Come le Maschere di Pirandell...

By shin_eline

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Dove Christian non si rende conto di quanto Mattia gli somigli. More

La prima volta 1/2.
La prima volta 2/2.
Chiasso.
Sei mio 1/2.
Sei mio 2/2.
Non andare.
Staccare la spina.
Stupido ego maschile.
Sfortuna, o no?
Paranoie.
Come le Maschere di Pirandello.
Come il sole e le foglie.
In ogni modo.
Amici.
Simili.
Chiamata. 1/2
Chiamata. 2/2
Come il fumo di una sigaretta.
Un po' meno nero.
Rose rosse.
Colazione.
Tornare a casa.
Quando le bugie crollano.
Videochiamata.
Amore.
Ti importa ancora?
Il meglio di me. 1/2
Il meglio di me. 2/2
Un cuore in due.
This Side of Paradise.
La persona adatta.
Uno sporco profumo.
La cosa giusta.
make you mine.
Tra apatia, rabbia e amore.
Un palmo dal cielo.
Mettere in moto.
A pranzo da amici.
Lezioni di ballo.
Prepararsi insieme.
Presentazioni.
Non ci sarebbe stato Universo alcuno.
Mattina.
Non abbiamo età. 1/2
Non abbiamo età. 2/2
Ogni posto ti conosce.
L'aria di famiglia.
Povera mente.
Ogni secondo di più.
Promettimelo.
Nonni. 1/3
Nonni. 2/3
Nonni. 3/3
La banalità del male.
Il bello dell'amico.
Non so se stringerti o lasciarti andare.
Pasta e gelosia.
In a dream, I saw my mother...
Complici.
Complici. 2

Aspetterò.

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By shin_eline

Sto pubblicando questo capitolo nella probabilmente più brutta giornata scolastica che passerò: quindi probabilmente solo alle due prenderò il telefono per risollevare il mio umore (sperando che non ce ne sia bisogno.)

Buona lettura❤

Se qualcuno avesse chiesto al Christian di qualche tempo fa quale fosse il suo momento preferito della giornata, lui avrebbe risposto con una certa nota di sicurezza che era la notte, ma in quel periodo stava iniziando a dubitarne; ora nel podio si stava aggiungendo un nuovo momento: il pomeriggio.

I caldi pomeriggi di primavera, dove all'ombra geli e al sole i raggi ti riscaldano la poca pelle che lasci esposta; quelli dove il cielo é terso e pronto a darti il buonumore. E con più precisione amava quei pomeriggi dove il suo paesino non era abituato ad essere illuminato per un orario che superava le cinque, e amava quando il cielo accoglieva poche nuvole dal colore rosato, mentre il sole era prossimo al tramonto e a quel pomeriggio si aggiungeva l'aggettivo "tardo."

E ogni volta che si ritrovava a guardare il cielo in quello stato, che fosse fuori casa a fare la spesa, che fosse in macchina per andare a lavoro o per tornarci, che fosse sull'autobus per andare in centro, che fosse con i suoi amici o che camminasse semplicemente per strada, pensava a Mattia.

E quella volta non era diverso; si era ritrovato a guidare verso l'abitazione Zenzola, perché avrebbe dovuto accompagnare il più piccolo in un posto, probabilmente da un amico, su richiesta dei genitori.

Come sempre Christian aveva accettato, anche se aveva una strana ansia al pensiero che sarebbero rimasti soli in una macchina, dopo aver passato l'intero pomeriggio di appena tre giorni prima sul letto del più basso a farsi le coccole a vicenda.

...

Sì, coccole.

Si erano letteralmente accarezzati tutto il tempo in un silenzio tombale; Christian non aveva avuto voglia di parlare, anche perché parlare di se stesso non gli veniva per niente bene e poi non si sentiva nemmeno pronto, e dall'altra parte Mattia non era sembrato per nulla intenzionato a costringerlo.

Quindi erano finiti per farsi le carezze sulla schiena, fra i capelli e sulle guance.

Un pomeriggio tranquillo, a detta di molti.

