La Fantasma ~E l'articolo NON...

By Yuwy_ghost

24.3K 1.7K 4.3K

🏆STORIA VINCITRICE DEL PREMIO WATTYS 2023 MIGLIORI PERSONAGGI🏆 Vi siete mai imbattuti in una situazione imb... More

✨Riconoscimenti✨
Intervista dedicata
Informazioni utili (o forse no)
~Parte prima~
Prologo
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
Nove
Dieci
Undici
Dodici
Tredici
Quattordici
Quindici
Sedici
Diciassette
Diciotto
Diciannove
~Parte seconda~
Venti
Ventuno
Ventidue
Ventitré
Venticinque
Ventisei
Ventisette
Ventotto
Ventinove
Trenta
Epilogo

Ventiquattro

360 31 94
By Yuwy_ghost

Mi sveglio di soprassalto e cerco a tentoni e completamente confusa il telefono, che sta suonando con insistenza da qualche secondo.

Lo prendo e mi stropiccio gli occhi gonfi e assonnati per vedere che ore sono e specialmente chi è.

Sospiro non appena vedo il nome di Charlie scritto sullo schermo.

«Fa che non sia ciò che sto pensando» prego nella mia testa, mentre mi accingo a premere il tasto verde di risposta.

Sono passate due settimane dall'incidente di Charlie e i medici non lo hanno ancora dimesso, anche se le sue ferite si sono quasi completamente cicatrizzate e non ha più la maggior parte di ingessature e tutori che bloccavano metà del suo corpo.

Sta guarendo e sono tanto felice per questo, ma ciò che mi inquieta di più sono i suoi stati d'animo che variano in continuazione. Ultimamente sta avendo delle piccole crisi emotive, legate sia agli orribili ricordi della litigata con i suoi che alla mancanza della sua gamba.

Detesto vederlo in quel modo, piangente e con lievi attacchi di panico che scuotono il suo fragile corpo.

Un giorno addirittura, durante una di queste, era impazzito completamente, tant'è che si era strappato la flebo dal braccio e aveva cercato di mettersi in piedi per andarsene. Peccato che aveva perso l'equilibrio per via del pezzo di gamba mancante, crollando a terra come un sacco di patate. Fortunatamente non si è fatto nulla, nemmeno un graffio, anche se ha rischiato di spezzarsi nuovamente un braccio.

Quel giorno non ero presente, purtroppo, tutto questo mi era stato raccontato da un'infermiera quando sono tornata in ospedale il giorno dopo. Dico purtroppo perché credo, anzi, sono più che certa, che se ci fossi stata io in quel momento, Charlie non si sarebbe comportato in quel modo.

Ho imparato a domare le sue piccole crisi da quando sono iniziate a comparire, accarezzandogli i capelli e consolandolo con dolci e calme parole, almeno fino a quando non avrebbe smesso di piangere e sarebbe scivolato nel sonno, più sereno.

Ed é proprio questo che temo ora: e se questa fosse proprio una crisi? Come farò a domarla essendo distante da lui? Senza potergli stringere la mano, abbracciarlo o dargli qualsiasi forma di conforto fisico?

«Pronto?».

Singhiozzi, solo questo sento. Singhiozzi uniti a respiri ansimanti e appesantiti.

Vengo per un istante scossa da un brivido, mi sembra quasi di essere ritornata a quel giorno, quando ho risposto al telefono e mi sono ritrovata Amanda che piangeva convulsamente, pronta a darmi una delle notizie peggiori della mia esistenza.

«Zilla... Aiuto...».

Ho fatto centro, eccome anche: Charlie é nel bel mezzo di una delle sue crisi e a giudicare dalla voce e dai singhiozzi, riesco a dedurre che non sia neanche tanto leggera.

«Charlie, fa' un bel respiro innanzitutto e calmati».

Devo contare solo sul conforto verbale e impegnarmi al massimo delle mie capacità comunicative per aiutarlo, spero vivamente funzioni.

