UNDER YOUR BREATH, TAEGGUK

By topino1-2

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una pellicola porno, un pornodivo e il suo bodyguard. More

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By topino1-2

«È urgente, non è vero?» domandò Taehyung.

Il mese di luglio si andò scorciando e culminò col sesto mese del calendario romano, o con l'ottavo mese del calendario gregoriano, agosto.
Augusto perché in onore di Augusto, cioè Cesare Ottaviano.

Sembrava ieri che Shin-hye avesse iniziato le vacanze d'estate.
Sei settimane non bastavano affatto.

Dunque, era già agosto.
Snobbare l'estate, da giugno ad agosto, del Giappone era per i turisti oltre misura opportuno.
Costava l'iradiddio andare a spasso sotto il cielo di mezzogiorno.
Certo, l'estate del Giappone voleva anche dire Hanabi, i fiori di fuoco, Kakigori, la granita giapponese, il suono dei Fuurin (campanelle del vento) nei templi, lucciole, cicale, grilli e tanti festival come quello di Natsu Matsuri, musica, ballate (bon-odori), rituali, bancarelle e carrozzoni.

Anata ni aete shiawase desu dicevano ai loro grandi amori.
Sono felice di averti incontrato (o incontrata).
Insomma, tutto ciò che vedevano negli anime shōjo era realtà.
Insomma, tutto ciò che né pel di carota e né il ventiduenne pornodivo avevano mai delibato.
Nessuno dei due, inoltre, aveva mai visitato il monte Fuji.
Una delle tre montagne più sacre per i shintoisti.

Poiché fosse già agosto voleva anche dire che fra qualche giorno il cielo della capitale del Paese del Sol Levante, Tokyo, si sarebbe acquerellata di almeno ventimila fuochi d'artificio.

E con tutto ciò, Taehyung fumava.
L'acuminato odore di Mac Baren soffocava il sorrisetto del suo bodyguard.

Quest'ultimo, Jungkook, mangiato della crema di uova di gallina con succose verdurine, aveva invitato Taehyung alla lavanderia del quartiere, Wash&Dry, per parlare.

Quando era spuntato il giorno, Jungkook si ricordava, aveva lanciato blasfemie a sé stesso per aver messo sotto i piedi Taehyung.

Lo aveva malmenato.
E tanto a suo giudizio.

Taehyung era l'ultima delle persone che avrebbe desiderato mortificare.
Una figura di merda dopo l'altra.
L'esiguo autocontrollo, c'era da dire, era una sua inadempienza.

Jungkook poi si acconciò i risvolti dei pantaloni grigi da tuta.
Si faceva quasi sempre i risvolti prima di lavarsi i piedi.
Ma stavolta li aveva fatti, perché faceva tanto caldo non perché fosse una moda del duemilasedici.

«Dico, hai ancora i pantaloni da tuta e la canottiera.»
Sì, pel di carota quella mattina si era infilato una canotta bianca e i pantaloni da tuta un po' alla Central Cee.

Era sceso giù nella lavanderia a gettoni un po' come un clochard, un barbone, perché aveva avuto fretta.

«Vuoi della Coca? Coca Cola?» domandò il ventisettenne.

Srotolarsi dalla sua tana era stato veramente palloso quella mattina dei primi di agosto.

Avrebbe preferito stravaccarsi sul divano anziché far fronte al genere umano.

Le iridi quasi gli andarono affondando nelle occhiaie infossate.
Ma sapeva che Taehyung era, forse, importante.

«A quest'ora, Jungkook? Alle dieci di mattina?» domandò.
Taehyung portava occhiali da vista a mo' di rettangolini assestati sul naso e, proprio come pel di carota, si era infilato qualche cosina di casalingo.
Anche lui una tuta della Nike.

Ovviamente, aveva già buttato il mozzicone di sigaretta Mac Baren.

«Una lattina non ti ucciderà.»
L'ombra pigra del bodyguard si accostò di fronte ai distributori.
Il viso gli era ammantato di luce color malva.

«Va bene, se lo condividiamo. Comunque sia, sbaglio o stai dimagrendo?»
Taehyung nello scrutare tutt'intorno approssimò gli occhi al corpo magrolino del bodyguard.

«Sbagli.»
Mentì.

Pel di carota ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni da tuta grigi per prendere delle monetine.
Sì, diventava sempre più asciutto per le pillole dimagranti ma il perché lo facesse non lo sapeva ancora.

