Dolore e perdono (Parti I - V...

By marinamtf

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Una storia di sofferenza e redenzione, una passione ostinata e proibita, tre famiglie coinvolte, trent'anni d... More

Note dell'autrice e introduzione
Galleria personaggi
Parte prima. Ilaria fanciulla (marzo-aprile 1991)
Capitolo 2 (I). Il corteo funebre
Capitolo 2 (II). Il corteo funebre
Capitolo 3. Arrivo a casa
Capitolo 4. La soffitta
Capitolo 5. La partenza
Parte seconda. Ilaria ragazza (aprile 1991 - dicembre 1992)
Capitolo 6 (1°). La versione di Irene
Capitolo 6 (2°). La versione di Irene
Capitolo 7 (1°). Marco comincia l'università
Capitolo 7 (2°). Marco comincia l'università
Capitolo 8 (1°). Ilaria sale al Nord
Capitolo 8 (2°). Ilaria sale al nord
Capitolo 9 (1°). I primi tempi a Genova
Capitolo 9 (2°). I primi tempi a Genova
Capitolo 9 (3°). I primi tempi a Genova
Capitolo 10 (1°). Sulla tomba del padre
Capitolo 10 (2°). Sulla tomba del padre
Parte terza. Ilaria donna (gennaio 1993 - 28 settembre 1996)
Capitolo 11 (1°). Marco conosce Anna
Capitolo 11 (2°). Marco conosce Anna
Capitolo 12 (1°). Il Segno
Capitolo 12 (2°). Il Segno
Capitolo 13 (1°). Ilaria maggiorenne
Capitolo 13 (2°). Ilaria maggiorenne
Capitolo 14 (1°). Anna ritorna
Capitolo 14 (2°). Anna ritorna
Capitolo 15 (1°). Anna e Marco
Capitolo 15 (2°). Anna e Marco
Capitolo 16 (1°). Ilaria conosce Andrea
Capitolo 16 (2°). Ilaria conosce Andrea
Capitolo 17 (1°). Il Sacrificio di Ilaria
Capitolo 17 (2°). Il Sacrificio di Ilaria
Capitolo 18 (1°). Il gattino di gesso
Capitolo 18 (2°). Il gattino di gesso
Parte quarta. Ilaria mamma (29 settembre 1996 - 31 maggio 1997)
Capitolo 19 (1°). Una nuova promessa
Capitolo 19 (2°). Una nuova promessa
Capitolo 20 (1°). Zia Anna, papà Andrea
Capitolo 20 (2°). Zia Anna, papà Andrea
Capitolo 21 (1°). Una visita importante
Capitolo 21 (2°). Una visita importante
Capitolo 22 (1°). Ilaria si confessa
Capitolo 22 (2°). Ilaria si confessa
Capitolo 23 (1°). Due scelte per Anna e Marco
Capitolo 23 (2°). Due scelte per Anna e Marco
Capitolo 23 (3°). Due scelte per Anna e Marco
Capitolo 24 (1°). La casa di Ilaria
Capitolo 24 (2°). La casa di Ilaria
Capitolo 24 (3°). La casa di Ilaria
Capitolo 25 (1°). La ferita di Andrea
Capitolo 25 (2°). La ferita di Andrea
Capitolo 25 (3°). La ferita di Andrea
Capitolo 26 (1°). Arriva Emanuele
Capitolo 26 (2°). Arriva Emanuele
Capitolo 26 (3°). Arriva Emanuele
Parte quinta. Emanuele (31 maggio 1997 - luglio 1997)
Capitolo 27 (1°). Una nuova famiglia
