PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.

By GoldSkyAtNight

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«Scott... posso assaggiare?» «Io sono più dolce.» «Mi avevi promesso fragole fresche.» «Siamo fuori stagione... More

1. Blinding Lights
2. Stiamo scherzando?
3. Mutanda Party
4. Pecorelle
5. In filo veritas
6. Paghi uno, prendi due
7. Labbra amare
8. Voce del verbo essere malinconici
9. Fashion blogger
10. Medusina
11. Maledetto vino (½)
12. Maledetto vino
13. YOLO
14. Ogni riccio un capriccio
15. Questione di lingua
16. Fragole fresche
17. Sabbia nel reggiseno
18. Vuoi assaggiarlo?
19. Questo ora è mio
20. Damiano Carrara direbbe sciangommoso
21. Oggi sei a digiuno, Amanda
22. Sadness is a blessing
23. Ops, i did it again
24. Hotter than hell
25. Sweet Candy
26. Tutta colpa del cameraman
27. Paranoia
28. La prima volta di ogni cosa
29. We hold the key of the night
30. Poisoned youth
31. Terza stella a destra
32. Courage
33. To be or not to be
34. Nuvole bianche
35. In grassetto e corsivo
36. Sdentato il drago
37. Eclipse
38. Buongiorno una banana!
39. Mordo come un lupo
40. Sì, Signor Agente
41. Locked Out of Heaven
42. Salse piccanti per lingue taglienti
43. ABCDEF U
44. Keep slowing your heart down
45. Come un proiettile che lascia il segno
46. You are so bad, my strawberry boy
47. Un buon kanelbulle non ha mai tolto di mezzo nessuno
48. Answer the phone. Amanda, you're no good alone
49. Answer the phone. Scott, you're no good alone
50. Crema solare persino sul cuore
51. This is the very, very last time I'm ever going to
52. Centimetri che contiamo con righelli di chi in matematica aveva quattro
53. Facing tempests of dust, I'll fight until the end
54. Amor, ch'a nullo amato amar perdona
55. Juliet to your Romeo
56. Darling, all of the city lights never shine as bright as your eyes
57. Half love, half regret (½)
59. Vieni, posa la testa sul mio petto, ed io t'acquieterò con baci e baci
60. Ti volterai senza vedermi, ma io sarò lì

58. Half love, half regret

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By GoldSkyAtNight


𝐂𝐡𝐞 𝐢𝐥 𝐜𝐚𝐨𝐬 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐢𝐧𝐮𝐢...





Amanda

Usciamo dal bagno barcollando, ma soltanto perché Ginni mi sta facendo ridere così tanto da avere gli occhi pieni di lacrime.
Mi aggrappo a lei per cercare di non volare per terra, però non sembra essere la giusta scelta, perché anche lei pecca di stabilità.

«Ho sete» mi urla all'orecchio, «Froy alla fine ha bevuto tutto il mio drink».

Annuisco, «Andiamo al bar, vieni».

Ho già capito che dovrò accompagnarla a fare pipì almeno altre dieci volte, stasera. Sto incominciando a pensare che abbia un serio problema di incontinenza che quando è in serata si alza alle stelle.

Mentre camminiamo cerco con lo sguardo il tavolo dei ragazzi per avvisarli della nostra breve tappa, ma c'è talmente tanta gente, che non riesco nemmeno ad orientarmi.

In realtà non so precisamente dove sto andando, sto seguendo le persone in quella che penso sia la direzione giusta. Manderò a Scott un messaggio, tanto ci mettiamo poco, sono sicura che non se ne accorgeranno nemmeno.

«Tu cosa vuoi? Vado a fare la fila per lo scontrino».

Mi stringo nelle spalle, «Non so, fai tu».

«D'accordo. Rimani qui, arrivo subito».

Si allontana fino a scomparire anche lei, quindi mi metto da parte, infilando una mano nella borsetta per cercare il telefono e fingermi impegnatissima prima che qualcuno cerchi anche solo di venirmi a parlare.
Detesto questo tipo di approccio in discoteca, soprattutto quando mi ritrovo ad essere sola, perché i maschi non si fanno alcun tipo di scrupolo e sanno essere veramente insistenti.
Sopratutto, non ho nessuna voglia di fare interazione sociale, tantomeno con uno sconosciuto.

Ho lo sguardo posato sul pavimento, ma improvvisamente, le piastrelle nere si colorano di un paio di scarpe da ginnastica bianche.
Qualcuno si è fermato proprio davanti a me e non sembra essere soltanto di passaggio. È fermo, solo e punta nella mia direzione.

Sospiro per un breve istante, formulando nella testa una scusa per andarmene senza mezzi termini, poi alzo lentamente gli occhi, continuando a guardare altrove.

«Ciao, Amanda» la voce di un ragazzo estremamente famigliare ma comunque non identificabile mi fa sobbalzare.

Prima ancora di chiedermi come mai qualcuno conosca il mio nome, alzo di scatto lo sguardo e lo sconosciuto diventa improvvisamente qualcuno che conosco.

«Asher?» quasi sussurro, con una reazione che sta a metà tra il conforto e l'afflizione.

Non pensavo che fosse anche lui qui, da quando sono entrata non l'ho nemmeno intravisto.
Come ha fatto a vedermi? Ma soprattutto... perché me lo ritrovo proprio davanti?

«Anche tu qui» commenta, abbozzando un sorrisetto.

Alzo un angolo della bocca, imbarazzata e leggermente a disagio.

«Sei con Ginni?».

Annuisco, «Ci sono anche Froy e il mio ragazzo».

Anche lui annuisce, ma la sua testa è decisamente più pesante. «Capisco».

Resto in silenzio, perché la mia intenzione non è sicuramente quella di avviare una conversazione con il mio ex, soprattutto non qui e non sapendo che c'è Scott da qualche parte alle mie spalle. Non è perché voglia nascondergli qualcosa, ma preferisco evitare strane situazioni che non mi sono nemmeno cercata. Quindi, adesso congedo Asher e scappo via dalla mia migliore amica.

Ho le parole sulla punta della lingua, ma lui mi interrompe. «So che presto partirai per New York. Wow, che cambiamento!».

«Sì, proprio un bel cambiamento».

«Quando parti?».

«Tra poco più di una settimana».

«Cazzo, è prestissimo» esclama, un po' troppo forte. «Immagino tu abbia già preparato tutto. Che strano sapere che non sarai più qui a Santa Monica».

Mi stringo nelle spalle e dondolo sui talloni, «Prima o poi bisogna rischiare. New York è la mia scelta migliore».

Beve un sorso del suo drink e solo ora lo guardo negli occhi. Sono socchiusi ma posso distinguere chiaramente il rossore delle pupille. Deglutisco, trattenendo una smorfia.
Asher ha sempre avuto il brutto vizio di ubriacarsi ogni volta che uscivamo in compagnia. Vedo che non è cambiato molto in questo tempo.

«In che università sei entrata?».

«Columbia».

«Cazzo! Roba da snob, eh?».

Distolgo lo sguardo, irritata. «Non lo so, ci devo ancora andare».

