Bridgerton

By lunalightwood394

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Premetto che questi personaggi non mi appartengono, né la storia. Tutti i diritti vanno all'autrice Julia Qui... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
spazio autrice
Capitolo 7
Capitolo 8

Capitolo 6

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By lunalightwood394


"Hai davvero ballato con la Bridgerton, due volte?" Jeffries schernì Simon Hestings e quando quest'ultimo gli tirò un pugno lo schivò con facilità. Era sempre stato un buon tiratore di boxe e, quando il Duca era irritato, era ancora più facile batterlo. Stavano facendo pugilato da almeno un'ora ed erano entrambi coperti di sudore. Simon mancò di nuovo il colpo. "Ricordami ancora perché sei stato proprio tu il primo che sono venuto a cercare, al mio ritorno in città?" domandò Simon, retorico. Sapeva già la risposta. Jeffries gli era sempre stato accanto, nonostante la diversità fra i loro ceti sociali. Si erano conosciuti anni prima e Simon poteva considerarlo il migliore amico mai avuto. "La cruda verità? Ti sono mancato" scherzò Jeffries, assestando al Duca un colpo ben piazzato. In quel momento un rumore improvviso distrasse i due ragazzi. Una porta si era aperta. Anthony Bridgerton era entrato come una furia nella stanza, i suoi occhi emettevano fiamme, quando parlò però la sua voce era glaciale. "Permetti una parola?". "Quante ne vuoi, Bridgerton" rispose Simon, colpendo finalmente l'amico. Anthony si avvicinò al ring. "Scendi o devo venire io là sopra?" domandò piccato. Jeffries comprese la situazione e si fece da parte. Mentre scendeva dal ring esclamò "I miei pugni per oggi ne hanno prese abbastanza dalla tua vigorosa mascella, caro Duca". Simon sorrise alla battuta, quando gli arrivò un pugno sul naso. Anthony si era tolto la giacca e arrotolato le maniche. Il Visconte ritentò il colpo, ma fallì. Il Duca si chinò evitando il pugno. "Allora cosa c'è di così importante?". Anthony si fermò a riprendere fiato dopo una serie di affondi falliti. "Vorrei sapere cosa avevi in mente ieri sera?". Le sue mani tremavano dall'ira. "E anche stamattina?" aggiunse. Simon lo colpì alla mascella. Era come se ora si trovasse al posto di Jeffries, capiva che la rabbia rendeva ciechi. Il Duca sapeva bene dove sarebbe andato a finire il discorso, ma non aveva intenzione di rendere all'amico le cose facili. "Sii più preciso. Ci sono molti contenuti in una mente come la mia". Anthony strabuzzò gli occhi. "Corteggi mia sorella?". Simon nascose un ghigno che gli era salito alla bocca. "Non posso corteggiare tua sorella?". "No" rispose secco. Poi continuò inviperito. "E ti potrei dare anche più di una ragione. La prima è perché è mia sorella, la seconda è perché è già promessa e la terza è perché è mia sorella". Stavolta riuscì a colpirla mascella del Duca, che rimase interdetto. "Non sapevo che fosse promessa" sussurrò a mezza voce ma si riprese in fretta. "A quando le pubblicazioni?". Anthony abbassò le mani e così fece Simon. "Ti assicuro che stiamo espletando le formalità. Ho dato la mia parola a Nigel Berbrooke e intendo mantenerla". Simon sapeva che poteva semplicemente raccontare la verità, ma per qualche assurda ragione una vocina nella testa gli raccomandava di non farlo. "In quel caso avresti fatto centro. Peccato che Nigel Berbrooke è quanto di peggio potessi trovare". Anthony strinse i pugni. Simon aveva sempre trovato in lui un buon amico, ma quando si parlava della sua famiglia non sentiva ragioni. "È una scelta eccellente. Se non altro non trascorre le sue serate nei bordelli e so dove è stato negli ultimi tre anni. Qui a Londra, non in giro per bische o bassifondi o ovunque tu vada a buttare il tuo tempo, per Dio solo sa quale ragione". Sbottò il Visconte. Simon non l'aveva mai visto così infuriato. Borbottò fra sé e sé "Nigel Berbrooke non è un sant'uomo". Anthony inspirò con le narici dilatate. "Tu sei sempre stato un buon amico per me, il migliore. Ma qui si tratta di mia sorella". Aveva un tono così serio, così deciso che il Duca si sentì quasi in colpa. Quasi. "Pensa a tutto quella che da amici abbiamo condiviso. Non è assolutamente mia intenzione offenderti, ma so che puoi capirlo. La famiglia per un uomo prima di tutto". Poi girò i tacchi e se ne andò, lasciando interdetto Simon che rimase intento a pensare, a ricordare di un uomo che non condivideva l'opinione di Anthony.

