Atalaxia - Le origini del male

By Francesca_mc

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Alla luce del tramonto, un uomo poco raccomandabile attraversa la distesa paludosa alle spalle del quartiere... More

PROLOGO
I - FUCINA DI GOTHAR
II - PALAZZO DI GAVIH
III - SEGRETE DEL "BRACCIO SIGMA - Σ"
IV - PRIGIONI DI GAVIH
V - "IL RATTO"
VI - GOTHAR
VII - "IL RATTO"
VIII - PALAZZO DI GAVIH
IX - TRIL
X - SEGRETE DEL "BRACCIO SIGMA - Σ"
XI - FUCINA DI GOTHAR
XII - PALAZZO DI GAVIH
XIII - "IL RATTO"
XIV - MERCATO DI GOTHAR
XV - GAVIH
XVII - PALAZZO DI GAVIH

XVI - TRIL

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By Francesca_mc

Pioveva.

"E che culo", pensava nel frattempo Dupre.

Erre se ne stava in piedi, imbambolato alle sue spalle, in un cunicolo strettissimo: conduceva a un misero vicolo cieco dove una colonia di gatti smagriti cercava di arraffare del cibo ammuffito da un secchio divelto di liquame. E come cazzo ci fosse finito del cibo là dentro, poi, non lo sapeva nemmeno Dupre. Non che fosse ovviamente interessato ad approfondire, sia ben chiaro.

C'era da dire che era stato lui a chiedere al vampiro di coprirgli le spalle: non era la prima volta che accadeva, perché da quando avevano abbandonato il Ratto si erano dovuti... come dire? "Arrangiare e pararsi il culo a modo loro" – anche se in quel caso serviva principalmente a tenere al sicuro i suoi soldi.

Dupre – e non era una novità che accadesse – aveva scelto quella piccola e disgustosa insenatura nel cuore di Tril per nascondere i propri risparmi. In verità cambiava spesso nascondiglio – almeno due, tre volte l'anno – e si era reso conto che quella maniera era la più sicura che esistesse per conservare l'oro.

Le banche, infatti, non aspettavano altro che qualcuno glielo portasse in affido per rifilargli un pezzo di carta che a conti fatti aveva valore pari a zero, mentre le case... beh, erano fuori discussione: a Tril potevi entrare nel fabbricato di qualcuno in piena notte, scoparti qualche donna e farle credere che fosse stato il marito in preda di un eccesso di testosterone. Anche qualora non fosse stata sposata.

Divertente, sì.

Tanto valeva lasciare il denaro sottoterra – e così, in effetti, Dupre stava facendo.

Comunque, il mercenario era lì, che con sapiente minuzia faceva scorrere la punta del suo amato coltello all'interno della fessura in pietra che componeva la parete esterna di un'abitazione – o almeno di quello che ne rimaneva. Fece leva con garbo affinché questa si sollevasse, ma la premura non impedì al suo tanto – "fottuto!" –, amato coltello di smussarsi appena sulla punta.

«Gli Dèi vi dannino, bestiacce schifose!!!» E, detto fatto, in un moto di rabbia – e per mancanza di colpevoli diversi da lui stesso – lanciò l'arma direttamente nel gruppo di gatti affamati che miagolava più avanti, facendoli disperdere alla velocità della luce.

Il rintocco del metallo fu quasi impressionante.

Sembrava quasi che l'eco della sua ira si fosse sparso non in tutta Tril, bensì in tutto il cazzo di continente.

Dupre sospirò, esasperato dall'impazienza, e con le dita premute sui bordi della mattonella riuscì quantomeno a estrarla per rendere visibile l'enorme foro che custodiva.

«Erre, il coltello» disse, mentre immergeva la mano nel buco. Nemmeno il tempo di dirlo e il vampiro era già di fronte a lui, la piccola arma bianca protesa con l'impugnatura verso Dupre – e cavoli se non era stato veloce.

Dupre ormai non ne era più stupito: aveva constatato che Erre fosse in grado di muoversi così rapidamente e così silenziosamente da non lasciare nemmeno la possibilità, almeno a un umano come lui, di poter stabilire i limiti di quella particolare agilità. Valeva lo stesso per la forza: difficile rimuovere dalla mente il modo con cui aveva spezzato, al pari di un ossicino di pollo, il femore di uno di quei malcapitati al Ratto. Era un predatore; se non sapeva farci lui...

