UNDER YOUR BREATH, TAEGGUK

By topino1-2

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una pellicola porno, un pornodivo e il suo bodyguard. More

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By topino1-2

«Jungkook.»

«Hai pianto? Perché hai gli occhi rossi? Jungkook?»

«No, stupefacenti. Anche tu ce li hai rossi.»
Un sacchetto bigio colmo di brioches occupavano il braccio destro del bodyguard.

Erano brioches all'albicocca; i preferiti di Taehyung.
Jungkook però li odiava.

«Marijuana per me.» farfugliò il giovane.

Taehyung era rimasto meravigliato del gesto del bodyguard.
Si è ricordato dell'albicocca.

I due ragazzi si sedettero palcidi sul pavimento del salotto.
Il salotto era un assortimento di oggetti, non come era quando i suoi parenti gli avevano fatto visita.
Nulla di moderno.
Ghiribizzi del cubismo e futurismo come quello della sorte dei due giovani.

La policramia estesa sul pavimento di graniglia incendiava il cervello del padre.
Quest'ultimo odiava le piastrelle policrome.

Poltrone di broccato, pianoforte verticale, quadri copiosamente sparsi secondo una vaga geometria sui muri blu, sgabelli di raso scarlatto e lampade da terra erano tutti complementi d'arredo che frastornavano un luogo che doveva essere di abbandono.
Giornali, ritratti, fotografie e tante pagine di carta riempivano in folla la superficie spianata del basso tavolino in legno massello.

Disposti vicino al desco, i due si guardarono negli occhi.
Non fiatarono per un bel po', considerando come si fossero lasciati cinque giorni fa.

Taehyung continuò a consumare i brioches e Jungkook stette a guardarlo.

«A te piace l'arte?»

«Non mi entusiasma molto. Più che altro sono stato obbligato a studiarla al liceo per avere un bagaglio culturale più ampio così che mi permettessero di entrare all'università che volevo.» gli chiarì il bodyguard.
Taehyung annuì col capo.

Passò una scarsa mezz'ora e il più giovane fra loro prese a lagnarsi. Prima del signor Kitagami, poi di alcuni dello staff, poi ancora dell'industria del porno e infine della sua stupida carriera.
Si ricordò di quanti chili avesse dovuto perdere per entrare nell'industria.
Quelli dell'industria determinavano quale corpo potesse essere degno di essere ostentato in una pellicola, quale viso anche, ma soprattutto determinavano se un corpo fosse bello e se avesse le sue forme e le sue peculiarità.

Ma in fondo era così dovunque.

C'era chi si fermava lì, c'era chi si disincantava, c'era chi proseguiva e girava le scene delle pellicole e c'era chi quindi al traguardo ci giungeva.
Quindi c'era chi si affermava e chi si suicidava.
O chi se ne andava.
«Soffro come soffrono i cani randagi. Non merito di soffrire come non se lo meritano quei poveri animali.» prese a lagnarsi.
Briciole di brioche si depositarono nella tazza di caffè nero.

«Già, i cani randagi non meritano di soffrire.» soggiunse pel di carota.

«Mi sei mancato, Jungkook. Mi è mancata tantissimo la presenza del mio bodyguard. E, sai, lo so che sei freddo con me, talvolta sei un mistero, anzi spesso, e mi viene voglia di gettare la spugna e lasciare che tu sia solo il mio bodyguard ma... ma poi sbuchi dal nulla e credo ci sia qualcosa che mi astiene dal negare a te il valore di un amico.» disse e bevé in uno svelto sorso tutto il caffè colmo di frammenti di brioches.

«Mi dispiace per essere stato così difficile nei tuoi confronti quella volta in terrazza. D'ora in poi mi impegnerò di più con il lavoro e──»
Jungkook era lì solo per domandare scusa per il comportamento di qualche giorno fa.
Aveva sbagliato nella terrazza della casa in campagna.

«È tutto a posto. Dispiace a me di essermi arrabbiato con te al fienile quando non c'entravi nulla. Il signor Kitagami mi fa incazzare certe volte e non riesco a pormi limiti.»

