Amber

By coopercroft

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James Emory è un giovane avvocato di successo, ma la sua vita personale è in frantumi. Il suo matrimonio sta... More

Prologo: La diagnosi
Amber
Margot
James Emory
Lo studio Wallace & Roberts
Benedict e Gabe
La collera
Ossessione
Una notte tranquilla
Chiarimenti dolorosi
L'incidente di Benedict
La rabbia di Gabe
Dov'è James
L'incontro con Margot.
Rapporti complicati
Prendersi cura
Amber è in pericolo
Il passato è il nostro segreto.
La scelta di Benedict
La parte nascosta di James
Ricucire gli strappi
Riportare a casa Gabe.
Il filo rosso del destino
Lise
Nuove responsabilità
Il dolore
Fine di un incubo
Une jolie petite fille
Giorni di tristezza e di desiderio
Siamo dei lussuriosi...degni dell'inferno dantesco
La nostra famiglia.

Benedict è la mia famiglia.

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By coopercroft


James arrivò all'angolo della piazza di West Smithfield dove sorgeva il saint Bartholomew, deciso ad affrontare Gabe per vedere il fratello.

Non provava rimorso per il comportamento nei confronti della moglie, solo un senso di inquietudine per come aveva agito. I Wallace erano noti per la loro arroganza, e non riusciva a prevedere quale sarebbe stata la reazione di Henry al fallimento dell'intrigo di Margot.

Parcheggiò l'auto e cercò di concentrarsi su Benedict.

Salì ai piani superiori dove si trovava lo studio di Gabriel che di sicuro trascorse la notte in ospedale.

Bussò e senza aspettare risposta entrò, lo trovò assorto nella scrittura.

Alzò lo sguardo e sbuffò seccato, lasciando cadere la penna. Si appoggiò alla spalliera della poltrona intrecciando le braccia sul petto.

"Che ci fai qui? Ero stato chiaro!"

Il giovane alzò le mani in segno di resa. "Dimmi come sta Benedict e poi lasciami parlare."

"Sta bene, è vigile e orientato, e se ti fa stare meglio, ha chiesto di te." Sibilò infastidito.

Sembrava provato, la fronte solcata da rughe profonde, gli occhi arrossati, ma nonostante la stanchezza, era ancora arrabbiato.

La buona notizia lo sollevò, il cuore gli danzava nel petto. Gli fece cenno che voleva sedersi.

"Hai l'aria di aver combinato un altro guaio." Brontolò il dottore massaggiandosi le tempie.

James sospirò e prese pochi secondi, poi gli raccontò tutto: dal messaggio di Margot fino a ciò che successe quella mattina.

Il cognato lo ascoltò con il volto incupito, ma rilassò le spalle.

"So quello che pensi di me, ci sono andato nella speranza di salvare il nostro matrimonio e mettere fine a quel disastro! Invece il suo scopo era di coprire il padre." lo aggiunse interdetto perché vedeva crescere la sua irritazione.

In risposta, il medico piantò i gomiti sulla scrivania e scosse la testa.

"Credi di aver migliorato la situazione umiliandola in quel modo? Ti avevo avvertito sul tipo di persona che è diventata."

"Su questo avevi ragione. Non c'è più nulla che ci leghi, ora ne ho la conferma, e poi quelle offese gratuite ad Amber!" sbuffò toccandosi la nuca.

Il dottore, che si stava slacciando la cravatta, si fermò di colpo. "Che c'entra Amber adesso?"

Lui cercò di evitare di rispondere, ma l'altro lo incalzò. "Non proverai qualcosa per lei, vero?"

Si sentì avvampare per quella frase che lo metteva in difficoltà.

"No, che dici! La stimo come amica." balbettò poco convinto.

"Gesù James! La stimi? Ci sei andato a letto!" esclamò fissandolo divertito dopo tanto tempo. "Sei un idiota!" mormorò alla fine.

Già in debito di aria avvertì l'ennesimo crampo allo stomaco.

"Beh, la sento vicina, mi capisce e mi ha soccorso non chiedendomi nulla"

Gabriel brontolò. "Se è per questo, mi doveva un favore. Gli ho chiesto di aiutarti."

"Poteva rifiutarsi! Invece mi ha sostenuto quando stavo male."

Si difese con troppa foga, il cognato si alzò turbato, piazzandosi di fronte con le mani affondate nelle tasche che sembrava volesse sfondarle.