Dupre recuperò riluttante il coltello – quell'arma gli aveva fatto uno sgarro troppo enorme per essere considerata ancora sua alleata – e, con la mano ancora immersa nel suo piccolo tesoro, arraffò una consistente manciata di monete.

Le mise tutte all'interno di una sacchetta che a sua volta era contenuta dentro a un elmo di cuoio e poi allacciò il tutto al fianco. Gli ci volle ancora qualche minuto prima di richiudere il resto del malloppo nel suo piccolo e angusto rifugio.

«Bene, andiamo» disse al vampiro prima di incamminarsi verso il vicolo principale.

La pioggia era delicata ma gelida: pungeva come potevano fare solo tanti piccoli aghi.

Se qualcuno lo avesse visto adesso, avrebbe sicuramente constatato che Dupre non era un bello spettacolo. Certo, non che abitualmente lo fosse.

Aveva dovuto arrangiare il medicamento al viso, non senza una sofferenza disumana che per poco non l'aveva fatto svenire.

Appena uscito dal Ratto, infatti, il dolore al naso lo aveva messo in condizioni di dare priorità alla propria stessa salute: si era diretto verso un rifugio di Tril – un'abitazione malmessa e abbandonata che, aveva deciso, sarebbe stata casa sua fino a prima della partenza – e lo occupò senza troppe cortesie.

Fortunatamente, fra il pochissimo arredo rimasto – una sedia scassata e un mobile a cui mancavano un cassetto e un piede –, Dupre trovò anche i frammenti di uno specchio.

Non si preoccupò, quel giorno, del fatto che Erre potesse avere problemi alla vista di tutto quel sangue: lo obbligò poco carinamente a trattenere la scheggia di vetro mentre lui, nel frattempo, masticava un amarissimo miscuglio di erbe – che di solito andava bollito in acqua calda ma... "Dèi! Chi aveva tutto quel tempo e tutta quella voglia di fare la buona massaia vicino al fuoco quando aveva il naso fottutamente a pezzi?"

Avrebbe dovuto dargli un po' di sollievo dal dolore ma... "Col cazzo!", dovette ricorrere al buon vecchio rum prima di essere abbastanza stordito da trovare il coraggio sufficiente per drizzarsi il naso con un sonoro "crunk".

Poco prima se l'era tastato per cercare di capire come fosse messo e la cosa gli aveva fatto schifo, oltre che male: era la prima volta che se lo rompeva e poteva sentirne la parte anteriore completamente mobile rispetto al resto.

Dopo quell'indubbio atto di eroismo, il sangue riprese a sgorgare in maniera impressionante e, guardandosi allo specchio a fatica, si fasciò viso e nuca per tenere fermo quella specie di moncherino sorretto dalla sua pelle. Un cerusico, alla vista di quella medicazione sommaria, avrebbe rabbrividito.

Dupre si costrinse a mangiare il pane e il formaggio che aveva con sé, poi rimase per un giorno intero a dormire nel lerciume della casa sotto lo sguardo vigile di Erre – che, ben inteso, non si interessò minimamente del grumoso liquido organico sparso sul pavimento.

Adesso, seppur fosse trascorso qualche giorno, il naso di Dupre era migliorato. Ai lati della fasciatura, intorno agli occhi, si potevano scorgere dei tratti nero-violacei insani che non solo gli sottolineavano le già persistenti occhiaie – adesso terribilmente scure –, ma che conferivano alla cicatrice che aveva in viso un evidente contorno rosso-porpora. Rimuovendo la fasciatura per darle una pulita, poi, aveva notato che il naso stava guarendo irrimediabilmente storto.

Sebbene Dupre avesse sempre portato con notevole fierezza le sue "ferite di guerra", quella gli stava bruciando molto più di altre – e non perché fosse dolorosa. Il pensiero del chi e dei perché erano i reali motivi che gli facevano infiammare lo stomaco in una primissima idea di vendetta: sarebbe arrivata, quella vendetta. Eccome se sarebbe arrivata.