Beh, tranquillo un cazzo.
Il cuore di Christian non era stato buono e calmo per un solo misero secondo; le sue mani non avevano mai avuto così tanta voglia di sfiorare la pelle di qualcuno per così tanto tempo con così poca malizia e il suo respiro aveva iniziato a fargli seri scherzi. Forse avevano passato due ore in quella posizione se non di più; eppure il moro non aveva sentito nemmeno una briciola di sonno, né di stanchezza e né di altro; era concentrato sull'altro e basta.

E dopo quel pomeriggio il loro rapporto era un pelino migliorato; se si incrociavano in mezzo ai corridoi, Mattia gli faceva un piccolo sorriso seguito da un occhiolino, e Christian come il bravo sottone che aveva capito da poco essere, lo fissava con la bocca aperta e quando lo superava, si girava pure a guardarlo.

Per poco non si era fatto beccare dal padre del biondo, per colpa di questo.

E in quel momento si ritrovava seduto al tavolo della cucina della casa in cui lavorava; i genitori del diciassettenne lo avevano invitato ad entrare a sedersi, dato che il figlio ancora doveva essere pronto e Christian aveva accettato.

Anche perché non era la prima volta che accadeva, e non poteva tirarsi indietro così d'improvviso.

E mentre la signora preparava il caffè, il marito era seduto di fronte a lui.

In quel momento stava scherzando con la moglie prendendola in giro su quanto suo figlio le somigliasse, dato che ci metteva sempre più di un'ora per prepararsi, e fu in quel momento che Christian realizzò.

Stava parlando con il padre del ragazzo che si era portato a letto.

Con il padre del ragazzo con cui aveva passato un intero pomeriggio abbracciato.

Deglutì a vuoto, e una strana sensazione di disagio lo colpì all'improvviso.

E proprio in quel momento il signore si voltò verso di lui, ridendo pacatamente e chiedendogli se fosse d'accordo su qualcosa che Christian non aveva proprio sentito.

«Sì, sì, ovviamente.»

«Visto? Finisce sempre così, é impossibile essere puntuali con te e tuo figlio.»
Tornó a rivolgersi alla moglie.

«Ma che, non facciamo mai tardi, sei tu che finisci con largo anticipo.»
Sbuffò la signora: una caratteristica che aveva notato di lei, era che fosse tremendamente permalosa quando a scherzare su di lei, era il marito.

E più lei si innervosiva, più quello continuava.

Quello lo aveva fatto sorridere spesso, perché anche lui, come il padre di Mattia, tendeva a scherzare molto e a finire per esagerare.

«E poi, non lamentarti sempre, Mattia se sta facendo tardi adesso é perché la festa non é ancora iniziata. Deve andare in anticipo che Francesco gli ha chiesto di aiutarlo a preparare.»

«Davvero?»
Chiese confuso. «Perchè non lo sapevo?»

«Boh, forse perché parli troppo e non ascolti.»
Gli mandò una frecciatina palesemente innervosita, prima di mettere a tavola un vassoio con sopra tre caffè.
«Prendi pure Christian.»

L'uomo alzò entrambe le sopracciglia, guardando l'ospite mentre si avvicinava la tazza alle labbra.
«Hai visto che pazienza ci vuole?»

«Tu, pazienza? A me serve pazienza per sopportarti!»
Disse, sedendosi accanto a lui e prendendo la tazza.

Il signore guardò di nuovo Christian e fece lo stesso movimento di sopracciglia, come per rimarcare il concetto di prima.

Stefanelli si mise a ridere imbarazzato; la scena lo faceva ridere, ma non sapeva che dire.

«Comunque Christian, stavi facendo altro quando ti abbiamo chiamato?»
Domandò lei, guardandolo cordiale.

Lui scosse la testa.
«No, no, anzi. Non avevo nulla da fare.»

«Solo Mattia esce sempre quindi?»

«Io esco sempre?!»

Letteralmente: parli del diavolo e spuntano le corna.

Mattia entrò in cucina proprio in quel momento, domandando quasi come se lo avesse offeso sul personale quella sentenza.

Il padre alzò le mani al cielo.
«Una domanda ho fatto.»

«Io non esco sempre!»
Continuò, con il nervosismo di chi forse quel discorso lo aveva affrontato spesso. «Io esco praticamente solo il sabato, perché tutto il resto della settimana o vado a ballo, o vado a scuola.»

