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Mi apprestai a raggiungere Marie Anne stringendo i pugni lungo i fianchi, cercando di destarmi dalla sua immagine ancora impressa davanti ai miei occhi; quell'inetto della società era stato in grado di rovinarmi la mattinata, come se non bastasse, venni anche giudicata senza battere ciglio. I miei capelli si mossero ai refoli del vento di libeccio, sembrò come se mi stesse sussurrando di placarmi, poiché tutto torna, tuttavia le mie nottate e le mie giornate vennero smosse da due estranei inaspettati. Che fossero dei simpatizzanti? Non fui comunque in grado di trovarmi una risposta, ma sperai che quella mattinata si fosse svolta senza altri intoppi.
Quando ritornammo alla villa, mi precipitai in camera rigettando svogliatamente il parasole in un angolo, presi a camminare freneticamente avanti e indietro, tentando di controllare il mio pessimo umore. Forse sarebbe stato meglio dilettarsi nella pittura, quell'arte riusciva a placare i miei muscoli, poiché in casa, il buon rum dalla scorta di mio padre era ormai finito. Afferrai la tela ancora da terminare, curvai le spalle sedendomi sullo sgabello e provai a concentrarmi, agguantai il pennello bagnandolo negli acquarelli e posai quella soffice punta sulla tela bianca, lasciando che le mie dita affusolate seguissero le linee che mi ero riuscita a immaginare in quel momento, per portare a termine il ritratto. Ma la mente ritornò a pensare a quel gradasso, divenni tesa e sbagliai a tracciare una linea; un errore grossolano per una pittrice come me che aveva creato la metà dei quadri presenti in quella casa.
Ritentai.
Prestai attenzioni alle tonalità invernali che mischiai con qualcuna autunnale. Rimasi all'incirca un'ora a sentirmi il sudore scorrere persino sotto i vestiti. Una volta che finii lo schizzo ritraente la schiuma del mare mosso ai piedi di due isole, lo osservai con un certo luccichio eccitato negli occhi; avevo impiegato giorni, se non settimane per renderlo di un certo aspetto elevato e degno di essere fissato su una parete. Quando mi tolsi il grembiule notai una macchia di colore finito sulla gonna, nonostante ero rimasta attenta a come muovessi il pennello, capii che i pensieri mi avevano distratta senza farmene accorgere. Mi alzai per andare da Madama e quando le andai incontro mi trascinò in lavanderia, me lo fece sfilare in modo da metterlo sotto l'acqua così da strofinare il tessuto in tempo, fin quando la macchia non sparì. L'irritazione della giornata andò scemando, lasciandomi dilettare anche nelle note del pianoforte. Le mie dita pressavano con insistenza quei tasti bianchi, come a scaricare una sorta di frustrazione oppressa. Ma la melodia seppe riprendermi in modo armonioso, permettendomi di chiudere gli occhi per librarmi in posti a nessuno concessi, pieni di fantasia.
Quando terminai, lasciai scivolare le dita dal pianoforte e mi osservai intorno, rimanendo seduta sullo sgabello dai piedi laccati d'oro e dal cuscinetto rosso che ammorbidiva il peso delle natiche sode. Vigeva il silenzio, si udiva il ticchettio del pendolo a muro, i passi di Marie Anne che andava e veniva da una camera e l'altra, tutta intenta a dare una sistemata. Quando ne sentii altri arrivare dal fondo dell'atrio e alla mia vista sbucò un uomo della servitù, imbellettato nella divisa blu. "Signorina Smith" mi richiamò fermandosi con le mani unite dietro la schiena e raddrizzando veloce la schiena senza far smuovere mezzo capello riccioluto, non varcando la soglia del grande salone. Quella stanza aveva le pareti piene di quadri, destinata a esaltare il prestigio della famiglia e a incutere riverenza agli ospiti. Le pareti erano di un colore luminoso e molto delicato, ma che davano comunque un certo sfarzo alla pari degli ampi divani disposti per la conversazione. Era lì che mio padre portava gli ospiti, lasciandoli accomodare su quei colori pastelli tenui. La parola d'ordine per quella società era: apparire, divertirsi e passare momenti spensieratamente frivoli. "Vostro padre, vi ricorda di recarvi al porto per ricevere il commodoro: Lewis Wilkinson, inoltre, non appena sarà libero dagli impegni vi raggiungerà" dettò ciò, con un inchino formale, si ricompose e si voltò per adempiere ai suoi doveri altrove. Mi drizzai a fatica, malvolentieri; non avevo per nulla voglia di sorridere di circostanza per ricevere uomini in parrucca.
