La Fantasma ~E l'articolo NON...

By Yuwy_ghost

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🏆STORIA VINCITRICE DEL PREMIO WATTYS 2023 MIGLIORI PERSONAGGI🏆 Vi siete mai imbattuti in una situazione imb... More

✨Riconoscimenti✨
Intervista dedicata
Informazioni utili (o forse no)
~Parte prima~
Prologo
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
Nove
Dieci
Undici
Dodici
Tredici
Quattordici
Quindici
Sedici
Diciassette
Diciotto
Diciannove
~Parte seconda~
Venti
Ventuno
Ventitré
Ventiquattro
Venticinque
Ventisei
Ventisette
Ventotto
Ventinove
Trenta
Epilogo

Ventidue

363 31 93
By Yuwy_ghost

Sono le cinque del mattino di una domenica deprimente e sono sveglia. A essere precisi sarei sveglia da molto tempo, circa le due/tre, ma mi piace fingere di essere la tipica ragazza americana che si sveglia presto tutti i giorni per andare a fare jogging.

Ora, io non ho idea di quali razza di droghe assumono queste persone per andare a correre di primo mattino al freddo e al buio, ma devo ammettere che devono possedere un prestigio notevole.

Personalmente li ammiro molto, insomma, ci vuole davvero una grande forza di volontà per fare sport tutti i giorni, alla mattina presto, quando probabilmente mezzo mondo sta ancora dormendo. Tuttavia preferisco di gran lunga interpretare la parte della ragazza pigra e svogliata che alle cinque del mattino di domenica dorme con la bocca aperta sbavando come un Bulldog.

Peccato che questa domenica non sia come le altre domeniche... Infatti non me la sto spassando più di tanto.

Sbatto gli occhi a raffica nel buio, stanca, giù di tono. Avrò dormito a malapena due ore... Sono stata troppo impegnata a piangere e disperarmi.

Ieri sera, da quando Charlie se ne è andato, sono rimasta tutto il tempo a tavola, sola, mentre alle mie orecchie giungevano le urla dei miei genitori mischiate a quelle di Eddie.

Sapevo sarebbe andata a finire così, i nostri genitori non sono mai stati così flessibili di mente da poter accettare un cambiamento così grosso e pesante, perciò avevo già compreso come sarebbe andata a finire nel momento in cui Eddie ha sputato sul tavolo quella verità che tanto gli faceva male.

Confido nel fatto che lo comprendano più avanti, perché nonostante siano entrambi persone molto esigenti da noi e dal mondo, ci vogliono molto bene, e spero vivamente che questo bene li porti a capire cos'è meglio per Eddie, ovvero l'amore che lo lega a Lewis.

Allungo il braccio e cerco a tentoni il telefono sul comodino. Appena lo trovo lo prendo e lo accendo, mentre un selfie di me e Charlie usato come sfondo mi illumina completamente la faccia. Mezza accecata apro Instagram e inizio a scorrere alcune foto di profili che seguo. La maggior parte di questi sono post che riguardano gattini carini, serie televisive e meme sull'oroscopo, tutte cazzate che potrebbero considerarsi ottime come passatempo.

A un certo punto il mio dito si arresta, smettendo di scorrere sullo schermo del telefono. Ho appena trovato un post di Charlie, risalente a qualche giorno fa. Rappresenta Seppia, il suo magnifico gatto, che dorme in soggiorno illuminato da un tiepido raggio di sole che filtra dalla finestra. Non è per il post che mi irrigidisco, anzi, è davvero tenero, ma più che altro il ricordo legato a ieri sera.

«Per qualsiasi cosa chiamami» mi aveva detto. Qualsiasi, qualsiasi cosa. Persino per questo malessere che mi perseguita fin da ieri sera e che è andato ad aumentare non appena mia madre mi ha urlato contro il fatto che sapessi tutto di Eddie e fossi stata zitta, oppure quando sono entrata in camera di mio fratello per consolarlo e stargli vicino, trovandolo il lacrime , in preda agli spasmi e completamente distrutto. Mi aveva urlato contro di andarmene, di lasciarlo in pace, cacciandomi fuori con una brutalità incredibile.

Sospiro e mi rannicchio di più sotto alle coperte. Vorrei chiamare Charlie, davvero, la mia mente sta combattendo aspramente contro quella parte di me che mi dice di cliccare il suo maledetto contatto e sentire squillare il telefono, ma non posso che diamine! Sono le cinque del mattino, le cinque del mattino di una domenica terribile e odorosa di sangue. Nemmeno una nonnetta di ottant'anni telefonerebbe al nipote alle cinque del mattino.

