Come le Maschere di Pirandell...

By shin_eline

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Dove Christian non si rende conto di quanto Mattia gli somigli. More

La prima volta 1/2.
La prima volta 2/2.
Chiasso.
Aspetterò.
Sei mio 1/2.
Sei mio 2/2.
Non andare.
Staccare la spina.
Stupido ego maschile.
Sfortuna, o no?
Paranoie.
Come le Maschere di Pirandello.
Come il sole e le foglie.
In ogni modo.
Amici.
Simili.
Chiamata. 1/2
Chiamata. 2/2
Come il fumo di una sigaretta.
Un po' meno nero.
Rose rosse.
Colazione.
Tornare a casa.
Quando le bugie crollano.
Videochiamata.
Amore.
Ti importa ancora?
Il meglio di me. 1/2
Il meglio di me. 2/2
Un cuore in due.
This Side of Paradise.
La persona adatta.
Uno sporco profumo.
La cosa giusta.
make you mine.
Tra apatia, rabbia e amore.
Un palmo dal cielo.
Mettere in moto.
A pranzo da amici.
Lezioni di ballo.
Prepararsi insieme.
Presentazioni.
Mattina.
Non abbiamo età. 1/2
Non abbiamo età. 2/2
Ogni posto ti conosce.
L'aria di famiglia.
Povera mente.
Ogni secondo di più.
Promettimelo.
Nonni. 1/3
Nonni. 2/3
Nonni. 3/3
La banalità del male.
Il bello dell'amico.
Non so se stringerti o lasciarti andare.
Pasta e gelosia.
In a dream, I saw my mother...
Complici.
Complici. 2

Non ci sarebbe stato Universo alcuno.

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By shin_eline

Mattia sbadigliò, mentre scorreva il pollice sull'home di Instagram.

Ormai non gli interessavano i meme che venivano pubblicate da quelle pagine, e pensò che avrebbe dovuto fare una pulizia dei propri seguiti.

Era sdraiato sul letto a guardare l'ennesimo video asmr che avrebbe dovuto rilassarlo ma che invece gli procurava solo l'effetto opposto, quando sentì d'improvviso la porta aprirsi.

Alzò lo sguardo dal cellulare e, quando non incontrò quello della sua amica -proprietaria di casa-, ma di suo fratello, sgranò gli occhi e si tirò immediatamente a sedere, imbarazzato.

«Oh- oh, tranquillo, resta.»

Si mise a ridere l'altro, con il sorriso perfetto che gli illuminava il volto abbronzato; Mattia sentì le guance arrossarsi un po' più mentre metteva su un sorriso da ebete.

«Sì- no, ecco- io- stavo aspettando che- cioè, non-.»

«Ma tranquillo, anch'io mi stancherei ad aspettarla mentre si fa la doccia. Ci mette una vita ogni volta.»
Ridacchiò riferendosi alla sorella, e al biondo venne naturale sciogliersi e abbassare le spalle quando capì che il ragazzo più grande stesse facendo conversazione per metterlo a suo agio.

Indossava una maglia bianca che entrava in contrasto con la sua carnagione, e Zenzola avrebbe mentito se avesse detto che più e più volte il suo sguardo non fosse caduto su di lui, sul suo corpo.

Dandosi dei pizzicotti sulle mani per trattenersi, portò lo sguardo altrove.

«Ma si sta facendo anche lo shampoo?»

Chiese distratto, mentre si allungava sulla mensola sopra la scrivania per cercare qualcosa fra la miriade di pupazzi colorati.

«Sì.»

«Allora mi dispiace per te, uscirà minimo fra due ore.»

Si voltò verso di lui, e il riccio scosse la testa come per dire che non faceva niente, e che avrebbe aspettato.

In realtà non sapeva nemmeno formulare una frase quando si ritrovava quel ragazzo davanti: non sapeva che accadesse nel proprio corpo, eppure sentiva un improvviso calore che gli saliva fino alla punta delle orecchie e diventava il triplo più impacciato di ciò che era normalmente.

Aveva provato a nasconderlo, e fortunatamente c'era riuscito anche bene: la sua amica non sospettava niente, e lo invitava spesso a casa sua.

E a Zenzola non poteva far altro che piacere vedere quel ragazzo diciannovenne che gli gironzolava attorno.

Perché Mattia era tutto fuorchè ingenuo: forse era un ragazzino malizioso o semplicemente sveglio, eppure lo aveva notato bene come ogni volta che lui andasse a trovare l'amica, il fratello si facesse trovare a casa.