In fondo, era un bodyguard e nessuno voleva un bodyguard magrolino.

L'astro delle dieci di mattina incombeva placido.
Il frinire delle cicale, dei grilli e degli uccelli smorzò l'assopimento negli occhi dei due ragazzi.
Infuriava una calda giornata quel mercoledì.
Caldo di ferro aveva detto la biondina al telegiornale.
Alla medesima ora del tiggì Jungkook aveva sentito un botto alla porta di casa.
Qualcuno gli aveva fatto omaggio di una copia di giornale nel duemilaventuno.
Diveniva di nicchia leggere il giornale e pel di carota non lo faceva mai.
Non lo faceva mai anche perché i soldi per il giornale non ce li aveva.
E solo quella mattina, alle nove meno un quarto, aveva letto un pezzettino che parlava di Tokyo.
Di Tokyo e di certi workaholics che si suicidavano.

Il corvino, invece, non leggeva mai il giornale perché la mattinata, dalle sette alle dodici, era affaccendato tanto quanto quei workaholics delle società e degli uffici.
La differenza era che Taehyung si trovava in palestra ad effigiare il proprio corpo, come se fosse di marmo, per essere in conformità alle esigenze dell'industria pornografica.

Tutt'intorno nella lavanderia Wash&Dry era bizzarro.
Le pareti erano tutte di carta da parati con nishikigoi.
Carpe koi, le carpe giapponesi.
Erano muri con un'opulenza di carpe koi.
Erano coloratissime, color giallo, rosso, blu, crema, bianco e nero.
Queste carpe sguazzavano in un'acqua verde e infine c'era un quadro anni Ottanta di un Tilapia.

«Quel bacio non ha avuto alcun significato per me, Taehyung.» esordì il più grande di loro, «Tu mi hai detto che non ti piace la poca comunicazione tra due personaggi, che in generale noi dobbiamo parlarci per capirci e, cavolo, mi puoi spiegare perché mi hai baciato? È tutto successo in neppure un minuto e, ti dirò, mi ricordo poco o nulla.»

La cosa ammutolì il pornodivo.
Anzi, Taehyung.

«Beh,» mormorò Taehyung, «Grazie per avermelo detto. Io, Jungkook, ehm... credo di avere una cotta per te. Cioè, non ne sono sicuro...»

«Cavolo, è così facile dire quando una persona ha una cotta per un'altra. Ma quando sono io che cerco di capire se quella persona ha una cotta per me, è difficile. Tanto difficile. Comunque, ci ho pensato e so già la risposta. Ma lo stesso ti chiedo: qual è la tua risposta?»
Mormorò Taehyung.

I suoi occhi erano lordi di affabilità.
I suoi occhi erano gentili.

«Non... non credo di provare qualcosa per te, Taehyung. Perché queste notti l'unica cosa a cui sono riuscito a pensare è stato il pugno.»
Jungkook ricevette le parole del minore alla rinfusa.

Prima di prendere su la lattina di Coca Cola, si volse verso Taehyung.

Poi, pel di carota provò ad aggiungere: «E a questo proposito, ti domando scusa. Davvero, mi dispiace un sacco... sono mortificato, è──»

Così, sempre pel di carota s'inchinò.
S'inchinò confuso per domandare scusa al minore.

«Continuo a soffrire per nulla, quindi?» lo interruppe Taehyung.

Questi poggiava la schiena al muro costellato di volantini colorati che cercavano dogsitter, babysitter, modelle, articolisti o ragazzi che facessero commissioni per persone anziane.

Questi stava a due metri di distanza dal suo bodyguard in tuta.

«Soffrire?» sbuffò Jungkook, «Non voglio ridicolizzarti ma il tuo bacio ha avuto più senso del mio pugno?»

«Non mi avevi ricambiato?» domandò il corvino.

«Non avevi ricambiato il mio pugno, Taehyung?»

Allora, Jungkook diventò rosso come un pomodoro.
La gota sinistra, più di quella destra, rosseggiava.
Il viso gli ammantò del colore di una rosa rossa.
Le orecchie gli punzecchiavano.

«Va be', sta' tranquillo. Sarà stato il tuo istinto, visto che abbiamo girato un solo porno insieme.» sorrise a fior di labbra il corvino.

Sorrise di straforo, scrutando il viso del più grande.
Sì, è proprio bello.

