UNDER YOUR BREATH, TAEGGUK

By topino1-2

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una pellicola porno, un pornodivo e il suo bodyguard. More

ZERO
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By topino1-2

Erano passati giorni.

Era un tipico mercoledì di metà luglio.

Erano le sei di pomeriggio.

Nel quartiere polveroso i locatari morivano per l'afa.
La città di Yokohama era chiusa in una cappa di arsura.
Il mercoledì, come il martedì, riverberava afa; dalle loro finestre si introducevano mosconi, zanzare e grilletti; le stanze erano brontolii di ventilatori; i frigoriferi vuoti e le loro fronti, ascelle, tempie e archi di Cupido grondanti di sudore.

Alcuni andavano vagando per le stradicciole per un soffio di vento e altri si sedevano sotto una loggia per altrettanto motivo.

Chi apriva i locali notturni per gli ubriaconi, chi abbellava il furgone degli onigiri, chi sfotteva i figli o parenti o coinquilini perché non voleva pagare yen a dismisura per le bollette dell'elettricità e chi si guardava la tivù, anime, serie, programmi grotteschi, spettacoli televisivi o il telegiornale delle sei di pomeriggio.

Si profilava una notte eterna d'afa e insetti.

Jungkook, fattosi una doccia fredda, si andò a rintanare sul divano di velluto del salotto, là dove Shin-hye consumava i suoi pacchettini di Pocky, i bastoncini al cioccolato mentre ovviamente guardava la ventunesima puntata di Itazura na Kiss.

«Shin-hye. Che stai facendo?»

«Sto guardando un film. In pratica, lo zimbello di classe, quello che viene sempre bullizzato, ha l'opportunità di uccidere i suoi compagni e soprattutto il suo bullo. Carino, no?»
Gli comunicò, cambiando prontamente canale.
Il fratello odiava Itazura na Kiss.

Ma la sigla deai to sayonara kaze no naka de hashagu gli suonò in un certo qual modo familiare.

«Volevo parlarti della scuola... ad ogni modo, ti ricordi di Matsumoto?» si buttò a corpo morto accanto alla sorella.
Questa se ne stava a gambe incrociate con il pigiama corto coi maialini ricamati su di esso e masticava ogni tre minuti un bastoncino alla fragola.

«E chi è questo?» domandò questa.

Il crinolino con un po' di polverume stava accanto a loro, sul comodino, alla destra della ragazza di quattordici anni.

«Te l'ho detto tempo fa... il ragazzo del negozietto alimentari.»
Sbuffò il fratello.
Certo, non gli importava granché di Matsumoto ma rimaneva pur sempre una persona che lo aveva aiutato.

«Ah, lui. Sì, me lo ricordo. Più o meno.» farfugliò questa, portando agli angoli della bocca due bastoncini.

«Ecco, beh... l'altro giorno...» stabilì gli occhi sullo schermo della tivù.

«Oppa... mi stai per dire qualche pettegolezzo!» esclamò Shin-hye e in seguito batté le mani: «Lo so che ho detto che non mi importa del hot tea di voi vecchietti ma, sì, ora mi correggo e quindi spara. What's the tea?»

«Non è proprio un pettegolezzo ma lui mi ha detto che gli piaccio. In realtà ha detto se mi chiedi un motivo per cui ricambiarmi, allora so solo dirti che ti amo. Una cosa del genere, così di punto in bianco. Io non... io non credevo di poter piacere a qualcuno e né tanto meno credevo di poter piacere a uno come Matsumoto.» le chiarì.

«Okay, oppa. Questo è peggio dei miei compagni che si innamorano di qualcuno attraverso le chat.»
Sbottò a ridere.
Poi distese le gambe su quelle infagottate da pantaloni grigi da tuta del fratello.
Quest'ultimo inoltre portava una maglia senza maniche di color giallo pera.

«Cioè, aspetta. Matsumoto almeno si innamora di te perché vi conoscete dal vivo. I miei compagni, d'altro canto, si innamorano solo del modo di scrivere di uno o una.»
Sottrasse serietà a quel che aveva detto prima prorompendo in più risate.