«E invece non è a posto. Io lavoro per te e il fatto che io mi sia permesso di comportarmi male, quando quel che tu probabilmente cercavi di fare era venirmi incontro, non è corretto. Ci penso e credo io avessi sfogato la mia improvvisa rabbia su di te. E considerando il nostro rapporto, non molto e non sempre concorde, non mi sarei dovuto permettere.» gli spiegò il maggiore senza peli sulla lingua.

Oh pensò il più giovane.
Taehyung guardò fuori dalle vetrate e poi lo sguardo gli cadde sulle pagine bianche sul tavolino.

«Non che ti possa interessare ma un tempo scrissi un romanzetto inedito: Colpevole idol. Il protagonista era un idol spietato e il suo amante, ma altrettanto protagonista, era un ex detenuto. Lo pubblicai online per la prima volta a diciannove anni.»
Dunque cambiò d'argomento repentinamente.

Tessere trame era il suo passatempo, sempre se potesse permetterterselo.

Altre bozze gettati via erano stati solo antipasti prima della storiella dell'idol.

«Ricevette tutte critiche e lamentele perché le persone non sapevano accettare la realtà che si celava e si cela dietro l'industria colorata del k-pop. Così la casa editrice che aveva deciso di pubblicarla in cartaceo aveva tagliato i rapporti con me.»

Perseverante nel vizio c'erano momenti in cui prostergava gli studi universitari.

Sì, Taehyung quando non faceva il porno attore studiava giurisprudenza.
La giurisprudenza gli piaceva come il complesso di Dio dei suoi compagni.
O il complesso di Dio degli avvocati medesimi.
Un avvocato nel romanzetto del ragazzo era di difesa di un omicida.

«Un altro fallimento?» domandò il bodyguard.

Taehyung annuì.
E poi ridacchiò.

«Quindi stai riprendendo a fare quel che facevi in passato?»

«Non saprei.»
Taehyung non voleva più scrivere.

Quel che rimaneva di un essere umano era una designazione astratta.
Quel che rimaneva di un morto erano le chiacchiere della gente.

Un'etichetta; se fosse stato un avvocato, le persone lo avrebbero ricordato per esser stato un bravo avvocato.
Se fosse stato un omicida, le persone lo avrebbero ricordato per un cattivo omicida.
Non importa se l'avvocato avesse avuto il carattere di un omicida, non importa se l'omicida fosse stato prima un brav'uomo.
O se l'omicidio non fosse stato premeditato o meditato o se, ancora peggio, l'uomo fosse stato succube di false testimonianze.

Taehyung doveva stabilire se volesse rimanere nelle menti delle persone come un vile pornodivo.

«In ogni caso, vieni a darmi una mano con l'orto.»

•••

Jungkook passeggiò per l'orto e Taehyung andò nello sgabuzzino nei pressi di alberi di Sakura, i quali albergavano nelle rade strade del quartiere.
Nella primavera cadevano i petali e indugiavano sul volto di Taehyung.
La primavera in Giappone era Hanami; tutti i giapponesi assistevano a una copiosa fioritura degli alberi di Sakura nei parchi o nelle strade dei loro quartieri.

Aprì la porta sgangherata di un ripostiglio disseminata di ruggine e cercò del terrificcio.
Pacchi di terriccio e sabbia arrancavano fra la polvere e le ragnatele delle scansie, dei ripiani di sgargianti forme e colori, in quei pochi metri quadri di concentrazione di rottame.

C'erano inoltre uncini, carrucole, tappezzeria d'avanguardia, fiaccole, lanterne, lampade anti zanzare, masse di legno aggrovigliate e altre cianfrusaglie.

E una mescolanza di polvere e cenere cadeva sui crani umani ogni qualvolta una persona vi accedesse.

Considerato di quanti beni disponesse il giovane, risultò insolito per il bodyguard un simile ripostiglio.
Tuttavia non strideva, stava bene con il resto.

Furono le due di pomeriggio.

Verdure punteggiavano l'orto che dava la follia al corvino, una panchina, adiacente esso, era dipinta di bianco e pochi fiori screziavano il prato.