«Possiamo fare in modo che quell'episodio──»

«Non sia mai accaduto? Certo, però un bacio dovrebbe avere un significato se viene messo tra due personaggi. Ah, cavolo, mi dispiace. Non darmi più ascolto. Ho la mente confusa e mi dispiace di averti trascinato nei miei problemi.» la voce di Taehyung andò smorzandosi.
Mi sento confuso come un camaleonte in una vasca di Smarties si prese in giro da solo facendo riferimento a un meme di almeno un lustro fa.

«Secondo te, un bacio così insensibile è importante?»
Si sentì un'anima errabonda che continuava a disfarsi.
Jungkook davvero non voleva essere cattivo nei confronti di Taehyung.

«Mh... s... no. No. No, assolutamente.»
E Taehyung non smise neppure un attimo di mirare e rimirare il suo bodyguard.

«D'ora in poi cercherò di starti meno alle calcagna. E ora vado perché il segretario Baek mi aspetta.» aggiunse ancora.

«Ehi, mi dispiace──»
Jungkook raccolse la lattina di Coca Cola.

«No, Jungkook. Non scusarti, l'unica cosa che so è che hai ragione. Eviterò di causarti altro disagio. Tu magari evita di darmi un altro pugno.»
Spippolava al cellulare mentre parlottava.

«Questo ha fatto abbastanza male.» borbottò infine.

«Stai scappando da me, non è vero? Taehyung?» incrociò le braccia con la lattina della Coca Cola alla mano destra.

«Come? Ah, no. No, no.» farfugliò il corvino in risposta.

«Non dovrei essere io quello a scappare?»
Domando poi pel di carota.

Mantenne il contatto visivo vivo.

«Scusa, Jungkook. Ora ti lascio.» lo chiamò così il segretario Baek.

Il suo cellulare squillò come fece il suo cuore.

Ma che gli era preso?

Tutt'a un tratto, come se la situazione non fosse già ingarbugliata, giunse da loro una delle ragazze del Freshly, Fumiko.

«Ciao, ragazzi.» li salutò questa.

«Ciao, Fumiko.»
Jungkook mirò la ragazza.
Teneva in mano un sacchetto di rape e un sacco di vestitini a pallini.

Taehyung, d'altro canto, non si curò di salutarla perché non gli faceva né caldo né freddo.
La mirò e basta con occhi annoiati.

Tuttavia convergere l'attenzione su Fumiko non servì né a Jungkook e né a Taehyung.

Di fatto quest'ultimo se ne andò via facendosi di un'altra Mac Baren.

Appena anche Fumiko se ne andò, giunse da Jungkook un'altra scocciatura.

«Ciao. Ciao, Jungkook. Chi era lui? Il pornodivo? Proprio un bel ragazzo.»
Sulla soglia della lavanderia si erse il corpo di Matsumoto.
Capelli di un morello comune, camiciona con fiorellini ricamati su di essa, jeans di due taglie più grandi e un berretto fucsia che gli stava appollaiato in cima alla testa.
Sembrava un ladruncolo con quel suo andare.

Si scostò dalla soglia della porta e si accostò al distributore di merendine.

Proprio come malintenzionato, poco sobrio, aveva osservato Jungkook e Taehyung da fuori.

«Non è un melodramma, Matsumoto. Evita di fare l'antagonista ossessionato.»
Imprecò dentro di sé Jungkook.

«Senti, ho bisogno di soldi.»
Appesantito dalla colazione della sorella a base di zuppa di miso, tsukemono (sottaceti), pesce e riso al vapore in bianco, sentì la pancia lagnarsi mormorando.
Kuso imprecò merda.
Matsumoto imprecò proprio dinnanzi a Jungkook.
Certo, non era dai giapponesi imprecare in pubblico ma ogni tanto occorreva.

«E quindi?» sbuffò pel di carota.

«Quanto hai guadagnato con il filmetto?»

«Non sono affari tuoi.» sbottò poi.

«Gira una di quelle pellicole con me e, prometto, ti lascio in pace.»
Matsumoto si piantò di fronte al ventisettenne, afferrandogli il polso destro e conseguentemente facendogli gettare fuor di proposito la lattina.

«Piantala. Lasciami, comunque.»
Jungkook parlò a denti stretti guardando di sbieco il trentenne di fronte.

«Ti ho detto: lasciami.»
Pel di carota lo guardò ancora di sbieco.

