La Fantasma ~E l'articolo NON...

Από Yuwy_ghost

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🏆STORIA VINCITRICE DEL PREMIO WATTYS 2023 MIGLIORI PERSONAGGI🏆 Vi siete mai imbattuti in una situazione imb... Περισσότερα

✨Riconoscimenti✨
Intervista dedicata
Informazioni utili (o forse no)
~Parte prima~
Prologo
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
Nove
Dieci
Undici
Dodici
Quattordici
Quindici
Sedici
Diciassette
Diciotto
Diciannove
~Parte seconda~
Venti
Ventuno
Ventidue
Ventitré
Ventiquattro
Venticinque
Ventisei
Ventisette
Ventotto
Ventinove
Trenta
Epilogo

Tredici

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Από Yuwy_ghost

Amo il Natale, è uno dei pochi periodi dell'anno che attendo sempre con ansia. I canti, l'albero, il buon cibo, i regali... Tutto si fa così magico e speciale.

Ma quest'anno... Be' quest'anno non riuscirò a festeggiarlo con la gioia degli altri anni.

Ho da poco finito di scontare la mia punizione durata ben tre settimane. Mia madre e mio padre sono ritornati a parlarmi e a trattarmi bene, non mi tengono più il muso e non mi guardano storto tutte le volte che passo davanti a loro, cosa che invece continuano a fare con Eddie. Lui è in punizione per ben un mese e rimarrà privo di tecnologia e permmessi di uscita per tutto questo tempo.

Abbiamo ripreso a scambiarci qualche parola, ma di rado, sono ancora profondamente ferita dal suo comportamento e lui lo sa benissimo, per questo, tutte le volte che ci parliamo, cerca sempre di chiedermi come sto e se ho novità da raccontargli.

Ovviamente non gli racconto mai nulla, anche se sento il terribile desiderio di ritornare presto alla normalità, almeno con lui.

Con Charlie, invece, non mi sono più vista né sentita. A scuola rimango barricata nella mia classe e non esco mai per paura di incontrarlo. Ho sperato più volte che lui mi venisse a cercare o che mi scrivesse un messaggio su Instagram, ma mai l'ha fatto e sono quasi certa che mai lo farà.

So di meritarmi il suo silenzio, il suo odio, così come so di non poter sistemare le cose con lui. Sarà ferito e distrutto, non riuscirà nemmeno a guardarmi in faccia.

Finché lo avevo al mio fianco, finché ci parlavamo apertamente di qualsiasi cosa, stavo bene, ed ero serena. Ora invece sento quasi di aver perso il mio posto nel mondo, anche se incomincio a dubitare di averne mai trovato uno. Forse il destino ha deciso che io debba rimanere spaesata per sempre, oppure vuole semplicemente indirizzarmi verso ciò a cui sono destinata, compreso essere una pensionata residente in un appartamentino con trentacinque gatti, che mangia solamente cibo scaldato al microonde. Ma ripeto: non sarebbe poi così male.

Le feste passano velocemente, tra cene in famiglia e tombolate con nonni e parenti. Quest'anno è il primo anno che riesco a fare finalmente tombola, battendo quella sudicia di mia cugina Lory, nota per essere un'accanita vincitrice di sontuosi premi.

Anche se non è un Natale sereno come gli altri anni, la mia famiglia dimentica comunque tutte le tensioni subite precedentemente, vivendo questo breve, ma speciale, periodo dell'anno in assoluta pace. Ma la normalità subentra presto e il rapporto fra me e Eddie si incrina di nuovo.

Entrambi passiamo le nostre ultime giornate di vacanza segregati nelle nostre camere, chi con la testa sui libri e chi, invece, affondata nel cuscino.

Faccio un grosso sospiro, tanto per cambiare sono rannicchiata sul mio letto, le cuffie in testa e il portatile acceso su un sito di quiz come "Quale frutto sei" oppure "Quale tipo di gelato si addice alla tua personalità". Cazzate, si potrebbero definire perfettamente così, ma devo ammettere che è un passatempo piacevole, che mi aiuta a liberare un po' la mente dai cattivi pensieri.

La canzone che sto ascoltando si conclude, e dopo un paio di secondi ne parte un'altra, ma non una qualsiasi, è la canzone, quella che mia fa sciogliere il cuore come un pupazzo di neve. E' una delle mie preferite, una delle poche che possiede la capacità di riuscire ad aggiustare minimamente la mia anima mezza stracciata e annerita dal dolore. La canzone in questione è "Don't fall asleep at the helm", un successo che spicca nella mia playlist di fiducia.