Lo sento respirare meglio, percepisco quasi che si stia sforzando di imporre ai suoi polmoni un ritmo più calmo e normale.

Appena sento i suoi respiri farsi più lenti e il suo singhiozzare meno convulso, capisco di essere riuscita minimamente nei miei intenti e che sono sulla strada giusta.

«Bene... Adesso puoi raccontarmi che è successo?» cerco di rendere la mia voce il più confortevole possibile. Voglio farlo sentire a suo agio, ancor di più dato che non sono lì presente.

«Hai presente quando oggi mi hai chiesto se ci fosse qualcosa che non andava?» fra una parola e l'altra aggiunge qualche singhiozzo. Riesco a immaginarmi il suo corpo fragile che sobbalza a causa di questi ultimi e trema. Magari è seduto in mezzo al letto, con gli occhi sgranati nel buio. Oppure è riuscito di nuovo a staccarsi tutte le flebo e starà strisciando sul pavimento con l'ausilio delle braccia, tipo uno di quei mutanti che si vedono nei videogiochi di guerra.

«Sì, ho presente».

É vero, oggi ho passato l'ennesimo pomeriggio in ospedale con lui, e mentre ero intenta a fare i compiti, avevo alzato lo sguardo sul suo volto per controllare come stesse. Mi era subito sembrato giù di tono, amareggiato. Non che gli altri giorni non lo fosse stato, ma in quel particolare momento lo era di più, molto di più, come se fosse appena stato insultato pesantemente da qualcuno. Gli avevo chiesto come stesse, se fosse successo qualcosa, ma avevo ottenuto in risposta un sorriso forzato insieme a un piccolo e debole "niente". Non ci avevo creduto nemmeno per un istante, ma avevo deciso di non stressarlo con insistenze per non farlo sentire oppresso dalla mia preoccupazione. Ma ho sbagliato, eccome anche, avrei dovuto sforzarlo proprio, sarei sicuramente riuscita a evitargli tutto questo dolore e smarrimento.

«Ti ho mentito... In realtà c'era qualcosa che mi turbava. Avrei voluto dirtelo, ma non volevo farti preoccupare e...»

«Charlie» sospiro «tu devi farmi preoccupare. Solo così posso aiutarti»

«Lo so, lo so» fa una piccola pausa, forse utilizzata per calmare il pianto «mi dispiace»

«Ehi, non fa niente. Ora potresti dirmi che cosa ti turba?»

«Stamattina, quando tu eri a scuola, i medici hanno preso le misure per...» una strage di singhiozzi copre l'ultima parte di frase

«Charlie, ti prego, calmati, non ho capito cos'hai detto».

Lo sento prendere un grosso respiro. «...Per la protesi».

Sorrido amareggiata. «So come ti senti... Ma é importante»

«Io non la voglio! Io non voglio un corpo estraneo attaccato alla mia gamba!» il suo tono si é fatto più rabbioso che triste e per un attimo credo se la sia presa con me.

«É difficile accettarlo... Ma questo "corpo estraneo" ti aiuterà a camminare e a tornare alla tua normalità».

La voce gli torna triste. «Ma come posso tornare alla normalità se io stesso so di sentirmi strano e diverso?»

«Perché sarai il primo a sapere di essere unico» le parole mi nascono spontanee. Ho avuto tanto modo di pensare in questi giorni al concetto di "normale" e ormai sono diventata praticamente un'esperta.

Cala il silenzio, dall'altro capo del telefono non proviene più nemmeno un singhiozzo. Per un istante penso che abbia appeso, che si sia offeso perché non l'ho ascoltato abbastanza. Sposto il telefono e guardo lo schermo. La chiamata é ancora attiva, non ha attaccato.

«Hai... Ragione» tira su con il naso «devo solo... Accettarlo».

Sorrido, mentre mi immagino che lo stia facendo anche lui, nello stesso momento, con un sincronismo impressionante.

«Sai quando la protesi sarà pronta?»