C'è una pausa di silenzio imbarazzante in cui io vorrei andarmene ma lui riesce ad incollarmi al pavimento con il suo sguardo forte, quindi rimango immobile, ad aspettare che parli di nuovo, perché sicuramente lo farà.

«Era scontato che saresti entrata in qualsiasi università» si stringe nelle spalle.

Mi sforzo di ridacchiare, «Non è vero».

«Io invece ho deciso di non andare all'università. Inizio a lavorare da papà e poi si vedrà» parla, «Spero di trovare qualcosa in zona che non sia direttamente gestito da mio padre, altrimenti mi tocca scappare dalla California» ride, quindi sorrido per cortesia.

In fondo stiamo solo parlando. Non c'è nulla di male e nonostante il disagio, conosco Asher e so gestirlo.

«Beh... inizia e vedi come ti trovi. Magari poi cambi idea sull'università».

Arriccia il naso, «Non credo. Sei sempre stata tu la cervellona, sai che non mi è mai piaciuto studiare. Anzi, lo odio».

«Le cose possono sempre cambiare, soprattutto se trovi la facoltà che ti interessa veramente. È un bel investimento per il futuro. Dovresti pensarci meglio».

Infila una mano nella tasca, annuendo soprappensiero. «Hai ragione» mi asseconda, «Sai sempre come convincermi a fare qualcosa, Amanda. Non ho idea di come tu faccia, però».

Sbarro gli occhi e per poco non gli tossisco in faccia. Assumo un'espressione tirata per non dargli visione della mia incredulità, ma sono sicura che lo sgomento è traducibile da ogni cellula del mio corpo.

Ora ho decisamente voglia di andarmene. Tanta voglia di scappare via. Non mi piace la piega che la conversazione sta assumendo.

«Ma no, era per dire. Non devi per forza darmi ascolto».

«Lo so, ma in realtà penso che dovrei. Ho sempre preso le scelte giuste quando l'ho fatto».

Mi scava il viso con lo sguardo, ma io non fiato perché sono decisamente troppo sorpresa dal tono tanto gentile e smielato con cui mi si sta rivolgendo. Non mi sembra tipico di Asher, c'è qualcosa di strano, forzato.

«Comunque» si gratta la gola con un colpo di tosse, «Non so se l'hai saputo, ma Koreen ed io ci siamo lasciati. La settimana scorsa. In realtà mi ha lasciato lei, sai com'è fatta. Ce lo aspettavamo un po' tutti».

No, non so affatto come è fatta Koreen e non mi interessa. Perché me lo sta dicendo? Che cosa vuole da me? Io... sono confusa.
È per questo che è venuto a parlarmi? Cosa vuole da me?

«Mi dispiace» sussurro, senza sapere cosa dire.

Annuisce, stringendo le labbra in una linea dura. «In realtà non ci sono rimasto più di tanto male. Certo, non mi ha fatto piacere, ma si va avanti. Non è stata una rottura nemmeno lontanamente paragonabile alla nostra. Tanto, anche prima non eravamo fedeli l'una all'altro, quindi forse è meglio così, ognuno per conto suo, con chi vogliamo veramente e senza rotture o scenate di falsa gelosia».

Il mio cuore prende a battere fortissimo e non so il perché. So solo che Asher mi sta mettendo profondamente a disagio dicendomi queste cose senza peli sulla lingua e io non so come rispondere. Vorrei soltanto andarmene.

Lui ed io non siamo più niente da parecchio tempo, quindi non vedo il perché debba rendermi partecipe della sua vita. Detto francamente, non mi interessa affatto, non provo dispiacere né pietà. Non provo niente per lui. Però, sento che da parte sua non vale lo stesso e il solo pensiero che cerchi di riavvicinarsi a me per colmare il vuoto di Koreen mi fa venire la nausea.

Non voglio avere più nulla a che fare con lui. Deve capirlo. Non deve incasinarmi la vita proprio adesso che sto per partire. Non ho bisogno di lui e dei suoi problemi.

«Okay, se a voi sta bene» soffio, chiudendomi le mani in grembo.

Rimane a fissarmi, sento il suo sguardo bruciarmi addosso. Mi dà fastidio e mi mette a disagio, ancora di più quando si avvicina lentamente e una folata che puzza di alcolici mi invade le narici. Storco il naso e prendo a respirare con la bocca.

Cazzo. Non ci voleva proprio.
Dov'è Ginni? Dov'è Scott?

«Senti, Amanda» mi richiama a bassa voce, «Ho solo bisogno di parlarne con qualcuno di cui mi fido. Tutto qui, te lo giuro».

Tutto qui? Io non sono più nessuno per lui.
Non dovrebbe fidarsi di me, non più.

«Non sono la persona giusta, Asher».

Ti prego, lasciami andare.

«Sì che lo sei, la sei sempre stata».

No.
No.
No.

«Asher...» lo richiamo con durezza scheggiante, intimandogli di fermarsi e non andare oltre. «No».

Indietreggio di un passo, ma lui mi è di nuovo addosso e mi soffoca come se avesse le mani attorno al mio collo. Mi manca l'aria, sento i polmoni stringersi e pulsare dolorosamente.

«Ti prego, Amanda. Non farò niente, te lo giuro. Ho solo bisogno di parlarti, di dirlo a qualcuno che non siano quei coglioni dei miei amici. So che saprai darmi il consiglio che cerco, non chiedo altro».

Mi mordo l'interno della guancia, pensandoci più del dovuto. Lo fisso nelle pupille e... mi sembra sincero. Anzi, in realtà pare più essere disperato, ma non un bugiardo.

Annuisco debolmente, «Ti ascolto, ma non ho molto tempo».

Prende un sospiro, «Grazie». Cerca le parole giuste, dopodiché inizia a parlare: «Si è scopata uno dell'Università, già sposato. Non gliene è fregato un cazzo di me. Me l'ha pure detto tranquillamente, come se fosse la cosa più normale del mondo da dire al proprio ragazzo. Poi ha chiuso e ha detto che sarei rimasto solo per sempre se avessi continuato a trattare le ragazze come ho trattato te e lei. Ha usato il verbo "trascurare" e mi ha dato dell'egoista menefreghista ed egocentrico. Ti rendi conto? Come se lei fosse una santa scesa in terra...».

Vorrei poter sentirmi dispiaciuta per lui e dirgli che Koreen è una stronza e non ha ragione, ma c'è l'ha. Entrambi hanno ragione sul proprio conto. Asher ha fatto sentire anche me così, moltissime volte ed anche se questo non giustifica le sue azioni, non vuol dire che lei non si possa effettivamente essere sentita così.

Ciò che più mi turba è vedere quanto lui non sia cambiato, anche dopo la nostra rottura e le mille ragioni che gli ho dato per lasciarci andare. Evidentemente non mi ha ascoltato e non l'ha fatto nemmeno con Koreen, se alla fine lei ha deciso di mollarlo in quel modo.

Quindi... ancora una volta, non so cosa dirgli, non so nemmeno cosa si aspetta che io gli dica.
Non aveva il diritto di mettermi in questa situazione, non è giusto. Non so nemmeno perché si aspetta un mio giudizio o un appoggio per la sua parte di storia.
Non otterrà nulla, perché non m'importa della loro rottura e non mi interessa sapere chi delle due parti ha più ragione o più torto.