«Ti ho trattato di merda l'altro giorno perché ero incazzato... sono incazzato da settimane ormai. Mi stanno per sfrattare il konbini, mia sorella non lo sa e per giunta sono senza lavoro. Così, sapendo del tuo filmetto porno, sì ho saputo tempo fa del porno che hai girato con Kim Taehyung casualmente perché frequento spesso il sito porno e, caspita, ho escogitato un piano di merda. Sapessi almeno quanto quegli animali del sito porno abbiano gradito il sesso tra te e il pornodivo.» si spiegò Matsumoto.

L'astio incombente tra di loro non era scaturito a casaccio a giudizio di quest'ultimo.

«Smettila.» sbuffò Jungkook.
Le mani della sinistra gli erano incrocicchiate mentre si domandava cosa avesse fatto di male per buttare giù questa mattina.
Guardò l'altro scrupoloso prima di scansarsi arrogantemente.

«Ti ho odiato in questi giorni, cazzo. Chi dopo un porno con lui, con quel pornodivo, non riesce a riprendersi in mano la propria vita? Io so che ti hanno pagato tanto eppure guardati... sei il solito... hai sprecato un'opportunità. Sei il solito fannullone, tanto silenzioso, e che fai? Uno stupido bodyguard e poi un cazzo di commesso.»
Spiegò ancora il maggiore col berretto fucsia.

«Lo sai che questo non giustifica il tuo tu mi piaci e poi quel o vieni a letto con me o so come raggiungere tua sorella... tu sei pa──»
Jungkook non ce la faceva più a ingoiare le parole di Matsumoto.

«Pazzo? Io, pazzo? No, no, no. Assolutamente no. Sono disperato ed è per questo che ho fatto finta di amarti. Ma poi, visto che sapevo già che mi avresti detto no, sono passato a ricattarti. Sai, rifletti, avremo un sacco di soldi se giriamo una pellicola anche noi.»
Quel farabutto di Matsumoto proprio non sapeva nulla della linea di demarcazione.

Aveva detto a Jungkook di amarlo cosicché lo avrebbe portato a letto e girato infine il filmetto porno.
Ma un no, un rifiuto da parte sua, si profilava dopo la sera della ridicola dichiarazione d'amore e da lì aveva capito tutto.
Dovevo cambiare piano.

«Basta... sei patetico, non pazzo.»
A mezza bocca pel di carota soccombé all'arlecchinata del proprietario del konbini, o almeno vecchio proprietario del negozietto alimentari.

Scorse in lui un brillio di nervosismo.

«No, niente basta. Jeon, io come te d'altronde non ho nulla da perdere. E l'altra volta offendendo te ho offeso anche me stesso. Perché siamo identici, siamo pieni di debiti e con due spiccioli. Quindi perché non facciamo questo sforzo per migliorarci? Alla fine quel che ci serve sono solo e soltanto soldi.» bofonchiò Matsumoto.

L'odio rabbioso il quale brandiva contro pel di carota era una sorta di tintinnabolo in quelle ultime sere inoltrate.
Bistrattava la gentaglia perché gli piaceva.
Bistrattava la gentaglia perché gli era comodo.

Eppure al tempo stesso parlava del nome, della reputazione, di qualcheduno in una comunità.
Pensava sul serio di avere un buon nome tra i giapponesi del suo quartiere?

«Avere soldi o meno non cambierà molto.»
Una gota il cui colore era quello di una rosa rossa iniziò a pizzicargli.
Jungkook n'era stufo.
Era pressoché stufo di Matsumoto.

«Ma sta' zitto...! Sono corrotto da qualcosa che non ho. Che ancora non ho... come si può pensare di vivere senza neppure uno yen? E stessa cosa vale per te. Perciò oggi te lo dico gentilmente: diventiamo ricchi come ha fatto quel pornodivo.»
Matsumoto sfoderò un sorriso di chi la sapeva lunga.

«Il fatto è che senza sogni e felicità non siamo nulla. A noi mancano quelle cose più dei soldi quindi, ti dico, diventare ricco non ti renderà felice.»
All'approssimarsi di un camioncino del gelato Jungkook si lagnò ancora di più.
Imprecò ancora una volta dentro di sé.

Jungkook provò a dire fesserie, come quella cosa dei sogni, pur di zittire il più grande cosicché avrebbe potuto portare un gelato al mango alla sorella.
A Shin-hye che molto probabilmente pisolava ancora.

«Felicità è non avere debiti. È farsi rispettare da qualcuno quando sanno che hai soldi. Soprattutto da quei lecca piedi della banca. Dimmi, non ti farebbe piacere fare tanti di quei regali a Shin-hye?» sbottò il farabutto.