Jungkook potava alcuni alberi da frutta e fischiettava.
Il suo sguardo poi si abbassò su una lubrica lumaca.
E poi si alzò su un vaso.
A fiori doppi, rosa e con foglie vellutate si ergevano delle piante del fiore ranuncolo.

«È un ranuncolo. Più ranuncoli.»
Taehyung puntò l'indice su un altro bocciolo, «Ho iniziato a coltivare questi fiori per un solo motivo. E anche se sono più adatti a un clima temperato, pare non abbiano avuto problemi a sbocciare.»
L'ombra di Taehyung era sorto dal nulla.

Lampi di luce lo tempestarono.
Qualcuno stava chiudendo le finestre su cui il sole del primo pomeriggio batteva.

«Non che mi intenda di fiori. Però, sì, mi era fondamentale, come il suo significato d'altronde, per una parte della storia della quale ti ho parlato. Sai, il ranuncolo simboleggia un amore debole, sfiorito e quindi in fase di declino. L'amore tuttavia là, nel romanzetto, non era la tematica protagonista... credo che noi, consapevoli o no, recitiamo i ruoli dei copioni a noi assegnati. Nessuno saprà la verità che si cela dietro al nostro continuo fingere. Non credo esista qualcuno di realmente genuino, e personaggi famosi come gli idol sono tutt'altro che genuini. T──» si fermò in modo repentino.

E si scusò subito: «Scusa non volevo annoiarti.»

Siamo autentici o solo delle brutte copie?

«Tranquillo.» lo rassicurò il bodyguard.
Guardò altrove e proferì a voce smorzata: «Non è male ascoltarti, Taehyung.»
E guardando altrove cozzò lo sguardo contro quello di un vecchio.

Un uomo tarchiato sui cinquant'anni, dalle rade ciocche di capelli ricoperte di forfora, spalle tonde, che piccolo piccolo sedeva su un seggio di plastica bianca sulla facciata della casa di fronte.

I suoi capelli proprio non ne volevano sapere di stare giù.

Quest'ultimo prediligeva l'arte, l'en plein air dell'impressionismo.
Erudito, sollecito e meditabondo, a differenza dei vecchi del quartiere di pel di carota, si asteneva dal piombarsi in uno stato di vulnerabilità; dunque si asteneva dal lagnarsi, dal coglionare e dall'improperare in modo smodato.

Sapeva che il cortisolo, ormone dello stress, era in parte artefice di energia negativa.
Quest'ultima percuoteva una precisa zona del cervello, l'ippocampo, responsabile soprattutto della memoria, e l'anziano alla sua età già aveva una memoria a breve termine.
Superbia, egocentrismo, invidia e astio mutilavano tutti un cuore.

Quell'uomo meditava e amava l'arte.

Era abituato a pigre radure, alle distese verdeggianti solcate da fiumicelli, e distese d'acqua che bagnavano le sue terre, alla brulicante miseria di una raccolta andata male, al tanfo di verdure, frutta e certe piante che marcivano.

Ma ciò nonostante la vita di città aveva il suo charme.

Quotidianità là per il vecchio Karube era scartocciare le pannocchie della moglie del figlio, la quale avvolgeva sempre i capelli ricci in una retina, e scrutare il laborioso lavoro da contadino di città del giovane corvino.

Quell'uomo era importante per Taehyung.

«A proposito, credo che con questa mia grande dedizione a un romanzo a tema omosessuale io abbia appena fatto coming out davanti a te. In qualche modo, no? Nel senso, sai che recito nei porno gay, no? Tuttavia un attore può interpretare chi vuole senza sentirsi coinvolto. Ad esempio attori eterosessuali che interpretano personaggi di serie omosessuali. Francamente credo lo facciano solo per il bene della loro popolarità, cioè, che ne so, magari loro non supportano la comunità ma sfruttano dei ruoli gay per compiacere i giovani spettatori... comunque, non importa. Perché sarebbe ipocrita sentirlo dire da uno che ha varcato la soglia del mondo della pornografia solo per un po' di notorietà.»
Taehyung sorrise.