«Asher... sinceramente non so cosa dirti» ammetto, «Non me la sento di giudicare né te né Koreen per quello che è successo tra di voi. Non mi riguarda affatto. Mi dispiace comunque per quello che è successo e capisco che non sia stato facile per te».

Non riesco proprio a reggere il suo sguardo, quindi lo distolgo, stringendomi ancora più forte le braccia attorno alle costole e distraendomi tra le luci soffuse.

«Già» tira su con il naso, «Non è per niente facile. E a tutto questo si aggiunge anche la tua partenza, cazzo. Non pensavo che te ne saresti andata così presto, che questa sarebbe stata l'ultima estate insieme. Mi sembra assurdo, ci conosciamo da così tanto tempo».

Ma... cosa sta dicendo?
Passare l'ultima estate insieme?
Non c'è stata e non ci sarà mai un'ultima estate insieme.

Devo andarmene, non mi piace questa strana situazione, il modo in cui mi guarda e quello che dice. Credo che l'alcol lo abbia sopraffatto e che non stia nemmeno facendo caso a quello che sta succedendo tra di noi e al disagio che mi trasuda da ogni fibra del corpo.
Io, però, me ne rendo conto benissimo.

«No, Asher. Mi dispiace, hai frainteso. Capisco che hai rotto con Koreen e stai passando un brutto periodo, ma le cose tra di noi devono rimanere come sono sempre state».

La sua forza è così vorace, da mettermi in soggezione con una sola occhiata pietrificante.
Mi fissa con quegli occhi iniettati e lucidi, dai quali sgorgano migliaia di parole confuse e mischiate, da cui vorrei soltanto potermi nascondere.

Si lascia andare, sospirando così profondamente da scompigliarmi i capelli.

«Amanda, io non ci riesco» piagnucola con voce bassa e rotta, «Ci ho provato, con Koreen e con altre ragazze, ma non riesco a sentire quello che ho sempre sentito con te. Mi sento vuoto e solo, non sto bene».

Scuoto il capo con veemenza, «Basta, ti prego. Non dire queste cose, non dire nulla» lo interrompo, muovendomi rapidamente all'indietro.

«Devo, mi dispiace ma devo» insiste senza alcun riguardo verso i miei sentimenti, «Partirai e devo sapere se tra di noi ci può essere ancora qualcosa, se ho una minima speranza».

«No, non c'è nessuna speranza, nessun noi» parlo con tutta la calma e convinzione che riesco a trovare, seppur le mani mi tremino e il groppo in gola mi faccia male. «Ti ho dimenticato da tempo ed è quello che devi fare anche tu, Asher».

Stringe le mani tra di loro in segno di preghiera, «Ti prego, ho bisogno di te nella mia vita. Tu sei chi voglio».

Mi guardo attorno, sono alla disperata ricerca di qualcuno che mi possa salvare da lui, perfino di uno sconosciuto a cui chiedere aiuto.
Ma mai come in questo momento mi sento sola, una minuscola formica tra i piedi di gente di città impegnata a combattere contro il ritardo, ingabbiata in un cerchio costruito da Asher, il quale mi osserva da fuori come fossi un suo esperimento.

Non riesco a trovare nessuna via di fuga e ciò costituisce solo un vantaggio per lui, che non si fa per nulla intimidire dalle mie brutte occhiate o dal mio linguaggio del corpo. Nemmeno parole cattive riescono ad allontanarlo.

«Io non ho bisogno di te, chiaro? Per favore, lasciami in pace e torna dai tuoi amici prima che qualcuno ci veda. E non farmi arrivare al punto di dover chiamare la sicurezza».

Alza un sopracciglio con aria di sfida, «Non ho paura di quello stronzo del tuo fidanzato poliziotto. Sono tutti dei cacasotto senza palle che si credono migliori solo perché portano il distintivo».

Avrei accettato ogni sua offesa pur di allontanarlo, ma ha oltrepassato il limite mettendo in mezzo Scott, screditandolo in questo modo.
Non ci riesco a far finta di nulla e lasciar correre, soprattuto perchè quelle parole hanno offeso più me di quanto probabilmente lo farebbero con Scott.

«Non permetterti di parlare di lui in questo modo, Asher» digrigno i denti e stringo i pugni, «Non sei nessuno, non lo conosci e non sei nemmeno lontanamente paragonabile a quello che lui è per me, quindi taci e vattene».

Schiocca la lingua sul palato, infastidendomi a dismisura. «Altrimenti?».

«Altrimenti un bel cazzotto te lo prendi da me, non c'è bisogno di lui».

Penso stia per ridere e prendermi in giro, quindi sciolgo le braccia, pronta a mettere in pratica ciò che ho detto. Eppure Asher riesce ad afferrarmi per il braccio e spingermi di nuovo verso di lui, contro il suo petto.
I miei polsi rimbalzano sui pettorali e per poco la fronte non si scontra contro il mento di lui.

Mi tiene stretta, tanto, troppo. Le sue braccia sono una trappola contro i miei fianchi ed io non riesco a respirare.
Mi fa alzare il viso con una mano e succede tutto così velocemente, che mi si riempiono gli occhi di lacrime e la bocca si stringe forte in una smorfia.

Asher mi bacia.

Preme forte le labbra contro le mie, cercando di farmele schiudere per superare un confine che ha già frantumato. Mentre lecca la mia bocca, a me viene da vomitare, mi sale la bile in gola e brucia così tanto, che un verso lamentoso e profondo mi fa vibrare le corde vocali, uscendo chiaramente dall'aria attraverso il naso.

Mi ritraggo immediatamente, spintonandolo fortissimo, tanto da farmi male alle ossa dei gomiti, i cui muscoli intrecciati sembrano spezzarsi in due. Per poco non cado io stessa all'indietro, se non fosse per il corpo di qualcuno alle mie spalle che fa da parete.

Ho il fiato corto. Sono sconvolta. Non riesco nemmeno a sbattere le palpebre, sono troppo pesanti. Ho la bocca aperta, vi sento l'aria fredda entrarci e seccarmi la lingua.
In gola mi batte il cuore, forse sto per mettermi ad urlare.

Asher mi guarda, un'espressione che è la totale nemesi della mia. Poi parla sottovoce, cercando nuovamente di farsi vicino, ma questa volta non glielo permetto. Lo fermo con una mano sulla spalla e lo spingo ancora lontano da me, facendolo barcollare.

«Io penso di essere ancora innamorato di te, Amanda».

Non ho il tempo di realizzare a pieno le sue parole, forse nemmeno di sentirle in maniera completa, perché la voce di Ginni spacca il silenzio rumoroso che si era creato tra noi due, permettendomi di staccarmi definitivamente dalla sua presenza, dallo scalpore che il mio petto sta vivendo.

«Brutto stronzo!» urla lei, facendomi sobbalzare.

La vedo correre nella nostra direzione e prima ancora che possa battere le ciglia, lei gli è di fronte e alza il braccio con uno scatto, la sua mano libera si apre, prende la rincorsa e colpisce la guancia di Asher con un suono talmente secco da farmi chiudere gli occhi.