Il Duca di Hestings era in piedi davanti a suo figlio fissandolo impassibile. "Perché non dice niente? A quattro anni dovrebbe saper parlare". La Balia del bambino cercò di nascondersi alla vista del Duca. "È molto avanti con la scrittura, più di qualunque bambino io abbia mai educato". L'uomo replicò spazientito "Allora, quantomeno, dovrebbe sapere scrivere meglio del maledettissimo Shakespeare". Poi si rivolse direttamente al bambino. "Avanti sentiamo. Una parola. Un grugnito. Fuori quella voce" lo esortò praticamente gridando. La donna si ritrasse dalla paura, nonostante il Duca non avesse urlato a lei. Aveva conosciuto molti uomini così. Interessati più all'impressione che altro, però il Duca aveva un'indole diversa. Sembrava quasi che a lui non importasse dell'immagine, fintantoché aveva un titolo. "Lo spaventate così" supplicò lei. Il Duca era imperturbabile. "Forse è quello che ci vuole per tirargli fuori qualche suono". Ma il bambino rimase in silenzio, con gli occhi fissi sul quaderno su cui stava scrivendo. Il padre fece un verso disgustato. Aveva voglia di colpire qualcosa, o qualcuno, era evidente. Lui afferrò una spazzola che la balia aveva lasciato in bella vista. La donna soffocò un gemito, mentre il Duca si accingeva a colpire il figlio. "No". Una voce acuta irruppe nella stanza. Era impossibile capire da dove era venuta, ma dopo quella parola ne seguirono altre. "Tu... no... non... mmm...miii". A differenza della prima, che era risuonata limpida nella stanza, queste parole fuoriuscirono zoppicando. Qualcuno stava balbettando. La balia si rese conto di chi era stato, un secondo prima del Duca. "Che cosa hai detto?" esclamò lui. Il bambino ripeté le parole con perfino meno convinzione di prima. Il Duca si girò senza aspettare la fine del suo discorso. "Significa che ho un figlio imbecille". La donna implorò l'uomo. "Vostra Grazia". Ma lui non volle sentire ragioni. "È un idiota totale, Buon Dio. Ti rendi conto della precarietà della nostra situazione. Ci è stato concesso un Ducato. L'abbiamo ricevuto direttamente dalla corona, ma potremmo mantenerlo solo finché dimostreremo di avere menti straordinarie". E continuò a ruota libera. La balia avrebbe voluto correre ad abbracciare il piccolo bambino sull'orlo delle lacrime, che non riusciva nemmeno a guardare il padre negli occhi. Ma si costrinse a rimanere immobile, a limitarsi a serrare i pugni, perfino quando il Duca concluse glaciale "Il nome degli Hestings non deve cadere nelle mani di un piccolo demente". Poi si girò verso la donna e le ordinò l'unica cosa a cui lei non avrebbe mai obbedito. "Liberatemi della sua presenza. Mio figlio è morto per me".