"E' una ragazza premurosa, ma non interpretare a caso i suoi modi gentili, anche se fa la prostituta ha un grande cuore. Non prendere le cose alla leggera."

"Lo so, non sono stupido." distese le gambe sospirando.

Gabe non si fermò.

"Quello che hai fatto stamane è stata una mossa azzardata, non sottovalutare la reazione di Wallace."

Il giovane sentì l'ansia crescere.

"Me ne rendo conto, ma prima di andarmene ho preso le memorie con le immagini della sorveglianza. Vengono cambiate una volta al mese e siamo agli inizi di marzo. Stavolta Margot non potrà mentire e accusarmi di violenza."

Gabriel approvò.

"Bravo, ti sei tutelato, ma Henry reagirà, potrebbe dire che le hai sottratte."

"Oltre a essere il marito, risulto anche il proprietario. Le ho depositate al comando di polizia. Ho svolto tutto al meglio, quando deciderete di denunciarlo, ci sarà la prova dell'aggressione."

Il cognato socchiuse gli occhi e si pizzicò il ponte del naso, quel gesto era l'avviso di una emicrania in arrivo. Ne soffriva da sempre.

In quelle ore non si era mai preso una pausa. Si preoccupò di vederlo sofferente, infatti era il loro punto di riferimento. Si alzò e gli prese il braccio.

"Stai bene? Il solito mal di testa?"

"Sì, quello che mi fai venire tu, ragazzo."

Si sottrasse dalla stretta, si girò per andare verso la finestra, la spalancò perché entrasse dell'aria fresca.

Non si voltò, continuò con la voce stanca.

"Sicuramente lo denunceremo, e comunque in questo caso, c'è un responso medico dell'incidente. Ma sei stato uno stronzo con tua moglie, e presto Wallace saprà chi è l'escort che hai frequentato"

James lo raggiunse e cercò di spiegargli le sue motivazioni.

"Non hai idea delle umiliazioni che ho subito in questi mesi, di quante volte mi sono sentito inutile."

Gabe socchiuse la finestra e si voltò rassegnato. "Henry si vendicherà su Amber. Ti è chiaro adesso? Il giovane comprese e impallidì.

"Perché dovrebbe fare una mossa del genere?"

"Per come hai trattato Margot, non ti perdonerà di averla ferita per una... prostituta!"

James si morse le labbra. "Devo avvertirla." In quel momento realizzò l'imprudenza della sua azione.

Il dottore lo evitò e tornò alla scrivania. "Ti ridarò le chiavi di casa. Non puoi restare da lei, chiamala e dille quello che hai fatto."

Si riempì un bicchiere d'acqua e parlando più a sé stesso, mormorò.

"Finisci spesso per combinare dei guai!" aprì il cassetto e prese un blister di medicine. "Spero che imparerai prima o poi a non agire d'impulso! Ci sono altre persone coinvolte in questo casino."

Sbuffò, mandò giù la pillola e si abbandonò nuovamente sulla poltrona, massaggiandosi le tempie.

James era in debito di aria. "Non darmi tutte le colpe! Che potevo fare se sono sterile, mi hanno buttato fuori nemmeno fossi un appestato!"

Gabriel lo guardò senza rispondere e lui continuò.

"Sistemerò ogni cosa, vedrai." Uscì dall'ufficio deciso di informare Amber.

Gabe aveva ragione, la reazione di Henry si sarebbe fatta sentire, ma l'insofferenza che vide attraversargli il volto fu difficile da digerire. Non comprendeva il comportamento del cognato, le sue parole lo ferivano rendendolo alla stregua di una persona inadeguata e stupida. In fondo era la cattiveria dei Wallace la causa principale del pericolo che minacciava le persone a cui teneva.

Contattò Amber con il cuore in gola. Le raccontò ogni cosa fidandosi di lei, fu stranamente comprensiva e lo ascoltò in silenzio. Sembrò sollevata quando le disse che aveva smascherato il piano di Margot. Ma non approvò del tutto il suo comportamento con la moglie, eppure Lo rassicurò che era tranquilla e che sarebbe stata attenta.

Tornò nello studio del cognato, che nel frattempo era riuscito a riacquistare la calma.

"Non è a casa, ma da una amica che si chiama Lise. È al sicuro. Non ho tralasciato nulla, non mi ha assolto ma ha capito. Più tardi verrà per vedere Benedict."

Il dottore lo fissò sorpreso. "Lise? Ha detto amica?"

"Sì, la conosci? Non sapevo che ne avesse."