«No... Ma i medici dicono che ci vorrà senz'altro più di una settimana»

«Bene, significa che in quel giorno ci sarò e non riuscirai a scollarmi da te neanche con un piede di porco».

Ridacchia, mentre tira su con il naso. Riesco sempre a farlo ridere un po' dopo le sue crisi, anche se da una scopofobica non ci si aspetterebbe molto humor.

«Cazzo, mi sono appena accorto che sono quasi le tre di notte»

«E allora?»

«E allora? Ti ho svegliata e tenuta in piedi ad ascoltare le mie sciocche lamentele!»

«Non erano sciocche lamentele, sono cose serie»

«Non é vero, sono solo un egoista».

Alzo gli occhi al cielo, anche se non lo può vedere.

«Finiscila» lo dico seria e schietta, in modo tale da fargli capire di chiudere il becco e smettere di dire stronzate.

«Ok...».

L'ha capito in fretta.

«Grazie»

«Non ringraziarmi»

«Scusa»

«Non scusarti»

«E allora che dovrei fare?»

«Tornare a dormire sereno, Charlie, solo questo».

***

Sbatto il libro per terra con tale violenza da far tremare mezza stanza.

Charlie strabuzza gli occhi, sull'orlo di un infartino bello secco.

Ho appena scaraventato il libro di matematica contro al pavimento. Odio quella fottuta materia, piuttosto che studiarla mi guarderei diciassette puntate di film scadenti, dove gli attori sanno recitare peggio di un castoro con i denti scheggiati.

«Tutto ok?» domanda Charlie. Sembra si stia tenendo a debita distanza da me, come se avesse la paura che io possa saltargli addosso da un momento all'altro e sbranarlo, tipo Lupo mannaro o conte Dracula.

«No! Non va bene! Odio la matematica! Ho fatto settecento volte quella espressione e non mi viene! Sono stufa!».

Tiro un calcio al libro, che vola dall'altra parte della stanza, schiantandosi con un suono piatto contro al muro. Non é la prima volta che sbraito nel fare gli esercizi di matematica, e non é la prima volta che prendo a calci quel libro, almeno fino a quando non mi sento libera e serena, avendo appena alimentato le soddisfazioni del mio demonio interiore.

Non a caso il libro di matematica é l'unico a essere mezzo distrutto, con le pagine stropicciate e la copertina leggermente strappata.

«Posso aiutarti io, se vuoi, non me la cavo male in matematica...».

Devo probabilmente avere uno sguardo assassino, perché non appena fisso Charlie sobbalza e si preme leggermente contro i cuscini del letto, per sfuggire da me.

«Va bene, Einstein, vediamo che sai fare».

Faccio un sorriso di sfida e gli passo tutte le prove dello svolgimento dell'espressione che ho fatto.

Charlie si mette a esaminarle, attento. Sembra quasi uno di quegli strani contabili con gli occhialoni spessi e il muso lungo.

Attendo paziente, mentre vago per la stanza. Mi metto vicino alla finestra e la apro, affacciandomi da essa e godendomi un po' d'aria fresca di metà marzo. Anche se mi ci sono abituata, dopo un po' l'odore di disinfettante mi brucia i polmoni, costringendomi ogni tanto a prendermi una boccata di ossigeno vero.

Sono quasi quattro settimane che Charlie é in ospedale, ed é da circa due di queste che non sta avendo più le sue crisi. Ha imparato a domare le sue emozioni, a trovare la sua pace interiore. In più mi racconta tutto quello che gli passa per la testa, sfogandosi e sentendosi meglio in seguito. Mi fa tanto piacere potergli dare consigli, ed essere un'ancora di salvezza per lui.

«Aha! Trovato!».

Il mio sorriso di scherno svanisce. «Che?»

«Ho trovato l'errore, vieni qui» senza staccare gli occhi dal foglio, mi fa un segno con la mano di raggiungerlo.

Obbedisco e guardo il punto sul foglio che sta indicando.