Penelope bussò tre volte com'era sua consuetudine fare, non una perché le persone potevano non sentire, non due perché sembrava che qualcosa rimanesse sospeso nell'aria; ma tre, il numero perfetto. Entrò nella stanza. "Ti ho portato dei dolcetti, li potrai gustare con calma mentre gli altri sono al ballo". Poi improvvisamente cercò di uscire dalla camera, aveva perso tutto il coraggio per chiederle ciò che la assillava. Oh che mi è saltato in mente. Ma Marina la fermò. "Perché non entri? ce ne sono a sufficienza per entrambe". Penelope prese il vassoio e si sedette sul bordo del letto, con lo stomaco serrato dal nervosismo. "So che hanno deciso di non mandarti a casa da tuo padre". Marina annuì. "E devo ammettere che è un sollievo. Non oso immaginare la sua reazione a...". Lasciò le parole in sospeso, ma penelope capì. "Al tuo stato" concluse. Poi inspirò profondamente. "Marina, posso chiederti... com'è successo?". Penelope osservò Marina sorridere, immersa in ricordi lontani. "Torta" sussurrò semplicemente. Beh questa non me lo aspettavo... "Torta?" chiese di rimando la rossa. Marina fissò Penelope negli occhi, con lo sguardo di chi ha commesso un errore, ma è disposto a rifarlo. "Il nostro parroco, nel Sommerse, faceva sempre dei sermoni interminabili; tre, quattro o cinque ore di seguito. Non immagini la fame, la stanchezza. Fin da quando una domenica, proprio quando ero sul punto di accasciarmi sulla panca, il maggiore dei Crane. George". Fece una piccola pausa dopo aver pronunciato il suo nome, come se volesse imprimerlo sulle labbra per sentirne il sapore. Deve avere un gusto meraviglioso dalla sua espressione. "Sir George Crane mi ha passato un involucro con una fetta di torta e di biscotti. Povero parroco, se avesse visto. Dopo qualche tempo dall'incontro nell'involto ho cominciato a trovare dei biglietti. Lui scriveva, io rispondevo; e così via, per mesi, non avevo mai atteso così tanto la messa". Quando Marina finì, prese un pezzo di torta. Iniziò a mangiarla un pezzo alla volta in piccoli bocconi uno alla volta, persa nel paese dei ricordi. Penelope era rimasta incantata dalla storia, ma non aveva ricevuto le risposte che cercava. "E ora dov'è Sir George?" chiese. Marina si fece seria. "In Spagna. È andato a combattere con Wellintong. Però continua a scrivermi. Vedi". E alzò le coperte che nascondevano decine di lettere, scritte in una grafia così minuta. Penelope si chiese come riuscisse a leggerle senza una lente. "Quindi a tua condizione è dovuta esattamente a cosa?" domandò, cercando di saziare la sua curiosità. Marina si girò di scatto, guardinga. Poi rilassò le spalle e fece un sorriso. "L'amore. È stato l'amore, Penelope".

Certo, il Whisteldown è molto più interessante di me. Katarina era un'acrobata conosciuta e rinomata per la sua bravura. Aveva volteggiato, lasciando estasiati i reali di Spagna e Francia e, perfino, il Pontefice a Roma. Ma Sua Maestà, la Regina d'Inghilterra, preferiva leggere delle insulse cronache mondane, piuttosto che ammirare lei. Brinsley, il maggiordomo della Regina, entrò trafelato. "Vostra Maestà, il medico di corte vorrebbe relazionarvi sul re". Katarina drizzò le orecchie. Il vero motivo per cui faceva l'acrobata era ascoltare i pettegolezzi più succosi. La Regina sfogliò una pagina annoiata. "È mai possibile che non sia ancora stato annunciato un fidanzamento degno di attenzione". L'acrobata sorrise tra sé e sé. La Regina aveva fatto finta di niente, ma lei l'aveva vista contrarre impercettibilmente le labbra. Ci teneva davvero al marito. "Che stagione deludente" sospirò la Regina che simulava ancora indifferenza. Il maggiordomo s'intromise eccitato. "Io, se volete ho una storia succulenta su una nostra lavapiatti". Ma la Regina lo interruppe. "non mi interessano le tresche di una sguattera. Io voglio essere coinvolta, intrigata". Fece un cenno con la mano. "il medico deve dirmi che mio marito è morto, Brinsley?". Il maggiordomo, colto alla sprovvista, perse il contegno. "Oh Dio... Non penso, Vostra Maestà". "Allora ditegli che sono occupata". Katarina fu sicura di essere l'unica ad aver notato il sospiro di sollievo della Regina. Poi fece un salto mortale mentre lei ordinava "E portate qui la mia cancelleria, grazie".

