La Fantasma ~E l'articolo NON...

By Yuwy_ghost

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🏆STORIA VINCITRICE DEL PREMIO WATTYS 2023 MIGLIORI PERSONAGGI🏆 Vi siete mai imbattuti in una situazione imb... More

✨Riconoscimenti✨
Intervista dedicata
Informazioni utili (o forse no)
~Parte prima~
Prologo
Uno
Due
Tre
Quattro
Sei
Sette
Otto
Nove
Dieci
Undici
Dodici
Tredici
Quattordici
Quindici
Sedici
Diciassette
Diciotto
Diciannove
~Parte seconda~
Venti
Ventuno
Ventidue
Ventitré
Ventiquattro
Venticinque
Ventisei
Ventisette
Ventotto
Ventinove
Trenta
Epilogo

Cinque

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By Yuwy_ghost

Sono nei casini, in grossi casini: mi sono dimenticata la borraccia d'acqua a casa e ora sto morendo di sete. Merda, perché sono così rimbambita?

É la quarta ora, mancano due ore prima della fine delle lezioni. Troppo tempo, non potrò resistere così tanto. Mi rassegno, devo andare alle macchinette per forza e uscire dalla mia comfort zone. Qui a scuola abbiamo dei distributori automatici che vendono un po' di tutto, dal cibo a qualsiasi tipo di bevanda, caffè compreso. Cosa abbastanza caruccia se non fosse che sono proprio al centro del corridoio principale, vale a dire quello più affollato di tutti.

Continuo a insultarmi per tutta la lezione, sempre sul fatto di essere riuscita a piantare la borraccia piena di ottima acqua di rubinetto in mezzo al tavolo, anziché ficcarla nello zaino come ho sempre fatto.

Controllo per la centesima, forse millesima, volta nello zaino. Frugo bene, sposto libri, quaderni, raccoglitori, nella speranza che la borraccia si materializzi da qualche parte, per puro culo magari: chi può dire che non sia lì dentro? Che magari si sia infilata sotto qualche quaderno e io non l'abbia semplicemente trovata, pensando di conseguenza di averla dimenticata? Che minchia di fantasie... La borraccia non c'è e non ci sarà mai, sono finita.

Mi dispero ancora un po', poi la campanella dell'intervallo suona.

«Ragazzi, aspettate un attimo prima di alzarvi e fare l'intervallo che vi devo assegnare i compiti» dice il professore di Inglese.

Mi mordo una guancia per il nervosismo. Davvero? Ci sta prendendo per il culo? Ha avuto tutto il tempo per dare i compiti, tutto-il-tempo, proprio ora che c'è l'intervallo e che sto crepando di sete, neanche fossi un esule nel deserto del Sahara, deve assegnarli? Non può farlo tramite il registro elettronico, che santi umani hanno creato? No. Risposta scontata.

Attendo impaziente che il maledetto finisca di dare i compiti, per poi fiondarmi alla velocità della luce fuori dalla porta. Prendo un grosso respiro e mi faccio coraggio, attraversando come un'apneista il mare di gente nel mio corridoio.

Scanso il tizio che mi sta venendo incontro, supero quello che va troppo lento, raggiro quello che non sa stare fermo sul posto e mi sposto di lato per far passare quello che sta andando di fretta, più in fretta di me per essere precisi. Se c'è una cosa in cui sono brava, oltre a lamentarmi, è sguisciare in mezzo alle persone come un'anguilla.

Finalmente sbuco nel corridoio principale, mancano solo pochi passi alle macchinette. Non demordo e continuo a farmi strada tra la gente. Non incrocio un singolo sguardo, anzi, sembra che nessuno di stia accorgendo troppo di me, e la cosa mi piace.

Intravedo le macchinette da lontano e il mio cuore si riempie di gioia. Acqua fresca di sorgente, già me la pregusto.

Qualcosa però, cattura la mia attenzione. Già, Zilla la scopofobica che viene attratta da qualcosa. Sulle prime non riesco bene a distinguere di cosa si tratta: c'è qualcosa a terra, abbastanza colorato, ma il mare di gente che cammina in ogni direzione mi impedisce di capire cosa sia.

