Anima d'acciaio

Galing kay animasporca

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Desidero strapparmi i capelli, urlare a squarciagola, prendere a pugni un muro qualsiasi, sparare alla prima... Higit pa

Nathan.
Zachary.
Nathan.
Nathan.
Nathan.
Nathan.
Nathan.
Zachary.
Zachary.
Zachary.
Zachary.
Nathan.
Zachary.
Nathan.
Nathan.
Zachary.
Zachary.
Jonas.
Nathan.
Zachary.

Zachary.

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Galing kay animasporca

Secondo

<Dodici anni fa>

― Sta' zitto, Zeke ― borbotta Jonas all'uscita, spingendomi indietro con un gesto svogliato della mano.

― Voglio sapere cos'hai combinato per farlo reagire così.

― Mi ha dato dell'handicappato e tu lo difendi? Bel fratello di merda.

― Non lo sto difendendo. Sto cercando di capire a cosa sia dovuta la sua risposta.

― Chissà, magari è semplicemente uno stronzo.

― O magari ― lo squadro, torvo ― sei stato tu a farlo indispettire parecchio. ― Stringo i pugni, sussultando. Percepisco una fitta al fianco e rimango allibito quando mi accorgo che il malore è dovuto al vocabolo da lui adoperato. M'indispettisce il fatto che si permetta d'insultarlo gratuitamente, senza neanche averlo osservato come l'ho osservato io. Il tipo della fermata non è uno stronzo, né un egoista. È evidente. Jonas fa una smorfia. Lo costringo ad ascoltarmi, sbarrandogli la strada. ― Inoltre ― aggiungo ― hai soltanto dodici anni e mezzo. Le parolacce stonano sulla bocca di un bambino.

― Non sono più un bambino.

Roteo gli occhi al cielo, ghignando. Mio fratello sa come irritarmi e non ho intenzione di concedergli il lusso di vedermi arrabbiato il primo giorno di scuola. ― Non puoi pretendere di star simpatico a tutti ― gli faccio notare con enfasi.

― Lo stai rifacendo.

― Cosa?

― Stai scegliendo di stare dalla sua parte.

― Non voleva essere così acido, J.

― Non lo conosci neppure, e hai il coraggio di dirmi che il suo comportamento nei miei confronti è stato accettabile?

― Mi sono voltato. Ho guardato dentro i suoi occhi ed erano dispiaciuti.

― Come fai a esserne sicuro?

― Lo so e basta ― ribatto, perché non saprei come spiegargli il senso di colpa che mi attanaglia. In un primo momento la reazione del ragazzo mi era sembrata esagerata. Avevo colto nella sua voce un tremore crescente, un'angoscia che mi aveva oppresso lasciandomi a corto di fiato. La sua figura, vicina a quella della gemella in corridoio, mi parve talmente disprezzata e sminuita che mi era venuto da piangere. E io non piango mai, non per motivi banali. Quando mi aveva esposto l'ora, lanciandomi un'occhiata di striscio, lo avevo etichettato come un insicuro e il mio pregiudizio si era accentuato una volta udita la sua riflessione. Aveva sussurrato di essere un vigliacco, sebbene non fosse a conoscenza di sbagliare aggettivo. Potrei fornire una descrizione accurata della sua persona senza risultare mediocre; lui è piuttosto semplice da leggere, è semplice per me. Ero entrato in confusione quando aveva espresso l'insinuazione puntigliosa verso l'incapacità nel contare di mio fratello – estremamente voluta –, e nel suo tono era apparso un altro sentimento, la sorpresa. È stato quel sentimento a destabilizzarmi. Da come si era comportato all'inizio, lo avevo ritenuto un impavido undicenne solitario e non un maschio che aveva sempre evitato di contraddire qualcuno, sottomettendosi.

Sono un po' deluso. Non dal comportamento irrispettoso. Dal suo lato codardo. È intelligente, lo si riconosce dalla furbizia, da come ha intrattenuto il discorso, dalla maniera in cui manovra le circostanze a proprio piacimento, e allora perché deve fare in modo che l'impulsività lo soggioghi, decretandolo un debole? Se lui non è come loro, se loro sono il probabile fraintendimento, perché non aggiusta le cose riempiendosi d'orgoglio? Possibile che sia un pauroso? Possibile che abbia errato? Inizio a supporre che sia timido, ma un timido si saprebbe infuriare come aveva fatto? Un timido dimostrerebbe tale coraggio? Perché ho come l'intuizione che lui, senza nemmeno notarlo, abbia subìto una metamorfosi in qualche minuto. Grazie alla mia presenza.

― E pensare che Isabella iniziava pure a incuriosirmi.

Al suono della campanella mi dirigo verso il cortile, le lamentele di Jonas alle spalle. ― Ma non la frequenti da stamattina? ― lo interrogo, stranito dall'affermazione.