Io sono estraniata, come fossi fuori dal mio corpo e stessi guardando la scena dall'alto, similmente ad una telespettatrice passiva.

«Sei un bastardo» piagnucola con voce rotta dalla rabbia, «Come hai potuto farlo? Devi starle lontano, Asher. Ricorda il tuo cazzo di posto! Non sei più nessuno né per lei né per noi altri».

Ora il definitivo silenzio. Così assordante da far male, non sento altro che gli ingranaggi della testa scricchiolare e scontrarsi con suoni metallici. Mi rimbombano nelle tempie e nelle ossa. Rabbrividisco, ma non è colpa del freddo o della sera.
È colpa mia.

Sono congelata. Non riesco a muovere un solo muscolo del corpo. Sulle labbra ho ancora il sapore di Asher, mi bagna con la saliva ferma sulla pelle screpolata dell'angolo destro.
Disgustata, mi porto le dita alla bocca, le schiaccio con forza e le trascino via con tutto il rammarico che mi fermenta nel corpo.
Mi pulisco sul vestito, dopodiché sbatto le ciglia per almeno una decina di volte, nel disperato tentativo di mettere a fuoco ciò che mi sta attorno.

Genelle è la prima persona che vedo. È sconvolta quasi quanto me, o forse più.
Gli occhi sono sbarrati e l'espressione sul viso è tesa, quasi disomogenea per tutte le emozioni che sta provando: preoccupazione, dispiacere, fastidio e pietà.

Una scintilla invisibile intercorre tra i nostri sguardi e non serve altro. Entrambe lo sappiamo, ci siamo capite benissimo.

Mi viene da piangere. Sento il cuore esplodere nel petto. La gola è più secca della sabbia, mi fa così male tutto quanto.

Scott.
Ti prego... tu... non hai visto... vero?

«Stai bene?» domanda Genelle, afferrandomi dolcemente per il braccio per avvicinarmi a lei e mettermi al sicuro.

Ho la vista appannata e mi sembra di avere le pupille ricoperte di nero, quindi ciò che riesco a fare è solo annuire in silenzio anche se non sto bene, anche se mi sento la terra crollare sotto i piedi e non ho alcun coraggio di guardare in faccia la realtà e cercare Scott tra la folla. Perché? Perché so che lo troverei.

Ha visto tutto. Dall'inizio alla fine.
Lo so e basta.
Me lo sento.

Così come sento il suo sguardo bruciarmi la pelle, ma per la prima volta da quando ci siamo incontrati, fa male sul serio e brucia lasciando cicatrici profonde.




~•~


Scott

C'è il buio attorno a me.
L'oscurità e basta. Ci galleggio dentro, ma ho la testa a malapena sopra l'acqua inchiostrata.
Non vedo niente. Non sento niente.
Tutto è distante.

Ho il corpo teso, eppure le braccia e le gambe sono molli, inermi. Cerco di contrarre un muscolo, è tutto inutile.
Riesco soltanto a percepire la forte stretta della mano di Froy incastrata sulla mia spalla destra.
Le dita lunghe premono contro la mia pelle come se volesse estirparmi via.
In realtà premono verso il basso, cercano di farmi rimanere seduto sul divanetto.
Fanno perfino male, ma non ho la forza di lamentarmi, perché sono atono.

Sempre lui mi sussurra qualcosa all'orecchio, ma è tutto fiato caldo e niente parole. Non sento nulla, le orecchie mi fischiano. Sbatto le palpebre confuso, cercando di orientarmi all'interno della mia stessa testa. I pensieri si scontrano sulla parete del cervello ad una tale velocità, da farmi pensare che potrebbero sul serio uscire e scappare via attraverso i timpani.

È questione di un solo secondo e prendo a bruciare come un fuoco vivo in mezzo ad una foresta verdissima. Rado al suolo tutto ciò che incontro di me, sabotandomi da solo.
Le guance si arrossano, le mani si riscaldano e il pomo d'Adamo dà talmente tanto prurito, che chiudo gli occhi per prendere un singolo respiro pesante e non conficcarci dentro le unghie per grattare via ogni goccia di risentimento.

Poi mi alzo con uno scatto e per poco Froy non cade a terra quando lo spintono senza consapevolezza per levarmelo di dosso e liberarmi da una stretta che non può sicuramente trattenere.
Non con me in queste condizioni.

Quindi gli sfuggo, anche quando riesce ad afferrarmi a bruciapelo per il gomito. Allontano anche quel contatto con poca grazia, intimandogli indirettamente di starne fuori, di lasciarmi fare prima che faccia del male anche a lui senza volerlo.

Non so nemmeno come faccio, ma in un istante mi ritrovo davanti ad Asher, i cui occhi sono così spaventosamente sgranati da sembrare lucidi e sfocati come due fari rotti in mezzo ad un mare in tempesta.
Due lastre di vetro scheggiate che guardano senza vedere e sono soltanto destinate a cadere in frantumi negli abissi.

Non ho mai visto uno sguardo del genere in vita mia.
Fa pena. Ribrezzo. Paura. Rabbia. Disagio.
Mi accende ancora di più, facendomi prudere le mani come avessi l'orticaria. Le dita formicolano, il braccio si tende senza controllo, la mente si allontana, le gambe mi tremano, la gola si secca.

Lui ha baciato Amanda. Ha baciato la mia donna, la mia ragazza, l'amore della mia vita.

Lui... ha posato le sue luride mani su qualcosa che è mio. Si è preso gioco di me, di lei, di noi.
Ha macchiato il mio con il suo. Se l'è preso nonostante sapesse benissimo a cosa sarebbe venuto incontro, all'ira che mi avrebbe scatenato dentro.

Ha giocato con me. Cazzo se lo ha fatto.
E non me ne frega se adesso mi sta guardando come un cagnolino con la coda in mezzo alle gambe. Quella volta di qualche settimana fa, in discoteca, lo avvisai con lo sguardo, lo ammonii di stare attento alle sue azioni, ma lui non ha ascoltato e ora deve subirne le conseguenze.
La vita funziona così: ogni azione ha il suo contraccolpo, sia esso positivo o negativo.
E bisogna prendersene le responsabilità, che lo si voglia o meno.

Il suo vittimismo non aiuta. Anzi, mi fa imbestialire ancora di più, perché sta dimostrando a tutti quanto poco uomo sia, il vigliacco che è. Non riesce nemmeno a tenere la schiena dritta, ad affrontarmi di petto e guardarmi negli occhi.

Vuole Amanda? Benissimo, ma prima deve vedersela con me. Se crede che gliela lascerò con una stretta di mano, presto capirà che prima gli farò sentire quanto dolce sia il sapore del suo stesso sangue e acido il rimpianto di essere andati oltre il limite di qualcuno fin troppo paziente.

'Fanculo. Devo fare a lui almeno la metà del male che sto provando ora. Non importa che il mio sia nel petto e il suo sul corpo. Voglio che lo ricordi a lungo. Voglio sfigurargli quella faccia di merda che si ritrova e dargli un motivo valido per tenere la testa bassa e non guardarmi.

Non riesco a ragionare, a fermarmi. Gli istinti mi sussurrano all'orecchio come avessi il diavolo poggiato sulla spalla.
Mi dice di farlo, di farlo con quanta più forza possibile.