«Quindi, Jungkook. Sono gay. E non faccio sesso gay solo perché voglio un po' di fama con le pellicole.» gli sorrise ancora una volta gremito d'orgoglio.

«Mi rende felice il fatto che tu ti senta libero di parlarmene. Davvero.»
Jungkook contorse i lineamenti in un tiepido sorriso.

Si sentì speciale di fronte alla disinvoltura del minore.
Due anni che si conoscevano ma il loro rapporto sembrava decollare solo allora.

«Posso fare qualcosa io per te, Jungkook?»

«Magari puoi iniziare dandomi dello hyung, come dovresti?»

«Hyung

Tutt'a un tratto il telefono di Jungkook vibrò.

Inizialmente non ci fece tanto caso ma quando la cosa diventò assillante guardò con occhi dissimulati lo schermo.
«

Ehm... credo di dover andare ora.»

«Come mai?»

«È... la signora Park.» rispose distratto.

«Farò finta di sapere chi sia e ti accompagno io, dovunque tu debba andare. Ho la macchina. Dammi solo cinque minuti.»

•••

Giunsero davanti al palazzo del quartiere povero.
Il condominio a un passo del cielo si spogliava dell'intonaco color cenere, il quale si sgretolava in nuvolette grigie prima di cadere sulle chiome dei locatari.
Sotto, nei pressi del cortile, non solo c'era Shin-hye che sorrideva ma anche la signora Park; entrambe erano lì con i bagagli di quella medesima mattina.

«Oppa.»

«Shin-hye? Che ci fai qui? Signora Park... è successo qualcosa?»
Pel di carota uscì subito dalla macchina del corvino.
Quest'ultimo lo seguì discreto.

«Sono certa te lo spiegherà Shin-hye.»

«Hai detto tu tutto questo. Hai detto di essere me stessa. Prima di essere fedele ad una persona, devo esserlo a me stessa. E di non farmi mai mettere i piedi in testa da qualcuno. Quindi, eccomi: sono me stessa perciò dall'aeroporto sono venuta qui dal mio fratello. Sono fedele a me stessa, faccio ciò che mi dice il cuore, quindi sono dal mio fratello. E non mi faccio mettere i piedi in testa da te quindi, anche se buttando al vento i soldi di un biglietto che costa un occhio, sono qui da te.»
Shin-hye non voleva andare a Cheonsando Island.

«Shin-hye.»

«Sei mio fratello. Ho bisogno di te. Ti ho fatto soffrire come tu lo hai fatto con me. Sei consapevole che io sia cresciuta prima del dovuto perché abbiamo affrontato delle cose insieme, ma tuttavia non posso e non devo più lamentarmi come una volta. Perché oggi ci siamo e domani non lo sappiamo e voglio crescere con te, oppa. Così un futuro tu puoi vedermi e sentirti orgoglioso. Ma non orgoglioso perché mi hai mantenuta lavorando notte e giorno in Giappone, ma perché mi hai cresciuta tu, vicino a te.»

La ragazza era caparbia, fin troppo ostinata, non faceva di proposito a trasgredire, ribellarsi e rivoltarsi ogni volta al fratello.
Era solo che le era naturale distorcere i pensieri di quest'ultimo.

«Non so che dire.» ridacchiò.
Dopodiché attrasse tra le braccia il corpo basso dell'adolescente.

«Non ti credevo saggia.»

«L'ultima parte del discorso è un po' copiata, giusto un po', da un anime che ho visto due mesi fa a tua insaputa su un sito illegale. Ma, sì, hai ragione. Sono saggia.»

«Shin-hye. Sei ridicola, lo sai? Per colpa tua mi sono ritrovato dei virus. E Takashi, il ragazzo dei computer, mi ha detto se continui a guardare tutti questi hentai, finiremo per vederci ogni giorno.» prontamente la allontanò.
E la guardò di sbieco.