«Vedi qui? Hai sbagliato un segno. Meno per meno fa più, non meno».

Spalanco la bocca, mi sento un'idiota, una grandissima e notevolissima idiota. Ho fatto un errore sciocco e ho tirato giù il mondo. É chiaro: sono deficiente.

«Oh...» gli strappo i fogli dalle mani «non me n'ero accorta, grazie Einstein».

Lo dico per provocarlo, ma lui continua a sorridermi compiaciuto. Sa di avermi colpito molto, anche se sto cercando di dimostrare il contrario per non cadere fra le sue braccia.

Gli mostro la lingua e ridacchio, mentre correggo per l'ennesima volta l'espressione. Questa volta il risultato viene corretto, finalmente.

«Scusatemi tanto, disturbo?».

Mi volto verso la nuova voce che ha parlato. É un uomo, sulla sessantina, con barba e capelli bianchi. Indossa un camice bianco e un paio di occhiali quadrati appoggiati sulla punta del naso. Sorride, ha un'aria serena e simpatica, ma la mia scopofobia colpisce ancora e modifica i miei pensieri, costringendomi ad appiattirmi contro a un muro e abbassare lo sguardo.

«Salve Dottor Smith. Ha bisogno di qualcosa?». Charlie fa un piccolo cenno di saluto rivolto al dottore, ricambiando parzialmente il suo sorriso.

Noto dopo che l'uomo sta reggendo una scatola di cartone, una tempo imballata, ma ora mezza aperta da colpi secchi di taglierino.

«É arrivata poco tempo fa la tua protesi. Che facciamo? La proviamo e facciamo una bella passeggiata per tutto il reparto?».

Charlie si irrigidisce e guarda la scatola con gli occhi di chi guarda una bomba.

Mi avvicino quatta quatta al suo letto e gli stringo la mano, guardandolo con occhi pieni di incitamento e fiducia. Mi fissa, a lungo, poi sospira e torna a osservare la scatola.

«Ehm... V-va bene... Proviamola».

Il Dottor Smith sorride ancora di più ed entra nella stanza. Appoggia la scatola sul letto e la apre, prendendo e mostrando a Charlie una protesi su misura nuova di zecca.

É costituita da un piede di plastica resistente, collegato a un'asta di metallo che funge da tibia, e attaccato a sua volta a un invaso di plastica e ferro.

Charlie la fissa a metà fra il curioso e il disgustato, ma non fa nessun commento e si limita a studiarla con attenzione.

Il Dottor Smith gliela porge con una piccola espressione rassicurante impressa sul viso. Sulle prime Charlie non la prende, come se avesse paura di beccarsi una scossa elettrica da quell'insolito oggetto. Alla fine la afferra con mani tremanti e inizia a rigirarsela fra di esse con sguardo attento.

«È molto leggera, ma bella robusta» spiega il dottore, mentre provvede a levare la fasciatura che copre il punto di amputazione.

Ormai tutte le ferite si sono quasi del tutto cicatrizzate e a giudicare dall'espressione serena del dottore, non ci sono alcune complicazioni.

Osservo con attenzione tutti i passaggi, stringendo più forte la mano di Charlie per fargli sentire la mia presenza e per comunicargli che non è solo.

Il dottore finisce di allacciargli la protesi e si allontana leggermente, con aria soddisfatta.

«Bene, prova ad alzarti adesso, lentamente e con calma. Ricorda che devi prenderci confidenza».

Charlie esista, mi guarda negli occhi, con quel suo sguardo da bambino impaurito e smarrito.

«Puoi farcela» sussurro.

Il suo sguardo si trasforma in uno pieno di coraggio. Lentamente si mette seduto, lasciando a penzoloni la gamba e la protesi nel vuoto. Le dondola per qualche istante, prima piano poi un po' più veloce.

Mi guarda ancora, come se cercasse una conferma nei miei occhi. Gliela do, annuendo. So che c'è la può fare, il mio Charlie sa fare tutto.