«Smettila di nominare mia sorella. E se mi parli ancora di quel Kao, io... Shin-hye non si frequenta con lui. Va' altrove, Matsumoto.»
Sembrava che il fratellone si fidasse della sorella.

E invece no.
Questi dubitava di Shin-hye.

Il cuore gli diede un balzo e non seppe più se portare il gelato al mango alla sorella.

Visto il rovello provocato dal ventisettenne, Matsumoto gridò: «Vedi! Vedi è questo che rende diversi due emarginati come noi! A te non importa... te ne freghi di quello che gli altri pensano di te! Come puoi lasciare tutto andare a puttane, eh? Come pensi di crearti un futuro? Io ti avevo dato il lavoro al konbini perché sai com'è, no? La gentilezza ha un costo. Perciò fa' in modo di ripagarmi.»

«Sei in debito con me, Jeon. E taci! Non parlare di sogni o minchiate del genere... io ho bisogno di soldi, come ne hai bisogno anche tu. Non dirmi che ti fai pagare da quel Kim Taehyung, eh? Sporcaccione.»
Matsumoto si morse il polpastrello.

«Jinja, gue man hae. Ma basta, oh.» disse a denti stretti il ventisettenne.
La rabbia gli gravò come una cappa d'afa quando disse smettila, davvero in coreano.

«Credi che tua sorella merita di vivere tra quei porci del tuo quartiere? Appollaiata in quel piccolo appartamento. Poveretta, anzi poveretto. So già che Shin-hye combinerà qualcosa di brutto stando là e, chissà, ti tradirà? Tradirà la tua fiducia? Non che lo abbia già fatto con Kao.» rise a squarciagola.

Jungkook non si astenne più dallo sferrargli un pugno colorandosi le nocche di rosa.

L'odio rattenuto, che in realtà pel di carota non lasciava trapelare, si tramutava in botte.
Fu un pugno chiuso aiutato da fianchi e torace che fece barcollare il maggiore.

Piagnucolante Matsumo balbettò: «L... lur──»
Era brillo.
Ubriaco fino al midollo.
Barcollò in una nebbia di odio e ormai nel pallone puntò l'indice della destra contro il ventisettenne.

«Ti avevo detto di piantarla.»
A Jungkook tremò la voce.
La sua indole non era rabbiosa ma quel pugno era rabbioso, quel gesto lo era, come quel suo sguardo d'altronde.
Tutto di quei sette secondi era rabbioso.

Gli formicolò il corpo.

«Jungkook! Hyung...»
Il naso paonazzo di pel di carota si disseminò di gocciole di sudore.

E poi quella persona lo chiamò esclamando.

«Taehyung?»

«Stai scappando?»
La comparsa del ventiduenne Taehyung gettò nello scompiglio il povero bodyguard.
I suoi occhi cessarono di opporre resistenza a un poco di onesta vulnerabilità.

«Ma cosa ti prende? Vieni con me. E non sto scappando da te, ancora una volta.»
Taehyung s'introdusse nella lavanderia a gettoni, ancora una volta.

Prese la mano di pel di carota e se lo portò via da quel farabutto, il quale nel frattempo si era gettato sul pavimento di resina cinigia mugugnando qualcosa.

Dopo cinque minuti i due ragazzi si approssimarono nei pressi di tre bidoni di ferro.
Taehyung lasciò andare la mano del bodyguard in tuta e canotta bianca.

«Matsumoto continua ad assillarmi, mette sempre di mezzo Shin-hye e Kao e... e non so più che fare. Sta diventando pesante.»
Jungkook si levò di dosso finalmente la voce di Matsumoto.

«Tutto qui? Ti sei arrabbiato con lui per la storia di Shin-hye?»

«Sì... credo.»

«Cos'altro ha detto Matsumoto?»

«Nulla di che.»

Una bava di vento poi li investì.

Taehyung guardò Jungkook dritto negli occhi.
E negli stessi occhi non scorse nulla.

•••

L'ingresso della piccionaia con tanto di sacchetti di mangime per piccioni pullulava di formiche.
Qualche bassa nuvola sembrava capitombolare come una meteora sui due ragazzi.

E il manto crepuscolare delle dieci di mattina iniziava a svignarsela.

«Fra un po', sai, parto per la Corea.»
Jungkook aveva portato Taehyung nella terrazza del condominio.

Erano già le undici.