E se dovevano uscire, li accompagnava lui fino al luogo d'incontro con i loro amici.

E ogni volta che si ritrovavano in situazioni come quella, dove la coetanea era sotto la doccia e lui nella sua camera a non fare niente, il fratello entrava e con una scusa o con un'altra attaccava bottone.

E il quattordicenne che poteva farci se non sentirsi profondamente lusingato da quelle attenzioni?

«Dove andate di bello stasera?»

«C'è la festa di paese, quindi credo che andremo in piazza.»
Rispose Mattia, mentre controllava l'orario sul telefono.

E si diede dello stupido quando calcolò quanto tempo la sua amica fosse stata in bagno per pregare che avessero altro tempo da spendere insieme lui e suo fratello.

«E tu che indosserai?»
Domandò curioso, mentre si poggiava alla scrivania di legno dietro di lui e incrociava le braccia al petto.

«Mah, io in realtà pensavo di andarci come sono vestito adesso...»
Mormorò, abbassando lo sguardo verso i propri vestiti, quasi come per controllare che non avesse niente fuori posto.

«Potresti fare di più, però.»
Borbottò l'altro.

Mattia quasi si offese.

Di certo non si aspettava un complimento, ma nemmeno voleva sentirsi dire un indiretto "beh, sarebbe meglio se tornassi a casa a cambiarti."

Ma poi continuò.

«Se vuoi posso cercare qualcosa nel mio armadio, magari vedo qualcosa di qualche taglia più piccola.»

E solo allora il biondo capì il perché di quella frase.

Fargli indossare qualcosa di suo.

Fargli avere un qualcosa di suo così la prossima volta avrebbero avuto una scusa per rivolgersi di nuovo la parola.

Ma portò lo sguardo altrove, cercando di non cadere nei suoi soliti castelli mentali che finiva per costruire da solo.

«Non ti preoccupare, a me piacciono questi vestiti- certo, non saranno poi chis-.»

«Ti stanno da Dio.»
Confermò l'altro, interrompendolo, e a quella dichiarazione così esplicita il quattordicenne alzò di nuovo lo sguardo verso di lui.
«Solo... che ne dici di provare qualcosa? Tanto comunque non mi stanno più bene come prima e dovrei buttarle via.»

E Mattia, dopo appena qualche insistenza in più, finalmente cedette.

Seguì il ragazzo più grande fuori al corridoio, dove sentì ancora l'acqua della doccia scendere veloce da dentro al bagno una volta che vi fu passato di fianco, e poi nella sua camera.

«Ci saranno anche i vostri amici? Anna, Francesco, Giulia, Daniele?»
Elencò un paio di nomi, quei pochi che riusciva a ricordare, mentre il proprietario di casa si avvicinava al proprio armadio.

«Sì, però non credo che Anna e Francesco ci rimangano per molto insieme al gruppo.»
Ridacchiò Mattia, mentre prendeva a giocare nervosamente con i lati della sua felpa, mentre guardava il ragazzo più grande frugare fra i vari vestiti.

Solo allora capì che avrebbe potuto indossare un suo capo, qualcosa di suo, qualcosa che aveva il suo odore.

Quel pensiero gli fece venire delle fitte allo stomaco, tanto che dovette voltarsi dall'altra parte perché iniziava a sentirsi a disagio con quelle emozioni che mai aveva provato.

«Ah, ti capisco! Anch'io nella mia cerchia c'erano due o tre coppie, inutile dire che ora non li vediamo quasi più.»
Continuò sarcastico, prima di afferrare una maglia e voltarsi verso di lui.
«Com'è? Ti piace?»
Chiese, mentre la apriva per lasciargliela vedere.

Mattia era solo un quattordicenne inesperto, e probabilmente se avesse avuto un minimo di furbizia in più ci avrebbe anche fatto caso del fatto che quella maglia fosse esattamente della stessa taglia di quella che il ragazzo aveva addosso, e probabilmente se non fosse stato così tanto condizionato da quel ragazzo probabilmente glielo avrebbe detto che non c'era nulla che poteva piacergli o meno, dato che era una semplice maglia nera.

Ma al tempo sorrise, perché davvero gli sembrava il capo più bello che lui avesse mai visto, ed annuì con vigore.

«Peró- Però sei sicuro di volermela dare?»

«Ma ovvio che sì, che domande!»
Alzó gli occhi al cielo l'altro, prima di porgergliela.
«Dai, fammi vedere come ti sta.»