Sbuffo e sbatto il telefono contro il piano del comodino, mentre un leggero botto rimbomba nel silenzio seccante di quella casa. Sempre a tentoni cerco l'interruttore dell'abat jour e lo accendo, illuminando l'intera camera di arancione. Prendo il mio diario, lo apro e faccio scricchiolare leggermente la carta. Sospiro, crogiolandomi in quel profumo che sa levarmi tutti i mali.

23 Febbraio

A volte il concetto di normale può sbaragliare l'intera vita di una persona. È capace di mettere a soqquadro la mente di chiunque, perché ognuno di noi avrà un percezione del "normale". Io per esempio, ho sempre creduto che ciò che è normale è ciò che è uguale al resto, uguale alla massa. Il mio normale non si può giudicare, non si può raccontare, perché cerco di essere uguale agli altri, perché non voglio essere osservata. Ma forse, delle volte, credo che uscire dai binari sia qualcosa di fenomenale, qualcosa che ammiro davvero molto.

Eddie ci è riuscito ieri, è uscito dai binari, ha raccontato a mamma e papà che amava i ragazzi anziché le ragazze, come la maggior parte degli adolescenti maschi fa. Ha saputo tenere testa a loro e ha detto la sua. Sono davvero molto orgogliosa di lui, anche se gli ha comportato un bel po' di dolori.

Ma è questo che succede quando non sei normale: vieni giudicato, fissato e deriso, e tu stai male, perché ti senti lo zimbello del mondo, oppure semplicemente diverso.

Ma ascolta una che di normale ne ha visto fin troppo: se dovessi scegliere fra l'essere comune oppure mostrare al mondo chi sono, scelgo la seconda, perché sì: attirerei molti sguardi, ma almeno saprei di non essere una falsa. Vaffanculo normale.

«Sei sveglia anche tu?».

Salto sul letto, soffocando un potente urlo di terrore che mi cresce dall'interno.

Respiro affannosamente e mi porto una mano sul petto, nel punto in cui prima c'era un cuore che batteva tranquillo.

«Porca puttana Eddie! Vuoi farmi morire?!» sbotto, tenendo un tono di voce basso.

Abbassa il capo, dispiaciuto.

«Scusa è che... Mi dispiace per ieri, ti ho trattato male, ho rovinato la serata... Ho fatto solo un casino enorme e non so come scusarmi con te».

Sospiro, scuoto la testa. «Non hai niente di cui scusarti. Anzi, ho ammirato ciò che hai fatto, anche se hai buttato all'aria tutto. Ma guardiamo il lato positivo, ti sei levato un grosso peso, no?»

«Sì, ma in compenso Lewis mi odierà»

«Non dire così... Lui ti ama con tutto sé stesso»

«Sarà» sospira «magari dopo lo sento».

Cala nuovamente il silenzio, stavolta più pesante del precedente. Eddie fa per aprire più di una volta bocca, quasi fosse indeciso se dire quello che sta pensando oppure no.

Attendo, paziente, le mani che pian piano chiudono furtivamente il mio diario e lo fanno scivolare sotto alle coperte per non tenerlo in bella vista.

«Posso rimanere con te?».

Alzo lo sguardo, incerta di aver sentito bene.

«Posso rimanere con te?» ripete «Ho... Ho davvero bisogno di stare con qualcuno in questo momento...».

Sorrido lievemente e con un gesto lo invito a sdraiarsi accanto a me.

Mi raggiunge, rapido e sollevato. Senza farselo ripetere due volte si accoccola sotto le coperte e avvinghia le gambe con le mie.

Quando ero piccola avevo il terrore dei temporali. Ricordo sempre che saltavo nelle lenzuola a ogni tuono che udivo per poi sgattaiolare giù dal mio letto, raggiungere Eddie e chiedergli se potessi passare la notte con lui. Ricordo ancora la serenità che provavo tutte le volte che mi rannicchiavo contro al suo corpo e lo abbracciavo. La mia paura svaniva e i tuoni si facevano lontani, permettendomi così di ritrovare il sonno e la tranquillità che avevo perso.

Mi sembra quasi di essere ritornata a quei tempi, avercelo così vicino e stretto mi sembra quasi un sogno. Sospiro e appoggio la testa contro al suo petto, in cerca di calore, mentre lui inizia ad accarezzarmi i capelli e a farmi le treccine.