"Ho sentito il nome, ma niente di più." Gabriel chiuse l'argomento, puntellò il gomito al bracciolo della poltrona e si sostenne il capo; era una roccia e vederlo soffrire lo devastava.

"Che ti succede? Mi nascondi qualcosa?" si avvicinò dimenticando di colpo le loro divergenze, gli strinse la spalla. "Lasciami stare con Benedict, so il modo per aiutarlo."

La mano del medico tremò. "E come ragazzino? Con la magia?"

Turbato, osservò i suoi modi troppo lenti. Di solito era un vortice di azione.

"Si tratta della sua ferita?" Chiese allarmato.

"L'ematoma non si riassorbe e se non succederà bisognerà operarlo." Le ultime due parole gli uscirono così deboli che stentò a sentirle.

"Non pensarci nemmeno. Ben starà bene! Deve sentire che gli sono vicino."

Rispose così convinto che lui si sollevò e lo fissò perplesso.

Gli sorrise, sembrava lo vedesse per la prima volta da quando era arrivato.

"So che hai un legame speciale con lui," farfugliò. "Forza allora, andiamo."

James si sentì, almeno in parte, compreso. Era pronto a prendersi cura del fratello.

Lasciarono lo studio e percorsero il corridoio che li avrebbe portati al reparto di rianimazione. Il forte odore di disinfettante lo fece arretrare.

"Lo so è fastidioso, ma poi ci si abitua." lo incoraggiò il cognato con una generosa botta sulla spalla. Era evidente che sapeva del suo disagio nei confronti degli ospedali; rimanerci per ore o giorni interi non era una passeggiata

Benedict, una sera, mentre cenavano insieme, gli accennò dell'incidente che patì da adolescente. Non entrò nei dettagli e Gabe, si accontentò senza insistere.

Giunti alla porta, il medico titubò, la mano appoggiata alla maniglia.

"Ha i capelli rasati e anche i baffi a cui teneva, non ci sono più." Sospirò. "Ha una fasciatura sulla testa, e potrebbe incespicare nelle parole."

James sentì il sangue raggelarsi.

"Devi essere sicuro! Amber mi ha detto che sei stato male, cerca di non crollarmi proprio adesso." Gli prese il polso e lo strinse forte.

"Stai tranquillo, posso farcela." Il dottore annuì ed entrarono.

Benedict era sprofondato nel letto sistemato accanto alla finestra. I monitor registravano i parametri vitali, il braccio destro bloccato con gli accessi delle flebo.

Una vistosa medicazione sulla nuca rasata lasciava intravvedere un ematoma che raggiungeva la tempia.

Girò il volto ai loro passi, lo vide, si agitò subito e iniziò ad ansimare. Gabe fu di corsa al suo fianco.

Con un cenno lo fermò, e fu un bene perché vederlo in quelle condizioni lo fece vacillare: guardò il pavimento cercando di farsi forza.

"Ben ti devi calmare o lo mando via. Hai capito?" Lo sgridò con gentilezza.

Annuì muovendo la testa, non staccava lo sguardo dal fratello minore. Il compagno gli accarezzò il volto fino a quando non lo vide tranquillo.

"Vieni ragazzo, ora vi lascio da soli, fate i bravi." Uscì dalla stanza in silenzio, consapevole del momento difficile che dovevano affrontare.

Lo baciò sulla fronte. "Sono qui, Ben. Stai calmo sennò mi cacciano via." Gli occhi erano lucidi, così quanto i suoi.

"Ti voglio bene, scusami per quello che ti ho causato." Mormorò con il cuore in gola.

Si sedette sulla sedia, così vicino che le ginocchia toccavano il letto. Gli prese la mano, e lasciò che il calore passasse a quella pallida del maggiore.

"Non...hai fatto nulla...non scusare..." mascherò il dolore nel sentirlo biascicare poche parole forzate, lui che teneva conferenze a Oxford per ore. Gli accarezzò il capo rasato.

"Non ti lascio più, tu promettimi di lottare."

Mosse appena il corpo e si sforzò di rispondergli. "Lo farò..., prometto."

"Lo sai che ci conto." Intrecciò le dita strette alle sue.

Benedict gli restituì lo sguardo colmo di affetto fraterno, un'espressione che conosceva bene e che non lo abbandonò mai, nemmeno quel giorno, di anni prima, quando combinò un errore folle.

Lottò contro l'impulso di lasciarsi andare alle lacrime. Quante volte era stato lui il suo sostegno!