«Solo il sabato? Ma se esci una continuazione!»

«Una continuazione?! Ma dove esco una continuazione?»

E mentre loro continuavano a discutere, Christian aveva preso a guardare il più piccolo della stanza con gli occhi scrutatori.

Dio, quant'era bello quel ragazzo?

I riccioli biondi erano molto più definiti, segno che avesse finito da poco tempo di occuparsi di loro; le dita erano tempestate di anelli e i polsi di bracciali, e solo ora notava che avesse anche degli orecchini appesi al lobo.
A Mattia piacevano i gioielli, e questa informazione se la tenne ben stretta.

Aveva una maglia bianca, ma non ebbe il tempo di finire di scrutarlo che venne di nuovo chiamato in causa.

«Ti prego Christian accompagnalo via e levamelo da torno.»

Disse ironico il padre, massaggiandosi le tempie.

«Ma non può essere che se né io, né tuo figlio ti sopportiamo, il problema sei tu?»
Domandò la madre.

«Eccalà: si sono alleati contro di me.»
Alzò le spalle. «Questo succede ogni giorno, sempre, ad ogni ora.»

«Perchè io e mamma abbiamo ragione.»
Incrociò le braccia al petto.

Il padre si voltò verso Christian.
«C'é un posto in più a casa tua? Vengo a dormire da te, non ce la faccio più in questa casa.»

Il moro si mise a ridere.
«A disposizione, quando volete.»
Si prese il caffè velocemente, prima di poggiarlo di nuovo all'interno del vassoio e guardó Mattia. «Andiamo?»
Chiese, fingendosi sicuro di se stesso come se anche il solo rivolgergli la parola non gli facesse nulla.

Mattia annuì, avvicinandosi ai suoi genitori per salutarli con un bacio sulla guancia: aveva notato che il biondo era solito farlo, ed era una cosa non poco carina.

Stefanelli si alzò e mise la sedia sotto al tavolo; aspettò Mattia e quando quello uscì dalla stanza lui si voltò verso i due adulti.

«Grazie del caffè, era buonissimo. Arrivederci.»

«Grazie a te per accompagnarlo, sappiamo di averti avvertito tardi. Ci vediamo mercoledì, ciao.»
Rispose la donna, e l'ospite sorrise di nuovo prima di uscire dalla cucina e seguire il diciassettenne.

Quando uscirono dalla casa ed entrarono in macchina, Christian era stranamente felice: parlare con i genitori di Mattia lo rendeva sempre inspiegabilmente felice; sará perché erano due simpaticoni e a volte sembravano mettere su un vero e proprio teatro, o forse sarà perché gli faceva bene sapere che era apprezzato o visto di buon occhio dai suoi datori di lavoro. Aveva la loro fiducia e lo motivava a fare di meglio; anche se probabilmente per "meglio" non doveva sicuramente intendere arrivare a portarsi il loro "bambino" a letto.

Ma non disse nulla; si sedette al sedile del guidatore e girò la chiave per accendere la macchina, poi, prima di partire, si voltò verso il più basso.

«Allora, dove dobbiamo andare?»

Il biondo prese il telefono.
«Aspetta che cerco, non lo so nemmeno io.»
Mormorò, prima di sbloccarlo con l'impronta digitale e iniziare a cercare su una chat di whatsapp.

Il moro guardò prima le sue lunghe ciglia, ora abbassate per guardare lo schermo, prima di realizzare cosa avesse detto.
«Ma non dovresti andare a casa di un tuo amico stretto?»

«Sì ma che c'entra, non la conosco ugualmente la strada.»
Rispose senza guardarlo, arrivando poi a cliccare su un messaggio e google maps si aprì. «Vuoi mettere in moto o mi devi dar fare sul serio tardi oggi?»
Domandò, ma il tono non era affatto di una persona scontrosa; anzi, era quello di qualcuno che cerca di nascondere dietro la faccia tosta, un'insicurezza.

E putroppo per Mattia, Christian sapeva riconoscere perfettamente chi si nascondeva dietro una finta faccia scontrosa.