Capitolo 27 (2°). Una nuova famiglia
Capitolo 27 (3°). Una nuova famiglia
Capitolo 28 (1°). La verità
Capitolo 28 (2°). La verità
Capitolo 28 (3°). La verità
Capitolo 29 (1°). Due cuori tenaci
Capitolo 29 (2°). Due cuori tenaci
Capitolo 29 (3°). Due cuori tenaci
Capitolo 30 (1°). La 'prima notte' di Anna e Marco
Capitolo 30 (2°). La 'prima notte' di Anna e Marco
Capitolo 30 (3°). La 'prima notte' di Anna e Marco
Capitolo 30 (4°). La 'prima notte' di Anna e Marco
Capitolo 31 (1°). Silvia entra nel Disegno
Capitolo 31 (2°). Silvia entra nel Disegno
Capitolo 31 (3°). Silvia entra nel Disegno
Capitolo 31 (4°). Silvia entra nel Disegno
Capitolo 32 (1°). Complici
Capitolo 32 (2°). Complici
Capitolo 32 (3°). Complici
Capitolo 32 (4°). Complici
Capitolo 32 (5°). Complici
Capitolo 32 (6°). Complici
Capitolo 33 (1°). Il racconto di una madre
Capitolo 33 (2°). Il racconto di una madre
Capitolo 33 (3°). Il racconto di una madre
Capitolo 33 (4°). Il racconto di una madre
Capitolo 33 (5°). Il racconto di una madre
Capitolo 33 (6°). Il racconto di una madre
Parte sesta. Silvia (luglio 1997 - giugno 1998)
Capitolo 34 (1°). Emanuele conteso
Capitolo 34 (2°). Emanuele conteso
Capitolo 34 (3°). Emanuele conteso
Capitolo 34 (4°). Emanuele conteso
Capitolo 34 (5°). Emanuele conteso
Capitolo 35 (1°). Un nuovo amore
Capitolo 35 (2°). Un nuovo amore
Capitolo 35 (3°). Un nuovo amore
Capitolo 35 (4°). Un nuovo amore
Capitolo 35 (5°). Un nuovo amore
Capitolo 35 (6°). Un nuovo amore
Capitolo 36 (1°). Un impegno vincolante
Capitolo 36 (2°). Un impegno vincolante
Capitolo 36 (3°). Un impegno vincolante
Capitolo 36 (4°). Un impegno vincolante
Capitolo 36 (5°). Un impegno vincolante
Capitolo 37 (1°). Tre madri
Capitolo 37 (2°). Tre madri
Capitolo 37 (3°). Tre madri
Capitolo 37 (4°). Tre madri
Capitolo 37 (5°). Tre madri
Capitolo 38 (1°). Un difficile addio
Capitolo 38 (2°). Un difficile addio
Capitolo 38 (3°). Un difficile addio
Capitolo 38 (4°). Un difficile addio
Capitolo 38 (5°). Un difficile addio
Capitolo 38 (6°). Un difficile addio
Capitolo 39 (1°). Emanuele nella camera azzurra
Capitolo 39 (2°). Emanuele nella camera azzurra
Capitolo 39 (3°). Emanuele nella camera azzurra
Capitolo 39 (4°). Emanuele nella camera azzurra
Capitolo 39 (5º). Emanuele nella camera azzurra
Capitolo 39 (6°). Emanuele nella camera azzurra
Capitolo 40 (1º). Due anelli
Capitolo 40 (II). Due anelli
Capitolo 40 (III). Due anelli
Capitolo 40 (IV). Due anelli
Capitolo 40 (V). Due anelli
Capitolo 40 (VI). Due anelli
Note dell'autrice sulle prime sei parti