Purtroppo il dovere da figlia dell'ambasciatore, chiamava. Mi diressi nell'atrio e mi disposi davanti allo specchio dalla cornice dorata, sistemai l'acconciatura ove qualche ciocca fuori posto volle sbizzarrirsi per suo conto, quando avvertii la presenza di qualcuno e voltandomi, scorsi Marie Anne oltre la soglia di una delle tante stanze del piano terra. "Liz, mi raccomando, non metterti in altri guai. Ti ho lasciato ciò che ti serve sulla scrivania nella tua camera, in un sacco" mi avvisò, sistemando prima alcune lenzuola piegate sulla sua mano, poi l'ampia gonna di un marroncino scuro.
Le mie labbra s'incurvarono in un sorriso cordiale. "Grazie Madama. Comunque non preoccuparti, starò attenta" la rassicurai, roteando poco dopo gli occhi. La vidi trattenersi dal ridere e, scuotendo il capo, si decise a dirigersi verso il corridoio poco illuminato. Mi diedi un'ultima sistemata e quando apparii perfetta, mi diressi alla porta.
Passeggiando per le strade alberate di New Weiven, mi accorsi come alcune giubbe mi stessero occhieggiando, costringendomi a celare dei risolini di compiacimento e decidendo di fermarmi davanti alla vetrina della seconda libreria presente sull'isola, mettendomi a sbirciare oltre il vetro lucente le rifiniture accurate delle copertine dal colore perlato. Non potevo fare a meno di soffermarmi ad ammirarle e a contemplare l'accuratezza di quei colori dipinti con una certa precisione. Ripresi a incamminarmi, salutando cordialmente con dei cenni alcuni conoscenti di mio padre che si trovarono lì nei paraggi, poi girai verso una viuzza e mi accinsi a raggiungere il porto. Quando giunsi al molo notai alcune dame di giovane età, imbellettate in vesti appariscenti dalla passamaneria accurata in piccoli fiori rosa, qualche cappellino ornato completava il tutto. Erano ferme davanti al pontile; Probabilmente si era già sparsa voce dell'arrivo di nuovi vascelli inglesi.
Nell'attesa, decisi di godermi la brezza e l'odore salato del mare; la schiuma di quelle onde bluastre si scagliava strepitante contro la banchina e alcuni mercantili ormeggiati, ondeggiavano alle movenze del mare. Sollevai una mano verso la fronte, coprendomi gli occhi nel tentativo di scorgere qualche imbarcazione all'orizzonte. Voltando il capo verso sinistra, scorsi la prima grande nave dalle vele bianche spiegate; quella era un vascello di primo rango, ed era seguita da una piccola flotta di navi, ma di secondo rango. Calai il braccio e rimasi a fissarle in tutta la loro imponenza. Presentarsi con quegli enormi vascelli stava a significare che quegli uomini temevano le sorti della loro vita, timorosi di incappare in qualche nave pirata sopravvissuta. Avanzai di alcuni passi, come ad andargli incontro, vedendo che a mano a mano la loro distanza si riduceva. Si udii lo stridio di qualche gabbiano sorvolare con le sue bianche e lunghe piume spiegate al vento e i cicalecci di quelle dame, nei paraggi, accompagnata dal suono delle onde.
Uno stato di calma interiore si impadronii di me, permettendomi di rilassarmi. Mio padre non faceva altro che pressarmi, volendo a tutti i costi farmi diventare la moglie di un ufficiale britannico, ed ecco perché mi aveva ordinato di recarmi in quel posto; la mia accoglienza era anche per Ben Wilkinson. L'opinione di mio padre sull'amore era pressoché negativa, non esisteva, era un'emozione passeggera che si provava per noia quando la vita non regalava sfavillanti obiettivi, quindi per detto suo, i matrimoni combinati erano i più appropriati. A un tratto, lo scalpitare di alcuni zoccoli seguiti dai rumori di alcune ruote alle mie spalle, smisero di farmi beare della bellavista, costringendomi ad abbandonare quella sorta di meditazione.