Fece un sorrisetto divertito, poggiò la mano sinistra sul volante e si sporse per guardarlo.
«Non sai imparare le strade?»

Il biondo si voltò verso di lui, con lo sguardo stupito di chi una domanda del genere aveva fatto il possibile per evitarla; poi sbuffò e guardò davanti a sè.
«Ma chi te l'ha detto, non ho semplicemente voglia di ricordarmelo.»

L'altro si morse il labbro sorridendo; si stava divertendo da morire a metterlo in difficoltá.

Lui amava "torturare" in quel senso le persone; eppure il fatto che Mattia non aveva mai dimostrato un solo difetto su cui fare leva, lo faceva sentire come se quello fosse ad un passo avanti a lui.

Ma a quanto pare, ora non più.

Modestamente Christian sulla macchina era una certezza; un po' perché guidare gli piaceva, un po' per esigenza. Suo padre aveva tanti difetti, tra i quali il fatto che non si sforzava mai di accompagnarlo in nessun luogo; così da piccolo si era arrangiato senza biglietto con i pullman da cui era stato cacciato innumerevoli volte da un controllore che non aveva nessuna pietà per un ragazzino quindicenne nemmeno quando pioveva; e appena preso il patentino, aveva iniziato a guidare l'auto della madre, che forse, comprendendo almeno un quinto dei suoi disagi, glielo permetteva.

Forse fu un po' a quel punto che si rese conto di quanto le loro vite fossero diverse; di quando mentre Christian correva sotto i temporali di novembre, Mattia stava nel caldo di una macchina con la stufa accesa, e probabilmente mentre lui guidava la sua auto per andare a lavorare nelle estati dei diciassette anni per mettere da parte dei soldi, l'altro veniva accompagnato ovunque appena lo richiedeva.

Erano diversi, distanti, non poli opposti ma simili, tendenti a scontrarsi e ad attrarsi, e forse era per quel motivo che a letto avevano fatto scintille.

Erano lontani anni luce, chi nella maturitá, chi nelle esigenze, e quando due persone del genere si avvicinano non finisce mai bene.

Forse erano fatti per gli incontri casuali ed occasionali; erano fatti per toccarsi una volta ogni quando non resistevano più; forse erano fatti per quello e nient'altro.

Eppure quel pensiero gli fece una strana rabbia; fu una conclusione che non volle accettare nemmeno di farla esistere nella testa, e la voglia di assottigliare quella differenza, di diminuire le distanze, di avvicinare le proprie strade, fu più forte del suo autocontrollo.

Guardò davanti a lui e gli porse la mano destra.

«Dammi il telefono.»

Il biondo corrugò la fronte e si voltò verso di lui; quello era decisamente il suo di tono, il moro non poteva rubarglielo in quel modo. Ma non disse nulla, pensando che forse aveva accettato e basta di guardare le indicazioni e porre fine a quella parentesi imbarazzante, così fece come detto.

E Stefanelli, al contrario di tutte le aspettative del più basso, prese il cellulare e lo mise nel portaoggetti della portiera del suo lato.

«Ma che diavolo-!»
Mattia lo guardò, sedendosi scomposto per girarsi meglio verso di lui. «Ridammelo!»

«No, ora vediamo di farti ricordare la strada.»
Disse freddo, forse un po' troppo duro, girando la chiave per accendere la macchina.

«E come vuoi fare? Non la sa nessuno di tutti e due.»

«Se la fai da anni, avrai un minimo di memoria visiva, quindi più o meno te la ricorderai. Solo, non ne sei convinto perché nessuno ti ha mai fatto provare.»
Mise una mano dietro al sedile del ragazzino, per sporgersi indietro e guardare l'auto dietro di lui per non urtarla mentre faceva retromarcia e usciva dal parcheggio; a dir la verità, lui riusciva a rendersi conto degli spazi tranquillamente dagli specchietti, ma se aveva la possibilità di star più vicino all'altro, non gli faceva altro che piacere.

«Cosa, e se sbaglio?»
Domandò Mattia, ora un po' più calmo.

«Si torna indietro e riproviamo.»
Si fermò dal fare manovra, portando i suoi occhi sui suoi.