Mattia era timido, ma voleva tremendamente che l'altro lo guardasse.

Voleva essere desiderato da quel ragazzo come lui aveva capito lo desiderasse.

Voleva che guardasse il suo corpo come poco prima lui aveva guardato il suo.

Perciò finse scioltezza mentre si afferrava i lembi della maglia che aveva addosso, mentre se la sfilava come se per lui non ci fosse alcun tipo di problema, come se non fosse la sua prima volta in una situazione come quella.

E una volta a petto nudo cercó di evitare i suoi occhi, più perché consapevole che altrimenti si sarebbe bloccato che per altro, e afferrò la maglia dell'altro.

Se la infilò veloce, si guardò un po' attorno e si avvicinò allo specchio senza chiedere nient'altro.

Voleva sembrare sciolto, voleva sembrare sicuro di sè, voleva sembrare tutto fuorchè spaventato perché sapeva che quello lo avrebbe reso infantile agli occhi del castano dietro di lui.

E lui voleva essere grande.

Si sistemò la maglia sulle spalle, notando gli scendesse più larga del normale, e non gli calzava poi chissà quanto bene, ma per lui quell'immagine fu comunque degna di un sorriso imbarazzato.

«Beh- però- però mi sta bene, no?»

«"Bene" è riduttivo.»

E si avvicinò anche lui.

Il riflesso dello specchio mostrava ora due figure.

A Mattia piacevano i loro colori insieme, che sembravano così simili da sembrare disegnati, fatti apposta per essere uno dell'altro; a quel pensiero abbassò la testa.

Leggeva troppi libri.

Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla, e rialzò lo sguardo.

Sentì il cuore battere più forte quando vide il più grande fare un basso verso di lui, diminuire le distanze fra i loro corpi e abbassare lentamente la manica, allargando il collo della maglia.

Si chiese cosa volesse fare, mentre il cuore iniziava a battergli forte.

Non riuscì ad incrociare i suoi occhi, fissava solo quella mano.

E poi Marco si abbassò, sotto il suo sguardo, dando il tempo all'altro di allontanarsi, ma Mattia era fermo immobile.

Il diciannovenne poggiò il mento sulla sua spalla scoperta, e gli sorrise.

«Allora, ci uscirai con questa?»

«F-Forse- forse è-è- è troppo larga, forse non è i-il caso.»

Mormorò imbarazzato e fin troppo sincero, perchè era un quattordicenne alle prime armi che quelle situazioni non riusciva a reggerle, e spostò il viso dall'altra parte.

E capì la figuraccia appena fatta appena finì di parlare.

Era ovvio che stesse cercando di flirtare e- Dio, perché non poteva essere diverso?

Più sveglio e più malizioso?

Marco ridacchiò, forse intenerito, forse perché aveva capito la difficoltà dell'altro, e rivolse il suo viso verso di lui, nell'incavo del suo collo.

Mattia rabbrividì mentre sentiva il suo respiro contro il suo collo.

Sentiva caldo.

Sentiva terribilmente caldo.

Voleva che lo baciasse, che lo stringesse, non che si limitasse con quella mano sulla spalla.

Riportò lo sguardo allo specchio, studiando le loro figure, ed erano così belli insieme.

Lui si sentiva proprio bello in quel momento.

Era rosso sul viso, il respiro gli era diventato irregolare, e i capelli per quanto scompigliati sembravano stargli tremendamente bene.

«Visto quanto sei bello?»

Domandò l'altro, mentre faceva scendere la mano dalla sua spalla al suo braccio.

Mattia ebbe le farfalle allo stomaco.

Lui sapeva di esser carino, ma sentirselo dire in quel contesto non aveva niente a che vedere con le sue convinzioni quotidiane.

Marco non gli diede nemmeno il tempo di rispondere.

Avvicinò le labbra al suo collo e vi diede un bacio.

Senza schiocco, senza malizia.

Un piccolo bacio.

Mattia arrossì all'inverosimile, mentre la sua paura era solamente che la sua amica non uscisse proprio in quel momento dalla doccia.

E poi un altro.

Stavolta più presente, dato che aveva ben capito che a quel punto Mattia ci stesse.

E quella mano sul suo braccio si spostò sul suo fianco.

Mattia sospirò al terzo bacio, chiudendo gli occhi perché iniziava a sentire le gambe molli.