Shin-hye non sapeva se fossero peggio i compagni che si innamoravano attraverso messaggi o le compagne che le davano, o meglio le avevano dato, della misogina solo perché una volta aveva detto che prediligeva amici maschi alle amiche femmine.
Come se di amici tu ne avessi almeno uno. Ad ogni modo, sei una cazzo di misogina, vergonati.

Là, nella sua vecchia scuola avevano tutti un temperamento caloroso.
E parole come misogino, omofobo, ableist (chi discriminava i disabili), transfobico e body shaming venivano da loro usate a casaccio.
A cazzo di cane era troppo volgare pensò Shin-hye.

Erano quattordicenni che si narcotizzavano con il social Tik Tok e del mondo vero poco o nulla sapevano.

«E di cosa si sarebbe innamorato Matsumoto? Ci parlavamo a malapena. Gli sorridevo a malapena, conversavamo il giusto e inoltre... inoltre io non credevo neanche che fosse gay.»

«Chissene di lui. Tu, oppa, sei gay? Ti piacciono gli uomini?» domandò questa.
Il velo rosé sull'azzurro cielo catturò lo sguardo della ragazzina che andò subito a prendere il cellulare dalla propria stanza per fare delle foto.

«E se ti dicessi di sì?»

«Eh, guarda questo! Cioè io lo sapevo!» un sorriso le si profilò sulle labbra e gridò gettando il cellulare sul pavimento, «Tu, il mio oppa, un figo del cavolo, un fotomodello in divisa da bodyguard, che non vedevo mai con una donna... e perché? Perché ti piacevano, ti piacciono, gli uomini. Oppa! Finalmente l'hai capito anche tu. Alla buon'ora! Allora che tipo di uomini ti piacciono? Levi? Oppure Levi. Oddio, aspetta, sei top o bottom a letto? Ti piacciono quelli più giovani o i dilf? Io opterei per i dilf, i quarantenni hanno sempre quella marcia in più. Allora?»
Questa andò correndo dal fratello.

«Dio, Shin-hye. Quanti porno gay hai visto? Con i quarantenni soprattutto? Che schifo.»
Shin-hye saltò addosso al fratello.

«Io non guardo i porno... perché guardarli quando esistono anime hentai? O le serie gay taiwanesi.» ridacchiò.

«Okay.» si allontanò dalla quattordicenne.
Gli tremò un poco il mento, Shin-hye era la persona più cara che aveva.

«Comunque sia, oppa, sono fiera di te. Questa cosa non cambia il fatto che tu sei mio fratello. Il solito rammollito, intendo.»
Shin-hye invece gli saltò di nuovo tra le braccia.

«Grazie, Shin-hye, grazie. Smettila di mangiare quei bastoncini di cioccolato. Te ne avevo comprati tanti perché pensavo te ne saresti andata via. Ah, già. Cosa vuoi per cena?» le domandò.
Era fiero di Shin-hye.
Era grato che questa fosse con lui.

«Da domani inizio la dieta perciò lasciami mangiare. Comunque, ho voglia di pollo fritto e soju. Ma non posso bere alcolici quindi solo pollo fritto.»
Il soju sapeva in modo approssimativo di vodka.

«Va bene. Appena finisce il film, va' a salutare la signora Park al piano di sotto.» le suggerì Jungkook.

La quattordicenne annuì col capo.
E poi si accinse a terminare il pacchetto dei Pocky.

Il ventisettenne si annodò il grembiule color arancio, come i suoi capelli, e si apprestò a tagliare le cosce di pollo prese dal piccolo freezer a pozzetto, che normalmente costava poco in Giappone.
Sul tavolo racimoli d'uva e tanti grappoli di acini rosso-violaceo avevano ricolmato il vuoto dei mochi rosa, gialli e verdi proprio perché la quattordicenne si sarebbe tenuta a dieta.

Qualcuno ad un tratto chiamò al numero di Jungkook.