Facendosi forza con le braccia si alza in piedi, ma perde l'equilibrio e crolla nuovamente seduto sul materasso. Il suo sguardo diventa abbattuto, mentre con amarezza guarda la protesi ancorata a lui.

«Ti devi fidare di lei» dico, additando protesi «cosí come fai con lei» stavolta indico la gamba sana.

Charlie mi guarda di nuovo, a metà tra il convinto e l'insicuro.

«Ti reggerà, ne sono sicura, é stata fatta per te, solo per te».

Lo guardo raccogliere nuovamente coraggio, prendere un grosso respiro e fare leva di nuovo sulle sue braccia. Si rialza, tremando un po', ma alla fine trova l'equilibrio e si stabilizza.

É in piedi, il mio Charlie é finalmente in piedi.

Sorrido, euforica. Vorrei saltargli addosso, riempirlo di baci e coccole. Era da tempo che non lo vedevo più in piedi e sinceramente all'inizio avevo pensato che non lo avrei più rivisto così. E invece eccolo qui, pronto a fare i suoi primi passi da gigante. In tutti i sensi...

«Bravissimo Charlie, stai andando alla grande» il dottore fa un sorriso smagliante, carico di soddisfazione e orgoglio, simile a quello di un papà, che da dietro le transenne, osserva il proprio figlio fare goal.

Il dottore esce un attimo e torna pochi secondi dopo con un piccolo deambulatore. Lo piazza davanti a Charlie, mentre lo guarda con uno sguardo incoraggiante.

«Avanti» dice «prova a fare qualche passo. È semplice, basta che fai le stesse identiche cose che facevi una volta. Non pensarla come un peso, ma come una parte di te, ok?».

Charlie osserva per qualche istante il dottore, prima di fare scivolare lentamente lo sguardo sulla protesi che lo sta aiutando a stare in piedi.

«Mi scusi Dottor Smith...» Charlie emette una voce da bambino, tenera e leggermente acuta «posso... posso fare senza deambulatore?».

Il dottore alza un sopracciglio. «Sarebbe meglio di no. Hai bisogno di un supporto solido che ti sorregga in caso...»

«No, no... Non intendevo questo. Mi chiedevo solo se al posto del deambulatore potesse sorreggermi Zilla, la mia ragazza. È con lei che vorrei fare i primi passi di questa nuova vita».

Sento il mio corpo diventare molle e le mie guance arrossire. Non so se mi ha più colpito la sua richiesta, oppure come mi ha appellato, vale a dire "la sua ragazza". È la prima volta che mi chiama così davanti a qualcuno. Sono da sempre stata "la sua amica", quella che si trascina sempre dietro.

A dire il vero, inizialmente era anche la verità, eravamo amici, poi però questa frasetta è diventata una scusa per non dire alle persone ciò che c'è realmente fra noi due.

«Be'... Suppongo si possa fare, basta che tu stia attenta e lo sorregga per bene» si rivolge a me con sguardo serio. Abbasso il mio, completamente in imbarazzo.

Non sono certa di voler fare tutto questo, mi sento troppo coinvolta e responsabile. E se Charlie cadesse per colpa mia? E se si facesse male incrinandosi di nuovo qualche costola? Sarebbe terribile, gli rovinerei quel giorno tanto importante per lui.

Involontariamente faccio un passo indietro, appiattendomi contro al muro dietro di me. Tenere a bada il linguaggio del corpo è impossibile, a volte parla più chiaro delle parole.

Charlie lo nota, lo percepisco. So che é già consapevole di tutto: delle mie preoccupazioni e delle tragedie che mi sto immaginando.

«Ti prego... Ho bisogno di te...» sussurra, una piccola richiesta che affetta l'aria in due e spolvera il mio corpo da tutte quelle insicurezze e ansie.