«Grazie, sto molto meglio ora» sussurra, sorridendo un poco

«Anch'io sto meglio, decisamente meglio».

***

Se dovessi scegliere tra l'essere cotta viva oppure il passare un altro pranzo come quello che ho subito, sceglierei senz'altro l'essere cotta.

Tutto è iniziato quando mia madre ci ha chiamati a tavola. Sulle prime ero tranquilla, insomma, era solo un pranzo della domenica come tanti altri, ma non appena ho appoggiato il mio sofisticato deretano alla mia sedia, sono stata investita letteralmente da un tram contenente ghiaccio allo stato puro. È probabile che alla guida ci fosse Elsa di Frozen, perché non ho mai sentito tanto freddo in vita mia.

Abbiamo passato il resto del pranzo a mangiare in silenzio, mentre occhiatacce e bronci riempivano il vuoto intorno a me.

I miei genitori parlavano a monosillabi, Eddie si rifiutava proprio di aprire bocca ed io, d'altro canto, non posso fare miracoli. Insomma, avevano chiesto alla scopofobica sbagliata.

Sospiro, ho deciso ora di mettere il naso fuori dalla mia stanza dopo due ore dal pranzo. Mi venivano i brividi al solo pensiero di poter incontrare nuovamente una di quelle tre bombe a mano composte da azoto liquido e blocchi di ghiaccio del Polo Nord. Ma per non si sa quale grazia divina, i miei sono usciti in questo momento, probabilmente per allontanarsi dai loro due unici figli e starsene con i loro amici.

Sgattaiolo in cucina e afferro un paio di ciotole, fruste e ingredienti. Ho bisogno di sfogarmi da tutta questa tensione che mi attanaglia, e quale modo migliore se non cucinare una torta talmente tanto cioccolatosa da fare invidia a Willy Wonka in persona?

Mi metto all'opera e inizio a smanettare, a separare i tuorli dagli albumi, a montare a neve, a setacciate la farina e fare sciogliere il cioccolato e il burro. L'odore del cacao mi consola, così come il tintinnio della frusta contro la ciotola di vetro. Forse da grande farò la pasticceria, adoro cucinare dolci.

Verso l'impasto nella teglia e mentre scende dalla ciotola come una colata di lava fusa, alcuni ricordi si impossessano con prepotenza di me. Sono ricordi legati a Charlie, a quando ho cucinato i biscotti per il suo compleanno.

Mi manca... Mi manca davvero tanto. Improvvisamente mi rendo conto di come la mia vita sia diventata noiosa senza di lui.

Una volta cucinavo dolci a bizzeffe e mi sentivo bene mentre lo facevo, fino in fondo. Ma ora... Ora che non c'è un Charlie qui accanto a me che insiste per assaggiare l'impasto, sento che tutto questo sia diventato noioso, quasi senza senso.

Scuoto la testa e inforno la torta, rischiando per un pelo di inciampare e fondermi la faccia contro la superficie del forno bollente.

Torno a sedermi e imposto il timer di quindici minuti sul telefono. Faccio per appoggiarlo nuovamente sul tavolo, ma qualcosa mi blocca, fermando la mia mano a mezz'aria.

«Per qualsiasi cosa chiamami».

Ne ho bisogno, ho bisogno di chiamarlo. Premo su rubrica e inizio a cercare il suo contatto. Non appena lo trovo lo chiamo, senza alcuna esitazione. Inizia a squillare e rimango in attesa, fremendo di impazienza. Voglio sentirlo, voglio parlargli e sfogarmi con lui. Voglio che sappia tutto quello che mi passa per la testa e sentire uno dei suoi fantastici consigli. Ecco di cosa ho bisogno, per sopravvivere.

Ma non risponde. Il telefono continua a squillare, a vuoto, fino a quando parte la segreteria telefonica e mi costringo a riattaccare.

Sbuffo, forse non ha il telefono vicino e non l'ha sentito, quel genio.

Mi muovo impaziente sulla sedia, fino a quando non tento di nuovo di telefonargli. Nulla, ancora non risponde. Dopo tanti squilli a vuoto la segreteria parte, imprimendomi nel cuore solo tanta disperazione.

Il timer suona e con svogliatezza che prima non avevo, sforno la torta e la appoggio su un piano per farla raffreddare.

«Mi pareva di sentire odore di torta al cioccolato».