«È Taehyung oppa!» esclamò la sorella dal salotto e si accinse a portare l'aggeggio al fratello.

Jungkook lasciò alcune verdure, si pulì le mani sul grembiule e prese il telefono con la destra.

«Pronto?»

«Ciao! J──, hyung.»

«Ciao, Taehyung.»

«Se ti dicessi che stasera ho bisogno di te, tu cosa mi daresti come risposta?»

«Che ho bisogno di prendermi cura di Shin-hye e che se non si tratta di lavoro ci devo riflettere.»

«Oh.»

«Ma poi ti direi che siamo amici e quindi accetto più o meno volentieri qualsiasi cosa tu voglia.»

«Daebak. Daebak, hyung. Perfetto, vestiti elegantemente e incontriamoci al cortile del tuo palazzo tra un'oretta e mezza. A dopo.»

«A dopo, Taehyung.»

«Che dice?» gli domandò la sorella.
Era curiosa poiché si trattasse di Taehyung.

«Devo raggiungerlo per lavoro, molto probabilmente.»

«Quindi ceniamo prima oggi?»

«Ceniamo prima, Shin-hye. Chiederò alla signora Park di badare a te per queste poche ore. Non voglio lasciarti sola di sera.»

Un'oretta dopo, Jungkook in cortile batté il muso contro Arisu.

Il sole era tramontato ma non sembrava del tutto.
La gente poteva ancora avvertire i palpiti di un sole d'estate.

«Jeon-san? Dove vai di bello?»

«A lavoro, più o meno. Tu, Arisu?»

«Mi faccio una giratina dalla signora Ito. Ho sentito che oggi dà le arance candite gratis.»

«Oh, cavolo.» emise il fiato il bodyguard.
Ci sarebbe voluto andare con la sorella a bersi una birra e, chissà, magari anche con Taehyung.

«Tranquillo, te ne prenderò alcune. Te le darò dopo, quando tornerai. Tanto me ne starò qui in cortile a meditare prima della sessione estiva.» gli raccontò.
Era la vigilia prima degli esami per il giapponese.
Di norma la sessione estiva era a maggio, giugno e luglio.
Ma quella di Arisu si era protratta.

«Non devi.» sorrise il bodyguard.

«Lo faccio volentieri. Io vado, ciao.» ricambiò il sorriso il più piccolo.
Un lieve inchino e si dileguò.

•••

Il padre, la madre, il segretario Baek, Taehyung e il bodyguard erano nell'atrio del teatro l'Opera.

Quella sera c'era Madama Butterfly di Giacomo Puccini.
L'opera aveva una protagonista giapponese, una geisha, una sorta di entraîneuse.
Avvenente, doveva intrattenere gli ospiti di una casa di tè.
Questa sapeva cantare, ballare, conversare e sapeva come funzionava la cerimonia del tè.

Il bodyguard dall'udire il gracchiare dei cari del corvino passò al stay with me mayonakanodoa o tatakikaeranaide to naita ano kisetsu ga ima me no mae del singolo d'esordio di Miki Matsubara.
Una ragazza soffriva per amore e ricordava il bel tempo trascorso col ragazzo da lei amato all'impazzata.

Resta con me... busso alla porta a mezzanotte, supplicandoti di non tornare a casa... quella stagione in cui ho pianto davanti ai tuoi occhi.

Per il bodyguard era ancora troppo presto un simile testo.
Non era ancora innamorato.
Non amava nessuno.
Talvolta era un peccato perché non sapeva cosa volesse dire soffrire per amore.
Perché non sentiva sue le parole del testo.

Alla strada opposta del teatro si ergeva un negozietto di fumetti giapponesi.
E veniva da lì la canzone di Matsubara.

Il ventiduenne Taehyung, d'altro canto, era un fascio di nervi.
Nel vedere il padre era schiantato ancora una volta nella brutta realtà.