«Ma facciamo tardi.»

«E che fa, tanto non dovresti solo aiutare a preparare?»

Zenzola lo guardò sorpreso; non sapeva come leggere quell'espressione, e forse era meglio così.
Sarebbe stato meglio se non avesse capito che Mattia si stupiva del fatto che l'altro avesse dato attenzione a qualcosa su di lui, mentre ne parlavano i suoi genitori.

Perciò abbassò la testa e si mise composto; Christian finalmente uscì da quel parcheggio e si mise sulla strada.

«Quindi, dove andiamo?»

«Destra.»
Indicò il biondo, e il moro girò velocemente appena si accorse che quel vicolo lo stava per superare; fortuna che non c'era nessuno dietro di lui, non aveva nemmeno messo la freccia.

«Okay, ma dimmelo prima quando devo girare che non ci sto solo io in mezzo alla strada.»
Si lamentò ironico.

«Eeh, scusa, é che me ne sono ricordato dopo.»
Spiegò velocemente, evitando di guardarlo e cercando di accucciarsi silenziosamente di più al lato destro per non farsi vedere.

Christian si voltò un istante verso di lui e non riuscì a trattenere un sorriso; si stava imbarazzando?

Forse era meglio puntare sull'ironia, non voleva fargli passare un brutto quarto d'ora.

«Vado diritto?»

«Uhm-.»
Si sporse per guardare meglio la strada. «Mi pare di sì.»

Il moro annuì.

«No aspe'- no, aspe, gira, gira.»
Disse, indicandogli la sinistra.

Christian guardò il vicolo dove avrebbe dovuto girare ma che aveva appena passato perché l'altro glielo aveva detto troppo tardi.

«Ma che cazzo, Mattia.»

«Senti, non é colpa mia!»
Storse il naso. «E non dire il mio nome completo.»

«...»
Si voltò per guardarlo male, prima di fare manovra in mezzo alla strada e ritornare al punto di prima, girando dove avrebbe dovuto.
«Come dovrei chiamarti, scusa?»

«Non per nome completo sicuramente.»

«"Matti"?»
Chiese spontaneo, non accorgendosi di quanto quel soprannome fosse dolce.

Mattia lo guardò per qualche secondo, prima di voltarsi e tornare a guardare la strada.
«Non chiamarmi e basta.»

Il moro alzò gli occhi al cielo.
«E come dovrei rivolgermi a te?»

«Parlando di questo-.»

L'altro sbattè piano le mani sul volante, ridendo.
«Ma perché non mi sto zitto?»

«Il "lei."»

«Ma te ne vuoi andare?»

«No, senti, ascoltami bene, tu devi darmi-.»

«No, tu ascolta bene: dove devo andare adesso?»

«Dritto.»

«Contro il muro?»

«Ah, non si può continuare?»

«Se tu guardassi la strada te ne renderesti conto.»

«Sei tu che mi distrai!»
Sbuffò, mettendosi composto.

«Ripago il tuo favore quando mi distrai ogni volta dal fare il mio lavoro.»
Storse il naso.
«Allora, dove giro?»

«Credo sinistra.»
L'altro fece come detto, mentre Mattia si metteva comodo a guardare la strada.
«E poi la questione del lavoro é successa solo due volte.»

«Due volte?»
Sbuffò una risata, poggiando la testa sul sedile, non distraendosi dal guidare. «Due volte che magari l'hai fatto di proposito.»

«Come?»

Christian chiuse per un secondo gli occhi, pensando a quanto diavolo fosse stupido.

Perché doveva buttarsi la zappa sui piedi da solo?

Cioè, del tipo, ma che cavolo!

Non poteva essere per un viaggio in macchina, un po' meno sottone di quel che era?

Si morse il labbro.

«Niente, lascia perdere.»

«No che non lascio perdere.»
Rispose Mattia, più testardo del solito.
«Che significa?»

«Che significato vuoi trovarci? Sei intelligente, capiscilo da solo come hai fatto l'ultima volta.»
Sbuffò.

«Voglio sentirmelo dire, Christian.»