Ad un certo punto, man mano che mi avvicino e la cosa a terra si fa più distinguibile, vedo un particolare che mi fa comprendere tutto: una mano. Non è una cosa è una persona!

Mi agito, non so per quale assurdo motivo, ma mi agito. La prima cosa che penso è che questa persona sia morta, ma il mio leggero ottimismo mi infonde la speranza che non sia così e che magari stia solo male.

Ora sono vicinissima, a pochi passi dalla figura stesa a terra. Il corpo giace a pancia in su, é un ragazzo, indossa una felpa blu elettrico e un paio di jeans slavati neri. Ai piedi invece, calza delle Converse rosso fuoco. Il volto non riesco a vederlo più di tanto, vedo solo che ha dei capelli castani, ben nascosti dentro il cappuccio della felpa.

Mi agito ancora di più e per una volta dimentico la mia scopofobia e mi avvicino, per cercare di capire se il ragazzo stia bene o se abbia bisogno di aiuto. Mi fermo accanto alla sua testa e guardo la sua faccia, gli occhi azzurri si spostano velocemente su di me, ricambiando il mio sguardo attonito. Lo distolgo velocemente, mentre lui... sorride!

Ma allora sta bene? Sono confusa, non capisco niente.

«Si può sapere che ci fai sdraiato a terra?» sono fiera del mio coraggio con il quale ho deciso di porgli questa domanda, dentro di me gioisco un po', nonostante sia ancora traumatizzata dalla visione di quel tizio.

«Uhm... Ciao?».

Il ragazzo strizza gli occhi, come se mi stesse analizzando, e ciò mi dà un profondo fastidio.

«Non mi hai risposto» ribadisco con tono abbastanza impaziente

«Stavo semplicemente scrutando il soffitto» la sua voce é particolare, così come la sua risposta.

«Che...?»

«Sei sorda? Stavo guardando il soffitto».

Con uno scatto, il tizio si alza. Faccio qualche passo indietro per stargli lontano.

«Credevo tu stessi male, sei un pazzo!» sbotto a un certo punto «Non farlo mai più! Hai idea di che infarti puoi fare prendere alla gente?!».

Il ragazzo fa spallucce.

«La gente non mi guardava neanche, a dire il vero. A loro non importa cosa fai, é menefreghista».

Solo in quel momento realizzo che sulla prima frase ha ragione: la gente che gli camminava accanto non lo guardava affatto. Sulla seconda frase invece sono pienamente in disaccordo: alla gente importa qualsiasi cosa fai, è pronta a giudicarti ed etichettarti in base a come ti vesti, a ciò che fai, a come ti comporti. La società funziona così, ormai mi é ben chiaro.

Scuoto la testa indignata e faccio per andarmene, staccandomi definitivamente da quel pazzo sclerato, ma lui mi ferma.

«Aspetta un secondo... Io e te non ci siamo già visti?»

«No» rispondo secca, senza nemmeno voltarmi.

Mi pare quasi di percepire il ragazzo che ragiona.

«Sì invece! Tu sei quella ragazza che ho colpito per sbaglio con una palla di neve qualche settimana fa».

La mandibola mi cade per la sorpresa. Ora sì che ricordo: quel tizio è il cannoniere, la causa effetto della mia sfiga. Chiudo la bocca, mi volto, guardando il suo mento.

«Ah» riesco solo a dire. Sono seriamente sorpresa, in questo momento mi sembra quasi di non conoscere le parole.

«Mi dispiace davvero per quel giorno... Volevo scusarmi con te, ma te ne sei andata»

«Non fa niente».

Cerco nuovamente di andarmene, ma stavolta non faccio in tempo nemmeno a girarmi.

«Sono Charlie, comunque. Charlie Gray».

Annuisco, non saprei che fare altrimenti. Cala un silenzio imbarazzante tra noi due, lui sembra in attesa, in attesa di so già che cosa. Sospiro e costringo le mie corde vocali a darsi una mossa a riprendersi dallo shock subìto prima, e parlare.