Lo faccio per lei, per Amanda.

La rabbia mi monta nel petto. Ascolto quella voce rossa, perché è l'unica che sento.
Regna nel mio cervello come un comandante fedele e guida ogni singolo movimento che sto per compiere.

Non esisto più, nemmeno Amanda o chiunque altro. Sono solo.

So già che me ne pentirò, che non mi sentirò affatto meglio e mi incolperò per il resto dei giorni, ma se devo mandare a puttane qualcosa, scelgo di farlo al meglio.
E oramai tutto è andato a puttane.

Mi avvicino. Lo afferro per una spalla. Gli faccio alzare il mento quanto basta, poi prendo la mira e gli sferzo un destro in faccia che atterra con così tanta perfezione sul naso, da generare un suono scricchiolante degno di una sinfonia.

Il suo naso si rompe. Lo sento sotto le nocche.
Le grida di Genelle e Amanda accompagnano il suo pianto e le mie imprecazioni.
Mi guardo la mano, è ricoperta di sangue sul dorso. Muovo le dita per farle riprendere, ma fanno più male del previsto e un punto della pelle si è squarciato in alcuni segmenti.

Cazzo, ha fatto male pure a me.

Quando rialzo lo sguardo ho la conferma: ho frantumato in pezzi il naso di Asher, che ora è piegato in due dal dolore immane che sta provando.

Respiro. Poi c'è solo confusione e riprendo a sentire ogni suono. La gente comincia ad urlare, a spingersi via da me, chi confusa e chi impaurita. Non guardo in faccia nessuno.

Io, che non ho fiatato per tutto questo tempo, pulisco la mano sui pantaloni, dopodiché mi volto ed esco dal locale alla velocità della luce, senza guardarmi alle spalle nemmeno una volta.

Non ho paura. Sono stanco. Ho bisogno dei miei spazi, voglio stare solo. Voglio tornare a casa. Non ho bisogno di nessuno.
Non voglio essere seguito e so che nessuno lo farà. Quel bastardo di Asher adesso avrà finalmente le attenzioni che tanto supplica, magari anche da Amanda stessa. Non mi stupirei, lei è sempre troppo ingenuamente buona con le persone sbagliate.

Cammino verso la mia macchina, ma quando tasto le tasche, impreco ad alta voce.
Amanda ha le chiavi. Sono nella sua borsa e la sua borsa è appesa alla sua spalla. Sono rinchiuso qui fuori.

Cristo. Perché?

Non voglio vederla. Non voglio vederlo.
Se tornassi lì dentro, allora sì che tutti dovrebbero avere paura, perché sono sicuro che non riuscirei a fermarmi ad un solo pugno.
Il mio autocontrollo si è sgretolato. Faccio perfino fatica a respirare e deglutire, talmente sono incazzato.

Una strana forza di attrazione mi implora di riprendere da dove ho cominciato e svuotare tutta la merda che porto nel petto attraverso Asher, usarlo come scusa e sperare che Amanda possa perdonarmi, nonostante le colpe non siano le mie, perché queste sono tutte conseguenze delle sue di azioni.

Ma non ci riesco.
Non lo faccio perché so che questa è stata l'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso e che oramai non c'è più nulla da fare per cercare di asciugare l'acqua in eccesso.
Possiamo solo affondarvici, perché la verità è che non sono il solo ad essere esausto.
Lo siamo entrambi. Tanto.

Appoggio i palmi sulla portiera della macchina, sbilanciando il peso del corpo in avanti per distendere le braccia e gettare la testa tra di esse, verso il suolo.
Mi viene da vomitare. Non riesco a prendere correttamente aria, è come se avessi qualcosa incastrato alla bocca dello stomaco.

Merda. Merda. Merda.
Perché? Perché proprio a me? Perché Amanda? Perché sempre io? Perché stasera?
Perché non prima? Perché proprio lei?
Non... è giusto.

Gonfio le guance fino a distendere perfino le labbra e scoppio in una risata così genuina che quasi mi spavento da solo. La gola trema e il naso si arriccia ad ogni respiro passivo che rilascia. Rido anche se vorrei gridare, lo faccio per dei lunghi minuti, consumando tutta l'adrenalina che mi era rimasta nel corpo.

Piano piano mi spengo, fino a rimanere completamente in silenzio nel buio della notte. Un'espressione vuota sul viso e il petto prosciugato di ogni cosa.

E ora cosa faccio?
Okay.
Va tutto bene.

Un sassolino viene lanciato per sbaglio nell'aria ed atterra vicino alle mie gambe. Ancora prima di girarmi o sentire una voce, so che Amanda si trova alle mie spalle.
Non c'è bisogno di queste cose tra noi due. Sento il suo profumo anche da questa distanza, ed è come se mi stesse respirando all'orecchio.

Fastidio.

Questo è tutto ciò che provo nel saperla vicino. Mi infastidisce sapere che è venuta da me, mi infastidisce guardarla, vedere che la sua bocca ha toccato quella di un altro con così tanta semplicità. Mi infastidisce pensare che lei abbia pensato a me mentre era con lui e ancora di più avere il dubbio che possa non averlo fatto. Mi infastidisce dipendere così rovinosamente dalle sue azioni, che hanno un tale impatto sulla mia vita da chiedermi chi io sia veramente senza di lei.
Mi infastidisce che lei debba partire per New York così presto, perché tutta questa merda sembra quasi una messa in scena per servirmi su un piatto d'argento la decisione finale.
Mi infastidisce che lei, nonostante le mie suppliche, abbia comunque deciso di buttare tutto su di me e far ricadere le colpe di quello che non saremo solo su di lei, per farmi sentire un completo pezzo di merda.
Mi infastidisce che siamo arrivati a questo punto quando avremmo potuto essere qualcosa di diverso e vivere tutta questa situazione in maniera totalmente differente, cercando di essere entrambi felici.
Mi infastidisce che forse lei non ci abbia mai provato ad essere felice con me e mi infastidisce accusarla in questo modo tanto meschino, perché sono accuse cattive e irrispettose e io amo Amanda e non le farei mai questo.

Tuttavia, la realtà dei fatti mi colpisce come un fulmine a ciel sereno ed improvvisamente tutto diventa più grigio e silenzioso.

In fondo lo sapevo. L'ho sempre saputo, ma non avevo il coraggio di ammetterlo a me stesso. Non mi immaginavo che sarebbe andata esattamente in questo modo, ma avrei giurato con una mano sul fuoco che avrebbe fatto così male e che sarei stato io quello a rimanerci completamente dentro.

L'ho capito dalla prima volta in cui vidi Amanda che mi avrebbe cambiato se mai avessi avuto la possibilità di conoscerla. Questa convinzione è cresciuta sempre di più a mano a mano che i giorni passavano e io non riuscivo a smettere di pensare a lei o al modo in cui mi faceva sentire.
Mi ero ripromesso di concentrarmi sul lavoro, sulla mia vita e sulla famiglia, ma ho fallito miseramente, commettendo un errore madornale: le ho permesso di basare la mia felicità sulla sua.
Molte volte mi sono dovuto mettere da parte per poter vedere un sorriso sul suo viso e lei, forse, questo non lo sa o lo ha dato per scontato.