Dalla camera di Daphne era emesso un vociferare che si sarebbe potuto sentire fino alla villa dei Mayfair. "I rubini o le perle, signorina?" domandò Rose a Daphne. Quest'ultima si stava preparando per la serata. Lady Bridgerton rispose per la figlia, sovrappensiero. "Oh le perle, senza dubbio.". Ma la ragazza non era d'accordo. "Mamma, forse i rubini attirerebbero le attenzioni dei corteggiatori". Poi, mentre si era poggiata la collana che scintillava sotto la luce del candelabro per vedere se si intonava, iniziò un discorso, che ebbe senso nella sua testa finché non uscì dalla sua bocca. "Se non posso mettere tutte le uova in un solo paniere.... dovrò raccogliere più uova". Eloise, seduta scompostamente su una poltrona intenta a leggere un libro, sollevò il capo. "Quel Duca ti fa girare la testa come una trottola". Daphne sbuffò, rimanendo miracolosamente impeccabile. Poi mormorò tra sé e sé. "Mi basta che faccia girare Berbrooke lontano da me". Daphne non aveva più visto Lord Berbrooke, né suo fratello, ma sapeva che il piccolo teatrino della mattina non li avrebbe trattenuti lontani ancora per molto. Nella stanza entrò la governante di corsa. Lady Bridgerton le si avvicinò. "Signora Whissel, che succede?". La donna boccheggiante le porse un pezzo di carta, Lady Bridgerton lo prese senza capire. "L'altra spiegò, meglio che poteva. "La regina, mia signora". Un mormorio serpeggiò nella stanza. Daphne domandò compostamente "Che cos'ha? È malata?". Eloise chiuse il libro. "Re Giorgio le ha fatto del male?". Perfino Rose intervenne. I domestici in casa Bridgerton venivano trattati molto meglio che dalle altre famiglie dell'alta società londinese: potevano esprimere le loro opinioni. "Quella è la sua carta intestata?". La signora Whissel non ebbe la forza di fare un cenno di diniego ad ogni proposta. "Ha scritto una lettera indirizzata a voi, signora". Hyacinth si alzò in piedi. "Che cosa dice, mamma?". Lady Bridgerton non rispose subito, era troppo impegnata a leggere, muovendo velocemente gli occhi da una parte e dall'altra del foglio. "Sono stata invitata a un tè privato con la Regina, tra due giorni". Nessuno pronunciò una parola. Un silenzio limpido si cristallizzò nell'aria. "Niente perle, mia cara. Sta sera metterai i diamanti". Daphne sorrise fugacemente al suo riflesso nello specchio.

Simon era in attesa davanti alla carrozza. Era il ritratto del perfetto gentiluomo e l'unico segno dei suoi pensieri cupi che gli attraversavano la mente, era l'assenza de solito sorriso sarcastico appena accennato. "Vi disturberebbero tanto i colori, Vostra Grazia?". Domandò qualcuno alle sue spalle. Lady Danbury si piazzò al suo fianco lentamente, abbastanza per dare il tempo al ragazzo di simulare il sorriso che aveva fatto impazzire folle di ragazze. "Londra è già così spaventosamente tetra e monotona così com'è, senza che ci si metta anche il vostro guardaroba". Il sorriso dipinto sul viso di Simon divenne vero. "Mi hanno detto che il nero è di gran moda" scherzò. La donna gli fece l'occhiolino. "Non per i miei gusti. Il vostro braccio, non vorremmo far tardi".

Lady Danbury spalancò le porte con violenza. "Eccovi. Non mi sembrate tanto morto, dopotutto". Il bambino rimase seduto immobile, guardandosi i piedi. La balia s'inchinò. "My Lady, non aspettavamo una vostra visita". La donna la ignorò, non voleva essere scortese ma non c'era niente da dire. Si rivolse al bambino evitando di chinarsi. "Non vi ho mai visto a Londra, non una parola sulla Vostra istruzione. Vostro padre non vi nomina mai, eppure eccovi vivo e vegeto. In piedi, caro, che io vi possa guardare". Simon si alzò continuando a fissarsi i piedi. Lady Danbury storse il naso. Un bambino della sua posizione non avrebbe dovuto comportarsi in quel modo. "Vostra madre piangerebbe nel sapere che la sua più cara amica è un'estranea per voi". Poi osservò i suoi ricci neri, pettinati con cura. "Le somigliate. Grazie a Dio, aggiungerei". Poi s'inchinò. "Lady Danbury, Mio Signore". Simon rimase mio silenzio. "Siamo indietro con l'etichetta". Nessuna risposta. "Avete imparato a leggere? Scrivere? Tirare di scherma? Cavalcare?". Dopo ogni domanda il bambino annuiva. Lo faceva perfettamente, con il mento verso l'alto, gli occhi fissi sul viso della donna e le mani congiunte dietro la schiena. Lady Danbury sorrise. "Allora perché non sei a scuola?". Lui esitò. "No.... non... non s....oo... pa...r... par.... parlar....re... e...". Lei comprese perfettamente il problema che il padre aveva con il figlio. S'inginocchiò e gli prese le spalle. Poi cominciò a raccontare una storia con voce profonda ma dolce. "Quando anch'io ero una bambina, qualche secolo fa, avevo paura del mio stesso riflesso. Quando entravo in una stanza, facevo di tutto per sparire nell'ombra. Ma le persone del nostro rango non possono nascondersi per tutta la vita. Sapevo che sarei dovuta uscire alla luce prima o poi e non potevo avere paura. E così ho pensato che potevo essere io quella che faceva paura agli altri. Ho affilato la lingua, cambiato guardaroba, sguardo e mi sono trasformata nella più terrificante creatura che potesse entrare in una stanza". Lady Danbury percepiva l'interesse negli occhi del bambino. Stava raccontando la storia brevemente e senza i dettagli più crudeli. Aveva omesso quando Regina Tidemann le rovesciava un bicchiere di ratafià sul vestito ad ogni singolo ballo, le miriadi di volte in cui era rimasta sullo sfondo senza che nessuno l'avesse mai invitata a danzare. C'erano così tanti avvenimenti che era meglio non nominare o ricordare. Semplicemente fissò il futuro Duca negli occhi. Solo perché aveva imparato a non farsi ferire non voleva dire che non poteva essere gentile. "Non è vero che non sai parlare" esclamò. "Ti ho capito più di quanto credi e ti aiuterò a liberarti di questa brutta balbuzie una volta per tutte". Il bambino si aprì nel primo sorrise che, almeno secondo Lady Danbury, avesse mai fatto. Poi aggiunse "Ma in cambio mi prometterai solennemente che quando sarà il tuo momento di uscire alla luce, sarai sempre degno delle attenzioni di cui verrai fatto oggetto". Il bambino non parlò ma acconsentì silenziosamente. La donna lo prese per mano e lo condusse nel corridoio.