«Taehyung, ci saranno i tuoi zii quindi comportiamoci entrambi bene. Sono arrivati da un breve viaggio nella città di Sharm El-Sheikh e si aspettano di essere accolti calorosamente. Sii cortese soprattutto nei riguardi della tua ajumeoni. Che donna bizzarra, dalla mente balzana... mio fratello ha proprio dei gusti orribili. Ad ogni modo, faremo certamente un'ottima impressione.»
Giocherellando col calzuolo dell'ombrello, chissà chi gli avesse detto che avrebbe piovuto oggi, il signor Kim si piantò di fronte ai due ragazzi.
Uno mordicchiava il labbro inferiore e l'altro udiva il ritornello di Stay with me.

«Capito.» disse Taehyung.
Jungkook si chinò lievemente.

Gli zii, dalle fisime, credenze e capricci intellettuali avevano una mania per l'incenso al muschio egiziano.
Nessuna ombra di prassi incombeva su di loro.
Kim Seung-hoon, fratello maggiore del signor Kim, e la moglie Kim Elijah.
Seung-hoon aveva battezzato la moglie, perché quest'ultima essendo tedesca si chiamava Anja Bouchet.

Poi il padre proferì: «Lieto che tu ti sia portato il bodyguard, farai una buona impressione con una persona come lui. E con i vostri abiti abbinati farete un'ottima impressione.»
Si riferì a pel di carota.
Questi due si erano vestiti in modo simile.
Che scherzo del destino.

Una macchina si profilò oltre il crinale della strada.

«Depyunim, sono arrivati.» informò il segretario Baek.
La chioma ricciuta di quest'ultimo si agitò al sibilare del vento.

Dunque il signor Kim andò a piantarsi accanto alla moglie.

Furono tutti pronti per ricevere presso di loro i due invitati.

Mezz'ora dopo erano dentro alla sala.

Atto primo, scena prima.

Musica statica.

A sinistra c'era la casa, a destra il giardino e, in fondo, la baia di Nagasaki.
Un ponte.
Un ponte che rappresentava l'allontanarsi di Cio-Cio-San dalla sua cultura e l'avvicinarsi a quella occidentale, alla religione occidentale, nonché quella dell'amante, Pinkerton.
Il tema era orientale quando cantava Goro, poi un secondo momento era occidentale quando cantava Pinkerton, in base ai moduli tradizionali pucciniani.
Era un continuo giustapporsi di Occidentalismo e Giapponismo.

Atto tre.
Le persone piangevano.
Il corvino e pel di carota li sentivano.
Le lacrime che rampollavano dai loro occhi li condussero al lastrico. N'erano pieni fino all'orlo.
Certo, Puccini aveva prodotto un capolavoro del repertorio classico ma i due ragazzi, più uomini, non ne potevano più dei sentimentalisti piagnucolosi.
Non avevano pagato duemila yen, dunque, circa quindici euro per il rumore del lacrimare molesto della gentaglia.

«Andiamo fuori un attimo, samcheon

Il corvino prese la mano di pel di carota.
Salutò lo zio accanto, un uomo dalle gote rosse, risata omerica, perciò di dilagante sonorità, e un bel nasone a patata.
Le sue mani sudavano sempre.

Taehyung così condusse il bodyguard fuori di lì.

Giunti fuori dalla sala, videro la signorina dei biglietti.
La salutarono.
La signorina del botteghino era il prototipo della bellezza giapponese: naturale, volto ovale, mento rotondo, zigomi alti, bocca a ciliegia e capelli di seta.

Attraversarono le strisce pedonali e si piantarono cocciuti di fronte al posto preferito dai fumettari.

«Scusa se mi permetto, ma come mai tuo padre risente così tanto delle tue decisioni? Bizzarro il fatto che te lo debba far notare ogni volta.»
Il ventisettenne ricordò di quel che il signor Kim aveva detto un'ora fa: Dio, sei una tale frustrazione, Taehyung-ssi. Mi chiedo quando cambierai.
Invece, dalla bocca rosseggiante della madre di Taehyung non aveva udito nulla.

«Perché abeoji sa che ha ragione. Sa che io ho fallito e continuo a fallire. È un cazzo di loop

Il signor Kim era un gradasso, un millantatore senza limiti.
Qual'era la scaturigine dei suoi giudizi a lui di valore supremo?