Amanda mi ha amato e mi ama, ma i nostri amori sono diventati diversi con il tempo e ora non sono più sicuro che siano ancora compatibili.

Sono successe molte cose da quando ci siamo conosciuti, tra di noi, tra le nostre famiglie, il lavoro ed il futuro e credo sinceramente che entrambi non siamo più le persone che eravamo anche solo qualche mese fa.

Certe volte mi sembra di non riconoscerla più e ho il terrore che lei possa provare lo stesso nei miei confronti o che sia proprio io la causa di questo cambiamento. Pensare alla verità di queste domande mi devasta, perché sotto pelle lo so che è esattamente così.

Forse... saremmo veramente felici se noi due...
No, non riesco ancora a dirlo. È troppo.
Non è giusto. Non deve essere così.
Dipende tutto da noi e noi, insieme, possiamo farcela.

Ma... siamo ancora un noi? E vogliamo davvero farcela? Anche se ce la facessimo, cosa ne sarà quando lei partirà?

Non siamo stupidi, sappiamo come vanno a finire queste cose. Ci può essere tutto l'amore e il desiderio del mondo, ma per come siamo fatti non c'è alcuna possibilità che una relazione a distanza possa funzionare, soprattutto quando la distanza è così tanta e gli impegni troppi.
Noi due siamo abituati a vederci tutti i giorni, a parlare guardandoci negli occhi, a dormire nello stesso letto e fare l'amore quando ci pare e piace. Pensare di non poterlo più fare fa male ed è sciocco credere che ciò non possa infliggere sul nostro rapporto a lungo andare.

Semplicemente lo farà. Tutto questo, se mai decideremo di andare avanti, avrà un peso enorme sulla nostra relazione e dovremo decidere se accettarlo o fare un passo indietro.

Credo però, e lo sto realizzando ancor di più ora, che una decisione l'abbiamo già presa in queste settimane di difficoltà e che sia ben chiara ad entrambi. Non abbiamo il coraggio di dircelo in faccia e ad alta voce, ma è trasparente che qualcosa non sta funzionando e che entrambi ci stiamo allontanando.

Tutte le paure, le difficoltà e le indecisioni stanno venendo a galla e non c'è modo per trattenerle ulteriormente, perché il nostro tempo sta per scadere e spero che entrambi vogliamo chiarire la situazione prima della partenza e non lasciare le cose a metà.

È per questo che anche se ho un groppo in gola, sono io a parlare per primo.
«Cosa vuoi fare? Torni a casa con loro o con me?» le chiedo, senza voltarmi né tantomeno guardarla.

Il mio tono deve essere inesistente, freddo come l'aria e secco come entrambi i nostri cuori, perché nonostante la domanda sia semplicissima, lei ci mette parecchi secondi a rispondere ed è indecisa.

«Te».

Annuisco, «Dammi le chiavi».

Solo ora mi giro, ma continuo a guardare per terra, anche quando allungo il braccio e apro la mano. Non la guardo, ma sento chiaramente i singhiozzi che le escono forti dalle labbra.
Immaginare il suo viso bagnato di lacrime e gli occhi rossi e gonfi mi fa aprire una voragine in mezzo al petto, che si espande e si espande ad ogni passo che compie nella mia direzione, impaurita ed esitante.

Vorrei abbracciarla e dirle che va tutto bene, che non deve piangere per me e che alla fine tutto si risolverà, ma questa volta non ne ho la certezza e non sono sicuro di poter rimettere insieme i cocci che ci siamo lasciati dietro questa sera.

Voglio allontanarla, so che starei un po' meglio, ma credo che non sarebbe lo stesso per lei.
Quindi le sto accanto, ma la mia è solo presenza passiva. Non potrei mai lasciarla sola dopo questa serata, non sarei tranquillo.
Ciò non cambia la rabbia e il distacco che sto provando, li rendono soltanto un po' meno evidenti ai suoi occhi. Sono troppo immerso in me stesso per interessarmi di come si possa sentire per questo mio atteggiamento o perfino di preoccuparmi a pesare ogni mio gesto.

«Mi-» sussurra, ma io la interrompo.

«Non dire nulla, per favore».

Non voglio sentire niente. Non litigheremo. Non ho nemmeno voglia di parlarle, è superfluo. Sento che se discutessimo del nostro futuro proprio oggi, sarebbe tutto incentrato su quel cazzo di bacio e non permetto ad Asher di ricevere così tanta importanza in un momento del genere.
È una questione che riguarda noi due e basta e ciò che ne sarà di noi non dovrebbe dipendere da nessun altro.

Ho solo bisogno di tempo per riflettere e razionalizzare gli ultimi mesi con la mente lucida. Devo rimettere tutto in ordine nella testa e solo allora sarò veramente pronto per affrontare l'argomento a cuore aperto e il rancore da parte.

Farlo adesso sarebbe un inutile spreco di energie che non porterebbe a niente se non ad una situazione ancora peggiore. Abbiamo visto come reagiamo quando siamo messi uno contro l'altra e le conseguenze sono visibili ancora ad oggi. Urlarsi contro non porta a niente e non ho le energie per un'altra scenata. Mi fa ancora male la mano per il pugno.

Non voglio accusarla a testa calda, non voglio dirle cose cattive e farla star male. So che potrebbe succedere e preferisco che rimanga male per un mio silenzio che per un'offesa, perché quest'ultima è molto più indelebile del vuoto e le parole difficilmente si scordano.

Sto impedendo ad entrambi di crollare. Siamo sull'orlo del precipizio e guardiamo verso il basso per trovare il momento giusto.
Sento che arriverà presto. Lo so.

Per cui, saliamo in macchina con le labbra cucite ed i cuori pesanti.
Mi si spezzano i polmoni, l'aria è troppo tersa per potervici respirare dentro. Socchiudo gli occhi alla sensazione di nausea profonda che mi dilaga nello stomaco, ma mi rifiuto di azionare il pomello per l'aria condizionata, tantomeno di abbassare il finestrino.

Il cruscotto con i pulsanti è troppo vicino al suo ginocchio. Non oso guardarlo, lo punto con la coda dell'occhio e ne rimango distante.
Solo il fatto che si muova sotto ogni suo singhiozzo e l'osso sbatta contro di esso, mi anticipa quanto lontano sia il mio cervello, perché non sento alcun suono, soltanto un lungo e opaco fischio nelle orecchie.

'Fanculo.
Tutto quanto è andato a fare in culo.
Ogni singola cosa.

Ti svegli una mattina di buon umore e pensi che tutto possa andare per il verso giusto e poi sei fottuto per un tempo che non conosci e che potrebbe sostanzialmente ricoprire tutta un'eternità. Lo accetti, eppure continui a domandarti che cosa sia andato storto, perché non si è potuto evitarlo e cosa si sarebbe potuto fare per risolvere in anticipo un problema irrisolvibile.

È così strano come un attimo possa cambiare tutto quanto. Alle volte, può essere questione di sguardi, di parole, gesti o messaggi non scritti... eppure ne siamo così connessi e dipendenti, da basare il nostro stato d'animo su quello degli altri, perché solo così siamo in grado di sentire veramente qualcosa e sentirci parte di qualcosa.