Le sue mani, strofinate coi petali di rosa rosa, andarono a spostare dei legnetti per far deviare le industre formiche.
La luce dell'astro perforò il cuore dei due ragazzi e abbindolò gli alberelli della piccionaia.

«Quando di preciso?» gli chiese Taehyung.

«Ecco... domani.»

«Parti domani? Così presto?»

«Sì, ho bisogno di risolvere un piao di cose laggiù. Soprattutto con i miei genitori.» spiegò Jungkook.

«Okay. Vorrà dire che troverò un sostituto per la pellicola di questo fine settimana.»

«Mh, sì.»

«Jungkook──»

«Non scappare da me.» lo interruppe il ventisettenne, «Non farlo.»

«Mh?»

«So che il bacio e il pugno hanno come reso fragile la nostra amicizia. Cavolo, è palese però ... però vorrei provare a sistemare le cose.»
Pel di carota mormocchiò marciando verso il punto d'incontro della piccionaia.

«Capisco, Jungkook. Ti chiedo ancora scusa per il bacio.» lo seguì poi anche il minore.

«No, non farlo.»

«Io ti chiedo scusa per il pugno ma andiamo avanti ora. A volte magari dimentichiamo anziché perdonare... forget than forgive suona meglio, no? Ma qualsiasi cosa faremo, che sia dimenticare il pugno e il bacio o che sia perdonarli, perdonare questi gesti, spero riusciremo ad andare avanti.» si aprì Jungkook.
Non sapeva se fosse per la prima volta ma stavolta era consapevole che si stava aprendo con Taehyung.

«Daebak, non ti ho mai visto così gasato.» si accostò a due passi dal suo bodyguard.

«Vorrei sistemare le cose, Taehyung. Vorrei chiederti scusa sistemando le cose tra di noi. Siamo amici, ricordi?» disse timido.

«Sai, Jungkook...»

Bambini scalzi del condominio andavano lì perché erano dei giocherelloni.
Bevevano succo di more e talvolta lo gettavano lì sul pavimento caldo tirando a sé altre formiche onnivore.
Un folto alberello, dai rami scheletriti, di limoni stava nei pressi di un groviglio di aggeggi: scope, palette, tele a righe, bauletti, pezzi di scaffali, piccole catene della bici e piccole ruote.

«Cosa?» gli chiese il ventisettenne Jungkook.

«È raro vederti buttare parole a raffica e pensare che stavolta sia io il protagonista di queste parole non può altro che farmi piacere... un sacco. Un sacchissimo, credimi.» sorrise a bocca aperta Taehyung.

Era un sorrisetto a trentasei denti.
Era un sorrisetto a mo' di scatola.

Jungkook ricambiò il sorriso ignorando il mal di schiena.
Lo ignorò totalmente.
Accovacciarsi sul pavimento con qualche cacchetta di piccione poteva essere una cura per il mal di schiena.

«Giuro, ho le farfalle allo stomaco. Non sembri neppure te, non che la cosa mi dispiaccia.»
Taehyung ridacchiò.

Un gatto color cioccolato poi fece le fusa al di là della scopa nei pressi della porta disseminata di ruggine arancio.
Era la prima volta che i due ragazzi vedevano un gatto marrone.

«Ora non esagerare, Taehyung.»

«Grazie, Jungkook.»

«Per cosa?» gli domandò il nominato correndo dal gattino marrone.

«Boh, per esserci?»
Un filo di sorriso sfavillavò il viso del corvino.

«Siamo amici, quindi?» domandò così il ventisettenne.

«Amici.» affermò Taehyung.

Jungkook alzò il capo e scrutò il cielo ad occhi sottili col gatto color cioccolato fra le braccia.
Qualcosa lo aveva incitato a seguire il carpe diem oraziano.
Afferra il giorno, o meglio noto come cogli l'attimo.

«Già, hyung.»

Passarono una buona mezz'oretta così.

Taehyung era seduto.
Jungkook era altrettanto seduto con il gattino color cioccolato sulle sue cosce.
Se non avesse trovato il suo padrone, pensava, lo avrebbe adottato.
Perché no?

Riverberava un rumore, anzi una canzone di una radio, là in uno degli appartamenti del condominio.

I can't help feeling.
We could've had it all.

Appollaiati su un baule vecchio almeno avevano chiarito.
Certo, le parole di Matsumoto continuavano a bussare in testa a pel di carota.

«C'è un festival in città. Andiamoci, Jungkook. Per celebrare la nostra amicizia.»

.
.

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