«Non è vero, questo non è un sogno. È assurdo ma non lo è»

Scossi la testa. «Stai dormendo. Hai giocato troppo stanotte e ora stai sonnecchiando a letto beata»

«Bugiarda»

Spiccò un saltò verso di me, tendendo le mani per riprendersi il telefono. Un istante prima che potesse toccarmi viaggiai in un lampo di luce fino all'altra parte della stanza.
Si girò lentamente, guardandomi come se fossi un fantasma.

«Cosa sei tu?»

Sorrisi avvicinandomi. «Sono tua amica ed è mio compito proteggerti»

La colpii in testa esercitando la forza necessaria a farla svenire, dopodiché la sorressi prima che cadesse.
Il suo peso morto era difficile da sollevare. Le sistemai il letto e la misi lì, rimboccandole le coperte come se non l'avessi appena tramortita per impedirle di fare una stupidaggine.
Cancellai tutto quel che aveva scritto e le foto che aveva scattato alla lavagna, poi le spensi il telefono e mi occupai della stanza.
Rubai un sacco della spazzatura dalla cucina e ci misi tutti gli scarti sparsi per la stanza.

Finito di pulire guardai la lavagna. "Lo faccio per il tuo bene, Kitsune". Tolsi ogni foglio in ordine, in modo che la frase potesse essere ricomposta facilmente.

Sono stata crudele con lei, lo so, ma lo stavo facendo solo per lei. Non volevo che mi venisse portata via. Non di nuovo.

Sacco e fogli presi, me ne andai senza lasciar traccia, nella speranza che Kitsune credesse che fosse stato tutto un sogno.
Nel migliore dei casi ci sarebbe cascata. Nel peggiore... avrebbe scoperto la verità.

༺ 𓆩♱𓆪 ༻

"Ma dove si è cacciata?" Sebastian si guardò intorno sbuffando. Era appoggiato alla Land Rover grigia di suo zio, in attesa di prendermi per portarmi a casa sua come avevamo organizzato.

Era mezzogiorno e si poteva stare fuori anche senza un cappotto pesante.
Il sole aveva raggiunto lo zenit da ormai qualche minuto, ma di me non c'era alcuna traccia.
Sbuffò stanco ed entrò in macchina, riparandosi dalla luce. Lo infastidiva, specialmente quando gli andava dritta negli occhi. Se non lo conoscessi avrei detto che era in tutto e per tutto un vampiro: pallido, tenebroso e irritante.

Sbucai da dietro l'angolo dopo aver finito di sistemare con cura i fogli rubati a Kitsune nella mia cartelletta blu in mezzo a tanti noiosi documenti scolastici. Non avevo trovato il tempo per tornare a casa, nasconderli e tornare nel luogo dove mi sarei dovuta incontrare con Sebastian, così avevo improvvisato.

«Alla buon'ora!» esclamò il viziatello aprendo la portiera della macchina. «Ci hai messo una vita. Dov'eri finita?»

«Stavo aiutando una mia amica, nulla di che» Entrai in macchina e chiusi la portiera. La Land Rover grigia partì immediatamente, senza darmi nemmeno il tempo di allacciarmi la cintura.

Sebastian accennò un sorriso arrogante. «Immagino che la tua amica sia quella ragazza che chiami Kitsune. Che soprannome particolare, chi glielo ha dato?»

«Io» risposi fieramente.

«E perché?»

Non sapevo se dirglielo o meno. Era una cosa tra me e Kit, ma conoscendo bene il carattere capriccioso di quel ragazzo sentivo che non avrebbe accettato come risposta un "non posso dirtelo".

Sospirai e mi arresi al buon senso. D'altronde dovevamo diventare amici, era questo che voleva la psicologa. Tanto valeva fare lo sforzo di essere sincera con lui.

«A qualche giorno di distanza dall'inizio della scuola, prima di diventare amiche, ero finita in gruppo con Kit per fare una ricerca di storia sulla nascita della scrittura. Così sono andata a casa sua e durante la pausa per la merenda mi ha mostrato la sua camera. In un angolo c'era un cerchietto con le orecchie da volpe, sommerso da una pila di pupazzi. Gliel'ho indicato, lei se l'è messo e lì mi sono accorta di quanto lei assomigliasse a una volpe sia per aspetto, per i suoi capelli castano-rossicci e i suoi occhi scuri, sia per il suo carattere furbo e testardo. Da qui Kitsune»

«Volpe in giapponese» ragionò Sebastian. «Non l'avrei mai detto ma è stato un aneddoto interessante. Ne hai altri?»