"Non farmi piangere, o Gabe si arrabbierà." Gli sorrise commosso. "Come ti senti? Hai dolore alla ferita?"

"No, poco...io meglio... tu avuto paura?"

"Sì, molta, ma so che sei una roccia. Ti ho sempre rovinato la vita: ero uno stupido ragazzino che non voleva crescere."

Il maggiore respirò con lentezza.

"Mamma e papà... incidente... tu sofferto. Ho fatto mio dovere! Sei uomo ora..."

"O Ben! Cosa sarei senza la tua forza? Avevi appena ventiquattro anni, sta a me aiutarti ora."

"No. Tu stanchi...io...non bisogno." Si girò verso la porta addolorato. "Gabe...soffre...arrabbiato."

"Lo so, ma posso sopportare. Resterò fino a quando starai meglio. Ci chiariremo in seguito." Non disse nulla della reazione del cognato, ma immaginò che avesse capito.

"Io dispiace... si sente solo... non capisce."

"Non pensarci, ora sono qui." Scherzò per cambiare argomento e alleggerirgli il cuore. "Sei carino con questo nuovo look, sembri più giovane." Sentì la mano stringerlo con più forza.

"Stupidio..." lui ridacchiò a quella parola confusa. "Lo prendo per stupido e idiota?"

Ben cercò di ridere, ma finì per tossire. "Tu beffare...me"

Le loro mani si serrarono insieme che sembravano fondersi.

"Tu fratellino... ti voglio bene... lo sai."

"Anch'io te ne voglio, ora riposa." Vide la stanchezza sul suo volto. Lo baciò sulla tempia scura. Ben cedette, chiuse gli occhi. La presa si allentò, si assopì con un sorriso sulle labbra. Tutti i parametri vitali erano dei buoni numeri.

Gabe entrò una mezz'ora più tardi.

James, la fronte corrugata, teneva ancora stretto il fratello.

Gabriel si bloccò. Era stato duro, avrebbe dovuto sorreggerlo e invece lo aveva assalito. Non si capacitava del perché avesse reagito in quel modo.

"Sta dormendo lo puoi lasciare." disse con voce gentile sfiorandogli la schiena.

"No, io resto e non mi sposto." Si voltò a guardarlo, le lacrime gli offuscavano lo sguardo, la mascella serrata.

"Non mi muovo. " Scandì la parola con decisione. "Ben è tutto quello che mi resta della mia famiglia."

Il cognato aggrottò la fronte e capitolò.

"Non reggerai, non hai nemmeno mangiato, dovrai prenderti delle pause."

"Le farò nel tuo studio se me lo concedi, oppure sulla panchina di fuori. Non preoccuparti, non ho fame dopo quello che ho passato stanotte. Cenerò stasera "

Soffiò aria. "Per ora hai vinto! Portiamo qui una poltrona anche per la notte, almeno starai più comodo. Sei testardo uguale a Ben."

Solo allora si staccò dal maggiore che si lamentò per la mancanza del contatto.

Il dottore scosse la testa ironico. "Gli manchi di già, forse hai ragione, stargli vicino lo aiuterà."

Silenziosi sostituirono la sedia con una poltroncina imbottita. Quando ogni pezzo fu sistemato, il giovane riprese a tenergli la mano, calmando il suo ansimare nel sonno.

Sospirò allibito, c'era tra loro un legame profondo che quasi lo infastidì. "Ti lascio dell'acqua, lì c'è il bagno, cerca di dormire mentre lo fa anche lui." Gli ordinò turbato.

"Appena Amber arriva avvisami. Devo parlarle, ho delle responsabilità su di lei. Tieni lontano i Wallace da qua. Quello che voglio è che Ben guarisca."

"Lo vogliamo entrambi, ma non tirare troppo la corda. Ci sono anch'io qui."

Avvertì una forma di gelosia nella sua voce, lo vide allontanarsi con le spalle pesanti, lo fermò sulla porta chiamandolo con affetto.

"Gabriel, non sentirti escluso, so il dolore che provi nel vederlo così. Grazie per essere il suo compagno."

Rimase aggrappato alla maniglia. "D'accordo ragazzo, scusami, ma a volte fatico a capirti. Ora fa il bravo e non strapazzarti troppo."

Uscì scuotendo la capigliatura fulva. Quell'attaccamento misterioso tra i due fratelli, lo metteva in agitazione, una sensazione di perdita che gli faceva male.

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