Capitolo 1. Funerale a Colliano

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By marinamtf

Tutti i peccati sono imperdonabili finché non si perdonano. E ogni peccato, specialmente uno grave, ha la sua storia, una causa primaria, quasi sempre inavvertita, che, purtroppo, determina poi il seguito.

I fatti che andremo a raccontare sono proprio la storia di un peccato imperdonabile seguito da un miracoloso perdono, una storia con molto dolore, ma con una successiva redenzione, e se dovessimo ricercare un inizio per la narrazione, se in questo inizio noi volessimo porre quell'inascoltata causa primaria di cui parlavamo prima, allora dovremmo andare a Colliano, un paese in provincia di Salerno, il 27 marzo 1991, Mercoledì Santo.

Una grande folla, praticamente tutto il paese e dintorni, si accodava a un funerale di una persona che aveva fatto parlare molto di sé: Antonio Guidotti. Il corteo era partito dalla chiesa (un prefabbricato simile a un capannone posto al lato del cimitero alla base del paese — la chiesa principale, di San Pietro e Paolo, nel centro storico, era ancora inagibile dopo il terremoto del 1980 —), era salito lungo via Terlizzi, la via principale, dal Municipio fino a piazza Epifani, circolare con una fontana al centro; lì aveva fatto un'inversione per scendere lungo una via secondaria fino al campo sportivo e poi di nuovo verso il cimitero, facendo quindi un anello per ritornare quasi al punto di partenza. Era una giornata primaverile, con un sole alto ancorché freschino; di solito la settimana di Passione portava brutto tempo, ma per il momento si stava bene e ciò contrastava coll'occorrenza triste. Il parroco salmodiava in prima fila, dietro la bara, con poi a seguire i parenti stretti e, via, via, gli amici e curiosi.

Non stupiamoci per la consistenza della folla: Antonio, in vita, non era stato una persona esemplare. Tuttavia, proprio per la sua vita non proprio cristallina, il suo funerale diventava un'occasione per parlarne finalmente in libertà. Le persone buone di solito muoiono nell'ombra e pochi le piangeranno: il bene si dimentica facilmente, specie quello ricevuto. Chi compie il male, invece, viene ricordato meglio; temuto in vita, giudicato postumo; il giudizio dell'uomo superstite approssima quello divino solo nel silenzio (e nella sicurezza) della tomba.

Incominciamo col dire che Antonio non sembrerà, se non indirettamente, responsabile degli eventi narrati in questo libro, sapremo qualcosa di lui in seguito quanto basta per capire il racconto; abbiamo cominciato la storia dal suo funerale perché è il padre dei due protagonisti, nel giorno del funerale ancora ragazzi. Andiamo a conoscerli, questi due novelli orfani, lì, alla testa del corteo: Marco, diciott'anni, Ilaria, di dodici.

Erano insieme, fianco a fianco, mano nella mano, ma si erano visti da non più di un'ora, dopo quattro anni di silenzio pressappoco totale. Non abitavano infatti nella stessa casa: erano fratelli, ma di mamme diverse. Marco stava a Genova, Ilaria a Colliano; era venuto in auto nella notte con due suoi zii che abitavano a Genova con lui, Terzo e Carmine, fratelli minori di Antonio. Era stato Terzo a chiamarlo a casa; Marco, appena tornato da scuola, era entrato di corsa con il telefono che già squillava e aveva risposto con ancora lo zaino indosso: "pronto?", "ehi!", gli aveva detto, senza salutarlo, "tuo papà è morto, il funerale è domani mattina, noi partiamo stasera, tu vieni, vero?". Marco sapeva che il papà fosse malato da tempo, ma non pensava in modo così grave, gli aveva risposto: "zio, tra un po' torna la mamma, glielo dico e ti so dire". I rapporti tra le due famiglie erano ormai ridotti a scambi sporadici di telefonate e a visite ancora più rade; Irene, sua mamma, una volta rimasta sola, non lo aveva ostacolato né spinto a frequentare i suoi zii e la nonna paterna, Filomena, che abitava lì vicino a loro e che andava a trovare anche a piedi; ma, da quando aveva cominciato il liceo, quasi cinque anni prima, egli stesso non aveva avuto più tanta voglia di andare a trovarli non avendo molto in comune con loro; era stata la sola Irene, infatti, a spingerlo a frequentare un liceo dopo la terza media: per i suoi zii un liceo era solo una perdita di tempo e di soldi in libri; molto meglio andare a lavorare, o, al più, fare una scuola tecnica. Suo padre si era trasferito a Colliano nel 1978, non era più tornato al nord dal 1982, e, comunque, sia prima che dopo il trasferimento, non si era mai interessato del primo figlio, in senso economico ed affettivo, e, per Marco, non c'erano altri legami con la famiglia paterna, se non la sorella Ilaria, nata e vissuta sempre al sud.