Nessuno sapeva quando avrebbe smesso di vantarsi di sé stesso.
Maniacale perfezione più che di un amministratore delegato coreano era di un patriarca rigoroso.
La sua era una mania per la perfezione.
Era superbo, scrupoloso e misogino.
E sicuramente non era l'incarnazione della gentilezza.

«Se io fossi stato felice, se io fossi stato bene, secondo te, hyung, io mi sarei rifugiato in qualcosa di effimero come la scrittura?» pronunciò.

Dopodiché sempre Taehyung afferrò l'accendisigari dalla tasca dei pantaloni neri.
Voleva fumare.
Di questo passo sarebbe morto.

Jungkook lo guardò di sbieco.
Manco se stessi fumando oppio pensò il più piccolo.

Uno stanco viandante passava per di lì.
Somigliava al barbone del vecchio parchetto sotto all'edificio del set pornografico del signor Kitagami.
Un altro bizzarro caso del del destino.

La gente si scansava dal viandante mentre quest'ultimo andava camminando lento neppure se fosse stato Rosso Malpelo.

«Se io non avessi voluto attenzioni, perché appunto nessuno me li dava, mi sarei dilettato di scrittura?»
Si confidò il giovane.

«Dicevo fosse una passione. Vantavo di questa mia passione per le lettere, per la scrittura, un po' meno per la lettura, per le mitologie e per i romanzi storici ma mi sbagliavo. Credevo di essere diverso dai miei compagni perché mi piaceva qualcosa di effimero, non il calcio, la pallacanestro, il canto o la danza. Ma era solo una mancanza dentro di me. Era un morso al cuore e poi un pezzetto mancante del mio cuore.»
Gli brontolò la pancia. Aveva fame perché quel giorno non aveva mangiato nulla.

Tendenzialmente poco ingordo, Taehyung faceva diete drastiche alla Lee Ji-eun, IU, (come quella delle patate dolci e fettine di mele) pur di mantenersi in forma.

«Rammendavo il pezzo mancante dentro di me, diciassettenne, diciottenne, diciannovenne, con le attenzioni che lo scrivere mi dava. Erano solo attenzioni. Attenzioni da altre persone.»
Continuò a spiegare mentre davanti a loro la gente andava passeggiando avventata.

«Queste attenzioni poi vennero a scarseggiare, a mancare e poi tutt'a un tratto a sbiadire fino a diventare il nulla. Tutti si erano dimenticati di me e delle mie parole. Così la mia fame per le attenzioni crebbe. Fame che si tramutò in ingordigia e ingordigia che si consumò in solitudine. Io volevo solo attenzioni ed eccomi ora con le mie stupide attenzioni. Sono un pornodivo e perciò tutti mi acclamano.»
Mio padre ha ragione.
Suo padre aveva ragione.
Cosa ne faceva della scrittura, nella realtà, Taehyung?
Un bel nulla.

L'arte era inutile in realtà.
E non era nulla di concreto.

«Mi piace quando sei così sincero.»
Sopprimere un sorriso era difficile al momento per il ventisettenne e perciò sorrise.

Proruppe in un sorriso genuino.

Fu un fulmine a ciel sereno.
Taehyung fu colto alla sprovvista.
E si andò a mordere il labbro.

«Non fraintendere... che io ti piaccia o no, sono felice che tu riesca ad aprirti così a me... al tuo bodyguard.» gli comunicò pel di carota.
Si mise un po' all'azzardo con che ti piaccia o no.

«Che io ti piaccia o no? Credi ancora che tu mi piaccia? Credevo di avert──»
Intervenne il corvino, lordo d'imbarazzo.

«Tranquillo, non lo intendevo seriamente. Ho sentito la tua risposta quella sera.»
Spiegò il più grande.

«Beh, se mi hai chiesto se tu mi piaci molto probabilmente ti ho dato quest'impressione, no? Scusa se certe volte sono così appiccicoso.»
La sigaretta faceva schifo, così ne prese un'altra.
Ne pigliò un'altra e aspirò per accendere il tabacco.