Sembrava onestamente interessato a conoscermi meglio, e non solo perché era stato obbligato dalla psicologa a farlo.

«Ne ho molti altri» Intravidi un bagliore emozionato nei suoi occhi. Era la stessa gioia che si poteva vedere in un bambino quando sua madre si sedeva accanto a lui, pronta per raccontargli la sua favola preferita. «Ma prima tocca a te. Raccontami tu qualcosa»

La luce si spense e abbassò lo sguardo. A cosa stava pensando? «Non ho aneddoti felici a parte il giorno in cui ho vinto diecimila euro a un concorso per giovani scienziati»

«Dai, qualcosa ci dovrà pur essere. Non sembri avere una vita noiosa»

L'estremità del suo labbro guizzò all'insù prima di ricadere in un broncio. «Non ti sembra perché non mi conosci»

"E allora lasciati conoscere". Era la mia curiosità a farmelo pensare. Sebastian mi stava ancora leggermente antipatico e lui ricambiava il sentimento negativo, tuttavia non potevo fare a meno di chiedermi cosa si celasse dietro alla figura del perfetto principino viziato.

Rimanemmo in silenzio per tutto il resto del viaggio. Persino l'autista sembrò comprendere la nostra situazione e sforzarsi di restare in silenzio. Di solito gli piaceva parlare col suo padroncino durante il viaggio di andata e di ritorno da scuola.

«Arrivati» fu l'unica cosa che gli sentii dire.

Uscii dalla macchina aiutata da un uomo alto e massiccio, uno dei bodyguard dello zio di Sebastian, e mi ritrova davanti a un altissimo e modernissimo palazzo, il cui attico più i due piani sottostanti erano di proprietà dei Kerill.

Sebastian mi chiuse la bocca con l'indice quando entrai in casa e mi ritrovai in mezzo a quel meraviglioso ed elegante salotto le cui pareti erano abbellite con motivi a giglio dorati. «Attenta o ti entreranno dentro le mosche. Benvenuta nella mia tutt'altro che umile dimora»

Non avevo neanche voglia di rispondergli male, quel posto mi aveva resa schiava della sua bellezza.
Mi portò in camera sua per riporre le mie cose. Sosteneva che suo zio aveva una strana fissa e non voleva vedere nulla di estraneo in giro per le sale, nemmeno i cappotti degli ospiti, così di solito venivano messi o nel ripostiglio o nella sua stanza.
Mi avvicinai a una lampada al plasma rossa, sopra la sua scrivania. «Wow» sospirai catturata dal movimento fluido del contenuto della lampada. «Sei davvero fortunato a vivere in una casa come questa»

Sebastian si guardò intorno con espressione annoiata. «Ha il suo fascino, ma a lungo andare diventa noioso. Anche vivere nel mio castello lo era diventato»

Mi drizzai immediatamente. «Hai un castello?!»

Il ragazzo sorrise arrogantemente. «Certo, in Svizzera. Gelosa, eh?»

Feci spallucce. «Diciamo che sono meravigliata»
Presi in mano un piccolo orsacchiotto di peluche riposto su uno scaffale. Aveva una magliettina con suscritto "amo la scienza". «Non ti sentivi solo nel tuo castello? Di solito in posti così grandi si tende a sentire maggiormente la propria solitudine» E poi a bassa voce aggiunsi cupamente. «A volte anche nei posti piccoli...»