"I lost my heart, my home is the ocean"

Ho perso il mio cuore, la mia casa è l'oceano.

Anch'io ho perso il mio cuore, da molto tempo... Non so dove poterlo ritrovare, ma a volte i miei dubbi mi stuzzicano la mente, affermando che io non ne abbia mai avuto uno.

"I'll close my eyes and dream of days when I wasn't alone".

Chiuderò gli occhi e sognerò giorni in cui non ero solo.

Lo faccio di continuo, ultimamente. Sogno Charlie, i nostri discorsi, le nostre risate, le volte in cui l'ho guardato negli occhi e mi ci sono persa, e, purtroppo, anche l'ultimo istante prima della nostra definitiva separazione.

"I'll miss my breath, there's no more left"

Mi manca il respiro, non ce n'è più.

Anche a me manca il respiro, mi sento quasi chiusa in una bolla nella quale l'ossigeno è destinato a finire, prima o poi.

Questa canzone descrive la mia vita, il mio modo di pensare. Questa canzone sono io e mi ci rispecchio appieno.

Chiudo gli occhi e cerco di ricacciare indietro le lacrime che mi pizzicano le palpebre, mentre il mio corpo si rilassa, inghiottito dalla melodia e dal significato del brano. Lentamente vengo trascinata in una lenta e piacevole corrente, che mi trascina verso la pace che da tanto tempo cerco.

Sento un leggero tocco che mi sfiora la spalla, mi distraggo e perdo il filo delle parole. Un brivido percorre la mia schiena e svogliatamente riapro gli occhi, puntandoli successivamente sulla figura di Eddie: è lui che mi ha toccato. La sua mano è ancora appoggiata sopra alla mia spalla, mi guarda con sguardo spento e specialmente stanco. Non credo di averlo mai visto così, a eccezione di quando il suo adorato coniglietto, Fiffi, regalatogli per il suo compleanno all'età di nove anni, morì di vecchiaia circa un anno fa. Ci era da sempre stato affezionato al suo coniglietto, gli voleva un mondo di bene, ma da quando purtroppo se n'era andato, Eddie era rimasto talmente tanto male da non riuscire più a guardare una carota senza scoppiare a piangere.

Ad un certo punto le sue labbra si muovono, mi ha detto qualcosa, ma la musica alta nelle mie orecchie non mi permette di sentire ciò che dice. Stoppo la canzone e mi levo le cuffie.

«Potresti ripetere?».

Sospira. «Posso... Posso sedermi qui e stare con te?».

Ci penso un attimo, un lato di me ce l'ha ancora con lui, ma un altro mi dice di lasciarlo fare: forse è finalmente arrivato il momento dei chiarimenti e delle scuse. Forse potremmo tornare al nostro amato rapporto da fratelli legati fra loro.

«Certo...».

Gli faccio spazio sul letto, in modo da farlo stare comodo e lui si sdraia accanto a me, le mani intrecciate poste sul suo ventre. Il silenzio predomina su tutto, sembra avvolgere qualsiasi cosa, persino gli oggetti e i muri della mia camera.

«Tu... Tu mi odi, non è così?».

Quella domanda mi costringe a spalancare la bocca, incredula.

«Dio, Eddie, come puoi pensare una cosa simile?» dico, voltando la testa verso di lui.

Fa spallucce con la medesima espressione affranta incollata sul viso.

«Non lo so...» dice «Dopo quello che ti ho fatto dovresti farlo»

«Io non dovrei fare proprio un bel niente. Sei mio fratello e ti voglio bene, anche se mi hai ferito profondamente perché hai fatto il cazzone idiota».

Si fa una piccola risata, mentre un lievissimo, quasi impercettibile, sorriso si fa largo sulle sue labbra.

«Sono stato davvero pessimo...»

«Oh eccome»

«Mi dispiace tantissmo, in questi giorni non ho fatto altro che pensare a quanto fossi stato uno stupido e specialmente a un modo per rimediare»

«Non esiste modo per rimediare» dico «è successo quello che è successo, l'importante è che nessuno sia morto... Mi sono rassegnata, Eddie, per davvero. Ho capito che forse non era qualcosa destinato ad andare avanti... E va bene così, davvero, è tutto a posto».

Eddie si mette seduto, con uno scatto violento, cominciando a scrutarmi con occhi pieni di rimprovero.