«Allora smettila di guardare hentai, oppa. Inoltre, fammi cambiare la scuola e ti prometto che ce la metterò tutta. Imparerò a memoria le poesie di Yun Dong-ju, soprattutto la tua preferita. Possa guardare in alto il cielo fino al giorno in cui muoio. Senza neanche un po' di vergogna.»
Jungkook la guardò ancora più male.

«Senza neppure un briciolo di vergogna, Shin-hye.»

Il poeta Yun, morto in una prigione giapponese nel millenovecentoquarantacinque, aveva composto in versi una lirica che per Jungkook più che per il tema patriottico era importante per una serie di ricordi attribuiti ad essa.

«Va bene.» le spostò due ciocche di capelli dal suo sguardo felice.

Una volta terminate le effusioni e certi lamenti, Jungkook si piantò di fronte alla signora degli occhiali turchini, il tessuto color uva del vestito lungo e infine dell'auto disseminata di ammaccature e graffi.

«Signora Park, poteva chiamarmi ed io sarei venuto lì, all'aeroporto. Non c'era alcun bisogno di portare Shin-hye al nostro quartiere. Mi dispiace veramente per il disturbo.»

«Non ti preoccupare, Jungkook. È tutto a posto e inoltre mi stava a cuore fare questo piccolo gesto. Comunque, non credo Shin-hye sarà l'unica a restare qui.» proferì questa.

«È successo qualcosa?»
La cosa mise un po' in soqquadro il ragazzo.

«Nulla.» rispose irresoluta ma poi cedette, «Mi sento assolutamente in imbarazzo a dirtelo, Jungkook. Credo potrei scoppiare per quanto dirlo ad alta voce, a qualcuno di fronte, mi faccia arrabbiare. Jimin, il mio adeul, mi ha chiamato all'aeroporto dicendo che è scappato via da Busan, dopo aver preso tutti i soldi che avevo depositato sul mio conto corrente bancario.»

Seol-a Park, donna estrosa, pressoché bizzarra, aveva quasi cinquant'anni.

Era stata un'alcolista nel periodo del divorzio dal marito e dunque come aveva potuto ottenere legalmente la custodia del, all'epoca, figlio di dodici anni?

«Non so cosa fare, come comportarmi, non so come sentirmi e continuo solo a chiedermi come il mio unico figlio possa avermi fatto una cosa simile. Magari lo avesse fatto a suo padre, così quel cog──, il mio nonpiùmarito, avrebbe smesso di abbonarsi per quei porno pieni di bionde.» sbottò la donna.

Arcuò le sopracciglia castane e più rughe le solcarono la fronte pallida cosparsa di prodotti per la pelle.
Erano prodotti cosmetici per vecchie, insomma, il solito spreco di denaro su ostinato consiglio di quelle giovani ragazze che lavoravano con un affabile sorriso scolpito ventiquattro su ventiquattro.

Intanto Taehyung parlottò con la sorella.
«Accidenti.» farfugliò il corvino.

«Taehyung oppa. Perché sei qui? Mio fratello non inizia a lavorare domani?» gli domandò.
Si allontanò dalla signora imbufalita e fece una pigra corsa verso il corvino.

«Aveva delle cose da dirmi perciò ci siamo incontrati. Tu, invece? Stavi per andartene via a Seul senza prima avermi salutato? Sei una spezzacuori, miss girl

«Non ci vado più fortunatamente. Dovevi vedere quanto oppa stava male per me. Non credevo neppure che piangesse. Mio fratello piange?»

«Ah, quindi non erano stupefacenti.»
rise il ventiduenne.

Così passò un bel quarto d'ora.
La signora Park, anzi la sua bocca, aveva lasciato trapelare tutto.
Tutte le menzogne sul marito affinché potesse farlo passare per l'antagonista della storia.

«Oppa? Se vuoi possiamo andare a mangiare al ristorante giapponese, stasera.» interferì la quattordicenne.

«Aspetta, Shin-hye. Sto parlando con la signora Park. È importante.» rispose distratto.

«Viene anche lei.»

«E Taehyung.» aggiunse la quattordicenne.

«Non credo a Taehyung possa piacere──» le riferì indugiando.

«E invece sì, vi accompagno molto volentieri, hyung

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