Il fratello della sua amica gli stava baciando il collo, gli stava dando mille delle sue attenzioni e Mattia sentiva il cuore esplodere.

Sapeva che fosse sbagliato, ma in quel momento avrebbe tanto voluto dare sfogo a tutti i suoi istinti e continuare.
Andare fino in fondo, sentirsi desiderato fino in fondo, sentirsi amato fino alla fine.

E mentre lo pensava, la mano di Marco scese ancora.

Arrivò sulle sue anche, poi scese fino ad arrivare alla sua coscia.

«A-Ah.»

Si lasciò andare Mattia, non essendo preparato a quell'improvvisa stretta più decisa sulla sua gamba.

E quei baci divennero umidi.

Il quattordicenne si sentiva in paradiso.

Voleva restare lì per sempre.

Aveva paura di quando quell'attimo sarebbe finito, perciò voleva che durasse per ore.

Marco si poggiò su di lui, e Mattia sospirò di nuovo.

Voleva sentirlo più vicino.

Eppure si sentì quasi in colpa quando non lo sentì eccitato come lui stesso stava facendo.

Si sentì a disagio e si sentì sbagliato, perché a lui erano bastati appena due baci.

«Mattia! Mi asciughi tu i capelli?»

Urlò la ragazza dal bagno, e Marco si allontanò veloce da lui appena sentì il rumore delle sue ciabatte mentre camminava per il corridoio.

Mattia sgranò gli occhi e cercò di tornare al mondo reale, mentre rispondeva.

«Sì, sì, ora- ora vengo!»

Urlò in risposta, mentre si voltava timidamente verso Marco.

E quello si allontanò, poggiandosi sul letto.

Mattia avrebbe voluto sentirsi dire qualcosa.

Magari la promessa che una prossima volta ci sarebbe stata.

Ma quello non gli disse nulla.

E lui si voltò, uscendo dalla camera.

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«Scusa Lu', ma Christian?»

Domandò Mattia, avvicinandosi al barista di fiducia del suo fidanzato -o almeno, così aveva iniziato ad identificarlo-, mentre ballava.

Il nominato si voltò, interrompendo la propria chiacchierata con altre due ragazze, e gli rispose.

«Prima è uscito fuori, ma non ho visto se è rientrato.»

Il biondo corrugò la fronte; gli parve strano che non l'avesse avvisato.

Annuì distrattamente, pensando che forse avesse solo voglia di fumare, e dopo aver mormorato un "grazie" si avviò verso l'uscita.

Luca lo seguì un po' con lo sguardo, forse preoccupato ancora per quella faccia che l'amico aveva fatto una volta ricevuta la chiamata, poi si voltò e tornò dalle sue amiche.

Mattia aprì la porta d'ingresso e uscì fuori da quel locale, e una volta guardatosi a destra e sinistra, trovò il proprio ragazzo con la schiena appoggiata ad un muro intento a fumare.

Si richiuse la porta alle spalle, prima di avvicinarsi a lui.

«Ehi, bellezza.»

Attirò la sua attenzione Mattia, mentre gli sorrideva caloroso e diminuiva le distanze.

Christian alzò lo sguardo verso di lui, e appena lo vide, gli sorrise.

«Scusa, sono occupato.»

Il riccio ridacchiò, mettendosi di fronte al moro, appoggiato sullo schienale di uno dei divanetti lì posizionati.

«E io mica sono geloso.»

Il diciannovenne se la rise, prima di fare l'ennesimo tiro di sigaretta.

Mattia si sistemò, poggiando le mani ai lati delle sue gambe, sul divano, e lo guardò completamente innamorato.

Christian era di una bellezza disarmante.

Dio solo sapeva quante volte gli era venuta voglia di prenderle a morsi quelle labbra davanti a tutti, in quella sala poco prima.

Ma ad interrompere i suoi pensieri, fu proprio il moro.

«Sai che penso ogni volta che fumo?»

«Al pompino che ti avevo promesso?»

«Sei così egocentrico.»
Gli rispose il più grande, mentre picchiettando il filtrino con il pollice, faceva cadere della cenere a terra.
«Non sei al centro dei miei pensieri, sai?»

«Peccato, io ogni volta che fumi ci penso.»
Fece finta di alzare gli occhi al cielo.

«Non vale se lo pensi ma non lo metti in pratica.»

«Ah ora lo vuoi?»

«Non ho detto di non volerlo, ho detto solo che non ci penso così tanto.»

«Che stronzata.»