«Non sei appiccicoso. Non domandare scusa per cose che non sono neanche vere.» gli abbozzò un sorriso il ventisettenne.

«Allora con quel Matsumoto? Shin-hye ne sa qualcosa?»
Aspirò con la bocca.

«Con Matsumoto nulla. Ci vedremo fra qualche giorno visto che il fine settimana lavoro sempre lì. E invece Shin-hye sa tutto, com'è giusto che sia.»
Gli accennò un terzo sorriso.

Le strade nei dintorni dell'Opera gremivano di gentaglia ricca.

Dopo un po' era bello per Jungkook vedere genterella ricca.

Trascorse di questo andare un paio di minuti a vedere le persone.
Il guardare una cosa è ben diverso dal vederla. Non si vede una cosa finché non se ne vede la bellezza.
Oscar Wilde.

Le persone erano belle. E la vita era troppo corta per non farne conoscenza.

«E se io volessi rintanarmi di nuovo nella scrittura, tu cosa mi diresti?» lo interruppe Taehyung.

«Che la tua mente è corrotta. Però se proprio la percepisci come una necessità, Taehyung, io non sono nessuno per fermarti.» gli disse.
Non gli suggerì nulla.
Jungkook era uno con il cuore sulle labbra, sincero.
Perciò, sì, c'era da fidarsi.

«È che non ho nessuno dalla mia parte. E avere il tuo appoggio mi farebbe sentire meglio.» gli chiarì il più piccolo.
Dopodiché gettò via quel che restava della sua ultima sigaretta del pacchetto bianco.
Il mozzicone gli cadde adiacente le scarpe dalla firma stampigliata.

«Allora hai il mio appoggio, Taehyung.»
Annuì col capo.

«Grazie, grazie, hyung. Scus── parlo sempre di me.»
Si mortificò.

Taehyung era un uomo di società, uomo del mondo, viveur, uno che non era alla ricerca del bello e del vero, quindi dell'amore platonico e che sapeva un po' di dongiovannismo ma con Jungkook era tutt'altra cosa.
Imbecilliva.

«Non ho mai detto che mi dispiaccia sentirti parlare di te. Comunque sia, lo so che non dovrei chiedertelo, ho bisogno di un'altra settimana di ferie.»
Puntò lo sguardo sulle proprie scarpe. E poi su quelle di Taehyung.
Quest'ultimo aveva piedi lievemente più grandi.

«Come mai?»

«Ho delle cose da sbrigare in Corea.» non precisò tanto il bodyguard.

«Ah, ehm, certo. Fammi sapere in seguito le date perché verso metà o fine agosto ho un'altra pellicola importante, fuori dalla città di Yokohama.»

«Sì, va bene. Credo partirò la prossima settimana.»

E altri due minuti li passarono a vedere le persone.

«Che tipo di uomini ti piacciono, hyung?»

«Così a caso me lo chiedi?»

«Anche tu l'hai fatto quando hai chiesto dei miei sentimenti nei tuoi confronti, hyung. Quindi?»

La subitanea domanda di Taehyung inflisse dei dubbi a pel di carota: «Non credo esista un prototipo, un uomo ideale, e a me francamente non è mai capitato di innamorarmi e ancora oggi non so chi possa farmi innamorare. Credo di avere un cuore infertile per l'amore fra due amanti. Forse qualcuno di più grande di me, se proprio devo darti una risposta. E tu? Hai un tipo ideale?»

«Sì. Forse qualcuno un pochettino più giovane di me, non sono un pedofilo, o efebofilo, ma ad esempio se avessi venticinque anni mi piacerebbe qualcuno di ventitré anni o un poco più giovane.»
Gli sorrise Taehyung.
I suoi occhi bruciarono in quegli del bodyguard.

Taehyung si morse il labbro.
Infine, sviò lo sguardo.

Forse stavano mentendo sui loro uomini ideali.
O forse no.


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