Non possono farmi nulla. Non ho più niente; Dan Ticktum

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Dedicato a _FraFattiUnSucco_


A causa di quell'incidente la mia vita era cambiata. Mi ero salvata miracolosamente, ma avevo perso molto. Avevo perso la vista. Ero caduta in un buio assoluto e non potevo uscirne. L'ultima cosa che ricordo di aver visto, prima di cadere nelle tenebre, erano le fiamme intorno alla mia auto. Un ragazzo mi aveva estratto  coraggiosamente dalla mia vettura e mi aveva condotto in ospedale. A lui dovevo la mia vita, anche se non ero più la stessa. Quel ragazzo era Daniel Ticktum. Sebbene non mi conoscesse, ed io non conoscessi lui, si era preso cura di me, anche più dei miei parenti e dei miei amici stretti. Per tutto il periodo di ricovero, inizialmente in ospedale e poi dallo psicologo, mi aveva sempre fatto visita ed aiutato nei momenti di difficoltà. Era anche grazie a lui se avevo ripreso a viaggiare in auto. Nel periodo immediatamente successivo all'incidente, non uscivo di casa, neanche in compagnia, per paura che potesse riaccadere. Di lui, però, mi fidavo. Ed era per questo motivo che avevo accettato l'uscita con lui, quel giorno. 