Eddie entra in cucina e mi si piazza accanto, ammirando la torta con un piccolo pezzo di lingua che sporge dall'angolo della sua bocca.

Aggrotto la fronte:

«Non ci provare, razza di goloso, l'ho appena sfornata e va lasciata raffreddare. In più devo aggiungerci anche lo zucchero a velo»

«Eddai! Neanche un mini-pezzo?»

«No, pussa via».

Sbuffa e si lascia ricadere su una delle sedie attorno al tavolo, in attesa probabilmente che la torta si raffreddi.

Lavo tutto e sistemo la cucina, prima di levare la torta dalla teglia e farla raffreddare ancora un po'.

Ci vorrebbe un secchio per contenere tutte le bave che sta facendo Eddie, ormai sta fissando la torta con l'acquolina in bocca da più di venti minuti.

Sorrido e scuoto la testa. Non riesco a torturarlo, mi fa troppa tenerezza. Taglio una fetta e gliela porgo in un piattino, mentre i suoi occhi si illuminano di gioia, identici a quelli di un bambino.

«Solo perché sei mio fratello» borbotto, tagliando una fetta pure per me.

In realtà è anche perché voglio tirarlo su di morale, so che sta soffrendo ancora molto.

«Mi spieghi come diavolo fai a cucinare così bene?» chiede, le guance piene di torta e un leggero sorriso impresso sulle labbra.

Faccio spallucce «Sarà talento».

Il mio telefono squilla e il mio cervello si setta solo su quello. Mollo la torta e con uno scatto lo afferro. Un leggero scontento si allarga sul mio viso non appena i miei occhi scorgono il contatto che mi sta chiamando. Non è Charlie, è mia madre.

Sbuffo, mentre comunico con lo sguardo a Eddie di stare in silenzio e non fare casino.

«Pronto?» cerco di modellare il mio tono di voce cosicché risulti normale e disponibile, ma il mio disgusto misto alla delusione di non stare parlando con Charlie mi tradiscono.

«Io e tuo padre oggi andiamo a cena fuori con degli amici, verremo a casa solo per cambiarci. Avete bisogno di qualcosa di veloce da mangiare o vi arrangiate?».

Raccolgo tutta la pazienza possibile per non risponderle male e rimango calma, consultando velocemente Eddie.

«No grazie ci arrangiamo» rispondo secca

«Bene» commenta lei, il tono ancora più scocciato del mio.

Chiudo con violenza la telefonata e lancio il telefono sul tavolo, irritata.

Sento lo sguardo di Eddie percorrere il mio collo e sbuffo ancora, stavolta più rumorosamente.

«Che c'è?» borbotto, voltandomi di scatto verso di lui.

Il suo sguardo è un misto fra il preoccupato e l'abbattuto, non riesco a capire cosa lo turbi così tanto.

«Forse... Forse dovresti stare fuori da questa situazione» sospira, abbassando gli occhi.

«In che senso?»

«Nel senso che adesso ce l'hai anche tu con mamma e papà, anche se non c'entri niente» scuote la testa «non voglio che per colpa mia tu rovini il rapporto che hai con mamma e papà».

D'un tratto la mia rabbia incondizionata viene schiacciata dal peso enorme del risentimento. Forse ha ragione: mi sono agguerrita contro di loro anche se non ce l'hanno con me... Tuttavia... Tuttavia non è sbagliato, che cazzo! Hanno osato denigrare Eddie, il suo vero lato, ciò di cui si vergognava e di conseguenza faceva fatica a parlare. Voleva solo comprensione, appoggio, nulla di esagerato. Ma ha ottenuto il contrario solo per una questione di diversità, se proprio la vogliamo chiamare così.

«No, non ne starò mai fuori. Io ti supporto, te l'ho già detto e continuerò a farlo. Se loro non sono d'accordo e se la prendono con te, be'! Che se la prendano anche con me. Non affronterai tutto da solo».

Mi sento un po' una di quei politici che durante le campagne elettorali promettono cose assurde al popolo, sputando sul microfono e tenendo le mani strette a pugno. Ma non appena vedo comparire sul volto di Eddie un sorriso intenerito, questa sensazione scompare, sentendo solo tutto l'affetto che c'era dietro a quelle parole.

«Cosa ho fatto per meritarmi una sorella tanto fantastica?».

Mi lascio scivolare fra le sue braccia, dimenticando per un momento tutto quanto, qualsiasi preoccupazione, qualsiasi dubbio.

