27-Tu amore, regalami un sorriso.

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''Che significa che non vuoi che seguo il caso?'' Era uno dei peggiori lunedì che avessi mai vissuto, non bastava il ciclo arrivato da poco e il fatto che fossero le otto di mattina e io avessi iniziato già da sei ore il mio turno, che mi era stato spostato all'ultimo, non bastava nemmeno il fatto che avessi dormito a malapena un ora e mezza e per di più in macchina, dato che io e Niccolò eravamo tornati da qualche ora da Napoli. Ora ci si metteva anche Marco, era da poco arrivato un neonato, nato da poco più di un ora, e avevano richiesto un consulto da neuropsichiatria infantile, ma quando mi presentai io, il biondo non ne fu del tutto felice, anzi si rifiutò anche di farmi seguire quel caso, rifiutandosi così di darmi la cartella clinica nel quale erano scritti tutti i segnali negativi di quel bambino.

''Che non c'è bisogno, riesco da solo'' Marco era davanti a me, lo sguardo serio e gli occhi rivolti su quella cartella cercando di capire come risolvere quel caso, anche se dalla sua espressione era ben lontano dalla soluzione. Io mi misi davanti a lui con le braccia conserte e uno sguardo che non prometteva assolutamente niente di nuovo.

''Marco, non è giornata, evita di farmi incazzare anche tu'' Marco uscì dalla stanza e io lo segui restando a pochi passi da lui. Aveva richiesto un consulto e ora stava evitando di far sì che mi occupassi del bambino, lui alzò gli ochi al cielo per poi fermarsi e voltarsi.

''Sà, sul serio. Non voglio il tuo aiuto, non voglio che ti occupi tu di sto caso, vai a farti un giro in pediatria'' Marco non aveva mai utilizzato delle parole così brusche con me, certo come coppia avevamo litigato tanto in tre anni di relazione e molto spesso ci eravamo urlati contro, ma sul lavoro eravamo riusciti a rimanere sempre professionali, eppure in quel momento nessuno dei due riusciva a mantenere il minimo controllo. Io strappai la cartella dalle mani di Marco, abbassando subito lo sguardo su ciò che c'era scritto nella cartella, e mi bastò leggere quelle poche parole per capire il comportamento di Marco.

''Avevi promesso che non l'avresti mai fatto'' Il bambino era affetto della forma meno grave di Osteogenesi Imperfetta, quella di tipo 1 che non era letale e che poteva essere tenuta sotto controllo con l'ormone della crescita e bifosfonati, dei farmaci utili al riassorbimento osseo. E Marco in quel momento aveva appena infranto la promessa che aveva fatto anni prima, quella di non intralciare il mio lavoro neanchè se si fosse trattato di un caso simile o uguale a ciò che avevo vissuto io. E in quel momento lui si era rifiutato di farmi soltanto avvicinare a tutto ciò che mi spettava per specializzazione, essendo che quel bambino era nato con la stessa patologia di Camilla, seppur più lieve. Notai sul viso di Marco comparire un espressione di dispiacere per non essere riuscito a mantenere quella promessa e allo stesso tempo di disperazione, non sapendo come aiutare quel bambino.

''Chiama ortopedia e fai controllare che durante il parto non abbia subito nessun tipo di frattura. Prescrivi delle analisi per controllare il livello di vitamina D e di calcio e somministra l'ormone della crescita e il neridronato'' Marco sapeva bene, che vedendolo in difficoltà, non lo avrei lasciato senza dire nulla, ma non per lui ma perchè in gioco c'era la vita di un bambino, e in parte anche quella di una madre e di un padre che ancora non avevano visto o abbracciato il loro bambino. L'osteogenesi imperfetta è una malattia talmente rara che sia in università, sia negli anni della specializzazione non si affronta mai. Però poi un giorno capita che sei tu a diventare vittima di quel mostro che ti strappa via dalle mani la cosa più preziosa che hai, tua figlia. E allora, bastano pochi secondi per imparare tutto ciò che serve per far evitare che qualcun'altro abbia la stessa sorte. E così era successo a me, mi erano bastati pochi secondi, seppur reduce da un parto, per imparare tutto ciò che c'era da sapere su quella malattia. Marco non aveva detto più nulla e io mi allontanai lasciando che quella volta fosse il cuore a scegliere la direzione.

Soltanto dopo pochi minuti mi accorsi di essere esattamente nella parte opposta di dove dovevo essere, i miei piedi mi avevano condotto nel reparto di ginecologia, senza che io me ne rendessi conto. O più precisamente, mi trovavo davanti a quella vetrata che dava sul nido dell'ospedale. Da quel punto si vedevano tutte quelle piccole creaturine appena nate che se ne stavano nelle loro cullette, alcuni dormivano beati, con quella innocenza e nessuna consapevolezza dipinti sul volto, alcuni si beavano del calore emanato dai loro genitori, sentendosi sicuri tra le loro braccia, mentre dal viso di quelle donne e quegli uomini che in quel momento erano diventati madri e padri traspariva soltanto la felicità più pura, quella felicità che avevo visto negli occhi di Niccolò quando gli avevo detto di aspettare Camilla e negli occhi di Gaia e Adriano, quando per la prima volta avevano stretto tra le loro braccia Tommaso e Lorenzo. E infine, c'era altri due bambini con gli occhi aperti, che si guardavano intorno iniziando a scoprire come fosse fatto il mondo e con la voglia di scoprirlo sempre di più, dato che anche se il sonno si faceva sentire, la loro voglia di meravigliarsi davanti a tutto ciò che li circondava era più forte. E soltanto in quel momento mi accorsi delle lacrime che scivolavano lungo il mio viso, ma bastarono pochi secondi per trovare rifugio in quelle braccia che conoscevo molto bene e che avevano il sapore di casa.

Te dimmi dove sei, mi faccio tutta Roma a piedi. - UltimoWhere stories live. Discover now