Prologo

102 8 0
                                    

Faccio sempre lo stesso incubo ogni notte.
Si dice che quando fai cose ripetitive ci fai l'abitudine, come in qualsiasi sport. Nei primi giorni senti come se avessi tutte le ossa rotte e tutti i muscoli strappati, a poi il tuo corpo ci si abitua.
Con gli incubi è diverso, o meglio, con il mio incubo è diverso, non riesco ad abituarmici mai, come se la mia mente si rifiutasse di assimilarlo.
È un sogno ingannevole, inizia in un meraviglioso prato fiorito, io guardo il cielo, ha i colori dell' alba, c'è profumo di lavanda, di rugiada e qualcos'altro, qualcosa che non riesco mai ad individuare. Penso sia primavera, una leggera brezza mi fa smuovere i capelli, e qui iniziano le stranezze. I miei capelli sono strani, troppo lunghi, troppo spenti, troppo grigi. dopo essermi accorta di questo particolare il sogno cambia prospettiva, e mi ritrovo in piedi, al centro di una piccola radura circolare, non sono sola, con me c'è un piccolo cucciolo, sembra un cane, nero come una notte senza luna. Quando mi vede si avvicina, pare incuriosito, mi annusa i piedi, che noto essere scalzi e sporchi di fango, il sogno cambia ancora e sono seduta a terra con il cucciolo tra le gambe, sembra irrequieto, si guarda in giro, scappa dalle mie gambe si gira verso di me e scopre i denti in un ringhio spaventoso. Solo allora, mentre penso di aver fatto qualcosa di sbagliato, la paura inizia ad attanagliarmi lo stomaco, il suo sguardo, i denti aguzzi, nonostante non sia che un cucciolo. Non è un cane quello che avevo in braccio, ma un piccolo lupo. Si mette in posizione di attacco, i muscoli si tendono sotto il pelo, è pronto a scattare, ma esita, un luccichio nello sguardo da predatore, fa qualche passo di lato, sembra cauto, come se non volesse colpirmi. Allora e solo allora lo sento: un ansimare cupo alle mie spalle. In un primo momento penso che sia un orso o qualcosa del genere, ma poi l'ansito si trasforma in risa isteriche, non un orso ma un uomo. Mi volto in uno scatto, avrei voluto non farlo, ciò che mi trovo davanti è lungamente peggio di un orso inferocito, Mostro... è l'unica parola che mi viene in mente. Rigetto il pensiero che quella cosa sia anche solo lontanamente umana.
Alto più di due metri, quasi completamente avvolto in un mantello cremisi macchiato di ruggine,l'unica parte scoperta , una mano, sembrano ossa coperte di pelle, grigia, chiazzata dello stesso cremisi del mantello. Il cappuccio mette in ombra il volto, mostrando solamente una bocca gigantesca con le labbra viola ritratte, a mostrare due file di denti marci.
Il vento viene dalla sua parte potando con se un'inconfondibile lezzo di morte, carne putrefatta e sangue, tanto sangue.
Una nuvola oscura il sole ormai sorto e alto in cielo.
Il mondo scompare e rimango solo io, di fronte alla morte fatta persona, che sorride e allunga una mano come per invitarmi a raggiungerla.
Indietreggio e a piccoli passi, come un'ombra la figura mi segue , e sporge sempre di più la sua mano scheletrica.
inciampo in qualcosa e cado a terra, so che è la fine sento il mostro avvicinarsi inesorabilmente e lentamente, quando il suo mantello bagnato mi sfiora la gamba,è come ferro arroventato sulla mia pelle che sfrigola.
Grido.
Su quel grido mi sveglio, sempre in quel punto. Incerta e spaventata.
Mi chiedo spesso quale possa essere il continuato del sogno, ma non riesco, o forse non voglio sapere come va a finire.
Non so come riesco a svegliarmi ogni giorno alla stessa ora, le 5:45, tutti i giorni, e non c'è sveglia che tiene. Sono rassegnata a questo, come lo sono per molte altre cose.
Oggi è mercoledì, il fatidico mercoledì - e tanti auguri a me... - non mi è mai piaciuto il giorno del mio compleanno, non ho mai fatto una festa o nient'altro, non ne ho bisogno, tanto non avrei avuto comunque nessuno da invitare. Mia madre mi dice sempre che se solo mi impegnassi di più allora avrei degli amici, ma prontamente ricordo a me stessa di non risponderle, non ha il diritto di giudicarmi, non lei che per la metà del tempo è in viaggio per chissà dove, e per il resto del tempo, o è troppo ubriaca per fare qualsiasi cosa o se ne va in giro a criticare la mia vita e il fatto che non ho amici. Non ha mai capito che forse io non li voglio degli amici.
Papà... lui non aiuta, come la mamma è fuori per trecento venti giorni l'anno, ma comunque anche quando è a casa prende sempre le difese della mamma qualsiasi cosa lei dica o faccia, sta sempre al telefono o legge il giornale o ancora semplicemente sta seduto sulla sedia in veranda a guardare il boschetto davanti a casa.
Tanto per cambiare, giusto per non perdere le occasioni importanti oggi nessuno dei due è a casa, ma non mi importa poi più di tanto, in sei anni di assenza da parte loro ho imparato a cavarmela bene anche da sola.