«Zilla. Zilla Allen».

Stavolta riesco a filarmela prima che lui dica qualcosa, e mi lancio sulle macchinette come un tacchino affamato sul suo mangime. Inserisco la monetina e mi scolo una bottiglia d'acqua intera, insonorizzando poi un mega rutto che mi parte dal profondo.

Subito dopo me ne compro un'altra e mi dirigo di nuovo in classe. Spero vivamente di non incrociare Charlie o come si chiama, ma pare che il ragazzo si sia smaterializzato di colpo. Che per caso sia un fantasma?

***

Spalanco gli occhi e sbadiglio. La musica nelle mie cuffie si è fermata, chissà da quanto tempo sta andando... Mi sono addormentata appena ho toccato il letto. Ah come sono messa male...

Accendo il telefono e controllo l'orario: sono le tre e mezza, ho dormito due ore piene. La prossima canzone è "Heathens" dei "Twenty One Pilots", ma non la avvio, non ho più voglia di ascoltare musica, il che è piuttosto strano, considerando che io vivrei tranquillamente con le cuffie indosso, ventiquattr'ore su ventiquattro.

Sospiro, so che dovrei fare i compiti per dopodomani, ma non ho voglia, sono troppo stanca, li farò o stasera o domani pomeriggio.

E poi, volendo proprio guardare, se non fossi stanca non riuscirei comunque a concentrarmi: la mia mente è piena di pensieri, unicamente collegati a quel ragazzo strano. Come si chiamava? Ah, sì, Charlie, quel pazzo. Dopo accurati ragionamenti non so ancora definire quel suo strano comportamento, il suo modo di fare, il suo sorriso strampalato e i suoi occhi fissi che mi studiano. Rabbrividisco ripensando al suo sguardo su di me, che percorre ogni singolo centimetro del mio corpo. Afferro nuovamente il telefono e apro Instagram. É un'app che ho spesso valutato di disinstallare, in quanto detesto condividere gli affari miei con gli altri, ma non l'ho mai fatto: sopra ci sono comunque i video di gattini carini e buffi, che mi tengono compagnia nei momenti in cui sono particolarmente scazzata oppure con il bisogno di dolcezza, che solo quelle creaturine pelosette e con le orecchie a punta sanno darmi.

Stavolta però non la apro per i video di gattini, ho ben altro per la testa.

Digito sulla barra di ricerca "Charlie Gray" e subito mi si presentano davanti tredici profili di omonimi. Vado a esclusione fino a quando non lo trovo: come foto profilo ha una foto di lui con, suppongo, il suo cane: un Golden Retriever dalla faccia simpatica. Ha centodue follower e trecentonovantaquattro seguiti, l'ultima foto che ha pubblicato risale a quattro mesi fa. Scorro il suo profilo e guardo i suoi post. Mi sento una stalker, anzi, lo sono, ma non mi fermo a questa considerazione. Ok, forse lo ammetto, sono curiosa di sapere chi diavolo sia questo qui. É un individuo troppo strano, qui c'è da investigare come Sherlock Holmes.

Smetto di scorrere i post e torno all'inizio del profilo. Solo adesso mi accorgo che nella sua descrizione è presente soltanto una frase, nessuna informazione personale. L'ho già sentita, credo sia del cappellaio matto di "Alice nel paese delle meraviglie": "La gente vede la follia nella mia colorata vivacità e non riesce a vedere la pazzia nella sua noiosa normalità".

Penso che questa frase lo rappresenti appieno, specialmente dopo averlo visto sdraiato in un corridoio della scuola.

Osservo meglio l'ultimo post: una foto che rappresenta lui di spalle, sullo sfondo di un bel paesaggio composto da alberi e alcune colline.

E proprio mentre osservo attentamente la foto, succede il disastro: il telefono mi scivola dalle mani, e il mio fottuto indice clicca il cuoricino del mi piace.

«Merda!» esclamo «Merda! Merda! Merda!».