Lascio il muro e la mia comfort zone, gli sposto il deambulatore da davanti e lo sostituisco, mettendomi davanti a lui. Gli prendo le mani e con delicatezza gliele appoggio sopra le mie spalle. Poi poso le mie sulla sua vita, per sostenerlo e dargli maggiore stabilità.

Ci guardiamo, a lungo, prima che io mi sporga verso di lui e depositi un bacio affettuoso sopra le sue labbra. Non mi importa che ci sia il dottore accanto a noi, ciò non mi impedirà di comportarmi come sempre con il ragazzo che amo.

«Io so che ce la farai» sorrido «lasciati andare e sii te stesso».

Ricambia il mio sorriso e alza una mano, credo per darmi una carezza, ma un leggero disequilibrio lo fa traballare, costringendolo a reggersi nuovamente a me.

Prende un grosso respiro e chiude gli occhi per un breve istante, poi li riapre e fa un piccolo passo in avanti, molto affaticato. Perde l'equilibrio e si regge a me, gli occhi sgranati e un'insicurezza che sembra attirarlo sempre di più verso il materasso, dove non sarà sí esposto al pericolo, ma di conseguenza soggiogato da una perenne paura di fallire.

Stringo di più i suoi fianchi per costringerlo a guardarmi negli occhi.

«Tu-ce-la-farai».

Di nuovo ritorna il suo coraggio e fa un altro passo. Conficca le unghie nelle mie spalle e le stringe, tremando. Per quanto senta dolore lo reprimo, concentrandomi solamente su Charlie.

Fa ancora un passo, appoggia la protesi in avanti e ne fa un altro, si fa forza e sposta nuovamente la gamba sana davanti a lui, poi è il turno della protesi e via così, movimento dopo movimento, passo dopo passo.

Indietreggio sempre di più, reggendolo con estrema attenzione. Siamo quasi arrivati alla porta e Charlie ce la sta facendo, eccome se ce la sta facendo.

Andiamo avanti, fino a uscire nel reparto e camminare per quel lungo corridoio.

Sorridiamo, entrambi, io orgogliosa di lui e lui orgoglioso di sé stesso. Il dottore, intanto, ci sta seguendo soddisfatto, mentre spinge una sedia a rotelle vuota per far sedere Charlie in caso si stanchi.

In effetti, dopo circa metà reparto, Charlie inizia ad avere il fiato corto. Il suo corpo trema e ha il fiatone, tuttavia non si ferma, nemmeno per un istante, quasi ci fosse un tesoro da raggiungere.

A un certo punto si sbilancia e crolla all'indietro, ma con uno scatto lo stringo a me e lo sorreggo.

«Bravissimo Charlie, adesso siediti che ti riporto in camera» Smith avvicina la carrozzina a Charlie, invitandolo a sedersi.

«No... Voglio andare avanti» fa per sporgersi e continuare a camminare, ma lo abbraccio più forte, impedendoglielo.

«Hai bisogno di riposo» dico «sei stanco ora, va a finire che ti farai male».

«No, Zilla...» mugola, cercando di scansarmi via per proseguire da solo.

Smith interviene, annuendo:

«Zilla ha ragione, Charlie. Hai fatto tantissimo per oggi, domani farai un'altra prova, magari senza supporto, ma per oggi hai bisogno di riposo».

Charlie sospira, ormai consapevole di non poter più insistere. Lo aiuto a scivolare lentamente sulla carrozzina, prima di spingerlo verso la camera.

Continue Reading

You'll Also Like

328 72 11
Aurora si è lasciata trasportare dalla corrente, ha accettato tutto ciò che veniva per così tanto tempo che non ricorda più cosa sia davvero la felic...
201K 1.9K 9
Brys ha sedici anni e una vita perfetta: è una famosa modella, invidiata da tutti, e la figlia prediletta del ricco Amministratore Europeo della Spid...
7K 351 23
Completa La storia è ambientata a Tartaros nel combattimenti mento tra Silver e Natsu. Possibili spoiler per chi non è arrivato al cap. 464. SPOILE...