«Sì, infatti.»
Confermò il moro, ormai senza alcun interesse nel provare a difendersi, poi ridacchiò e scosse la testa.
«Hai mai fumato tu?»

Mattia ci pensò un po', prima di alzare le spalle.
«Qualche tiro.»

«Ne hai mai fumata una intera?»

«No, avevo paura di prenderne il vizio.»
Sorrise, sentendosi un po' stupido ad ammetterlo ad alta voce.
«In realtà a me piace fumare, o meglio- mi piacciono i movimenti del fumare, i gesti.»
Provò a spiegarsi meglio.
«È elegante la sigaretta. Portarsela alle labbra, aspirare, sbuffare poi il fumo in aria.»
Sorrise.
«Mi attira più questo che la sigaretta in sè.»

Christian lo ascoltò, stupito da quella spiegazione.

A dir la verità un qualcosa di simile lo aveva provato anche lui, a suo tempo, quando aveva iniziato a fumare.

Il suo primo tiro gli aveva fatto letteralmente schifo, non gli era piaciuto per niente, però forse l'idea di sentirsi grande lo aveva spinto a nascondere quel fastidio per fingere gli piacesse davvero.

Forse anche lui ricercava quell'eleganza delle persone grandi, quella sicurezza che emanavano quando si portavano la sigaretta alle labbra, quando se la accendevano con una mano e con l'altra riparavano la fiamma dal vento.

Annuì.

«E come hai fatto a limitarti ad alcuni tiri?»

«La paura.»
Rispose, mentre iniziava a far vagare lo sguardo sulle crepe del muro di quel locale che, seppur lievi, erano sempre presenti.
«Ho sempre avuto paura di prendere il vizio o di superare il limite senza riuscire a tornare indietro.»
Abbassò lo sguardo.
«A me piace bere, ma non sono mai arrivato al punto di ubriacarmi, nè mi ci sono mai avvicinato: ho paura di non essere lucido e fare cavolate.»
Si voltò verso di lui.

Christian annuì ancora, come se in realtà quel discorso fosse stato fatto solo per dar ragione ai propri pensieri, perché lui quel lato di Mattia lo conosceva bene.

«Tu sei in tutto così.»
Lo indicò con ancora la sigaretta in mano.
«In ogni aspetto del tuo carattere, ti tieni lontano dal limite.»

Mattia inclinò il viso di lato.
«In che senso?»

«Nel senso che anche con i tuoi sentimenti ragioni allo stesso modo.»
Spiegò.
«Quando sei arrabbiato, ad esempio, non scoppi mai. Non dici mai parole fuori posto, non esageri mai. Anzi, stai in silenzio fin quando non aspetti il momento giusto per parlare, fai sfogare prima uno e poi dopo parli tu.»

«Non dico mai parole fuori posto?»
Ridacchiò.
«Ti stavo per lasciare, Chri.»

«Ma era sempre perché io l'avevo detto prima di te: tu avevi detto quella frase per scatenare una mia reazione, perché subito dopo l'hai giustificata.»
Continuò.
«"Sono io a lasciarti e non perché io non ti ami, ma perché tu non riesci a sentirti amato da me."»

Mattia abbassò lo sguardo.

«Sei delicato anche nella tua rabbia. Stai attento ad ogni minima parola, sai come esporti senza mai sporgerti sul precipizio.»

«E tu credi sia una cosa bella?»
Lo interruppe.

Christian ci ragionò un po'.

«Pro: non esageri mai e sei sempre più vicino alla parte della ragione.»
Elencò.
«Contro: non ti lasci mai andare, stai sempre in allerta, e non ti rilassi mai.»

«Io mi rilasso.»

«È una continua finzione.»
Alzò le spalle.
«Da quando apri gli occhi la mattina, sembra tu non faccia altro che combattere. C'é sempre qualcosa che ti porta a stare con mille occhi aperti, e quelle poche volte che riesci a rilassarti, sembra che il mondo ti crolli addosso.»
Fece un altro tiro con la sigaretta.
«Quando fumo penso a mille cose, e prima... non so perché, ma ho pensato a te.»
Sussurrò, poi alzò gli occhi al cielo.
«Il che non è strano, nè è una novitá, però-.»
Mattia rise.
«-Però c'é una domanda che non riesco a levarmi dalla testa.»
Cacciò fuori, serio.

Il biondo lo guardò, dondolandosi appena, mentre attendeva.