Un'ora più tardi di quella telefonata, Irene, rientrata dal lavoro, saputa da Marco la notizia della morte dell'ex marito, aveva acconsentito affinché andasse con gli zii al funerale, ma solo perché non voleva che il figlio, in futuro, potesse rinfacciarle di non aver avuto il permesso.

Per la verità Marco non aveva mostrato alla madre granché dolore per questa morte, né aveva insistito per andare, avrebbe compreso anche un rifiuto; le aveva chiesto il permesso come se andare al funerale fosse un evento non tragico, ma quasi una gita non prevista per Pasqua, una vacanza, non un lutto. La sua richiesta era stata causata più che altro dalla voglia di fare il viaggio, dalla curiosità di rivedere sua sorella, dalla possibilità di perdere un giorno di scuola attaccandosi alle vacanze di Pasqua, non tanto perché avesse sentito il dovere di partecipare alla sepoltura del padre. Irene, malgrado ci fosse posto in auto, non aveva pensato di chiedere un passaggio agli ex cognati, anch'ella era del sud, proprio di Colliano, ma lavorava e comunque non aveva un buon ricordo dell'ex marito; non lo aveva più visto dall'estate 1985, quando era scesa a Colliano l'ultima volta con Marco per andare a trovare i suoi genitori; lo aveva visto in paese con Ilaria di sette anni, le aveva annunciato trionfante che si sarebbe risposato l'anno successivo, avuto il divorzio, ed ella gli aveva detto:

"Vedi di cambiare e di non farla soffrire come hai fatto soffrire me. Hai un'altra figlia adesso da guardare: non abbandonarla come hai fatto con Marco."

La madre di Antonio, Filomena, era troppo vecchia per viaggiare e i cognati non gliel'avevano neppure chiesto; perdeva  il primo figlio per gli stessi motivi per i quali aveva perso il marito quasi venticinque anni prima: alcool, donne, fumo e vizi. La morte di Antonio non era né avvenuta di sorpresa né la coglieva come un'ingiustizia, era, come detto, malato da tempo; conosceva bene la sua vita sregolata condotta in gioventù e, come tutte le mamme, l'aveva sempre difeso (anche -- talvolta -- a scapito di Irene); tuttavia, alla notizia del decesso, pur non arrivando a vedere in quella precoce morte (Antonio non aveva neppure cinquant'anni) un segno divino, si era quasi sollevata sperando che quel figlio, che le aveva causato così tanti problemi in gioventù, fosse finalmente in pace.

Gli zii erano andati a prendere Marco la sera prima per le otto, bisognava partire per tempo: il funerale sarebbe stato alle nove del mattino dopo; siccome era senza patente (aveva compiuto diciott'anni solo il mese prima, a febbraio) aveva passato la notte sul sedile dietro mentre i suoi zii si erano dati il cambio alla guida ogni due, tre ore; non aveva per nulla dormito, era stato lì, sveglio, a faccia in su, a guardare le stelle e i riflessi degli altri fari, in una notte fresca, intervallata dalle usuali pause agli autogrill; come tutte le nonne preoccupate del cibo anche Filomena aveva stipato in un borsone thermos di caffè, panini, focaccia come se fossero dovuti partire per un viaggio lunghissimo, senza rifornimenti per strada, e l'odore di quel caffè forte e ben zuccherato ogni tanto si era sparso nell'abitacolo mentre la luna piena di  Pasqua aveva dato alla notte un'atmosfera di sogno.