«Vivienne, non puoi rimanere in eterno rinchiusa in casa». Posò le sue mani sulle mie gambe e compresi che si era piegato per raggiungere la mia altezza. «Rimanere a rimuginare sulla tua situazione non ti aiuterà, fidati». 
«Non vi è molto che io possa fare. Sono cieca, Dan, continuerei a vedere il buio comunque, tanto vale rimanere al sicuro qui». 
«Ci sono molte cose che potresti fare, lì fuori». Risi, amaramente. 
«Inciampare, probabilmente». Sospirò. 
«Dovresti fidarti di me». Lo sentii alzarsi. «Ho mai fatto qualcosa che potesse danneggiarti?». Scossi la testa. «Ed allora vieni con me, dovrai superare questa tua paura prima o poi». 
«Dan...». Iniziai, ma poi sbuffai. «Va bene, verrò con te». Prese le mie mani e le pose sul suo viso, per farmi comprendere che stava sorridendo. Lo feci istintivamente anche io. Mi fece alzare e mi sistemò al suo fianco, mantenendomi salda. Avvertii dei leggeri brividi, ma non vi prestai attenzione. Ci incamminammo verso la porta e, quando l'aprì, mi aiutò ad uscire. 
«Devi svoltare a sinistra». Feci come mi aveva detto e ben presto la mano che era posta lungo i miei fianchi sfiorò una vettura. Le immagini dell'impatto e delle fiamme ritornarono a galla ed indietreggiai di scatto, tanto che il ragazzo dovette sistemare la sua mano dietro la mia testa per evitare che colpissi il muro dietro di me. «Non preoccuparti, davvero, devi sentirti al sicuro con me». Annuii, anche se poco convinta. Mi fece accomodare sul sedile del passeggero e lui si sistemò su quello dell'accompagnatore. «Quando sei pronta...». Affermò. Inspirai ed espirai. 
«Vai». Dissi semplicemente e lo sentii ingranare la marcia. Subito afferrò la mia mano. 
«Sta' tranquilla, non succederà nulla». Iniziai ad annaspare. «Vivienne, calma, ti prego. Vuoi che mi fermi?». Negai con il capo. Dovevo superare questa paura, aveva ragione lui. «Cerca di pensare ad altro, devi distrarti. Se assecondi la tua mente non ne uscirai mai. È come un circolo vizioso: più pensi, più alimenti la tua paura. Non puoi affrontarla così. Ponimi delle domande o parla, ma cerca di non pensare a quello che è stato». Aveva ragione, dovevo distrarmi. 
«Cosa fai nella vita? Non me lo hai mai detto». Andai diretta. Era diverso tempo che provavo a comprenderlo, ma si rifiutava di darmi una risposta chiara. 
«Non molli, eh?». Lo immaginai sorridere ed avrei davvero dato di tutto per poterlo vedere. «Va bene, siccome stai facendo un qualcosa che non vorresti, ti risponderò». Tolse la mano dalla mia, per un breve istante, per cambiare la marcia. «Sono un pilota». 
«Di aerei?». Rise. 
«No, di auto. Sono un pilota di Formula 2». Rabbrividii. 
«Siete quelli che rischiano la propria vita ogni volta che entrate nelle monoposto?». Domandai. 
«Esattamente». 
«Come fai a fare quel lavoro, è davvero...». Non riuscivo a trovare le parole giuste.
«Spaventoso?». Annuii. «È una passione. Per fortuna è raro che qualcuno abbia incidenti gravi o che, peggio ancora, muoia, ma può accadere». Ne parlava con così tanta tranquillità, che sembrava quasi mi stesse dicendo che come lavoro faceva il veterinario. 
«E vi insegnano anche come soccorrere persone che...». Mi fermò. 
«Sono avvolte dalle fiamme?». Risposi un flebile "sì". «No, sono entrato istintivamente nell'auto quel giorno per salvarti. Mi dispiace di essere arrivato troppo tardi e di non essere riuscito ad evitare che perdessi la vista». 
«Hai evitato che perdessi la vita, penso sia molto di più». Gli sorrisi, per tranquillizzarlo. 
«Mi dà così rabbia il fatto che quell'essere sia riuscito a scappare e ti abbia lasciata lì, da sola, tra le fiamme». Posai una mia mano sulla sua guancia. «Doveva esserci lui al tuo posto». Concluse. 
«Dan, è inutile continuare a pensare a lui, non mi aiuterà di certo a riottenere la mia vista». Mi lasciò un bacio sul dorso della mano. 
«Sei così buona, meriteresti tutto il bene del mondo e mi dispiace non potertelo dare». 
«A me basti tu». Affermai e, all'improvviso, che sentii le sue labbra sulle mie. Ero talmente intenta a parlare con lui, che non mi ero nemmeno resa conto che avesse parcheggiato la vettura. Iniziò ad accarezzarmi il viso con le dita e, dolcemente, le spostò anche sui miei occhi. Istintivamente li aprii e mi sembrò di vedere una sagoma, prima di ricadere nel buio più assoluto. Mi spaventai, ma ben presto il tocco del ragazzo mi fece rilassare e ritornare alla realtà. 
«Ehi, cosa c'è? Non avrei dovuto?». Mi domandò preoccupato.
«No, no, non è quello». Spostai lo sguardo in un'altra direzione. «È solo che...». Mi fermai. «No, nulla». Mi fece voltare, così che potesse guardarmi. 
«Parlami Vivienne». Sospirai. 
«Ho visto qualcosa prima. Ho aperto gli occhi ed ho visto una sagoma, poi sono caduta nuovamente nel buio più assoluto. Non penso sia clinicamente possibile». Ed era così. Io non potevo guarire dalla cecità, se non con un intervento fin troppo costoso per me. 
«Non lo è, può essere stata solo un'impressione». Annuii. 
«Sì, penso tu abbia ragione». 
«Siamo arrivati, vuoi scendere?». Gli sorrisi. 
«Va bene». Lo sentii scendere dalla vettura e venire ad aprire la mia portiera. Mi afferrò ed insieme ci avviammo verso la nostra meta. Udii delle risate e qualcosa che mi colpiva. 
«Cogl...». Lo fermai prima che potesse continuare. «Non puoi farti trattare così!». Esclamò lui. 
«Non possono farmi nulla». Mi voltai verso di lui. «Non ho più niente. Le loro risa non mi scalfiscono». Sospirò. «Ora continuiamo». Continuammo a camminare, anche se non per molto.
«Fermati ed allunga le mani». Obbedii. Toccai una superficie e delle scritte. Il Braille. Feci scorrere le dita e potetti comprendere che quello rappresentato era un quadro. Dan sapeva che amassi l'arte e che non avessi mai avuto la possibilità di visitare un museo prima dell'incidente. Scoppiai a piangere e lo sentii abbracciarmi. 
«Perché sei così buono con me?». Gli domandai.
«Ancora te lo domandi?». Mi sussurrò all'orecchio. «Perché mi piaci, Vivienne, mi piaci davvero molto». Mi lasciò un bacio sul collo. Volsi il capo ed anticipò quello che avrei voluto fare, baciandomi. Di nuovo. E sentivo le farfalle nello stomaco. Di nuovo. Ed aprii gli occhi di scatto, vedendo la stessa sagoma. Di nuovo. Che forse...?

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