Adesso Simon si sentiva molto più sicuro di sé mentre conduceva Lady Danbury nella villa enorme, tutta lucidata per il ballo. Era seguito dagli sguardi di ragazze che non si erano ancora del tutto arrese con lui, ma Simon non le degnò nemmeno di un'occhiata. Poi la individuò; i capelli castani erano intrecciati con dei nastri azzurri, il vestito celeste risplendeva nella stanza più di qualsiasi altra cosa, degli orecchini di diamanti le incorniciavano il viso. Era a braccetto con il fratello maggiore. Simon notò a malapena Benedict e Colin, impegnati in una conversazione esilarante e Lady Bridgerton che si stava sistemando lo scialle, aveva occhi solo per la ragazza che stava facendo battere il suo cuore più veloce del normale. Chiuse la bocca che era rimasta aperta e deglutì, risvegliandosi dai suoi pensieri. Continuò a guardarla incantato mentre si avvicinavano, non notando, così, l'occhiata divertita che Lady Danbury gli lanciò. "Mi concedete un ballo?" domandò a Daphne a bruciapelo. Anthony lo scrutò con sospetto, ma Simon lo ignorò. Il Visconte stava per intervenire, Simon non era sicuro per fare cosa, non poteva certo negare il ballo al posto di Daphne. Ma qualunque cosa stesse per fare, venne fermato da Lady Danbury. "Andrò con qualcun altro, allora, alla ricerca di un bicchiere di ratafià. Lord Bridgerton, volete farmi l'onore?". Anthony non ebbe altra scelta, se non replicare "Con gioia, Lady Danbury". Le porse il braccio e, mentre la conduceva al tavolo dei liquori, Simon sentì lo sguardo di Anthony penetrargli il corpo. Simon sorrise a Daphne che aveva intuito cosa era successo e aveva incurvato gli angoli della bocca verso l'alto. Insieme si diressero verso la sala da ballo. "Sei balli non bastano. Dovranno essere otto, più un pic-nic" stava commentando Daphne. Lui sgranò gli occhi. "Un pic-nic?". Lei sospirò. "Temo che la nostra piccola messinscena debba essere ravvivata". Gli occhi del Duca, scattarono verso un uomo alla loro destra che non aveva occhi, se non per Daphne. "Per via di Lord Berbrooke, immagino. Ho saputo". Il diretto interessato riuscì a rimanere serio mentre origliava il loro discorso dal bordo pista. Ma non riuscì a trattenersi quando Simon gli rivolse un sorriso obliquo. Daphne non si accorse di niente e continuò a parlare, non appena si allontanarono da orecchie indiscrete. "Dobbiamo fargli credere che siete sul punto di fare il grande passo. Così mi lascerà in pace". "Spero solo di non inciampare, allora" replicò Simon, che cercava di fare del sarcasmo. Ma Daphne non era dell'umore per ridere. "È quello che spero anch'io, visto che saremo incollati tutta la sera e saremo il ritratto della felicità. Per quanto difficile possa essere". Simon per poco non andò a sbattere contro Lord Kellintong. In tutto quel tempo non aveva mai pensato al loro accordo, al fatto che in realtà loro non si sopportavano ed erano lì solo per convenienza. "Molto difficile" concordò. Ma quando le prese la mano, mentre la musica iniziava, non ricordò più perché dovesse essere così arduo. Si rivelò incredibilmente facile, infatti. Daphne si muoveva così fluidamente che non aveva problemi a chiacchierare, mentre i loro piedi si muovevano in armonia. Nelle sue braccia era leggera, mentre piroettava nella pista. Erano così in sintonia che non si accorsero dei parecchi sguardi che li seguivano. C'erano Lady Bridgerton e Lady Danbury che sorridevano, scambiandosi occhiate d'intesa ogni tanto. Un gruppetto di ragazze era impegnato ad ammirare come i lisci capelli color caramello di lei si confondessero perfettamente con la mano ambrata di lui, intrecciata su di loro. La coppia non notò gli sguardi fumanti di gelosia e umiliazione che Lord Berbrooke lanciava e quelli di Anthony, appoggiato ad una mensola, che era sul punto di uccidere qualcuno. La musica finì con disappunto dei ballerini. Simon e Daphne stavano per incominciare un altro ballo ma il Duca fu bloccato da Benedict. Che arrivò sulla pista da ballo