«Non dovrebbe essere così, Zilla!» sbotta, un velo di tristezza mista a rabbia predomina nella sua voce «Nulla va bene, ammettilo, sei triste perché a te piaceva Charlie e tu piacevi a lui. Sai cosa ho visto quel giorno, mentre ti trascinavo via?».

Scuoto la testa, quel giorno stavo talmente tanto male da non riuscire a distinguere nemmeno ciò che stava a un palmo dal mio naso.

«Charlie ha cercato di rialzarsi per venirti incontro e fermarti, ma non ci è riuscito per via del dolore che stava provando. Ha cercato di mettere te davanti al male e alla paura nei miei confronti» mi guarda dritto negli occhi, serio come non mai. «Non lasciarti scappare quel ragazzo, tiene davvero a te».

Sono senza parole, non avevo mai notato nulla di tutto questo. Sapevo che Charlie tenesse a me, tale da considerarmi una vera amica, ma non così tanto da addirittura cercare di affrontare il dolore fisico, mentale e il suo "assalitore".

Guardo le mani di Eddie, stanno tremando, in più noto che continua a torcersele e a torturarle in continuazione.

«Non permetterò che i miei capricci dovuti a questo mio periodo di nervosismo e confusione, rovinino qualcosa di così importante» tira su con il naso, gli occhi gli sono diventati lucidi, carichi di pianto, ma non una singola lacrima scende da essi. Poche volte ho visto Eddie piangere, è una persona molto forte d'animo, che non si perde a piagnucolare inutilmente. Le uniche volte in cui lo fa, sono quelle in cui ha automaticamente provato molto dolore o molta delusione, ed è questo il fattore che mi fa capire quanto stia male adesso.

Così smetto di pensare e mi avvento su di lui, gettandogli le braccia al collo e stringendolo forte. Sulle prime Eddie rimane rigido, probabilmente sorpreso da quel mio gesto così tanto avventato, poi, lentamente, il suo corpo diventa più leggero e le sue braccia mi avvolgono.

Finalmente sono in pace con tutto, mi era tanto mancato il contatto con il suo corpo caldo.

«Va da lui» mi dice dopo un po', guardandomi serio negli occhi.

«Ma...»

«Va' da lui» ribadisce «non sto scherzando, sei ancora in tempo, ma non devi più tardare a farlo».

Sono un frullato di emozioni diverse e di confusione. Sbircio l'orario: sono le 15:00.

«O-oggi...?»

«Sì»

«A-adesso..?»

«Sì!».

Tiene le braccia incrociate, non sta accennando nemmeno a un minimo sorriso, segno che non stia davvero scherzando.

Prendo un grosso respiro e rifletto per qualche istante, poi con uno scatto e una decisione impressa nell'animo, scendo dal letto e mi getto al pieno di sotto, dove mi infilo le scarpe ed esco nella fredda aria di gennaio. Non perderò Charlie, né ora, né mai.

***

Sono davanti al citofono da più di mezz'ora. Lo contemplo, ne definisco i contorni, indecisa se premere quel maledetto pulsante oppure no. Il mio indice lo sfiora, senza però schiacciarlo, poi si ritrae e torna indietro, riparandosi nella tasca della felpa.

Sarà la quindicesima volta che compio quel gesto, se non la ventesima. Credo di aver perso il conto...

Sospiro e mi dispero, il mio cuore batte a raffica nel mio petto e il sangue mi scorre nelle vene velocemente, come un fiume sotterraneo.

Ripenso alle parole di Eddie, alla canzone che ho ascoltato, al dolore, al naso di Charlie gocciolante di sangue rosso come il fuoco. Ma alla fine, dopo così tante indecisioni e tante paure, il mio indice si scaraventa secco sul pulsante del citofono, premendolo con forza, neanche fossi una karateka in procinto di spaccare con una manata una tavoletta di legno.

Il mio braccio cade lungo il fianco, floscio, mentre inizia un'attesa da me percepita come interminabile.

Ho paura... Paura di essere respinta o di essere insultata.

«Chi é?».

La voce che risponde non é quella di Charlie, anzi, é una voce femminile, dal timbro caldo e calmo.

Mi schiarisco la voce.

«Ehm... Sono Zilla Allen, un'amica di Charlie. Mi chiedevo se...» non riesco a terminare la frase, mi ritrovo costretta ad azzittirmi perché la voce al citofono inizia a parlarmi sopra in modo allegro.

«Oh Zilla! Che bello, finalmente ti posso conoscere anche io! Vieni, cara, ti apro il cancello».