All'inizio, con ancora la Liguria che lasciava il posto alla Toscana, e con la lucidità di una mente ancora non insonne, gli argomenti dei suoi pensieri erano stati i suoi soliti, quotidiani: aveva pensato al suo amico preferito in classe, Giacomo, al quale aveva telefonato prima di partire pregandolo di spiegare ai professori la causa della sua assenza e di dir loro che sarebbe rientrato dopo le vacanze; alla sua scuola, agli altri compagni, alle sue piccole preoccupazioni di ogni giorno: professori e interrogazioni, alla sua "cotta" che da mesi cercava di conquistare, Giulia, senza risultato, alla Maturità che si stava avvicinando (era andato a scuola in anticipo, era tra i più piccoli della classe in mezzo a ripetenti di quasi vent'anni); ma poi, con Colliano che si avvicinava, con quei chilometri che stancamente venivano macinati in quella notte serena, con la mente che avrebbe voluto dormire e non riusciva, il pensiero era andato a sua sorella che aveva lasciato bambina in quell'estate 1987: in testa persisteva l'immagine di lei mentre aiutava i genitori a girare il fieno, quasi ne aveva risentito l'odore, sentito i ritmi, visto suo padre, ritornato sobrio, un normale contadino del sud, mani grandi e callose, canottiera su un petto rosso dal sole e dalla fatica, la figlia a fianco che lo aiutava a fare le fascine mentre egli, evanescente, fragile, "liceale" (quella parola così estranea nel loro mondo dove il traguardo era già arrivare alla terza media), coccolato da tutti, ma specialmente da sua sorella e la mamma Maria, era rimasto a vedere la scena sdraiato, all'ombra del pero di fronte casa, mentre leggeva "Il fu Mattia Pascal", uno dei libri assegnati per l'estate.

Le sue offerte d'aiuto erano state gentilmente, ma fermamente, rifiutate: mani troppo da studente, fisico troppo gracile e pelle troppo bianca, ereditata dalla mamma, facile alla scottatura al sole del sud, lingua italiana corretta con un lieve accento genovese, non dialetto irpino: madrelingua per Ilaria e Maria, nate e cresciute lì, e per Marco, invece, una lingua oscura che capiva, certo, ma che non riusciva per nulla a pronunciare. Il padre, invece, navigatore per molti anni, mescolava idiomi, parlava un italiano strano con a volte anche parole in spagnolo o arabo, reminiscenze delle sue peregrinazioni, di altre donne, di altri porti, di altri continenti: forse Ilaria e Marco non erano i soli due figli che avesse generato in giro per il mondo. Per Maria il suo figlioccio Marco era quasi un oggetto da esposizione quando la gente veniva a trovarla: il primo figlio di Antonio, il ragazzo che stava al Nord, così bravo e studioso, gentile e educato. Marco, con un lieve imbarazzo, durante la notte aveva ripercorso quell'ultima estate passata insieme alla sorella e gli era venuta la nostalgia per aver saltato tutte le successive.