La porta di casa si apre e ci separiamo velocemente, ognuno fingendosi concentrato sulla torta, ma con le orecchie belle tese.

I nostri genitori entrano in cucina, hanno un'aria più serena rispetto a quella che avevano prima, ma si spegne subito non appena incrociano lo sguardo di Eddie.

Mia madre sospira, incrociando le braccia sul petto e appoggiando il peso del corpo sulla gamba destra. Sembra quasi essere dispiaciuta, ma mia madre non è mai stata troppo brava nel mostrare le sue emozioni, camuffandole sempre con quell'aria perennemente infastidita e severa.

«Edward, possiamo parlarti?» domanda seria, lo sguardo che vaga leggermente per la stanza prima di fissarsi ancora su mio fratello.

Noto l'enorme sforzo di Eddie nello sporgersi un po' dalla sedia e parlarle dopo la pensante litigata di ieri sera.

«Certo, dimmi».

D'un tratto lei sposta lo sguardo su di me, lo tiene fisso nei miei occhi per qualche istante e poi torna nuovamente su di lui.

«In privato, sarebbe meglio».

Sospiro e faccio per alzarmi, è palese che non mi voglia fra i piedi a interferire, è meglio che me ne vada. Ma non faccio in tempo a fare un singolo passo verso la porta, che Eddie mi afferra per un polso e mi strattona verso il basso, facendomi crollare nuovamente sulla sedia.

Apro la bocca per protestare, ma lui mi precede.

«Se devi parlare, parla a tutti e due».

Ok, forse il discorso incoraggiante di prima potevo anche risparmiarmelo. Ho appena creato un mostro.

Rimango impacciata sulla sedia, indecisa se chiudermi nel frigo oppure nell'antina dove teniamo l'aspirapolvere e alcuni detersivi.

«Va bene» mia madre si è rassegnata, così come mio padre, rimasto poco dietro di lei. «Io e tuo padre abbiamo pensato a tutto questo e ci siamo accorti di aver reagito male. Sei grande e responsabile, perciò accetteremo questa... "cosa"» fa una piccola pausa, prima di schiarirsi più del necessario la voce «la accettiamo, dobbiamo solo abituarci».

Cavolo, Grace Allen, colei che non ammetterebbe di avere torto neanche davanti al giudice di un tribunale, si è appena scusata? Wow, sono commossa. Mi tatuerò la data di questo giorno speciale sul braccio.

Eddie sorride, ringraziandola con uno sguardo sincero, poco prima che lei giri i tacchi e sparisca al piano di sopra per prepararsi.

Appena sento i suoi passi insieme a quelli di mio padre farsi lontani, abbraccio Eddie e gioisco per lui, completamente euforica.

«Devi dirlo a Lewis!»

La felicità di Eddie si spegne, diventa serio di colpo.

«No... Sarà troppo arrabbiato con me»

«Scherzi? Lewis era molto preoccupato ieri sera, devi fargli sapere assolutamente tutto questo, lo renderai tanto felice oltre che sereno»

«Forse hai ragione...»

«Prendi il telefono allora. Su veloce!»

«E va bene».

Si alza e sparisce al piano di sopra.

Rimango in attesa per qualche minuto. Sono irrequieta e non ne capisco il perché. Continuo a dondolare le gambe nervosamente, mentre i miei occhi fissano l'uscio che collega l'area dell'ingresso e delle scale alla cucina.

Dopo un po' sia i miei genitori che mio fratello scendono. I primi due ben agghindati, pronti per passare la loro serata tranquilli, il secondo con un sorriso enorme stampato sulla faccia.

«Allora?» chiedo impaziente, mentre Eddie riprende posto accanto a me.

«Allora ci siamo chiariti... Avevi ragione, non era arrabbiato con me, solo un po' deluso e offeso»

«Io ho sempre ragione».

Aggrotta la fronte: «Adesso non esagerare».

Scoppiamo a ridere entrambi, prima di essere interrotti da nostro padre che ci annuncia che torneranno per mezzanotte.

«Fatevi trovare a letto per quell'ora, non voglio sapervi in piedi. Domani avete scuola» nostra madre ci guarda con sguardo severo e noi ci affrettiamo ad annuire alle sue raccomandazioni.

Non appena escono, Eddie si rianima ancora di più, rivolgendosi a me con tono allegro:

«Lewis viene qui, facciamo serata film?»