― Quindi? Anche tu stai proteggendo un ragazzo in cui ti sei imbattuto oggi. E la tua, di situazione, è molto più grave!

― Due ― preciso, sorridendo alla sua ira. ― È successo due volte.

Jonas cambia espressione, arricciando il naso e incrociando le braccia al petto. ― Se ti giri diventano tre.

L'incredulità mi coglie impreparato. Non ho tempo per riflettere: voglio parlargli a costo di litigare con J. So che intrattenere un discorso con lui mi renderebbe felice e, a differenza sua, sono un emerito individualista. Lo cerco nella folla con la speranza di avvistarlo, di scusarmi. Potrebbe aver interpretato male le mie intenzioni e non riesco ad aspettare domani con l'ansia che non si presenti alla fermata per timore. Trattengo il respiro. Non individuo le sue iridi verdi accecanti fra quelle degli altri. Non capto l'alone di mistero che gli aleggia attorno fra quelli inesistenti degli altri. Non trovo lui, fra gli altri.

― Ti sei girato davvero ― bisbiglia Jonas, meravigliato. ― Allora non scherzavi quando giustificavi la sua reazione.

― Mi prendi in giro? L'hai detto per...

― No ― mi blocca. È amareggiato, perché il tono si è alzato di un'ottava e si carica d'indignazione a ciascun vocabolo. ― Però non credevo ti girassi comunque.

― Cos...

― Ti sta fissando da cinque secondi e ora sta fissando me. ― Sospira, strizzando le palpebre. ― Non sembra dispiaciuto.

Mi volto di scatto, il cuore in gola. Un'altra volta. Devo annullare la distanza. Adesso emerge la sua stranezza, la malinconia, la sua bellezza particolare. Lui emerge, e questo mi ammalia. C'è moltissima gente che gli gira attorno, che mi passa davanti, che ci circonda, ma lo scorgo nitidamente. Appena i nostri occhi s'incontrano, distoglie la visuale. Forse non la regge. Sono paralizzato mentre sussurro: ― È spaventato ―, sentendomi un mostro. Non volevo farlo soffrire, non volevo trattarlo con sprezzo. ― Lo abbiamo spaventato.

― Non siamo noi il problema. ― Jonas indica spazientito la sorella che, a passo spedito, si allontana in direzione del parcheggio. Il ragazzo la sta osservando con un terrore impresso nelle rughe del viso, a partire da quelle sulla fronte che corruga come fosse in trappola. Comprendo. Non è intimorito da cosa potrebbe accadergli se Jonas decidesse di menarlo, è intimorito da Isabella, la cui rabbia tende a non regredire. Questa è già una totale attestazione della sua audacia, del suo essere determinato e titubante nello stesso istante. Si sdoppia.

― C'è dell'altro ― aggiungo, esaminandolo con insistenza. Sta tentando di sopprimere un'emozione, o un'azione, che minaccia di farlo sfigurare. Un dettaglio di cui io e Jonas siamo responsabili.

― Non ti sopporto quando lo fai, sul serio.

― Sei sempre così vago, J ― sottolineo, fissando e scortando quell'immagine pallida, magra, ovunque.

― Lo descrivi come fosse un amico di vecchia data e non sai neanche chi sia. È irritante.

― Se tu lo guardassi bene, ti accorgeresti della sua unicità, invece. Perché traspare eccome.

― Non ci trovo nulla di speciale. Mi sembra solo uno stronzo certo di un perdono anche dopo aver fatto lo stronzo.

― Ecco, se tu avessi prestato più attenzione, sicuramente non lo avresti detto. Se c'è una cosa certa è che non è lui, qui, quello sicuro d'ottenere qualcosa.

― Be', sai cosa penso? Che sei diventato un moralista del cazzo e che questo mi piace zero.

― Non essere come gli altri. Lo stai sottovalutando.

― Sei tu che ci stai dando troppa importanza.

Mi mordo il labbro. Sarei un bugiardo a negare. ― Vediamo se indovino il suo nome ― dico. Non si è ancora spostato di un centimetro, se non quelli causati dalle spallate dei compagni smaniosi di passare e rincasare. Appare gracile, eppure io, ad alcune scosse, sarei volato molto più in là.

― Nathan ― replica prontamente mio fratello, arrestando il gioco. ― Ti tolgo il disturbo di sforzarti.

Lo trucido con uno sguardo fulminante, desideroso di tirargli un pugno per aver rovinato l'atmosfera d'allegria. Tuttavia, in questo breve secondo, Nathan mi sembra uno dei nomi più significativi al mondo e uno di quelli che, indubbiamente, utilizzerei più spesso. Ha un bel suono.

"Nathan."

[Angolo playlist: World Behind My Wall, Tokio Hotel.]

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