"Perché... già, perché poi?", si era trovato a pensare, "Perché non ci sono più andato...?"; se infatti era stato bello farsi coccolare in quell'ambiente, aver aiutato Ilaria nei suoi compiti estivi, aver giocato con lei che, si vedeva, adorava il "fratellone" che viene da lontano, che studia e che sa tante cose, allora diventava difficile rispondere; durante la notte aveva provato a trovare le ragioni ma i motivi, come di solito accade, visti in prospettiva, non gli erano parsi così evidenti e significativi e avevano tutt'al più preso l'aspetto di scuse. Irene non aveva più avuto motivo di accompagnarlo al sud dopo quell'estate 1985, perché i suoi genitori, troppo anziani per vivere da soli in campagna, si erano trasferiti al nord da parenti che abitavano a Ravenna e, dalla parte materna, non aveva più legami con Colliano. Marco per due estati era sceso da solo con gli zii in auto, come in quella notte per il funerale, ma poi... tutto era decaduto, dopo il 1987 c'era sempre stato un intoppo, qualche contrattempo, vero o quasi vero, e, alla fine, come una bolla di sapone, i suoi propositi erano sempre evaporati per cause esterne, o che pensava tali. Forse gli amici, forse gli impegni con gli scout che seguiva, forse l'imbarazzo di avere questo legame con un sud bello ma imbarazzante, così diverso dalla vita liceale del nord, forse il dover confessare alla sua cerchia di avere una famiglia divisa (solo a Giacomo si era confidato), forse anche la paura di affezionarsi al posto, alla "zia Maria" (così la chiamava) e a sua sorella, forse la paura di fare un torto alla mamma lasciandola da sola a Genova per andare a trovare l'ex marito e l'amante, diventata seconda moglie, forse le prime cotte piuttosto inconcludenti per le ragazze del suo quartiere ma, soprattutto, forse il rimpianto e la tristezza di vedere il papà coccolare la figlia e sapere che aveva abbandonato sua madre e lui per farsi un'altra vita; più probabilmente un po' tutte queste cose, in sinergia, pian piano, lo avevano radicato al nord e gli avevano impedito, anche solo in modo apparente, di fare quel lungo viaggio; preso da quell'ansia chiamava gli zii qualche giorno prima della partenza, disdiceva, annullava con qualche scusa, pensando di dimenticare suo padre e sua sorella, coprendo con scuse la vera ragione di quel rifiuto che in quella notte cominciava a capire: la rabbia repressa per un antico abbandono. Quella morte lo stava però riportando alla realtà: non aveva più suo padre ma aveva una sorella ancora viva che, forse, si sarebbe potuta sentire abbandonata per quella lunga assenza senza quasi spiegazioni dopo che avevano passato tutte le estati dell'infanzia insieme. Come avrebbe reagito Ilaria vedendolo al mattino, dopo quattro anni? Qual era il motivo, insomma, per vedere il funerale di un padre che, comunque, non era stato mai presente nella sua vita?

Si stava quasi pentendo di essere partito; non c'era solo l'imbarazzo per Ilaria, purtroppo: a Colliano la gente lo conosceva, si sarebbe dovuto scusare con tanti, con tutti quelli che, fin da bambino, lo avevano fermato per la strada facendogli sempre le stesse domande:

"Ma tu sei il figlio di Irene e Antonio?"

"Sei diventato grande! Come sta tua mamma? Abbiamo fatto le scuole assieme, salutamela".

"Ma vivi sempre a Genova?"

"Tua mamma si è poi risposata?"

"Fai il liceo? Ah... il liceo, ma quando vai a lavorare?"

"Come mai non sei più venuto?"

Quest'ultima domanda in particolare temeva che gli venisse fatta, da Ilaria e da altri, da aggiungersi alle precedenti, già di per sé spiacevoli: una domanda alla quale per tutta la notte aveva, senza esito, cercato di rispondere.

Per l'alba erano arrivati nel Lazio vicino al Raccordo Anulare; Marco si era svegliato del tutto con quella falsa lucidità che si ha dopo una notte in bianco, si era messo a sedere e guardare dal finestrino: la luna che tramontava si tuffava in un Tirreno, invisibile dall'autostrada, ma percepibile da un'aria e da una vegetazione diversa dalla ligure; un chiarore rosa nasceva sui colli laziali a est: alba e tramonto insieme; un silenzio, magico e irreale (interrotto solo dal rumore dell'utilitaria di zio Terzo lanciata a velocità costante: niente musica --- l'autoradio era spenta o rotta --- e niente parole --- gli zii avevano per un po' tentato di far conversazione con il nipote, ma anche loro si erano poi chiusi nei pensieri della notte, uno a guidare e uno a tentare di sonnecchiare per prendere forze ---), aveva spinto Marco ancora alla riflessione, a ciò che era, uno studente per pochi mesi liceale, e poi al suo futuro, a cosa avrebbe fatto dopo: certamente l'università, ma quale? A tredici anni era convinto che avrebbe lavorato con i computer e si era iscritto al liceo scientifico per quello; se l'era già fatto comprare dalla mamma, in prima media, uno dei primi, "computer da casa", come si chiamavano, che adesso farebbero ridere per prestazioni e capacità di memoria ma che all'epoca, per Irene, aveva comportato un esborso pari a metà stipendio di cameriera d'albergo. L'aveva tanto usato e studiato, ma, pian piano, i suoi interessi erano cambiati: leggeva più volentieri l'Eneide che un manuale di programmazione, il computer, a cui tanto teneva, l'aveva venduto; dopo la terza si era affezionato alla filosofia, alla letteratura, scriveva anche racconti, uno o due pubblicati nel giornalino della scuola (cosa che, comunque, non gli aveva dato il successo sentimentale che aveva sperato). Iscriversi dunque a filosofia, o lettere? Se avesse seguito solo il cuore sì, ma non era di famiglia ricca, voleva lavorare, già capiva che per sua mamma mandarlo al liceo era stato un sacrificio, avrebbe dovuto quindi scegliere una facoltà scientifica, una che gli avrebbe permesso di trovare subito lavoro... anche se, in quell'alba silenziosa e serena, si era sentito più vicino alla poesia che a un monitor.