mandato da suo fratello con un "Balla con tua sorella", seguito subito dopo da "Perché?". Anthony l'aveva, quindi, praticamente spinto. "Perché te o chiedo io". Mentre Daphne e Benedict iniziavano a danzare, Simon venne trascinato in una stanza più appartata. "Ho parlato al vento stamattina?" domandò con rabbia repressa Anthony. Simon sospirò, si aspettava quel discorso da che aveva chiesto a Daphne di ballare. "Vuoi che rechi offesa a tua sorella, Bridgerton?". Lui sbatté più volte le palpebre, confuso. Il Duca poteva anche raccontargli la verità ma così facendo avrebbe tradito Daphne. "Al contrario" replicò Anthony. Simon sbuffò. Sapeva che Anthony non conosceva ciò che era accaduto realmente nel giardino, ma non serviva saperlo per comprendere che Berbrooke era un idiota. "Vuoi darla in moglie a un viscido rospo, allora". Un colpo di tosse li interruppe. Ma certo, parli del diavolo. "Lord Bridgerton, perdonate l'invadenza. Ma se permettete, voglio confermarvi le mie rispettose intenzioni su vostra sorella. Un premio a cui aspiro da tempo per la sua bellezza, la sua grazia...". "Il suo poderoso destro". Simon interruppe Nigel Berbrooke che si era intromesso nella loro conversazione. Nigel si schiarì la voce, irritando Simon ancora di più. "Vi importuno per sincerarmi che vi stiate occupando di questo increscioso equivoco, Visconte. Non vorrei trovarmi in una posizione imbarazzante". Simon borbottò tra sé e sé "È tardi per questo". Simon vide le labbra di Berbrooke contrarsi, prima di chiedere ad alta voce e con un tono falsamente gentile "È per un senso di amicizia o di soggezione che permettete al Duca di...". Ma non fece a tempo a finire la frase che Anthony l'aveva bloccato con una mano e rispettosamente, per quanto possibile, aveva replicato. "Calmatevi, Berbrooke. Io vi ho già assicurato a tal proposito e, a tal proposito, rammento al Duca che la questione non lo riguarda. Simon mugugnò, provocando il fastidio ai due gentiluomini, di nuovo. "Forse non hai l'autorità per decidere cosa riguardi me, né per promuovere Lord Berbrooke". Il diretto interessato esclamò "Avrò la massima cura di vostra sorella. Spero addirittura che riuscirà a ricambiare il mio affetto con il tempo". Simon smise di mormorare sottovoce commenti nocivi a danno di Nigel Berbrooke e parlò chiaramente. Era l'unico modo che aveva per aiutare Daphne. "Finitela, Berbrooke. Dite piuttosto come vi siete procurato quell'occhio nero". Nigel arretrò, chiaramente non si era aspettato che Simon tirasse fuori l'argomento. "Ho urtato contro un armadio" balbettò. Il Duca non si impietosì. Quando parlò lo fece con fermezza, la voce carica di rabbia. "Ha urtato l'onore di una donna". Anthony si voltò verso la sala da ballo, verso una coppia di ballerini in particolare, ma Simon continuò impettito. "Si è reso responsabile di un'azione inqualificabile a parole e tua sorella si è difesa, com'era suo diritto". Berbrooke giocherellò con la manica della giacca, ansioso di riparare l'irreparabile. "Visconte, se mi è concesso...". ma Anthony non lo ascoltava più, fissava la figura esile di Daphne che danzava con Benedict a ritmo di musica. "Se fosse, Daphne me l'avrebbe detto" sussurrò. Simon non poteva neanche immaginare cosa stesse accadendo nella testa del Visconte, però gli rimbombò la voce di Daphne nella testa. "Il mio onore sarà compromesso, comunque. Avete idea di cosa accadrebbe se solo si insinuasse?" ."Tu credi?" bisbigliò di rimando. Anthony deglutì e poi si ricompose, si rivolse a Lord Berbrooke che era rimasto congelato. "Non avvicinatevi mai più a mia sorella, Berbrooke". L'altro non poté fare a meno di lamentarsi. "Ma me l''avete promessa". Anthony strinse i pugni ma il Duca lo fermò, gli impedì di rimandare al tappetto Berbrooke, ma non riuscì a evitare che lo minacciasse anche se avrebbe voluto farlo lui stesso. "Provato solo a toccarla e non vedrete mai più la luce. Accontentatevi di aver assaggiato il pugno di un solo Bridgerton".