La signora Alyson, una simpatica vecchina che abitava in fondo alla strada, mi aveva fatto da babysitter e da governante in quegli ultimi anni, era morta ormai da qualche mese, la vecchiaia e le sue non troppo sane abitudini alla fine l'avevano uccisa alla veneranda età di settantaquattro anni.
I miei genitori non si erano presi la briga di sostituirla.
Ed era stato meglio così.
Ho imparato in fretta a non aver bisogno di altri per badare alla casa e, la solitudine dopo qualche tempo non è più così opprimente, semplicemente ci si fa... l'abitudine.
Sono ormai le sei quando mi degno di alzarmi. Lo prendo come il mio personale regalo di compleanno, ben quindici minuti di tacito riposo prima di far cominciare il mio cinquemila ottocento quarantaquattresimo giorno di vita.
In bagno mi guardo allo specchio, i capelli mi stanno crescendo troppo in fretta, arrivano quasi alla vita, decisamente è ora di tagliarli, anche se, quando sono così lunghi risultano molto meno impraticabili del solito.
Indosso alla svelta una felpa e un paio di pantaloni della tuta.
Esco a correre tutti i giorni, non perché io debba tenermi in forma o che me ne freghi qualcosa di questo, solo perché è un buon modo di tenermi occupata e di non pensare a niente, se non al vento sul viso e al freddo che penetra nelle ossa facendomi sentire viva e sveglia.
Solitamente non faccio mai due volte consecutive lo esso percorso, e se capita lo faccio inconsciamente, seguo solo i piedi, non mi hanno mai tradito finora e l'istinto fa la sua parte ritrovando sempre il tragitto verso casa. Il mio compleanno tuttavia è una storia diversa, il mio percorso è prefissato, sempre lo stesso da quando i miei smisero di esseci per l'occasione.
Una volta l'anno mi concedo il lusso di avere una meta precisa da raggiungere.
Il cimitero di Old Hill si trova sulla parete ovest di una collina poco lontana della città, potrei ripetere quella strada ad occhi bendati, sono quasi cinque anni che ci vado in questo frangente .
Dalla cima della collina la vista del cimiero è spaventosa, in pochi ci vanno, da quando hanno smesso di seppellirci le persone più o meno, mio fratello fu uno degli ultimi.
A me quel posto non spaventa, anzi, mi dà un senso di tranquillità. In fondo quando qualcuno pensa che i cimiteri siano paurosi sbaglia, non fanno paura, mettono soggezione.
I morti non possono farti nulla, è dei vivi che devi avere paura. Questo è ciò che mi ripeto in continuazione. I morti sono morti, i vivi possono farti del male.
La tomba di Jeremy è anonima, asettica, nessuno ci ha mai poggiato fiori, nessuno ci piange sopra da anni, io sono l'unica che viene a fargli visita.
Jerry era la mia ancora di salvezza, siamo nati lo stesso giorno solo che lui aveva sei anni più di me, oggi avrebbe compiuto ventidue anni.
Non so cosa darei per rivederlo, eravamo una grande squadra noi due insieme, mi difendeva dai bambini che mi tiravano i capelli e mi graffiavano all'asilo e io gli donavo tutto l'affetto di cui ero capace.
Quando lui era con me ero invincibile, quei pochi anni con lui saranno sempre i migliori della mia vita.
Quelli sono i giorni che mi piace ricordare più di tutti, forse perché eravamo ancora una famiglia, mamma e papà giocavano con noi, facevamo gite e vacanze al lago.
Avevo solo dieci anni quando lui è morto, eravamo Jerry e Bel, lo eravamo sempre stati, poi sono rimasta sola.
Nessuno ha mai saputo cosa gli sia successo quella notte. Una domanda mi rimbalza nella mente da quel giorno: " Perché è andato nel bosco quella notte?". Non avrò mai una risposta a questa domanda, ne a nessun'altra, perché nessuno parla di queste cose con me.
La mattina, quando non lo trovammo nel suo letto seguimmo le impronte nella neve fresca di inizio dicembre. Alla fine della scia c'era un ragazzo, dilaniato, imbrattato del suo sangue congelato, che formava intorno a lui un alone rosso sul tappeto di neve candida. Non mi fecero avvicinare troppo al corpo, dicevano che mi avrebbe traumatizzata, pensavano di averlo nascosto bene alla mia vista, ma ero una bambina intelligente e avevo una vista eccellente, le immagini di quel giorno sono rimaste impresse a fuoco all'interno dei miei occhi, non riuscirò mai a dienticarle.
Gli avevano strappato il cuore.
Una bambina non dovrebbe mai vedere una scena del genere, che la vittima sia sconosciuta o che sia il suo amato fratello, fratello che non avrebbe più visto.
Da quel giorno i miei genitori sono diventati quasi degli estranei e ho dovuto imparare a cavarmela da sola.
Da quel giorno nessuno mi ha più difeso a scuola.
Da quel giorno qualcosa dentro di me è cambiato, mi sono chiusa in me stessa e non ho più permesso a nessuno di scalfire il mio cuore.
Da quel giorno ho iniziato a fare ogni notte lo stesso orribile incubo e, a svegliarmi con ancora nelle orecchie l'eco del mio grido.

ReminiscentWhere stories live. Discover now