Questo pensiero aveva finito per farglielo esplodere nelle viscere il cumulo di taglie che aveva intercettato nella bacheca la sera in cui se ne era andato: le aveva lette la notte successiva nonostante fosse preda di un lancinante mal di testa – colpa del rum, colpa del naso, colpa di Pitia... – e vi trovò robe semplicissime come...

Màrian Haire (5a strada di Tril, n. 11, unica donna nella casa - anziana, capelli grigi occhi forse chiari) - (Compenso non trattabile) da Ägid, nipote, maschio, biondo, trent'anni circa, che abita nella casa a fianco. Dettagli: Ronald.

250 m.o.

o come...

Theodegar (o Theo) Urs (Gothar centrale, 2a via dopo la piazza principale, direzione mercato, dopo bottega tessuti a destra, terzo ingresso - vive solo, uomo sulla quarantina occhi scuri, pelato) - (Compenso trattabile) da Règis (mandante reale sconosciuto) cugino falegname Selman. Dettagli: Seraph, Pitia.

1500 m.o.

Quella che aveva colpito il suo interesse, però, era la pergamena che era stata appoggiata fra le altre in maniera precaria e che Dupre aveva arraffato nella penombra dello sgabuzzino. La scrittura era neutra – stilata con tale e precisa dovizia, come nei libri, da non potergli dare chissà quale indizio su chi l'avesse scritta –, ma ovviamente, dati gli sviluppi di quella faccenda, non aveva così tanti dubbi sullo stretto manipolo di persone che avrebbe potuto mettersi così d'impegno per realizzare una stronzata simile – "e poi, cazzoni... che banalità".

DUPRE È MORTO

Dupre fuori dal clan!

Non c'è ricompensa, solo giustizia per Pitia!

Ormai mancava davvero poco alla partenza e, una volta finita questa storia, Dupre avrebbe avuto abbastanza denaro per fare la vita che sapeva di meritare. Ma l'avrebbe fatta pagare a tutti. A Dom, a Greta a Ronald...

Anzi, avrebbe fatto di meglio: si sarebbe ripreso il Ratto, ne avrebbe fatto la sua dimora, avrebbe dettato le sue leggi e preso nuovamente Tril fra le sue mani.

Poteva già intravedere Bertrun sentirsi schiacciato dal potere che un domani lui stesso avrebbe esercitato nella sua fucina, ma...

Tempo al tempo.

Dupre sapeva di dover rimanere con i piedi per terra: ormai era tutto pronto e un solo passo falso – ne aveva compiuti troppi – avrebbe mandato tutto a puttane.

Il giorno dopo aver recuperato i soldi dal vicolo, di buon mattino Dupre si coprì alla bell'e meglio e sgattaiolò fuori dal quartiere di Tril cercando di attirare meno attenzione possibile. Certo, non era semplice a causa della fasciatura in faccia, i capelli scarmigliati, l'andatura nervosa e la stazza imponente, ma... tant'è. Ci provò, almeno.

Sarebbe dovuto andare andare al mercato a raccattare cibo sufficiente per le ultime notti a Gothar, ma poi pensò bene di spendere qualche moneta anche per qualche vestito pulito e per far sistemare il suo dannato coltello che aveva deciso di tradirlo per così poco.

Al ritorno, i suoi occhi intercettarono quel ridicolo confetto della figlia di Bertrun alle prese con una bancarella di stronzate colorate, ma passò abbastanza distante da non essere notato né da lei né da quella puttanella che si portava dietro.

Finì ogni commissione che era già tramonto e, tornando al rifugio, strappò una prostituta che scopava con un uomo grasso e sudato in una strada buia e puzzolente – dovette dargli un pugno e per poco quel porco non finì per rifilargli, in risposta, un ceffone sul naso ferito. Dupre era deciso a farsela senza troppe cortesie a ridosso dello stesso muro che l'aveva vista col grassone, poi la vista del seme di qualcun altro che le scivolava lungo le gambe e la schifosa orrenda sporcizia – non volle sapere cosa fosse – che le pendeva dai peli del pube gli fecero venire un conato di vomito, facendoglielo diventare moscio in un lampo.

Poi se ne fregò. Chiuse gli occhi, la obbligò in ginocchio: pensò così alla sua Dorothy di miele.

Ah, quanto gli mancava il suo Ratto.

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