Daphne aveva ballato con Benedict fino a quel momento ma aveva la mente altrove, mentre volteggiava per la sala, i suoi pensieri lo facevano nella sua testa. Scorgeva, nella stanza accanto, Simon, Anthony e Nigel che discutevano. Una morsa d'ansia le attanagliava lo stomaco, chissà cosa potrebbero dirsi, però continuò a danzare nelle braccia forti di suo fratello. Ad un certo punto notò Simon che tratteneva Anthony e si allontanò dalla pista da ballo. "Che succede, fratello?". Lui le sfiorò il braccio esitante. "Non pensare più a Berbrooke, sorella. È tutto risolto". Daphne avrebbe dovuto sentirsi sollevata ma non lo era, non riusciva a far quadrare le informazioni. Fino a pochi minuti prima suo fratello non voleva neppure che ballasse con Simon. Si parò davanti al Duca, furiosa. "Non avrete parlato?". Lui non si degnò nemmeno di mostrarsi imbarazzato. "Non potevo esimermi. Vi assicuro che è per il meglio". "Voi mi assicurate?" ripeté lei, poi continuò "A dispetto di qualsiasi quanto credete voi e mio fratello, io sono in grado di difendermi da sola". Non si fermò neppure per vedere sua madre e Lady Danbury che avevano smesso di chiacchierare e li osservavano preoccupate. "Volevo essere d'aiuto" tentò di spiegarsi il Duca ma la ragazza non lo sentì nemmeno. "Non lo siete stato. Ciò che avete fatto e sottovalutare la supponenza di Nigel e in pubblico, in presenza di tutti". Fissò il Duca per un attimo negli occhi. "Voi non mi potete assicurare niente" concluse lapidaria. Poi s'incamminò, lasciando il Duca immobile, al centro della stanza, sotto lo sguardo di tutti.