Subito un suono metallico accenna l'apertura del cancelletto, mentre io, confusa, rimango impalata davanti al citofono con la faccia da babbea.

Tuttavia cerco di darmi una calmata e mi addentro nel cortile, osservando a testa bassa le piante che lo decorano.

Solo dopo qualche istante mi accorgo che la porta d'ingresso si sta aprendo, rivelando subito dopo la figura di una donna di altezza media, snella e sulla quarantina.

Mi avvicino, cercando di non dimostrarmi né troppo titubante né troppo convinta.

La donna sorride in modo dolce, man mano che mi avvicino noto l'assurda somiglianza che ha con Charlie, non solo per gli stessi capelli castani, ma anche per i lineamenti. Sono sicura di averla già vista da qualche parte...

Il mio cervello fa uno scatto, e improvvisamente mi ricordo tutto: è la stessa donna nella foto incorniciata che avevo visto in camera di Charlie.

«Ciao Zilla, è davvero un immenso piacere fare la tua conoscenza. Io mi chiamo Amanda, sono la mamma di Charlie».

L'avevo vagamente intuito. Da cosa? Mah, non saprei proprio dirlo.

Amanda mi porge una mano e io la stringo con una stretta non troppo solida. Non la guardo negli occhi, non ci riesco, assomiglierà anche a Charlie, avrà sì una parte del DNA simile al suo, ma non è lui e non sento quell'emozione che tutte le volte mi incita a guardarlo. La fisso dunque in mezzo agli occhi, abbozzando un sorriso timido e cercando alcune parole per essere educata.

«Il piacere è tutto mio, Amanda».

Il sorriso della donna si fa più intenso, proprio come quelli del figlio. Con gentilezza mi invita a entrare, conducendomi in una saletta dal parquet di legno e dai muri decorati con carta da parati color crema, puntinata da piccolissimi fiorellini azzurri e rossi.

Mi accomodo un po' impacciata su un divanetto bordeaux, mentre Amanda prende posto su un altro divanetto di fronte al mio.

«Purtroppo al momento Charlie non è in casa, ma tornerà presto. Se non ti dispiace aspettare, possiamo fare quattro chiacchiere».

Non mi dispiacerebbe parlare, seppur la mia scopofobia stia premendo contro di me affinché mi defenestri o mi sbricioli davanti a suoi occhi.

«Volentieri» faccio un piccolo sorriso, gentile, che viene subito ricambiato da Amanda.

«Gradisci qualcosa intanto? Un bicchiere d'acqua? Un caffè?».

Ci penso un attimo.

«Avete un po' di tè caldo?»

«Certamente, non ci manca mai in casa. Charlie lo ama, lo beve quasi tutti i giorni. Vado a preparartene subito un po', aspettami qui».

Detto questo si alza e sparisce in una delle stanze, mentre io continuo a rimanere immobile sul divano.

Mi guardo intorno, osservando la marea di tanti piccoli oggetti particolari che riempiono ogni angolo della casa, dagli scaffali della libreria stracolma di libri antichi al tavolino posto lateralmente al divano. Ogni elemento di quella casa mi dona un po' la sensazione di essere finita in una di quelle belle botteghe di campagna che odorano di legno e di sapienza.

Ad un certo punto vengo distratta dai miei pensieri da un suono simile a quello di un campanellino. Mi guardo attorno, cercando di capire da dove provenga, quand'ecco che mi accorgo che due grossi occhi gialli mi stanno scrutando attentamente: è un gatto, dal pelo nero come la notte, che indossa un collarino rosso al quale è attaccato proprio un campanellino.

Vado subito in brodo di giuggiole appena lo vedo, è così bello e tenero, amo i gatti, secondo me non esiste animale più bello di loro.

Allungo lentamente una mano verso di lui. Dapprima me l'annusa insistentemente, poi si lascia coccolare con dolcezza.

In poco tempo salta sul divano, continuando a cuccarsi dalla sottoscritta coccole su coccole e frasi dolci come "ma quanto sei bello" e "sei tenerissimo". E in men che non si dica me lo ritrovo talmente tanto vicino che alla fine si sistema sulle mie ginocchia, prendendo a fare le fusa. Lo guardo, affascinata, mentre continuo a riempirlo di grattini. Mi ricorda un po' una pagnotta.

Ho sempre desiderato un gatto, ma ai miei genitori non piacciono e si sono da sempre rifiutati di adottarne uno nonostante i miei implori.