Sebastian sentì ogni cosa e si avvicinò per rimettere a posto l'orsacchiotto. «Sì, ero solo, ma che ti importa? Su, andiamo a mangiare, lo chef ha quasi finito di preparare. Prima mangiamo, prima faremo matematica e prima potrai tornare a casa e lasciarmi in pace»

«Quindi per te io sarei solo una scocciatura»

Il ragazzo distolse lo sguardo. «Sì, lo sei. Io non ho bisogno di amici, sono solo delle inutili distrazioni»

«Ma la psicologa-»

«Non mi importa di cosa dice lei, non è mia madre!» sbraitò colpendo il muro. Sobbalzai.«Tu non mi piaci e so che io non ti piaccio. Non vogliamo stare vicini quindi ora stammi bene a sentire. Dopo che ti avrò aiutata diremo alla psicologa che siamo amici, così smetterà di obbligarci a stare vicini, va bene? Dopodiché si concentrerà sulle questioni personali di altri studenti e ci lascerà in pace. Io andrò per la mia strada, tu per la tua e non ci parleremo più» Mi porse una mano. «Ci stai?»

Lo guardai disgustata. Pensavo che quell'atteggiamento altezzoso e menefreghista fosse solo una maschera, ma mi sbagliavo. Lui era così veramente e mi faceva schifo.

Allontanai la sua mano. «Sei un idiota!»

Sebastian indietreggiò confuso. «Come sarebbe a dire? Ti sto proponendo di non dover più vedermi! Mi detesti, no?»

«No!» Avevo voglia di spaccare tutto. «Sei un idiota, Sebastian. Sì, mi stai antipatico, ma non così tanto da volerti cancellare dalla mia vita. Pensavo che tu fossi diverso, che tutti quei commenti cattivi e la tua arroganza fossero solo maschere. Volevo darti una possibilità, conoscerti meglio, ma ora so che cosa sei veramente. Sei un essere schifoso e ripugnante, un dannato idiota che crede di essere superiore a tutti. Be', sorpresa! Ci sarà sempre qualcuno migliore di te! Quindi smettila di crederti un dio e sii modesto per una dannatissima volta!» Lo spinsi via e presi il mio cappotto. «Non starò nella stessa casa di una persona che mi detesta. Me ne torno a casa mia»

«Tu non andrai da nessuna parte» Il tono di Sebastian era minaccioso, ma non abbastanza da impedirmi di andarmene. Non lo guardai nemmeno in faccia. Se lo avessi fatto avrei visto i suoi occhi lucidi e la sua paura di dover ritornare ad essere totalmente solo.

Non che con me non lo fosse. O forse sì? Era confuso e dentro di sé infuriava una guerra.
Vinse la sua parte orgogliosa, come sempre.

«Tu non andrai da nessuna parte, hai capito?» ripeté, ma ero già uscita dalla sua stanza. «Ehi! Non ignorarmi!» Stavo già scendendo i gradini per entrare nel salotto. «Fermati!»

Mi guardò mentre il suo maggiordomo apriva la porta per me e il suo mondo sembrò cadere a pezzi, rompersi per sempre.

Fu allora che emerse il vero Sebastian, il piccolo, timido e spaventato ragazzino che fino a un anno prima era uno stagista presso la Hunter Company ed era stato cacciato per aver lasciato scappare un soggetto per un test.

«Mi dispiace!» gridò. «Sono stato un idiota, mi dispiace... torna qui, ti prego...dobbiamo... dobbiamo fare matematica...»

Mi avvicinai al ragazzo che stava tremando come una foglia. «Sei stato un idiota» dissi. «Ma resterò» Gli porsi un fazzoletto di carta per asciugarsi le lacrime e gli sorrisi. «Forza piagnucolone, via queste lacrime. Non vale lapena piangere per una nanetta sfigata come me»

«Hai ragione» abbozzò un sorriso. «Guai a te se osi raccontare a qualcuno quel che è successo oggi. Tutto questo è così imbarazzante...»

Feci spallucce. «Sarà un nostro segreto... piagnucolone»

«Ehi!» abbassò lo sguardo. «Pensavo di essere cresciuto»

«Crescere non significa soffocare le proprie emozioni. Ad ogni modo mi piaci così» gli diedi una pacca sulla spalla mentre lui sembrava processare il complimento. «Forza, andiamo a mangiare. Sto morendo di fame, e tu?»

Il suo stomaco brontolò rispondendo alla mia domanda. Gli sorrisi e lo seguii di nuovo in camera sua per posare le mie cose. Questa volta sarebbero rimaste lì, non sarei andata da nessuna parte.
E così passai un piacevole pomeriggio col principino viziato.

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