Vorrei urlare disperata, sparare tremila parolacce al secondo, ma mi trattengo. Ora saprà che l'ho stalkerato! Oltretutto penserà pure che mi piace uno dei suoi post!

Affondo la faccia nel cuscino. Suppongo che di Zilla Allen non ne abbia conosciute molte nella sua vita e il mio nickname di Instagram è ben visibile. Non ho vie di scampo, sono fottuta.

Mi dispero per ancora un po', poi mi rassegno e decido di andare da Eddie. Ho bisogno di parlare con lui, e di raccontargli di Charlie. Con le sue innumerevoli conoscenze sociali é probabile che sappia di chi si tratta, e magari dirmi qualcosa in più sul suo conto.

Busso alla sua porta e subito ricevo la sua risposta. Così entro, richiudendomi la porta alle spalle, prendo la rincorsa e mi butto a bomba sul suo letto.

«Zilla! Così mi sfondi il letto!» borbotta seccato

Gli faccio un sorrisetto pestifero:

«Tu fai sempre così con il mio. Ora mi vendico».

Eddie abbassa il libro che sta leggendo e mi guarda divertito, scuotendo la testa. Sbircio il titolo di ciò che legge: "Sogno d'una notte di mezza estate" di William Shakespeare.

«Dunque, mi devi parlare?».

Annuisco e prendo coraggio.

«Stamattina, all'intervallo, ho incontrato un tizio strano...»

«Un tizio strano?»

«Sí. Era sdraiato per terra, al centro del corridoio principale. Mi sono avvicinata a lui preoccupata, credendo stesse male e avesse bisogno d'aiuto, invece stava benissimo. E' saltato in piedi come se nulla fosse, sorridendo in modo inquietante».

Eddie si fa una risatina soffusa.

«E tu che ci facevi fuori dalla tua classe?»

«Ehm...? Pronto? Ti ho detto che c'era un tizio steso a terra e tu ti soffermi sul fatto che ero fuori dalla mia classe?»

«Be', è più strano il fatto che tu fossi nel corridoio principale e non nella tua classe, piuttosto che il tizio steso a terra».

Mi sento offesa. Metto giù il muso e mi alzo dal letto, dirigendomi verso la porta.

«Bene, visto che i miei racconti su Charlie Gray non ti interessano, me ne vado».

Cala il silenzio, ma dura poco. Come un razzo Eddie balza giù dal letto con rapidità e mi si piazza davanti, tenendomi per le spalle e incurvando leggermente la schiena per tenere il suo sguardo fisso nei miei occhi.

«Charlie Gray?!» esclama. «Per caso ha i capelli castani e gli occhi azzurri?».

Lo guardo confusa.

«Sí, perché?».

Eddie si fa più preoccupato.

«Ti consiglio di stargli lontano... È un pazzo»

«Be' guarda, ci ero arrivata anche io» dico ironica

«Dico sul serio, è stato espulso da una scuola perché aveva fatto casini».

Ammutolisco, sbarro gli occhi.

«E-espulso?» ripeto, come un disco rotto.

Eddie annuisce e sospira.

«Già...» lascia scivolare le mani dalle mie spalle e incrocia le braccia sul petto. «Ma... Ascolta. Io non sono nessuno per vietarti di parlare con questo Charlie, sono tue scelte in fondo, ma ti prego, stai in guardia».

Annuisco, un po' preoccupata. Quando Eddie diventa così serio mi si gela il sangue, soprattutto per il fatto che riesce a rendere il suo tono della voce basso e angosciante.

Torno in camera mia, sdraiandomi nuovamente sul letto. Accendo il telefono, la schermata è rimasta sul profilo di Charlie Gray. Osservo a lungo il cuoricino rosso sotto alla sua ultima foto. Sospiro e non lo levo, esco solo dall'app. Espulso... Tuttavia, seppur dai modi assurdi, mi è sembrato un ragazzo tranquillo. Forse è meglio che gli stia lontana, non voglio finire sulla cattiva strada.

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