«Volentieri, ma ricordati dell'avviso di mamma, non ho voglia di subirmi di nuovo le sue grida»

«Tranquilla, terrò d'occhio l'orario» fa una piccola pausa e si passa una mano fra i capelli, un po' sovrappensiero. «Perché non inviti anche Charlie? Sai... Ieri mi è dispiaciuto non poterlo salutare e ci tenevo a chiedergli scusa... L'ho messo in imbarazzo e gli ho fatto conoscere il lato più sadico degli Allen».

Mi si stringe il cuore in una morsa. Mi ero dimenticata di Charlie e delle chiamate senza risposta, tant'è che avevo smesso per un attimo di preoccuparmi... Ora invece mi sento quasi angosciata. Possibile che non abbia visto la notifica sul telefono delle chiamate perse? Perché non mi ha più ritelefonato? Sarà arrabbiato con me? La notte che io ho passato insonne gli avrà fatto covare una terribile ira contro me e la mia famiglia? E' probabile che me lo ritroverò presto in casa con una motosega in mano e una maschera bucherellata? No... Forse ora ho divagato con "Venerdì 13"... Ma le mie paure sono comunque ben presenti e non riesco a disfarmene.

«Buona idea» sospiro «vado a chiamarlo».

Prendo il mio telefono ed esco dalla cucina, sgattaiolando in camera mia. Sono passate più di tre ore da quando gli ho telefonato per la prima volta, forse adesso sarà vicino al telefono e lo sentirà. Magari non l'ha semplicemente guardato in tutto questo tempo, troppo preso dallo studio o, che ne so, da una serie televisiva.

Premo di nuovo il suo contatto e rimango in attesa, accompagnata solamente da tutti quei "tut" incessanti e dal suono inquietante.

Parte la segreteria, di nuovo. Charlie non mi risponde e dubito seriamente sia perché è troppo preso da una serie televisiva. Ce l'ha a morte con me, ormai è chiaro.

Faccio scivolare il cellulare nella tasca della felpa e cerco di modellare la mia faccia sulla base di una tranquilla e felice, anziché angosciata e tetra.

Scendo nuovamente al piano di sotto e mi accascio sul divano. Lewis è già lì, mi saluta con un sorriso gioioso che cerco di ricambiare nonostante il voltastomaco che ho. Nessuno dei due pare accorgersi del mio malessere, troppo impegnati a farsi gli occhi dolci.

«Allora, Charlie viene?» chiede a un certo punto Eddie.

Scuoto la testa. «No... Ehm... Ha degli impegni questa sera»

«Oh, peccato».

Detesto mentire, ma nonostante non sia brava a farlo e lo odi, questa volta ho dovuto. Non voglio che anche Eddie e Lewis si preoccupino per me o per lui, tutto si è appena sistemato e non voglio rovinarlo. Meritano di stare sereni, senza i problemi di una ragazza scopofobica.

Ordiniamo tre pizze: una margherita per Eddie, una wurstel e patatine per Lewis e una tonno e cipolle per me. Ceniamo così in salotto, sotto le note del musical "Grease", scelto accuratamente da Lewis.

Guardo la televisione, ma senza realmente vederla. Sono persa nei meandri della mia mente, tant'è che non riesco a sentire nemmeno una battuta degli attori e la musica delle colonne sonore. Sono su un altro pianeta, nulla riesce minimamente a sfiorarmi, nemmeno una bomba atomica.

Sbatto velocemente gli occhi, d'un tratto di nuovo con i piedi sul suolo terrestre. Il telefono sta squillando, attirando la mia attenzione. Controllo, con il cuore in gola, è... E' Charlie!

Scatto in piedi e scusandomi sguscio fuori dal salotto, il telefono che continua a vibrare e squillare. Mi chiudo in bagno e premo il verde con mani tremanti.

«Charlie? Mi hai fatto prendere un colpo! Credevo che...» la mia voce si va a smorzare lentamente fino a diventare un piccolo sussurro. Sbaglio o quelli che sto udendo sono singhiozzi? «C-Charlie? Tutto ok...?»

«Zilla...» non è Charlie quello che sta parlando, è una voce femminile, di una donna adulta che sta piangendo «S-sono Amanda...».

Mi irrigidisco. «A-Amanda? C-che...?»

«Charlie ha fatto un incidente... Lui...» fa una piccola pausa per controllare i singhiozzi «...lo stanno operando».

Ed è in quel momento che il mondo cede sotto ai miei piedi.

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