Tuttavia, l'empatia che ho sempre provato per Amanda è ora scomparsa. Sto lottando con tutto me stesso per non avvicinarmi a ciò che lei sta provando, a quello che potrei fare per farla star meglio anche a costo di abbattere i miei sentimenti e la mia dignità.
Mi distanzio perché mi conosco e so benissimo che per lei lo farei. Ma questa volta non posso.

Gliel'ho concesso così tante volte, che mi viene naturale, d'istinto. Dovermi restringere, deviare, per non permetterle ancora di scavalcarmi e passarmi sopra senza pietà, è più spaventoso del farlo concretamente, perché sono consapevole di quanto insidiosi siano i pensieri che mi accerchiano, ma non posso farne a meno. Ho bisogno di loro per sapere che lei è ancora qui. Che siamo insieme.

Chi lo sa. Non comprendo nemmeno io come ci siamo finiti qui, perché siamo ancora insieme e lei continua a piangere mentre io provo tutto e niente allo stesso tempo.

I lamenti che fa mi stanno trapassando le ossa e tengo la mascella stretta come un pugno, ma non mi aiuta molto. Non mi rimane che mordermi forte la lingua e resistere almeno fino a casa, prima di rischiare di vomitarle addosso tutte le parole che mi si arrampicano lungo la trachea e formicolano sulle labbra. Questi continui colpi di tosse mi stanno facendo girare la testa.

Essere impulsivi è pericoloso.
Essere arrabbiati lo è ancora di più.

La rabbia è forte, tenace, spregiudicata, ostile. Non guarda in faccia nessuno, avanza per la sua strada senza voltarsi per vedere cosa ha lasciato indietro, seppur sappia perfettamente il dolore che si porta appresso.

Parlare quando si prova questo genere di sensazione è rischioso. Fermarsi diventa impossibile e la propria verità trabocca dal cuore come un bicchiere di vino con su scritto "siero della verità".

Senza di essa esiste la mente come filtro. Ci permette di pensarci su, di fermarci appena in tempo prima di evaporare dopo aver bruciato come fuoco vivo.
Tuttavia, proprio come fosse guidata da un interruttore, basta un clic per spegnere questa razionalità e sfociare in confusione e ira.
È questione di attimi. Ogni cosa può esplodere per ogni singolo chicco che fa sprofondare il castello di sabbia.

Verità o menzogna? Qual è meglio? Qual è la più dolorosa faccia della medaglia?

Non dovrebbe nemmeno esistere una scelta tra le due. Eppure la verità può fare così male, può essere così vera, da preferire la menzogna.
Ed una volta entrati in questo meccanismo vizioso, non c'è più via di scampo.
Si ripete sempre lo stesso errore fino a quando non si è così scoraggiati e stanchi da pretendere di non provare nulla e convincersi che tra verità e menzogna non cambia poi così tanto, perché alla fine il risultato comune è la delusione, la rassegnazione, la tristezza.

Mai come in questo preciso istante ho detestato il silenzio. Vorrei ritrovarmi nel mezzo del caos, dove la mia voce fa solo da sfondo a tante altre dalla forza impressionante.
Vorrei soltanto non pensare, estraniarmi dalla realtà e guardarmi dall'alto con un senso di compassione tale da domandarmi chi io stesso sia, come è possibile che mi trovi in questo stato dopo tutta la felicità che ho provato e perché non abbia fatto nulla per fermarmi prima.

Probabilmente non riuscirei a rispondere ad una domanda di questo calibro.
Ci rimuginerei per tanto tempo, ma alla fine non uscirebbe nemmeno una sillaba dalle mie labbra, seppur sappia benissimo che sarei in grado di consumarmi la voce per tutto ciò che ho da confessare, perché delle ragioni ci sono se la felicità non è più felicità.

Però... la lingua la morsico bene e, nel caso non riuscissi a fermarmi, me la strapperei via pur di non dire ad Amanda niente di terribile, niente che le permetta di odiarmi anche solo di un centimetro di cuore.

Meglio che vada tutto a fanculo in questo modo, in pace, liscio come l'olio. Senza rabbia, senza rinfaccio, senza menzogna e senza verità.

Rallento. Alzo il piede dall'acceleratore.
Ci metto venti minuti in più prima di arrivare a casa sua. Forse aspetto qualcosa che non arriverà mai, una spiegazione che non deve spiegare nulla, una scusa che non si scuserà affatto.

Comunque sia, attendo invano. Vorrei stufarmi e aprire gli occhi, ma tutto quello che riesco a fare è aggiungere altra benzina sul fuoco e sperare che a bruciare siano soltanto le nostre difese, senza venir buttati nel flagello di noi stessi.

«Siamo arrivati, scendi dalla mia macchina».

La mia voce rimbomba bruscamente nell'abitacolo, sfregiando le orecchie di entrambi. Risulta più insicura e gracile di quanto volessi, ma la frase fa già da sé.

Silenzio.
Nessuno si muove. Nessuno fiata.

Sospiro e spengo il motore, dopodiché passo i palmi sudati sui jeans, nella speranza di asciugarli e fermare il tremolio delle dita.

«Devi andartene».
Per il tuo bene.
Ti prego, ascoltami.

Il solo suono dei nostri respiri pesanti mi fa trasalire. «Mi stai ascoltando? Esci» mi si stringe lo stomaco.

Non vorrei parlarle così. Non vorrei essere così freddo e distaccato, ma è l'unico modo per rischiare tutto quello che abbiamo e capire se possiamo farcela. Se ne vale la pena.

«Entra in casa, per favore. Sono stanco».

Un soffio doloroso, triste e gracile.
«Scott...».

«No».

Tira su con il naso e si sporge nella mia direzione per cercare di afferrarmi per il braccio, ma io indietreggio bruscamente, spaventato.
«Ho detto di no».

Non sono ancora pronto. Ho bisogno che mi stia lontana.

«Dobbiamo parlarne, ti prego. Io posso spiegarti e tu devi ascoltarmi. Ti giuro che-».

Queste di adesso sono tutte scuse e non è ciò che voglio sentire. Io voglio un dialogo autentico, un confronto senza frasi fatte o inutili giri di parole. Lo so che viene naturale, infatti non le sto dando alcuna colpa, ma deve capire che se io non sono pronto ad un dialogo, allora non ne parleremo.
Come io rispetto i suoi limiti, lei deve rispettare i miei.

Di nuovo, non le permetto di proseguire, «Ne parleremo, ma non ora. Non forzarmi».

«So che sei arrabbiato e so che non vuoi affrontare l'argomento, ma non posso permetterti di pensare qualcosa che non è vero».

«Non sto pensando niente».

Bugia.

Non mi dà tregua e cerca nuovamente di avvicinarsi, ma io la allontano e per poco non esco dalla macchina pur di non farmi toccare dalle sue dita.

«È stato lui a baciarmi, ti giuro che non avrei permesso succedesse se avessi capito le sue intenzioni. Mi fa ribrezzo, lo detesto... mi viene da vomitare» piange così forte che faccio fatica a capirla, «Ti prego, ascoltami, credimi».