«Se sei di un carattere di questo tipo, nel senso che ogni cosa deve stare sotto al tuo controllo o è la fine, perché sei innamorato di me?»
Christian abbassò lo sguardo.
«Voglio dire... anch'io sono maniaco del controllo, anche a me viene difficile rilassarmi, le poche volte che abbiamo litigato è proprio perché siamo troppo simili, e-.»

«Perchè ho capito che il mondo non gira attorno al mio carattere.»
Sorrise, prima di voltarsi dall'altra parte.
«Perchè ho capito di non volere nessuno sotto al mio controllo, perché fidarsi di qualcuno è così soddisfacente che mi riempie.»
Sorrise di nuovo.
«Mi riempie perché i peggiori tratti del mio carattere non fanno la persona che io voglio accanto. Siamo simili Chri, della serie che tu sei il mio posto sicuro, ma sei quella persona che se un giorno sbagliassi, mi riempiresti di brutte parole e mi faresti rigare dritto a forza.»
Incontrò di nuovo i suoi occhi.
«Non so perché mi sono innamorato proprio di te, e non credo di poterti mai dare una risposta precisa. La posso cercare, e ogni volta che me lo domanderai ti dirò qualcosa di diverso, perché ogni giorno c'é scopro un motivo in più del perché tutto questo è successo.»
Sentì i brividi percorrergli la schiena a quelle parole.
«Scopro il mio amore per te giorno per giorno, minuto per minuto, e potrei elencarti le cose per cui gli altri potrebbero innamorarsi di te ma se provo a spiegarti il mio di motivo barcollo.»

Christian spense la sigaretta nel posacenere sul tavolino, mentre ripensava alle parole dell'altro.

Amare e non sapere perché.

Come si può?

Come si può amare in quel modo senza nemmeno conoscere il motivo alla base?

«E tu?»

Stefanelli alzò lo sguardo nella sua direzione.

«Cosa si prova a sapere di starcela facendo?»
Domandò, con il sorriso furbo di chi pensa davvero quel che dice.
«Cosa si prova a girarsi indietro e vedere che quel grande ostacolo che non riuscivi a superare, si trova alle tue spalle?»

Starcela facendo...?

E quelle domande lo fecero riflettere.

Lo fecero riflettere molto più di quanto le proprie avessero fatto nel proprio cervello quando era solo a fumare.

Erano domande diverse, quasi mai poste.

Perché sapeva di aver fatto qualcosa di grande, sapeva di aver finalmente incontrato l'amore e di averlo accolto nella propria vita, ma lui non si sentiva vittorioso.

Non si sentiva di avere un ostacolo alle spalle.

Eppure forse l'ostacolo erano quei brutti pensieri che lui aveva nella sua testa e che non riusciva a superare, ma che ora non esistevano più.

Non aveva più il peso di dover andare a divertirsi ogni sera per dirsi che si stava godendo la vita al massimo, e non aveva più il peso di accontentarsi.

Non si accontentava più.

Se aveva cento voleva mille, se aveva mille voleva cinque mila.

Voleva qualcosa così tanto che lo desiderava ancora dopo che l'avesse già avuto.

Desiderava e bramava Mattia ancora dopo che quello fosse diventato il suo ragazzo, e desiderava conquistarlo altre cento volte solo per non sentirlo mai perdere una briciola d'amore.

Voleva quel ragazzo tanto da desiderare di sposarlo, tanto da programmarsi un futuro con lui.

E quello significava starcela facendo?

«È una strana sensazione...»
Mormorò Christian, infilandosi le mani nelle tasche e ritornando nella posizione iniziale.
«Non credere in te solo perché nessuno l'ha mai fatto e scoprire, da un momento all'altro, nel giro di una sigaretta, che tu hai creduto in te appena qualcuno l'ha fatto.»
Guardò i cuscinetti posti sopra quei divani.
«È una strana sensazione conquistare qualcuno per vincere una stupida sfida, e poi ritrovarsi ad amare qualcuno nel modo in cui da bambini si crede che i propri genitori si amino.»
Annuì.
«È una strana sensazione non voler condividere l'appartamento con nessuno e poi ritrovarsi a contare i mesi per aspettare che la tua persona diventi maggiorenne e abbia il permesso dei genitori per vivere da te.»
Sorrise.
«È strano ammettere di amare qualcuno ad alta voce. Mi fa capire quant'è forte quello che provo.»

«E quant'è forte quello che provi?»

«Tanto da farmi costruire il mio futuro con la certezza che tu domani ci sarai.»