Dopo Roma la stanchezza aveva prevalso e i ritmi erano calati; alle porte di Napoli avevano fatto una sosta un poco più lunga per sciogliere le gambe intorpidite dal troppo sedere e far colazione, non con i panini di Filomena ma con un cappuccino bollente e schiumoso e una gigantesca brioche alla crema appena sfornata. Gli zii erano poi andati in una cabina a telefonare a casa della cognata che aveva vegliato la salma del fratello l'intera notte per dirle dove fossero e di aspettarli già in piazza nel caso di un ritardo. Marco, nel frattempo, per far qualcosa e non annoiarsi nell'ultimo pezzo, si era comprato una rivista di enigmistica; ma non era in vacanza del tutto: gli zii gli avevano già detto che si sarebbero fermati qualche giorno, forse anche una settimana, e il giorno prima, con la sua usuale diligenza, aveva messo in borsa due libri di filosofia da leggere ("Così parlò Zarathustra" e "La nausea"), sperando che venisse estratta all'esame, consigliati dalla professoressa, ma anche perché gli piacevano; il libro di matematica per fare qualche prova di maturità e quello di storia perché sapeva che al ritorno sarebbe stato interrogato. La madre non gli aveva dato scadenze, si fidava, gli aveva detto: "torna quando avete finito, consola Ilaria, poverina, lei sicuramente ne avrà bisogno". Al limite, se gli zii si fossero fermati di più, lo avrebbero accompagnato a Salerno per prendere un treno.

Il funerale era stato fissato al mattino presto perché in Settimana Santa il parroco voleva la chiesa libera durante il giorno ma era chiaro che sarebbero arrivati un poco in ritardo; non solo la stanchezza, ma anche l'autostrada, dopo Napoli, tra lavori, deviazioni e il traffico del mattino, non permetteva un'andatura elevata: infatti erano arrivati nella piazza deserta a Colliano alle nove e un quarto; la gente era già tutta in chiesa, solo Ilaria, comandata dalla madre, era lì a attenderli, di fronte alla fontana. Colliano aveva salutato Marco con un mattino soleggiato e fresco, non era cambiato in quattro anni: le stesse case grigie, le stesse impalcature su palazzi ancora da abbattere o recuperare dopo il terremoto, molti nastri bianchi e rossi e cartelli appesi di 'pericolo crollo'. Le case nuove, costruite in basso, colorate e moderne, anche se un po' anonime, dove erano stati sfollati i residenti della parte vecchia, contrastavano vivamente con l'aria di decadenza che si vedeva in centro.