Il nominato ebbe un brivido dietro la schiena; ormai l'aveva capito che quando lo chiamava per nome faceva sul serio, e sapeva che quella frase non era buttata lì tanto per: era più un avvertimento per il futuro e un ammonimento per quello che era stata l'ultima volta; Mattia non voleva sempre intuirle le cose, aveva bisogno di chiarezza, di trasparenza, e un po' il moro lo aveva capito questo.

Parlava con la stessa sincerità che voleva ricevere, ma Stefanelli non era per niente bravo a parlare di se stesso.

«Che vuoi che ti dica? Ormai l'hai capito.»

«Ti é così tanto difficile parlare di te?»
Parlò veloce, quasi come se quella non-risposta se la fosse già aspettata.

Christian si fermò dietro ad una macchina, fermata dentro ad un breve tratto di traffico. Si girò verso di lui.
«Non si tratta di me.»

«Si tratta di ciò che provi.»
Il biondo incatenò i loro sguardi.
«E non parlo di certo di chissà quali travolgenti emozioni, ma di quello che ti succede così, quando magari lavori e io passo per il corridoio.»
Alzò le spalle. «É che se non riesci a parlare addirittura di questo, mi chiedo con cose un po' più serie come fai.»

Christian lo guardò, abbassando lentamente lo sguardo.

Un ragazzino più piccolo di lui, alla fine, era finito a fargli la morale.

E come sempre, la certezza di non essersi sbagliato lo colpì come se fosse una freccia e lui un bersaglio: Mattia lo capiva facilmente.

Tornò a guardare la strada, avanzando appena per poi fermarsi di nuovo.

«Non ne parlo.»

«Non hai con chi parlarne?»

Il più alto fece una smorfia con il naso.

«In realtà sì, ci sarebbero le persone, ma...»
Alzò le spalle. «Non mi viene molto bene.»

«Hai mai provato a chiederti perché?»

«No, alla fine non é un problema irrisolvibile.»
Guardò lo specchietto laterale, prima di tornare a guardare davanti a sè. Faceva cadere lo sguardo ovunque più per nervosismo, che per altro, ma sapeva nasconderlo bene.
«Le cose che dovevo portare a termine le ho concluse e dalle situazioni da cui dovevo uscire fuori ne sono uscito anche senza mai parlarne con nessuno.»

«E tu sei sicuro di esserne davvero uscito?»

Silenzio.

Uno di quelli che valeva sul serio più delle parole.

Era mai davvero uscito dai periodi che lui definiva "passato?"

Assottigliò appena gli occhi, non distogliendo lo sguardo dai vetri della macchina davanti.

«Non voglio farti incasinare di più la testa di quanto ho capito tu già ce l'abbia; é che mi capita di pensare molto quando sono solo, e ultimamente non faccio altro che soffermarmi sulle persone che mi sono più vicine, e bene o male, tu sei una di queste.»
Ammise. «So che sembro una persona superficiale, e so anche che girano voci su di me, e so che io non faccia il santo per non alimentarle, ma-.» Si prese qualche secondo di pausa. «Il punto é che voglio solo che le persone che mi stanno vicino sappiano che non sarei mai superficiale o menefreghista con loro.» Si voltò verso di lui.

Christian sentì il cuore battere più forte, e a quel punto ogni dubbio si fece più nitido.

Non sapeva se Mattia stesse mentendo o meno, non aveva prove né certezze, eppure quelle non erano le parole di una persona che se ne fotte.

Una persona che se ne fotte non si preoccuperebbe se tremi, non si preoccuperebbe se non parli, non ti penserebbe quando non ci sei e non ti direbbe che per te ci sarebbe sempre stata.

E a quel punto fu strano, eppure dopo quasi un mese finalmente il suo cuore e la sua mente chiedevano in coro la stessa cosa.

Christian prese la mano di Mattia che teneva sul sediolino, e le fece scivolare fra loro fin quando i palmi non raggiunsero la stessa altezza e le dita non si intrecciassero.
Si voltò verso di lui.

«Non so se ci riusciró, ma ti prometto di provarci.»

Il più piccolo alzò entrambe le sopracciglia sorpreso, sia dal gesto che da quelle parole, ma pian piano rilassò la propria espressione.
Sorrise.

«Aspetterò.»

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