Tamburello il pollice sul volante di pelle per trovare una distrazione dai suoi occhi che mi cercano, «Ho detto che ne parleremo quando sarò pronto ad ascoltarti».

E lei ora non è decisamente di questa veduta.

«Quando sarai pronto? Cosa vuol dire?» domanda, forse più a se stessa. Fa una lunga pausa di silenzio, poi un lamento profondo le esce dalle labbra. «Scott... tu mi credi, vero? Sai come è andata».

Ho visto. Ogni cosa. Ogni singolo istante.
So benissimo cosa è successo, come è successo e perché è successo e la mia idea non cambierà anche dopo aver sentito la sua versione della storia. Non è una questione di fiducia o di credere nelle sue parole, quanto più l'analizzare la realtà dei fatti e capire cosa farne, come reagire.

Per cui, la sua domanda è superflua.

Mi stringo nelle spalle, «Credo a quello che ho visto».

«No, Scott... non farmi questo, per favore» scoppia così forte a piangere, che le manca il respiro. «Ti scongiuro, ti supplico, devi credermi... i-io non volevo, non- lui è venuto a parlarmi, non pensavo che- che si sarebbe confessato. Scott... io ti amo, non voglio nessun altro, ci sei solo tu, per favore ascoltami».

Sono distratto dal mio malessere per fare in tempo a sottrarmi alla sua presa che si incolla al mio polso. Sussulto a quel contatto così improvviso e per poco non sbatto la testa contro il finestrino.

Mi si stringe lo stomaco nel sentire le nostre pelli a contatto. Le sue dita sono fredde e bagnate, rischiano perfino di scivolare via.
Sembra non badare al segno rosso che mi sta lasciando con le unghie. In realtà nemmeno io me ne accorgo, le sue parole mi rimbombano nella testa e coprono tutto il resto.

Asher... si è confessato ad Amanda?
Pezzo di merda. Lurido bastardo senza ritegno.

Quindi, prima si è confessato e poi l'ha baciata?
Tutto questo davanti ai miei occhi, sapendo che ero lì e che probabilmente li stavo guardando?

Mi viene quasi da sorridere, ma è solamente il riflesso di uno spasmo di ira. Avrei dovuto rompergli qualche altro osso, giusto per assicurarmi che si sarebbe ricordato di guardarsi per bene attorno prima di mettere le mani su qualcosa che non è suo, in un modo così meschino e viscido.

Perché Amanda non mi ha ammonito su di lui? Davvero non sapeva niente? Nemmeno lo immaginava o sapeva, ma me lo voleva tenere nascosto per paura di una mia brutta reazione?

Cazzo, mi sento la testa scoppiare. Non so più cosa pensare, a cosa credere e su cosa dare fiducia per non perdere totalmente il controllo.
Sono immerso nel caos.

«Scott?» la voce di Amanda mi fa sussultare. Mi rendo conto di essermi estraniato per un lungo periodo di tempo.

Devo andare a casa. Subito.

Mi scrollo di dosso la sua mano, riaccendo il motore ed inserisco la marcia.
«È tardi, devi andare» tuono con fermezza, assicurandomi che le portiere siano sbloccate.

«No, fammi venire con te» supplica.

Nego con il capo, «No, non stasera. Esci dalla macchina per favore».

«Scott...».

«Amanda» la richiamo, più forte del previsto, tanto da farla sussultare e immediatamente chiudere in se stessa.

Lo noto dalle gambe che si avvicinano e dalla mano destra che si aggrappa alla maniglia.
Forse ha paura di me, forse teme quello che potrebbe succedere o che potremmo dire.
Non lo so.

Il sangue rappreso sulla mia mano non offre un'idea idilliaca di me ed è un motivo in più per lasciarmi andare e starmi lontana.
Neanche se dovessi perdere completamente il senno o il controllo di me stesso riuscirei a posarle un dito addosso e lei lo sa. Infatti, la paura che prova non è rivolta a me, a questo pensiero specifico, ma è il risultato di questa notte che sembra infinita e di quello che i suoi occhi mi hanno visto fare ad Asher.
È comprensibile, non lo nego. Nemmeno a me è piaciuto e proprio come previsto non mi ha fatto stare meglio.

È per questo che ho bisogno di solitudine, di avere per un po' soltanto la mia compagnia ed i miei pensieri.

Ci riprovo, ci metto più gentilezza. «Vai a casa, riposati. Ti chiamo domani».

«M-mi chiami domani?» balbetta, confusa.

«Sì».

«Mi chiami domani...» sussurra.

Sospiro, «Sì, ci sentiamo domani. Prima però devi dormire».

«E tu?».

Schiocco la lingua sul palato, «Non preoccuparti per me, sto bene».

Altra bugia.

«Stai bene?» sembra quasi offesa dalle mie menzogne, come se si aspettasse altro.

«Sì, tutto okay» alzo appena un angolo della bocca per inscenare al meglio il mio spettacolo penoso, «Ora va' che è tardi. Buonanotte».

Ci rimugina ed indugia per dei lunghi istanti, prima di aprire finalmente quella portiera e far entrare un po' di aria pulita.
Esce lentamente dalla mia macchina, con fatica e stanchezza. Io continuo a non guardarla in viso, nemmeno quando si sporge in avanti sul sedile per guardarmi. Non glielo permetto.
Torno a respirare qualcosa che non sia il suo profumo soltanto quando richiude la portiera.

Premo subito l'acceleratore.
Non aspetto che entri in casa, la lascio sul marciapiede ad aspettare un ritorno che non ci sarà e per quanto sia meschino, vile, triste e difficile, non la guardo dallo specchietto nemmeno una volta.

Me ne vado a basta. La lascio sola, al buio, al freddo, con il viso gonfio e le lacrime in piena.
Non riesco a fare altro. Mi sentirei peggio se vedesse nei miei occhi tutto questo dolore che le sto portando lontano.

Anche adesso, mentre le sto spezzando il cuore, sto soltanto cercando di proteggerla.
Lo giuro.






BUONASERA SCOTTINE🦋
Eccoci con la seconda ed ultima parte del capitolo.
Questo sì che è stato un bel caos.
Vi avevo lasciate con molti dubbi e domande, ma credo proprio di aver chiarito abbastanza. 💌

Ora ditemi, ve lo aspettavate un ritorno di Asher?
Ma soprattutto, vi aspettavate questa reazione di Scott?

So che probabilmente in molte non capiranno le sue scelte e il motivo di questo comportamento così distaccato, ma io personalmente mi ci trovo molto.
Per come sono fatta, certe volte preferisco non affrontare subito il problema perché so che non riuscirei a calibrare le parole e rischierei di ferire (anche ingiustamente) l'altra persona, soltanto perché sono arrabbiata. 🤍

Scott ha bisogno del suo tempo e, sinceramente, anche Amanda.

Indovinante? Nel prossimo capitolo si parlerà di tutto quello che è rimasto in sospeso, quindi... preparatevi. 😅

Sarà un capitolo un po' "diverso", perché come sapete ho uno stile più narrativo che dialogico, ma questi due devono parlare e lo faranno al 100%.

Cerco di aggiornare il prima possibile.

A presto! ✨🗝

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