Ma se Colliano era lo stesso, Ilaria — invece — era diversa; Marco aveva visto una ragazza che quasi non riconosceva, grande, appoggiata al bordo della fontana, capelli lunghi e castani, pelle olivastra, viso ovale e proporzionato non più di bambina, molto bella; indossava un abito grigio a maniche corte che forse avrebbe richiesto una giacchina in quel mattino frizzante. L'aveva vista mentre zio Terzo parcheggiava e con imbarazzo aveva pensato a come salutarla, ma Ilaria lo aveva preceduto nell'incertezza: appena sceso dall'auto gli era corsa incontro e gli si era aggrappata al collo, piangendogli sulla spalla, senza parlare; si era alzata, non tanto più bassa di lui, anch'ella aveva preso dal padre, piuttosto alto; il vestito era da donna matura, probabilmente della madre, come anche le sue forme, portava delle scarpe lucide senza tacco, calze nere, velate. Il suo pianto era stato sommesso e discreto, il suo abbraccio tenero e allo stesso tempo avvolgente, come per ristabilire un contatto, un possesso: a Marco era sembrato che piangesse quasi più per la gioia di rivederlo che per la morte del padre e questo pensiero lo aveva fatto trasalire per esser sconveniente, ma gli aveva anche dato un'altra sensazione, forte, di orgoglio, aveva ricambiato l'abbraccio; "sta piangendo per me", erano le parole che si era detto.

Ilaria, invece, dalla fontana, aveva visto sempre il solito Marco, forse un poco più alto ma lo stesso "fratello del nord" che le aveva insegnato tanti giochi, che l'aveva sempre un po' coccolata e fatta divertire con poco. Quando aveva riordinato la sua cameretta, nel passaggio alle superiori, nel 1986, la penultima estate insieme, aveva riempito qualche scatola con libri per ragazzi e fumetti che aveva portato in auto con gli zii per regalarglieli e avevano passato quell'estate e la successiva a sfogliare vecchie enciclopedie, ritagliare riviste, incollare figurine su album ancora mezzi vuoti. Ilaria aveva sempre voluto imparare quando lo aveva accanto, era curiosa: gli aveva chiesto tante cose nel suo italiano stentato, ammirando fin da piccola il fratello per la sua cultura e gentilezza, senza gelosia, anche se sapeva che il suo destino sarebbe stato molto diverso: arrivare alla terza media e poi lavorare nei campi o in azienda, come operaia o contadina; ma il suo sogno, come gli aveva sempre detto, era quello di studiare un poco di più, per fare anche un semplice corso di sarta o di cuoca, o, magari, infermiera.

Dopo l'abbraccio lo aveva guardato con occhi lucidi ma felici; ella, come la madre, parlava, come già riferito, in dialetto. Gli aveva chiesto:

"Come stai? Hai fatto buon viaggio?"

"Sì, grazie sto bene, solo un po' stanco, e... tu? Stai bene?"

"Come vuole Dio, sì, sto bene... tua mamma?"

"Sta bene, grazie... è rimasta... a Genova, sai, il lavoro, aveva da fare... vi saluta..."

Era stata la parte che temeva, quella di parlare di sua madre e di giustificare la sua assenza al funerale del suo ex marito. Ma Ilaria non ci aveva pensato, per lei era importante rivedere suo fratello, rivederlo grande ma ancora così, impacciato, timido. Si era accorta dai suoi occhi che la sua crescita non era passata inosservata e questo le aveva dato orgoglio, come se gli avesse fatto capire che anch'ella si era data da fare in quegli anni; o, meglio, che il suo corpo, il sole del sud, il lavoro nei campi, l'aria di campagna, che tutto ciò si era unito per farne una splendida fanciulla che, con poco, con un semplice vestito prestato dalla madre, faceva una gran bella figura in quell'occasione triste. Gli aveva risposto semplicemente:

"Grazie, Marco, di esser venuto tu."

Ilaria lo aveva guardato fissa, grata di quella presenza che non si era aspettata: gli zii, al telefono, il giorno prima, non le avevano dato la certezza della sua partecipazione; era contenta di aver messo l'abito bello, anche solo per l'occasione del funerale, e di esser carina, sì, carina, per lui, per il suo ritorno.

"Vieni, dai, andiamo, la messa è già iniziata da un po'", gli aveva detto.

Si erano poi avviati verso la chiesa, mano nella mano, dopo aver dato agli zii il tempo di fumarsi una sigaretta, la prima del giorno, in quell'aria azzurra e serena.

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