Il viaggio in carrozza sembrò durare un'eternità. Dentro la carrozza rimbombava il silenzio, nessuno proferì parola fino a quando arrivarono a casa. Lady Danbury parlò con il suo solito tono provocatorio, ma sembrava seria. "Uno schianto di serata vero, Vostra Grazia? Non ne convenite? Quella fanciulla è una gemma preziosa, giovane e pura. Cercate di non combinare un pastrocchio". Simon ripensò all'accordo che avevano e mandò giù la bile che aveva in gola. Lady Danbury si diresse all'interno, Simon poteva sentire in lontananza la sua voce che dava ordini ai servitori. "Grazie, credo che andrò subito a dormire". Il Duca non riusciva neanche a pensare di stendersi sul letto a quel punto. "Farò due passi a piedi". E con le mani in tasca s'incamminò verso la zona est di Londra. Le conversazioni della serata venivano ripetute nella sua testa così velocemente, che non sentì neppure il cocchiere acconsentire. "Vostra Grazia".  Whitechapel High Street era deserta, Simon non vide anima viva per ore. Aveva continuato a camminare senza meta, alla ricerca di qualcosa che non sapeva di volere. Continuava a ripensare a Daphne, al suo vestito azzurro, alla mano premuta sulla sua spalla mentre danzavano, ai suoi occhi che si assottigliavano ogni volta che rideva, ma più di tutto non poteva smettere di tornare con la mente quando aveva scoperto ciò che aveva detto a suo fratello: al suo sguardo ferito, alla bocca contratta e la voce così controllata per evitare che gli altri sentissero la delusione nel suo tono. Era così assorto nei suoi pensieri che non si accorse che qualcuno lo seguiva, se ne rese conto solo all'ennesimo rumore di qualcuno che sbatteva contro un muro. Si voltò di scatto, guardingo. "Sono io, Duca". Nigel Berbrooke sbucò fuori dall'ombra. "Mi seguite, Berbrooke?" domandò irato. "La questione è risolta, no?". Nigel scosse la testa. "Era risolta finché non siete comparso voi. Vi imploro di parlare con il Visconte. Ieri ho commesso un errore, un momento di debolezza. Voi comprenderete di certo". Simon guardò l'uomo così convincente e persuasivo. Quella che proponeva era una soluzione facile. Dopotutto cosa importa se Daphne si sposasse con costui? Non ci conosciamo neppure. Però non era del tutto vero. Gli passarono dei lampi nella testa come sprazzi di luce tra le nuvole: Daphne che rideva, lei che contrattava su quanti balli dovessero danzare, lei che gli sbatteva contro, quella cena a casa sua quando gli aveva comunicato che non era affatto interessata a lui. "È un piano paradossale" dichiarò Daphne senza esitazioni, ma con uno scintillio negli occhi. "Io lo trovo brillante" ribadì Simon. "Se voi non desiderate sposare me e io non desidero sposare voi, cosa avete da perdere?".  Non era vero che non si conoscevano, adesso lei era diventata qualcosa di più che la sorellina irritante del suo amico. "Non credo vi sarà mai possibile alcuna comprensione tra me e voi. Buona Notte, Lord Berbrooke". Berbrooke rimase lì impalato, sembrava un bambino che doveva avere tutto ciò che voleva. "Ma non avete bisogno di lei. Voi siete un Duca, avete una posizione, ricchezza, conoscenze. Io invece devo averla, che vi costa cederla a me, scusate?". Simon era disgustato, orripilato. "La scelta spetta alla signorina Bridgerton". "Quando devo comprare un cavallo, io non tratto con il cavallo". A favore di Nigel, va detto, che sembrava sinceramente convinto, non pareva avesse davvero intenzione di possedere Daphne, solo non conosceva altro modo. Quella sera però Simon non si sentiva per niente a favore di Nigel. "Avete intenzione di continuare a seguirmi?". Berbrooke continuò il discorso, ignorando completamente l'altro. "Perché non avete ancora chiesto la sua mano, se ci tenete così tanto, se lei è così presa da voi come mai non vi siete ancora proposto?", Simon si girò, preoccupato che Berbrooke scoprisse il loro segreto. Ma nella sua mente gli era venuta un'idea molto peggio. "O forse l'avete già avuta" sussurrò ad alta voce. "Se è così, dovete dirmelo perché se solo avessi saputo che era perduta, corrotta, violata mai avrei..". Il Duca perse la pazienza. "Vi proibisco di continuare. Non osate dubitare dell'irreprensibile onore della signorina". Ad ogni parola, faceva un passo in avanti e Berbrooke uno indietro, finché non si trovò schiacciato contro il muro. "Certo, come volete. È quanto speravo di udire" mormorò Berbrooke. Simon avrebbe potuto fermarsi lì, lasciare perdere, dopotutto Nigel sembrava abbastanza convinto ma la furia l'aveva ormai travolto. "Voi non siete degno di respirare la sua stessa aria. Adesso andatevene". Berbrooke poteva avere parecchi difetti, dall'ottusità all'ignoranza ma era un uomo orgoglioso. Non poteva sopportare le offese. "E voi? Ho sentito le storie che girano su di voi, di quanto vostro padre agognasse un figlio, un erede e di come si ostinò ad averne uno, malgrado la fragilità della vostra povera madre. E quindi se esistesse un uomo che dovrebbe mostrare un po' più d'indulgenza nei confronti dell'umana debolezza, quello siete voi.". Simon era tornato sui suoi passi, immobile in mezzo alla strada cercando di trattenersi. Poi Berbrooke bisbigliò "La mela non cade mai lontana dall'albero" e fu la goccia che fece traboccare il vaso. Lo afferrò per il colletto e lo prese a pugni, un colpo per ogni parola fuori posto. Il sangue imbrattava le mani di Simon ormai, ma a lui non importava. Continuava a colpire. E ancora. E ancora. E ancora.

Quella notte Simon dormì male. Sognò un padre che gli diceva che era un imbecille, un uomo che gli ricordava che era proprio come suo padre e una fanciulla che lo fissava inorridita. Quella notte Simon scoprì cosa volesse dire il disprezzo per sé stessi.  

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