In quell'esatto istante torna anche Amanda, con un vassoio sul quale sono posate due tazze, una zuccheriera e un piatto stracolmo di biscotti. Lo appoggia su tavolino di vetro in mezzo ai due divanetti, guardando con aria di rimprovero il gatto.

«Seppia! Lascia stare la ragazza, le riempi tutti i vestiti di peli!» borbotta, con le mani adagiate sui fianchi.

«Non si preoccupi, amo i gatti».

Amanda si fa una piccola risata e mi porge una delle due tazze fumanti e stracolme di tè.

«Sai, è raro che Seppia faccia così, solitamente è un timidone. Quando arrivano ospiti scappa sempre, andandosi a nascondere chissà dove. Ma con te è diverso, devi piacergli davvero molto».

Sorrido. «Magari sono solo comoda».

Riesco a farla ridere ancora, la sua risata assomiglia davvero molto a quella del figlio, non faccio che notarlo sempre di più.

Soffio sul tè e ne prendo un sorso. È ottimo, sa di vaniglia, in più mi sta scaldando bene l'esofago e lo stomaco, proprio quello che mi ci voleva.

«Da quando ti ha conosciuta, Charlie non fa che parlare di te» dice Amanda, sorridendo, gli occhi fissi sulla sua tazza. «Era sempre un continuo di Zilla di qua, Zilla di là, ed era felice, molto felice. Non l'ho mai visto così tanto sereno in vita sua...».

Annuisco, mentre una strana malinconia prende il sopravvento delle mie emozioni.

«Charlie non ha mai avuto amici, solo alcuni conoscenti con i quali si parlava di rado...» sospira «Poi c'è stato tutto il disastro della sua espulsione da scuola a causa di questo suo carattere ribelle... IO e suo padre abbiamo sempre cercato di correggerlo, ma non ce l'abbiamo mai fatta. Sente come il bisogno di fare giustizia, di combattere le discriminazioni e proteggere i più deboli. Il che sarebbe anche un'ottimo pregio, peccato che metta in atto le sue "riforme" in modo completamente sbagliato...»

«Charlie è fatto così... È testardo, e mi rendo conto che a volte non ragioni sempre razionalmente, ma ha davvero tanta voglia di mettersi in gioco, ed é ammirevole, perché ci vuole molto coraggio e forza di volontà. Charlie é... É speciale» dico. Le parole mi escono da sole, non c'è bisogno che io le cerchi e le elabori. Sono cose che ho sempre pensato e che hanno bisogno di essere dette.

«Sì hai ragione» Amanda annuisce, pensosa, il suo sorriso si è andato un po' a perdersi «Charlie è speciale e unico... Pensa, io e suo padre lo abbiamo mandato da cinque psicologi differenti dopo la sua grave bravata, ma nessuno di questi è mai riuscito a dedurre qualcosa di quel ragazzo. Dicevano che era un intreccio di personalità davvero molto curioso e insolito, che però si rifiutavano di collaborare fra di loro».

Sono sorpresa, non avevo mai immaginato minimamente che Charlie fosse andato da alcuni psicologi, non mi sembra proprio il tipo. Trovo però che queste persone siano riuscite a descriverlo in modo perfetto: "un intreccio di personalità".

Sento la porta d'ingresso aprirsi e un rumore di passi giungere verso di noi dal corridoio principale.

Charlie irrompe nel salotto salotto tranquillo, seguito da un Golden Retriver, che l'altra volta, insieme a Seppia, non avevo incontrato. Il cagnolone mi trotterella incontro non appena mi vede, scodinzolando felice. Si fa accarezzare e annusa un po' il gatto, che persiste a non muoversi di un centimetro dalle mie ginocchia.

Charlie sulle prime non si accorge di me, troppo preso ad appendere il guinzaglio del cane a un chiodino, ma non appena i suoi occhi incrociano i miei si blocca e si irrigidisce con aria esterrefatta.

«Oh eccoti finalmente, stavo facendo la conoscenza della tua amica Zilla. Hai visto che carina? É venuta pure a trovarti» dice Amanda rivolta al figlio.

Abbasso lo sguardo, imbarazzata, e non dico niente.

«Sí... É stato molto gentile da parte tua, Zilla»

Non riesco a decifrare il suo tono di voce, ma è palese che stia recitando la parte del ragazzo felice di vedere la sua amica, al fine di non fare figure di merda davanti a sua madre.

Ho paura... Temo sia stata una pessima idea venire fin qui, sarei dovuta rimanere a casa.

Συνέχεια Ανάγνωσης

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