Mattia sgranò gli occhi, sorpreso da quelle parole.

«Con la certezza che ogni volta che mi sveglierò ci sarà qualcosa a ricordarmi di te, che sia un tuo messaggio, un tuo buongiorno, o i tuoi capelli che mi fanno il solletico al collo mentre dormi ancora.»

Il più piccolo arrossì, abbassando lo sguardo.

«Con la certezza che il motivo per cui oggi mi sento così vivo è accanto a me, e con l'assoluta convinzione che scelgo lei, in ogni caso e in ogni contesto, indipendentemente da chi ci sia dall'altro lato.»

Mattia sentì i brividi.

E chissà, forse li avrebbe avuti ancora di più se avesse saputo che Christian stava pensando ai suoi genitori quando aveva pronunciato l'ultima frase.

«Mi hai insegnato cosa significa essere me stesso, e io non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi insegnato ad apprezzarmi.»

«Sei stato tu che hai fatto questo, io non ho fatto niente.»

«Sei stato tu che mi hai spronato, tu che mi hai insegnato cosa significasse volere qualcosa, cosa significasse imparare a volerti.»
Continuò.
«Senza di te io non avrei mai capito cosa mi stessi perdendo. E ogni volta che ne parliamo, me ne convinco un po' di più nonostante la volta prima mi sia detto che fosse impossibile, che avessi raggiunto il massimo della mia convinzione.»
Rise, poi si fece serio, e lo guardò.
«Voglio ballare il lento del tuo diciottesimo con te, mentre mi faccio rosso perché ho una paura boia di tuo padre, e- Dio solo sa quanto mi sentirò in imbarazzo con tua madre e-.»

Mattia si mise a ridere, scuotendo la testa imbarazzato.

E Christian rise insieme a lui, più perché la sua risata era la propria che per altro.
«Voglio fare un miliardo di cose insieme a te.»

«Smettila-»
Mattia abbassò la testa, capendo che se avesse continuato a guardarlo negli occhi avrebbe solo balbettato.
«Smettila di farmi queste velate proposte di matrimonio
Pronunciò, ricordandosi di quella sera in cui mezzi ubriachi dormirono a casa dell'altro.

E a quel punto Stefanelli sorrise, facendo un passo verso di lui.
«Mi viene difficile.»

Gli stringeva una mano con una delicatezza immane, quasi come se toccarlo gli facesse paura.

«Provaci, perché se continui così ci rimarrò male se non mi farai quella ufficiale.»
Alzò lo sguardo Mattia, guardandolo dal basso, eppure Christian si sentì lo stomaco sottosopra.

Sentì i brividi percorrergli le braccia e fargli fremere le dita, poi annuì.

«Se continuamo così, stai sicuro che ci sarà quella ufficiale.»

Si chinó verso di lui, fino a ritrovarsi ad un centimetro dal suo viso.

Abbassò lo sguardo sulle sue labbra, studiandole come se volesse fermare il tempo nell'immenso di quella turbine di emozioni.

Riportò gli occhi sulle sue pupille.

«Il mio avercela fatta porta il tuo nome, Mattia.»

E Mattia sentì il respiro tremare.

Il fiato gli si mozzò, dei brividi di freddo gli contrastarono il caldo che sentiva riscaldargli le mani e il viso, e sentiva un leggero ronzio nelle orecchie.

Il cervello smise di elaborare.

Come se si fosse fermato.

Come se il mondo si fosse fermato in quei pochi millimetri che li separavano.

In quel segmento di lontananza in cui Mattia era lì, Christian era lì, in cui i loro respiri si intrecciavano ma la pelle non si toccava.

E a Mattia parve quasi che quello fosse un messaggio.

Che se anche un giorno si fossero separati, che se nei giorni avvenire fossero stati distanti, se il destino li avesse allontanati, l'uno avrebbe per sempre sentito il respiro dell'altro sulle proprie labbra.

Sarebbero stati parte del cuore dell'altro anche se gli occhi non l'avrebbero visto.

E Mattia si sentì così pieno.

Pieno di un amore sovrannaturale, che gli fece salire le lacrime agli occhi.

Il cervello non elaborava la possibilità di un mondo in cui loro due non si sarebbero amati.

Il suo cuore non concepiva un pianeta in cui non avrebbe battuto così forte solo per quel ragazzo.

E tremante, alzò le sopracciglia in uno sguardo supplicante, e forse gli stava supplicando solo di credere in quell'amore così forte come ci credeva lui, che forse sarebbe bastato davvero solo questo per far sì che quel desiderio si avverasse.
Che in ogni Universo si sarebbero amati più del concepibile.

«I-Io ti amo.»

Sussurrò.

E gli sembrò così strano quando nel sussurrare quelle parole, si sentì giusto.

Perché un "ti amo" non racchiude la promessa di stare per sempre insieme, eppure in quel momento sembró avere anche le vesti della promessa di un matrimonio senza fine.

«Ti amo più di quanto io ami me stesso.»

E stavolta fu il biondo a dirlo, come qualche ora prima gli aveva sussurrato il moro.

E non ci fu più motivo per tenere le mani al proprio posto e non stringerle su quella camicia nera, e spingerlo verso di sè.

E le labbra si unirono perché i loro respiri si erano uniti da tempo, perché sarebbero potuti stare lontani ma non lo sarebbero mai stati per davvero, perché forse in un universo Christian non era pronto ad amarlo ma in quello sì, e lo amava da morire, lo amava da impazzire, lo amava come il sole, come il tramonto, come l'aria che respirava perché viveva di Mattia.

E quando il moro lo strinse fra le sue braccia, le dita del biondo risalirono veloci fra i suoi capelli, stringendoli fra le sue falangi perché lo voleva per tutta la vita con sè.

Christian lo fece alzare in piedi, e tremante il biondo lo seguì, e il moro indietreggiò.

Finì con la schiena contro il muro dove poco prima fumava da solo, e si ricordò di come nella sua solitudine non aveva mai provato qualcosa di così intimo, qualcosa che- che gli sembrava solo suo, qualcosa che sembrava appartenere a lui e nient'altro.

Si sentiva più al sicuro con Mattia vicino che da solo nella sua stessa casa, nella sua stessa stanza, e voleva che fosse per sempre così.

Allargò le gambe, poggiando i piedi poco più in avanti, e il diciassettenne si fece spazio, unendo completamente i loro corpi.

Stefanelli fece scendere una mano sulla sua schiena, appena sotto i dorsali, spingendolo ancora di più a sè, e con la destra gli afferrò i capelli e gli fece spostare il viso di lato, mentre lui lo inclinava dal lato opposto, quasi come se volesse che le loro labbra combaciassero alla perfezione, come se fossero pezzi mancanti di un puzzle.

«Ripetilo.»

Ordinò, mentre si staccava da lui con il fiato corto.

Mattia ansimò a bocca aperta, disorientato da quel bacio così veloce, ma non traballò.

«Ti amo.»

Lo disse di nuovo, mentre affannato si poggiava sulla sua mascella, lasciandogli baci bagnati.

Con la mano sinistra gli teneva il viso, con il pollice glielo teneva alzato.

«Ti amo più di quanto io ami me stesso.»

Christian sospiró pesante, più per il valore di quel ti amo che per quei baci, e tirandolo violento per le ciocche lo baciò di nuovo.

E il moro capì per l'ennesima volta che non c'era più motivo per non amare senza cinture di sicurezza, perché voleva correre con Mattia, voleva bruciare tutte le tappe per poterlo vedere in fretta e subito in ogni modo.

Voleva che fosse il suo confidente, il suo fidanzato, il suo coinquilino, il suo compagno, il suo sposo, suo marito.

Il diciannovenne strinse i suoi capelli spingendogli la testa all'indietro, e prese a baciargli il collo appena Mattia seguì i suoi movimenti.

Il biondo lo lasciò fare, perché per un attimo quel pensiero- quel pensiero di un mondo in cui Christian non lo amasse, non lo volesse, non volesse dirlo a chiunque ciò che erano lo spaventò da morire, e chiuse gli occhi.

«T-Ti amo.»

Ripetè di nuovo, mentre il moro lo baciava aggressivo, e in quella sua sicurezza Zenzola ci trovò tutte le loro promesse.

E mentre il moro lo baciava, mentre gli lasciava baci per tutto il collo, mentre gli passava la lingua sulle clavicole, mentre lo amava come Mattia aveva bisogno di essere amato, il biondo riaprì gli occhi.

E con la testa ancora gettata all'indietro, fissò il cielo sopra di loro.

E vide passare una stella cadente.

E mentre una lacrima gli scendeva obliqua dai suoi occhi, espresse un desiderio.

Che non ci sarebbe stato Universo alcuno in cui loro due non si amassero.

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